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mercoledì 17 aprile 2013

LE MEGALOPOLI: COME CI STIAMO TRASFORMANDO

Nella foto: Honk Kong


Siamo "fortunati" noi uomini del XXI secolo, perché stiamo assistendo al più grande e rivoluzionario cambiamento della storia di Homo Sapiens. Cento anni fa vivevamo ancora in un mondo rurale (in Europa, figurarsi nel mondo) in cui vigevano la cultura ed i valori della civiltà contadina. Erano valori  che si erano formati nel corso di molti secoli e assicuravano una  certa stabilità nella visione del mondo e nella cultura.   In cento anni vi è stata una vera esplosione, una trasformazione economica, tecnica, culturale, sociale e ambientale senza precedenti: in una parola, è cambiata l'antropologia della specie  umana. Quale è stata la forza motrice di questo cambiamento apocalittico? (sono suonate realmente le trombe dell'apocalisse per noi uomini!). Metaforicamente si potrebbe individuare il punto di svolta nell'esplosione il 6 agosto del 1945 della prima bomba atomica sulla città di Hiroshima, ma si tratterebbe di una semplificazione. Il cambiamento era già in atto nel XIX secolo, anche se a ritmi più lenti. Dopo la grande guerra 1914-'18 tutto si è accelerato freneticamente. Le cause che hanno portato a questo cambiamento radicale sono state essenzialmente due: 1) Lo strapotere incontrastato della tecnica e 2) l'esplosione demografica. Negli stessi anni in cui le capacità tecnologiche dell'umanità erano metaforicamente rappresentate dal distruttivo fungo atomico e dai viaggi nello spazio, avveniva una spaventosa impennata dei tassi di crescita della popolazione che riguardava tutto il pianeta. In un secolo la popolazione mondiale è passata da uno a sette miliardi, un fatto senza precedenti e inimmaginabile agli inizi del '900. Solo successivamente si assisteva ad un relativo abbassamento della natalità nelle aree più sviluppate (Europa e Nord America) ma con i tassi complessivi in continua crescita considerando il pianeta nelle sue varie aree. I fenomeni migratori cui assistiamo ormai da decenni e la crescita frenetica delle città con il conseguente consumo di territorio specie nel dopoguerra sono l'epifenomeno di quella esplosione demografica. Questi cambiamenti hanno portato ad una modificazione strutturale dell'abitare dell'uomo sulla Terra. Alla civiltà contadina si è così sostituita la civiltà delle città e poi -negli ultimi decenni-  quella delle megalopoli. Le megalopoli saranno la forma strutturale che assumerà la nostra civiltà nel futuro. I processi economici e sociali che ne sono alla base sono ormai irreversibili e impossibili da fermare se continuano gli attuali ritmi di crescita demografica. La popolazione mondiale, secondo tutti gli studi statistici e sociologici, si concentrerà sempre di più in futuro nei grandi agglomerati urbani, e già oggi la maggioranza della popolazione mondiale vive nelle città. Tutto è collegato allo sviluppo tecnologico: la crescita delle megalopoli ha alla base lo stesso processo che ha portato allo sviluppo del web. Alla varietà si sta sostituendo l'uniformità culturale e organizzativa; al localismo subentra la globalizzazione; agli stati nazionali si sostituiscono le aree finanziarie in cui dominano il mercato e il consumo. La campagna tende a scomparire e il territorio si organizza in megalopoli e strutture viarie e di comunicazione che interconnettono le nuove realtà. Il verde della natura non ha più spazio in questa dinamica sociologica e culturale, ha perso il suo senso, se non quello di residuo da conservare in vetrina come uno spazio museale. O di area produttiva di prodotti agricoli sempre più costruiti artificialmente e fatti crescere chimicamente.  Le grandi masse umane generate dal boom demografico trovano così negli alveari delle megalopoli una nuova forma di organizzazione della vita, secondo nuovi valori assai più virtuali e instabili rispetto a quelli di poche generazioni prima. Dal punto di vista economico e sociale -dicono gli intellettuali del settore-  le megalopoli offrono possibilità di vita e di sussistenza assai migliori rispetto alle aree rurali, e consentono inoltre economie di scala che portano ad un miglior utilizzo delle risorse con minor dispendio di energia. La qualità della vita degli individui sembra migliore e gli indici che misurano istruzione, sanità, relazioni sociali e creatività sembrano tutti a favore della popolazione delle megalopoli. Ma non tutto va così bene. I tassi complessivi di inquinamento ambientale, atmosferico e delle acque presso le grandi città sono disastrosi. L'alienazione e la ripetitività delle azioni della vita quotidiana sono rigide come in un grande meccanismo che crea esclusione, alienazione e depressione. La megalopoli crea opportunità ma ingabbia la vita in schemi rigidi da cui evadere è possibile soltanto con la virtualità e la tecnologia.   Per capire come la nuova realtà delle megalopoli abbia dato origine ad un dibattito tra gli intellettuali in cui i più si schierano a favore dei nuovi cambiamenti riporto alcuni brani di un articolo apparso alcuni giorni fa su "La Lettura", supplemento del Corriere della Sera, sotto la voce: "Il dibattito delle idee".


