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sabato 3 dicembre 2011

MARTIN HEIDEGGER: DARE UN SENSO AL MONDO





L’essenza della tecnica risiede nella im-posizione. Il suo dominio fa parte del destino. Poiché questo mette di volta in volta l’uomo su una certa via del disvelamento, l’uomo, in questo cammino, procede continuamente sull’orlo della possibilità di perseguire e coltivare soltanto ciò che si disvela nell’impiegare, prendendo da questo tutte le sue misure. In tal modo si preclude all’uomo l’altra possibilità, quella di orientarsi piuttosto, in misura maggiore e in modo sempre più originario, verso l’esenza del disvelato e della sua disvelatezza, esperendo la adoperata-salvaguardata ( gebrauchte) appartenenza al disvelamento come la propria essenza.
Posto fra queste possibilità, l’uomo è esposto a un pericolo da parte del destino. Il destino del disvelamento è, in quanto tale, in ognuno dei suoi modi e perciò necessariamente, pericolo. In qualunque modo si dispieghi e domini il destino del disvelamento, la disvelatezza, in cui tutto ciò che è di volta in volta si mostra, nasconde il pericolo che l’uomo si sbagli a proposito del disvelato e lo interpreti erroneamente…La disvelatezza conformemente alla quale la natura si rappresenta come una calcolabile concatenazione causale di forze, può bensì permettere constatazioni esatte, ma proprio a causa di questi successi può rimanere il pericolo che in tutta questa esattezza il vero si sottragga. Il destino del disvelamento è in se stesso non un pericolo qualunque, ma il pericolo. Se però il destino domina nel modo dell’im-posizione, questa è il pericolo supremo. Questo pericolo ci si mostra sotto due punti di vista. Quando il disvelato non si presenta all’uomo neanche più come oggetto, ma lo concerne esclusivamente come “fondo”, e l’uomo, nell’assenza di oggetti, è solo colui che impiega il “fondo” – allora l’uomo cammina sull’orlo estremo del precipizio, cioè là dove egli stesso può essere preso solo più come “fondo”. E tuttavia proprio quando è sotto questa minaccia l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l’apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell’uomo. Questa apparenza fa maturare un’ulteriore ingannevole illusione. E’ l’illusione per la quale sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che se stesso. Con piena ragione Heisenberg ha fatto notare che all’uomo di oggi il reale non può che presentarsi in questo modo. In realtà, tuttavia, proprio se stesso l’uomo di oggi non incontra più in alcun luogo; non incontra più, cioè, la propria essenza. L’uomo si conforma in modo così decisivo alla pro-vocazione che non la percepisce come un appello, non si accorge di essere lui stesso l’appellato e quindi si lascia sfuggire tutti i modi secondo i quali egli e-siste nell’ambito di un appellare, per cui non può mai incontrare soltanto se stesso.
L’im-posizione, tuttavia, non mette in pericolo l’uomo solo nel suo rapporto con se stesso e con tutto ciò che è. In quanto destino, essa rimanda al disvelamento nella forma dell’impiegare. Dove quest’ultimo regna, scaccia via ogni altra possibilità del disvelare. Soprattutto, l’im-posizione nasconde quel disvelamento che, nel senso della “poièsis”, fa av-venire nell’apparire ciò che è presente. In confronto a questo, l’impiego pro-vocante spinge nel rapporto inverso e opposto verso ciò che è. Là dove si dispiega e domina l’im-posizione, ogni disvelamento è improntato nel segno della direzione e della assicurazione di “fondo”.
Così, dunque, l’im-posizione pro-vocante non si limita a nascondere un modo precedente del disvelamento, cioè la pro-duzione, ma nasconde il disvelare come tale e con esso ciò in cui la disvelatezza, cioè la verità, accade. L’im-posizione maschera il risplendere e il vigere della verità. Il destino che ci invia nel modo del Bestellen, dell’impiego, è così il pericolo estremo. Il pericolo non è la tecnica. Non c’è nulla di demoniaco nella tecnica; c’è bensì il mistero della sua essenza. L’essenza della tecnica, in quanto è un destino del disvelamento, è il pericolo. La minaccia per l’uomo non viene anzitutto dalle macchine e dagli apparati tecnici, che possono avere anche effetti mortali.La minaccia vera ha già raggiunto l’uomo nella sua essenza. Il dominio dell’im-posizione minaccia fondando la possibilità che all’uomo possa essere negato di raccogliersi ritornando in un disvelamento più originario e di esperire così l’appello di una verità più principale… Ciò che concede, quello che invia nel disvelamento in questo o quel modo, è come tale ciò che salva. Questo infatti fa sì che l’uomo guardi alla dignità suprema della sua essenza e vi ritorni. Questa dignità consiste nel custodire la disvelatezza e con essa sempre anzitutto l’esser-nascosto (Verborgenheit) di ogni essenza su questa terra. Proprio nell’im-posizione, che minaccia di travolgere l’uomo nell’attività dell’impiegare (in das Bestellen) spacciata come l’unico modo del disvelamento e che quindi spinge l’uomo nel pericolo di rinunciare alla propria libera essenza, proprio in questo pericolo estremo si manifesta l’intima, indistruttibile appartenenza dell’uomo a ciò che concede; tutto questo a patto che da parte nostra cominciamo a prestare attenzione all’essenza della tecnica. Ciò che costituisce l’essere della tecnica minaccia il disvelamento, fa sovrastare la possibilità che ogni disvelamento si risolva nell’impiegare e che tutto si presenti nella disvelatezza del “fondo”. L’attività dell’uomo non può mai immediatamente ovviare a questo pericolo…
(Martin Heidegger: saggi e discorsi, pag. 19-26, Mursia , 1976).

