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giovedì 5 gennaio 2012
Una risposta alla crisi economica e ambientale: ripartire dai campi.
Riporto qui di seguito un articolo di Carlo Cambi sulla nuova ruralità quale risposta alla crisi economica e ambientale. Tornare ai campi e ad un nuovo concetto di agricoltura ci può far ritrovare un rapporto con la natura che abbiamo perso. Non solo l'economia si può giovare dei prodotti "unici" che offre il nostro paese, ma l'utilizzo delle aree verdi per la nuova ruralità può sottrarli al triste destino della cementificazione.
IL VERO SVILUPPO RIPARTIRÀ DAI CAMPI
Stiamo vivendo un tramonto economico. Non per la crisi in se, ma per la crisi del modello che ci hanno imposto: mercatista, consumista e industrialista. Con il primato della finanza sul reale. Ci hanno trascinati in una deriva che ha reso il nostro operare lontanissimo dal naturale, che ci ha intossicati con il presentismo e ha avvelenato il pianeta con il produttivismo. Stiamo amaramente scoprendo che la globalizzazione, che pure ha i suoi lati positivi, c'impone di ripensare i nostri comportamenti come consumatori e i nostri orizzonti come uomini economici. E' un tramonto apparentemente cupo. Ma eccolo: il raggio verde. C'è la possibilità di immaginare partendo dai campi un nuovo modello di sviluppo: più armonico, più compatibile...Vi e' la necessita di ridare alla terra, intesa come agglomerato geo-antropico, il giusto valore. Del resto i numeri confortano: un quarto del nostro Pil viene dall'aggregato campagna-agroalimentare-turismo. E l'export se ne avvantaggia con un valore prossimo ai 20 miliardi di euro. E' questo un punto di forza del paese che tuttavia non riesce ad emergere nella sua valenza. Gli ostacoli sono di natura politica (questo sistema e' così frazionato da non riuscire a fare lobby), di natura culturale (si guarda solo al manifatturiero senza considerare che ormai l'industria pur importante e' minoritaria dal punto di vista della produzione di ricchezza) e di miopia tecnico-scientifica. Si continua a pensare che la ricerca sia solo quella indirizzata alle tecnologie scambiando un mezzo per il fine.
Ci servono invece la ripresa di studi di antropologia, di sociologia, di economia rurale per disegnare un quadro compatibile di sviluppo e ci serve innovazione tecnologica da applicare alle produzioni agricole, a quelle agroalimentari e al servizio dei beni cultuali che sono il nostro principale attrattore turistico. del resto l'agricoltura ha mostrato di essere il solo settore anticiclico (ha aumentato l'occupazione di quasi il due per cento il che significa trentamila unita' in un solo anno), prospettive di lavoro ci sono nei segmenti dell'artigianato (in quello alimentare segnatamente, e basta citare il caso dei fornai) ma serve uno scatto in avanti nella consapevolezza del valore della ruralità. La green economy e' ormai un paradigma di studio e di azione negli Stati Uniti, lo diverrà a livello mondiale perché e' una esigenza ineludibile. Tra trenta anni la popolazione mondiale arriverà a 9 miliardi. Serve ragionare di risorse alimentari e di mantenimento di quelle naturali su scala planetaria.
Il modello che stiamo vivendo adesso ha la prospettiva corta. E' ben strano che il Paese che ha avuto in Marsilio Ficino l'ispiratore del Rinascimento, il teorico dell'armonia tra uomo e Creato per sfruttare la ricchezza della fysis (della natura) e che in forza di quella corrente di pensiero esercito' un potere culturale ed economico mondiale con una piccola signoria, non si ponga alla testa di un progetto di green economy. E' uno spreco di risorse non puntare sulla ruralità per inventare un modello di sviluppo più compatibile. Ma forse il filo che lega Montefalco e Firenze e' una sottile fibra d'intelletto lungo la quale far passare non un'illusione ottica, ma un diverso sguardo sul futuro: il raggio verde.
(da un articolo del Professor Carlo Cambi sul quotidiano Libero del 10 settembre 2011, in occasione del Convegno sulla Ruralità tenuto a Montefalco e all'Expo Rurale di Firenze).
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