Se non state per leggere questo articolo in spiaggia o in campagna, alzate lo sguardo: siete nel tuorlo dell’uovo. Perché siete in città e — pare — la città oggi è il centro del tutto. Meglio ancora: la «metropoli globale» è l’oggetto di attenzione delmomento. Il fatto urbano e le sue conseguenze sono i campi di studio emergenti più affascinanti e rivoluzionari nelle università e nei centri di ricerca di mezzo mondo. E si capisce perché. È in città che l’economia cresce, che le persone raggiungono alti livelli di istruzione, che la creatività sboccia, che le relazioni sociali fioriscono, che il patrimonio di intelligenza collettiva si accumula. Ed è dalle nuove megalopoli, luoghi di diseguaglianza sociale estrema, che uscirà un mondo forse più giusto. E possibilmente anche uno dei sistemi politico-statuali del futuro: Nassim Nicholas Taleb — l’inventore della teoria del Cigno nero, l’analista delle conseguenze degli eventi imprevisti — sostiene che nel giro di 25 anni gli Stati Nazione saranno sostituiti da città-Stato. Per alcuni happy few, d’altra parte, è già così.
La cosiddetta «classe dirigente globale» vola di città in città senza curarsi di quale Paese queste facciano parte. Si tratta di top manager, banchieri, artisti, star dello sport e del cinema, imprenditori e rispettive famiglie che simuovono per business tra Londra e Shanghai, fanno shopping a New York e Parigi, volano a Milano per il Salone del Mobile, fanno tappa a Dubai per un party e l’inaugurazione di una galleria d’arte. Per loro, le metropoli sono centri off-shore, non più legate al Paese e al territorio che le circonda: sono entità urbane che hanno costruito pezzi di se stesse interamente dedicati a questa élite globale dai grandi mezzi finanziari che vive come se non avesse nazionalità. È una classe nuova — o relativamente nuova — che guarda il mondo dall’alto: che arriva in aereo e osserva i canyon urbani dalla cima dei suoi grattacieli...
A.T. Kearney dice che queste città globali non sono necessariamente belle. Anzi. «Ma — aggiunge — sono affollate da coloro che stanno creando il futuro, rumorose per lo scontro di affari e di idee, frenetiche nella gara per stare avanti. Hanno soldi e potere. Sanno dove il mondo sta andando perché loro sono già lì. Essere una città globale è, in questo senso, una cosa splendida». Taleb prevede che lo sviluppo di queste entità, assieme alla trasformazione parallela che si produrrà nell’hinterland che le circonda, svuoterà di senso lo Stato Nazione, che rimarrà un elemento cosmetico indebolito dai deficit e dalle inconsistenze dei politici e delle burocrazie; creerà Stati negli Stati, o città-Stato, gestiti in modo impeccabile dal punto di vista dei bilanci; addirittura potrà provocare la nascita di nuove valute più stabili, legate a valori reali.
Saranno metropoli in concorrenza l’una con l’altra, aperte, attente alla qualità della vita e hi-tech: per attrarre denaro, competenze, talenti, creatività. Fondate sul concetto lanciato a inizio secolo da Richard Florida (e aggiornato l’anno scorso) delle «tre T» che una città deve mettere in campo per vincere nell’era della globalizzazione: Tecnologia, Talento, Tolleranza. A.T. Kearney ha anche creato, assieme al Chicago Council of Global Affairs e alla rivista «Foreign Policy», una classifica delle 65 città che possono fregiarsi già oggi dello status di «globale». Ai primi cinque posti: New