Il decisivo non è che l’uomo si è emancipato dai ceppi precedenti, ma che l’essenza stessa dell’uomo subisce una trasformazione col costituirsi dell’uomo a soggetto. Dobbiamo senz’altro vedere in questa parola subjectum la traduzione del greco hypokèimenon. La parola indica ciò che sta-prima, ciò che raccoglie tutto in sé come fondamento. Questo significato metafisico del concetto di soggetto non ha originariamente alcun particolare riferimento all’uomo, e meno ancora all’io. Il costituirsi dell’uomo a primo e autentico subjectum porta con se quanto segue: l’uomo diviene quell’ente in cui ogni ente si fonda nel modo del suo essere e della sua verità. L’uomo diviene il centro di riferimento dell’ente come tale... Nell’imperialismo planetario dell’uomo organizzato tecnicamente il soggettivismo dell’uomo raggiunge il suo culmine più elevato. Da qui egli però si abbasserà sul piano della uniformità organizzata, per trovarvi la propria sistemazione.
(M. Heidegger, Sentieri Interrotti, La Nuova Italia, 1968, pag. 85 e pag. 97).

Martin Heidegger è un filosofo che usa un linguaggio particolare, fatto di neologismi e paralogismi. Molti per questo lo hanno considerato oscuro. Eppure è chiarissimo, in queste pagine è chiarissimo: sono la più lucida definizione della scienza e della tecnica moderna, la più essenziale e obiettiva descrizione della realtà del mondo contemporaneo, di quello che sta avvenendo all’uomo e al suo pianeta. Non c’è bisogno di interpretare i termini, tutti coloro che hanno orecchi per intendere possono intendere. C’è la visione di un mondo illimitatamente disponibile di beni da produrre e da consumare. C’è il compimento del destino della metafisica nel dominio dispiegato della scienza e della tecnica, è la messa a punto speculativa di un mondo di oggetti, nel quale l’uomo si ritrova come soggetto, nella misura in cui può incontrare la natura come deposito di oggetti da utilizzare, fino a ritrovarsi lui stesso come oggetto tra gli oggetti. Infatti il rovescio impensato di questa elevazione dell’uomo al rango del soggetto (antropocentrismo) è la conversione del soggetto stesso nell’oggetto della produzione illimitata, la quale non trova altra ragione che la propria infinita assicurazione. L’uomo diviene produttore, ma anche prodotto. La produzione risponde solo illusoriamente ai bisogni dell’uomo, in realtà li modella, reprimendo ogni altro bisogno la cui soddisfazione non rientri nell’ordine stabilito dal controllo produttivo. L’orizzonte dei suoi pensieri non è più la terra che egli abita tra nascita e morte, perché la terra è stata inghioittita dalla logica della produzione e del consumo e ridotta, come l’uomo stresso, a materiale di impiego immediato, qui ed ora. Questa è la più chiaroveggente e limpida denuncia della malattia dell’uomo moderno. Da qui, e non da mere considerazioni matematiche o scientifiche, dovrebbe partire ogni denuncia veramente ambientalista e preoccupata delle sorti del pianeta. Molti, anche tra gli ambientalisti, affermano che l'eccesso demografico è un falso problema, perché la Terra può contenere molti più abitanti. Ad esempio con una energia più disponibile e a basso costo, con l'evoluzione tecnologica che potrebbe permettere di estrarre acqua dolce dal mare e purificare l'aria, l'uomo potrebbe crescere ancora in numero di abitanti. La Terra potrebbe contenere fino a dieci