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mercoledì 14 dicembre 2011

PIOVENE, SVEVO, KAFKA: L'UOMO E' MALATO

PIOVENE, SVEVO, KAFKA: L’UOMO E’ MALATO




(…) La fine del mondo? Può darsi. Ma intuisco che anche il tuo modo di concepirla è stupido, che tu ci creda o non ci creda. Non finirà per uno scoppio, come credono gli imbecilli, né per malattie nuove inventate dalla natura, né per l’inquinamento delle acque e dell’aria. Per finire così, bisogna essere ben vitali! Nemmeno la sua fine può essere uno spettacolo, gli astri che cadono, la terra che si spacca in due, e fortunato chi si trova a teatro, tanto più perché sa che con lui finiscono tutti. No, non succede niente, e il mondo tanto più finisce quanto se ne accorge di meno.
Si svuota, si devitalizza, cessa di capirsi, entra in coma. Un corpaccio decerebrato. Muore senza dolore, in modo anemico, leucemico, senza averne coscienza. Muore senza visioni, finite le utopie. In un’ assoluta mancanza di visione, al margine della cecità mentale. Uno degli aspetti più da fine di questa fine è che forse non sarà intera, lascerà ancora indietro qualche piccola scoria. Purtroppo c’è sempre un Noè.

GUIDO PIOVENE, Verità e Menzogna, romanzo postumo (Mondadori, 1975).


(…) Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dall’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’ interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

ITALO SVEVO, La Coscienza di Zeno, Trieste 1923 –ultima pagina.


Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sulla schiena, dura come una corazza, e per poco che alzasse la testa poteva vedersi il ventre abbrunito e convesso, solcato da nervature arcuate sul quale si reggeva a stento la coperta, ormai prossima a scivolare completamente a terra. Sotto i suoi occhi annaspavano impotenti le sue molte zampette, di una sottigliezza desolante se raffrontate alla sua corporatura abituale.
“Che cosa mi è accaduto?”, si domandò. Non stava affatto sognando. La sua stanza, una normale stanza per esseri umani, anche se un po’ troppo piccola, era sempre lì quieta fra le quattro ben note pareti. Al di sopra del tavolo, dove era piegato alla rinfusa un campionario di tele appena tolte di valigia (Samsa faceva il commesso viaggiatore), stava appesa un’illustrazione che egli aveva ritagliato qualche giorno prima da una rivista illustrata e poi aveva messo in una graziosa cornice dorata. Raffigurava una signora con un cappellino e un boa di pelliccia che, seduta con le spalle ben dritte, tendeva ai presenti un pesante manicotto in cui il suo avambraccio era interamente scomparso.
Gregor volse lo sguardo verso la finestra, e la vista del brutto tempo (si udiva il ticchettio della pioggia sulla lamiera del davanzale) lo riempì di malinconia. “E se dormissi ancora un po’ e cercassi di dimenticare tutte queste sciocchezze?”, pensò; ma il suo proposito era assolutamente inattuabile: egli era infatti abituato a riposare sul fianco destro, ma nello stato attuale gli era impossibile assumere quella posizione. Per quanti sforzi facesse per girarsi sul fianco, ricadeva ogni volta indietro supino. Ci provò almeno un centinaio di volte, tenendo gli occhi chiusi per risparmiarsi la vista delle sue zampette sgambettanti, e smise soltanto allorché cominciò ad avvertire nel fianco una fitta leggera, sorda, mai provata in passato…sentì bussare cautamente alla porta. “Gregor!”, chiamò una voce (quella della mamma), “sono le sette meno un quarto! Non volevi partire?” Oh quella voce soave! Sentendo la propria risposta, Gregor fu preso dal terrore: era senza dubbio la sua voce di sempre, ma vi si mescolava un incontenibile e penoso pigolio che pareva salire dal basso e che lasciava uscir chiare le parole solo al primo momento, ma poi nella risonanza le distorceva talmente da lasciare l’impressione di non aver udito bene in chi le ascoltava…Per sbarazzarsi della coperta non ci volle alcuna fatica: gli bastò gonfiarsi un pochino, ed essa scivolò a terra da sola. Ma subito dopo cominciarono i guai, soprattutto perché egli aveva un corpo oltremodo largo. Gli sarebbero state necessarie braccia e mani per alzarsi; e invece non possedeva altro che tutte quelle gambette che si agitavano senza tregua nei modi più svariati e che per di più non riusciva a controllare. Tentò di uscire dal letto dapprima con la parte inferiore del corpo: ma quella parte, che egli non era ancora riuscito a vedere e di cui non poteva neppure farsi un’idea, si dimostrò troppo difficile da smuovere; la cosa richiedeva tempi lunghissimi; e quando alla fine, quasi fuori di sé, raccolte le forze, si slanciò in avanti alla cieca egli sbagliò direzione e andò a sbattere violentemente contro la spalliera al fondo del letto…Tentò quindi di scendere dal letto con la parte superiore e girò cautamente la testa verso la sponda. Il movimento gli riuscì agevolmente e, malgrado la lunghezza e il peso, alla fine anche l’intera massa del corpo riuscì a seguire la manovra della testa…quand’ecco si udì scampanellare alla porta di casa. “E’ qualcuno dell’ufficio”, si disse Gregor restando quasi immobile, mentre le sue zampette brulicavano più intensamente che mai.Per un attimo rimase quieto. “Non aprono”, si disse Gregor abbandonandosi a un’assurda speranza.Ma poi naturalmente, come sempre, la domestica andò con passo deciso alla porta e aprì. A Gregor bastò udire la prima parola di saluto del visitatore per capire di chi si trattasse: era il procuratore in persona. Perché mai Gregor era condannato a lavorare in una ditta dove alla minima omissione o assenza si formulavano subito i peggiori sospetti? Gli impiegati erano dunque tutti quanti, dal primo all’ultimo, dei pezzenti? Non c’era fra loro neppure un uomo fedele e devoto che, se per caso non impiegava per la ditta qualche ora lavorativa della prima mattinata, ammattiva dai rimborsi ed era letteralmente incapace di alzarsi dal letto?...E più per l’agitazione causatagli da simili riflessioni, che non per una risoluzione vera e propria, Gregor si gettò con tutta la sua forza fuori del letto. Fu un gran tonfo, ma non ne scaturì un vero e proprio fracasso. Il tonfo venne attutito un pochino dal tappeto, e la schiena si rivelò più elastica di quanto egli pensasse..”E’ caduto qualcosa, là dentro”, disse il procuratore nella stanza attigua di sinistra…Gregor si spinse lentamente con la sedia verso l’uscio; si gettò contro la porta mantenendosi ritto (i polpastrelli delle sue zampette avevano una sostanza appiccicaticcia) e per un istante vi si riposò dallo sforzo compiuto. Ma poi tentò di far girare con la bocca la chiave nella toppa. Purtroppo ebbe la sensazione nettissima di non avere veri e propri denti (con che cosa allora afferrare la chiave?);…Il suono nitido della serratura che alla fine scattò all’indietro riscosse letteralmente Gregor. Traendo un sospiro di sollievo egli disse: “Dunque non ho avuto bisogno del fabbro” e posò la testa sulla maniglia per aprire interamente la porta. Siccome fu costretto ad aprirla in quel modo, la porta era già bell’e spalancata, mentre nessuno aveva ancora scorto lui. Dovette girare pian pianino intorno ad un battente, con estrema prudenza, se non voleva cadere pesantemente a gambe all’aria prima di entrare nell’altra stanza.Era ancora impegnato in quella operazione complicata e non aveva tempo di preoccuparsi di altro, quando udì il procuratore sbottare in un sonoro “Oh!” che parve simile a un sibilo di vento; e subito dopo, dato che era il più vicino all’uscio, poté anche vederlo premersi la mano contro la bocca spalancata e retrocedere lentamente, come sospinto da una forza invisibile e uniforme. La mamma (stava lì, nonostante la presenza del procuratore, con i capelli ancora sciolti per la notte e tutti arruffati) guardò prima il padre giungendo le mani, poi fece due passi in direzione di Gregor e infine cadde fra le sue sottane che si allargavano tutt’intorno, con il viso sprofondato sul seno tanto che non si riusciva più a individuarlo. Il padre serrò il pugno con gesto ostile, come a voler ricacciare Gregor nella sua stanza, poi si guardò intorno incerto nella sala da pranzo, quindi si coprì gli occhi con le mani e scoppiò in singhiozzi che gli scuotevano il petto possente…
Franz Kafka: La metamorfosi, 1912 –Ed. italiana Rizzoli 1998