York, Londra, Tokyo, Parigi, Hong Kong. Le capitali storiche del mondo ricco e la loro colonia di maggiore successo. Ma in crescita ci sono metropoli del terzo mondo ormai entrate nel circuito delle Urban Elite: Singapore, Seul, Pechino, Shanghai, Buenos Aires, Mosca, Dubai. (Le italiane tra le 65 sono Roma e Milano). E nei prossimi decenni molte altre si aggiungeranno: la popolazione del pianeta è ormai per ben oltre la metà urbana e nel 2025 lo sarà per il 60 per cento. La differenza la farà la capacità di attrarre competenze, scienza, cultura, denaro.
Nelle grandi megalopoli tuttavia cresceranno anche le grandi periferie, spesso bidonville, mal collegate, senza servizi, spesso in preda alla violenza urbana e con scarsa qualità di vita...Ciò nonostante, anche per la parte di umanità che vivrà nelle bidonville si apriranno opportunità che nelle campagne povere e superstiziose non sarebbero mai sbocciate. Mettersi un tetto sulla testa a Mumbai, anche se di cartone, significa già oggi avere accesso a un mondo di opportunità di lavoro, di educazione, di conoscenze e di rapporti nemmeno immaginabile nell’India rurale. Per non dire dell’apertura culturale e della tolleranza che il passaggio dalla campagna alla città si porta dietro. Per quanto problematica, ineguale e probabilmente fonte di conflitti, anche la fascia underground della città, forse soprattutto quella, sarà il grande motore del mondo. È stato calcolato che il 40 per cento della crescita globale dei prossimi 15 anni verrà da 400 città di dimensioni medio-grandi al momento quasi sconosciute. Già oggi, le cinque città a maggiore crescita sono Beihai (Cina), Ghaziabad (India), Sana’a (Yemen), Surat (India) e Kabul in Afghanistan.
È Il trionfo della città, titolo di un libro dell’economista di Harvard Edward Glaeser. Sottotitolo: «Come la nostra più grande invenzione ci rende più ricchi, più smart, più verdi, più sani e più felici». Il cuore del suo ragionamento è che «le città esaltano le forze dell’umanità»: moltiplicano le interazioni personali, attraggono talenti e creatività, incoraggiano gli spiriti imprenditoriali, favoriscono la mobilità sociale. La densità è miracolosa. E le interconnessioni sono fondamentali...
Paul Romer — economista alla New York University, imprenditore e attivista politico — ha lanciato e in parte messo in pratica un’idea per molti versi collegata alla teoria di Taleb sulle città-Stato. A suo parere, soprattutto nei Paesi emergenti e nel Terzo Mondo, è antieconomico spendere energie per combattere la burocrazia, debellare la corruzione, sperare di introdurre regole di convivenza di tipo occidentale. Meglio costruire dal nulla città extraterritoriali, non sottoposte alle leggi di quel Paese ma a una tavola di regole (charter) sottoscritte e rispettate da chi ci va ad abitare. Charter cities le ha chiamate: soluzione radicale accusata di essere neocolonialista (Romer risponde che si tratta di una scelta che un Paese può fare o meno, non una costrizione). Il suo tentativo di applicare la teoria a un grande progetto in Honduras ha fatto passi avanti fino a un anno fa, ma poi si è infranto su scogli politici. Ciò nonostante, l’idea di città nuove costruite grazie a progetti e denaro di Paesi avanzati e modellate sulle esigenze del mondo del business sta facendo strada, siano esse aerotropolis ocharter cities: Singapore e la Cina stanno sviluppando progetti del genere.