volte il numero attuale di umani, ed anche di più. Molti ripetono questa affermazione, non solo le varie Chiese purtroppo, come un mantra. Certo, si tratterebbe di edificare a tappeto le terre emerse, abbattendo tutte le foreste del pianeta e cementificando e asfaltando gran parte delle aree verdi. Sparirebbero gran parte delle specie viventi, le grandi monocolture sostituirebbero le varietà vegetali. L'inquinamento chimico sarebbe gigantesco, ma -chissà- attraverso nuove invenzioni potrebbe essere controllato. Non contesto tutte queste affermazioni, anzi concordo sul fatto che tutto ciò sia possibile. Ma quello che colpisce è che non si colga la follia di questo discorso. E' una vera e propria "Hybris" antropica che, nel concepire tutto in funzione dell'uomo, porta l'uomo a perdersi e a perdere di significato. Il troppo umano acceca, fino a non vedere l'estrema violenza che si fa alla natura. La questione della sovrappopolazione non è solo questione di numeri e di spazio disponibile, come non mi stanco mai di ricordare in questo blog. Il problema di fondo è che un mondo così non avrebbe senso. Non si può ridurre il pianeta ad una macchina per replicare umani. Quale inferno, anzi quale incubo sarebbe un pianeta di decine di miliardi di umani? Non è, allora, importante fare un passo indietro dal nostro forsennato antropocentrismo? Quello che è necessario è una comprensione della questione che vada alla radice, e quindi un meditare più approfondito, un pensiero più adeguato per avvicinarci ad una concezione del mondo che smetta di considerarlo come puro sfondo alla nostra insaziabile voglia di produzione e consumo, e che restituisca ad esso un senso che non sia il mero desiderio dell’uomo. Vorrei sottolineare che il secondo brano di Heidegger riportato sopra, quello che riguarda il soggetto e la sua metafisica, è la definizione più esatta, meditata e profonda dell'antropocentrismo, che io conosca. agobit

2 commenti:

  1. Caro Agobit, ritengo che il concetto di antropocentrismo non sia poi così insensato e negativo.
    In fondo, l'umanità sta andando incontro ad una crisi senza precedenti non perchè è troppo antropocentrica nelle sue decisioni, ma perchè NON LO E' ABBASTANZA.
    In altri termini, noi stiamo tenendo un comportamento sbagliato perchè stiamo danneggiando il futuro DI NOI STESSI, non quello della natura, che di noi non si cura (vedi Leopardi) e che proseguirà tranquillamente il suo cammino millenario anche senza di noi.

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  2. Certo, nel senso in cui lo intendi, di tendere alla salvezza dell' uomo, allora l'antropocentrismo ci riguarda tutti, me e te compresi. Ma l'antropocentrismo come lo intendo io non e' una astrazione teleologica, cioè come concepire un comportamento che abbia il fine di salvare l'uomo. L' antropocentrismo e' invece quella serie di contenuti storicamente dati e concreti con cui l'uomo ha assicurato a se medesimo tutti i diritti, totalitarismo dei diritti, a scapito della natura animata e inanimata, fino a configurare il disastro del pianeta che abbiamo davanti agli occhi. Su questo argomento faro' , quanto prima, un intervento sulle origini dell'attuale pensiero antropocentrico che, una volta potevamo definire "occidentale", ma che ormai coinvolge tutta la Terra. Ciao, a presto.

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