Tre grandi scrittori, tre sensibilità diverse, eppure tutti e tre concordi su una conclusione: l’uomo è preda di una spaventosa crisi, una malattia che lo riguarda fino all’essenza, fino a stravolgere tutto ciò che è stato fino ai nostri tempi, fino a trasformarlo profondamente o a distruggerlo. Per Piovene la crisi dell’uomo non è esterna, non gli viene da una catastrofe che gli piomba addosso. La crisi gli viene da dentro, come un cancro che lo divora e lo svuota di senso, fino a togliergli ogni energia vitale. L’uomo quasi non se ne accorge ma non è più lui, l’uomo di oggi è qualcos’altro di diverso dal solito uomo, qualcosa di peggio perché privo di anima, di significato. Svevo, in una pagina indimenticabile, ci descrive quel senso di tragedia che ci sovrasta, di fine imminente. E’ una fine che egli vede strettamente connessa con la deriva tecnologica e matematica della nostra società. Parla apertamente di malattia e di malati. Riconosce nella tecnica (l’”ordigno”) ciò che ci da un potere immenso, ma quello stesso potere che ci farà impazzire fino a portarci alla distruzione del pianeta e dell’uomo con esso.
Infine, nelle pagine straordinarie di Kafka, è descritto l’incubo in cui vive l’uomo moderno, trasformato interiormente, claustrofobicamente chiuso in situazioni come la famiglia, il potere, la burocrazia, la città-megalopoli, la società massificata, che gli tolgono ogni libertà e ogni significato, senza prospettive di uscirne fuori se non con la morte individuale o il disastro collettivo. Siamo nel 1912, il positivismo tecnologico e scientifico impera, allo stesso tempo che si prepara una catastrofe gigantesca per l’europa e il mondo di lì a qualche anno. Significativi sono alcuni punti centrali del racconto: la trasformazione del corpo (e dell’anima) dell’uomo normale, trasformazione che solo alcuni riescono a percepire nei momenti di lucidità, come al risveglio mattutino. L’irruzione del procuratore nella sua stessa casa come l’estrema violazione del nostro intimo essere da parte di una macchina economica e sociale ( ma anche di una collettività numericamente preponderante) che non lascia scampo. Si, Gregor ottiene un amaro successo: la fuga del gerente della ditta; ma solo grazie al suo mostruoso apparire di enorme insetto. Poi il romanzo prosegue e la serva getta via “quel coso là” quello che una volta era un uomo. La famiglia si rasserena, la normalità trionfa. La massa umana continua nella sua vita senza senso…
Con grande sensibilità Kafka individua i segni premonitori di quella malattia dell’uomo e del pianeta, malattia che oggi è completamente esplosa in un mondo ormai apertamente malato.
agobit

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