(Da "La Lettura" -Corriere della Sera del 14 aprile 2013. Articolo di Danilo Taino).



Ps: ma siamo sicuri che nelle megalopoli la qualità della vita, compresa quella intellettuale sia migliore? Non rischiamo qui di ricreare, da parte degli intellettuali, una mitologia che è poi una ideologia che vede nel pensiero massificato e mercificato una forma più alta di pensiero? Siamo sicuri che la creatività degli abitanti delle megalopoli sia più ricca e varia rispetto a quella del passato, come affermano gli intellettuali favorevoli ad esse? Non sono molti, oggi tra gli abitatori delle grandi megalopoli, quelli in grado di scrivere, o solo pensare, un testo così profondo e così acuto come -ad esempio- il Teeteto  di Platone. Eppure fu scritto 2500 anni fa, in un mondo spopolato rispetto ad oggi, in una città di circa ventimila abitanti com'era l'Atene di allora. La produzione intellettuale degli abitanti colti delle megalopoli mi sembra, al confronto, assai misera cosa. Ma il discorso principale, che il Danilo Taino non affronta adeguatamente nel suo pur molto interessante articolo è un altro: Le megalopoli sono la forma che la civiltà occidentale -ormai diventata totalitaria nel pianeta- sta assumendo al tempo della sovrappopolazione. Il processo è inarrestabile e porterà ad una devastazione ambientale irreversibile. Lo stanno a dimostrare le immense nubi di gas e smog tossico che sovrastano le zone delle megalopoli in Asia, visibili dalle foto satellitari. Lo stanno a dimostrare le immagini di acque dei fiumi e laghi con colori che vanno dall'arancione al rosso vivo per la massiccia presenza di tossici chimici in Cina e India, e le morie di animali con migliaia di carcasse rinvenute nel corso dei fiumi o nelle foci. Lo stanno a dimostrare i milioni di malati e di morti per malattie respiratorie e vascolari, i tumori in costante aumento nei cittadini delle megalopoli. Lo sta a dimostrare il surriscaldamento del pianeta dovuto alle emissioni di CO2 delle città,  questi mostri di cemento che stanno ingoiando il suolo e continuano ad aumentare le richieste di energia bruciando gas, carbone e petrolio ogni anno di più. La nostra speranza di salvezza è una sola: fermare la crescita demografica il più presto possibile, o sarà la fine per la Terra.

5 commenti:

  1. Caro Agobit, vivere in una comunità è una cosa imprescindibile per gli uomini.
    E vivere in una piccola cittadina può essere anche più comodo, conveniente, tranquillizzante che in un paese.
    Ma vivere in una metropoli ? Come potrebbe mai essere piacevole o anche solo utile per un uomo vivere in un formicaio impazzito ?
    Megalopoli, vede retro !

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  2. Le megalopoli abbassano la natalità,questo è un dato risaputo.
    fra 50 anni (e mi tengo largo) saranno popolate per un quarto da anziani...






    Attenzione
    Qui c'è da fare una scelta!
    se vogliamo un progresso scientifico-tecnologico ultrarapido,come quello che stiamo vivendo,allora questa concetrazione di uomini è indispensabile.

    Ma se invece le scoperte scientifiche,l'economia, e il benessere crescessero mooooooolto più lentamente ? in quel caso questo assembramento di uomini non è indispensabile.

    Onestamente non me ne frega nulla che la potenza dei microprocessore raddoppi nel giro di 2 anni,che il telefonino si restringa ancor di più nello stesso arco di tempo....etc etc etc.

    E questa è la scelta da fare,non si sfugge.
    Se vogliamo un mondo NON dominato dalla crescita a ogni costo (si anche tecnologica) dobbiamo R I N U N C I A R E a qualcosa.
    Quanti sono disposti a farlo?

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  3. "Le megalopoli abbassano la natalità,questo è un dato risaputo."

    Questo è anche ciò che pensa Stewart Brand, il quale vede favorevolmente sia le megalopoli che le bidonville, come "organismi" in grado di fare economia di energia e di stimolare i comportamenti ecologicamente virtuosi. Per me la diminuzione di fertilità umana nei megaconcentramenti sovrappopolati fa parte degli stessi meccanismi, studiati da Lorenz e seguaci, sulla fertilità degli animali in presenza di alta densità demografica. Anche l'uomo non fa eccezione. Il problema è il tasso complessivo di crescita. Le megalopoli non sono isole in un deserto, ma sistemi in un territorio con densità demografiche diverse. I tassi complessivi di crescita demografica rimangono sostenuti....Avviene un po' come quello che sta accadendo in Europa. I tassi di natalità scendono per i residenti europei, ma i tassi sostenuti in altre aree e la mobilità accentuata delle popolazioni non fa che far crescere costantemente la popolazione europea.

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  4. Non metto in dubbio che il tasso di fertilità all'interno delle megalopoli possa ridursi, ma temo che l'effetto complessivo sia comunque a favore della crescita demografica.
    Questo perchè le megalopoli tendono ad ingrandirsi attirando altre persone dal territorio e con cià creano spazio nel territorio suddetto per una ulteirore aumento della popolazione complessiva.

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  5. In effetti l'immigrazione da aree rurali di solito porta a crescere l'area metropolitana di una megalopoli,anche questo è un fenomeno osservato e verificato.

    Nel caso dell'italia però anche le aree rurali hanno un tasso di natalità sotto la soglia di rimpiazzo,quindi il problema non susisterebbe.

    Magari questo ha un senso in molti paesi africani,non di sicuro nei paesi industrializzati o in quelli in via di sviluppo.
    Ma non era mia intenzione fare apologia delle metropoli,hanno questo effetto collaterale positivo in cui la natalità cala.

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