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mercoledì 21 dicembre 2011
HOBBES: LEVIATHAN
IL FILOSOFO CHE SEPPE PREVEDERE LA MOSTRUOSA MACCHINA ARTIFICIALE CREATA DALL’UOMO MODERNO
Hobbes è un filosofo che a molti non sta simpatico. E’ abbastanza sgradevole perché usa un linguaggio diretto, quasi geometrico, con giudizi netti. Ha il pregio della chiarezza ed un ragionamento stringente. L’uso che fa della ragione non è quello, ad esempio, di Kant che la riempie di contenuti etici. Quella di Hobbes è una ragione fredda, oggettivante, da perito settore. Infatti non si fa illusioni sull’uomo, lo descrive con obiettività empirica, basata sulla osservazione disincantata, antropologica, dell’animale uomo. Lo descrive per com’è effettivamente e non per come vorremmo che fosse. Per la prima volta l’uomo viene descritto senza ricorrere alle scritture della Bibbia, o alla tradizione classica e umanistica; l’uomo hobbesiano non è quello etereo dei dipinti medioevali, vero angelo terrestre, o quello dei dipinti rinascimentali e manieristi, più sicuro di sé, simbolo di virtù. Al contrario l’uomo descritto da Hobbes è un animale fornito di intelletto ma fortemente egoista, impegnato come singolo individuo o gruppo in una lotta per la sopravvivenza e la prevalenza per il bonum sibi , in una guerra –dunque- di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes) che vale nello stato di natura e che viene limitata soltanto per un “contratto” tacitamente stipulato tra gli uomini per consentire una vita civile. Corollario di questa visione disincantata dell’uomo è la necessità di una organizzazione potente che controlli la massa di uomini che vivono insieme, che ne limiti le passioni violente, le arroganze e le pulsioni egoistiche. Questa organizzazione potente nasce come cessione del potere dei singoli ad un solo uomo come nelle monarchie assolute, ma sempre di più –nel mondo moderno- la organizzazione di potere riguarda le oligarchie. Hobbes si riferisce allo Stato moderno, ma il discorso si estende evidentemente ad ogni organizzazione finanziaria, sociale, del lavoro, e soprattutto tecnologica e scientifica che consente il controllo e la guida di numeri enormi di persone.
“Se la natura ha fatto gli uomini uguali, questa uguaglianza deve essere riconosciuta; oppure se li ha fatti disuguali, questa uguaglianza dev’essere parimenti riconosciuta, poiché gli uomini, ritenendosi uguali, non entreranno in uno stato di pace se non ad uguali condizioni…
Una moltitudine diviene una sola persona, quando gli uomini vengono rapresentati da un solo uomo o da una sola persona e ciò avviene col consenso di ogni singolo appartenente alla moltitudine.Se il rappresentante è costituito da molti uomini, bisogna considerare come voce di tutti quella del maggior numero…
La causa finale, il fine o il disegno degli uomini (che per natura amano la libertà e il dominio sugli altri), nell’introdurre questa restrizione su se stessi sotto la quale li vediamo vivere negli Stati, è la previdente preoccupazione della propria conservazione e di una vita perciò più soddisfatta; cioè a dire, di trarsi fuori da quella miserabile condizione di guerra che è un effetto necessario (come è stato mostrato) delle passioni naturali degli uomini, quando non ci sia alcun potere visibile che li tenga in soggezione e li vincoli con la paura di punizioni all’adempimento dei loro patti e all’osservanza delle leggi di natura…
I patti senza la spada sono solo parole…
Il maggior potere umano è quello costituito dai poteri del maggior numero di uomini, riuniti per loro consenso in una sola persona, naturale o civile, la quale può far uso di tutti i loro poteri secondo la sua volontà, e di questo genere è il potere dello Stato..
Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest'uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto - per parlare con più riverenza - di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa... »
Lo Stato come “uomo artificiale” è una creatio ex nihilo, realizzata dall’uomo. Sul frontespizio della prima edizione del Leviatano vediamo rappresentato un gigante composto da moltissimi piccoli uomini, un uomo artificiale che nella mano destra tiene una spada, simbolo del potere temporale, e nella mano sinistra un pastorale, simbolo del potere spirituale (oggi potrebbe essere una antenna tv o un cellulare, simbolo del potere virtuale). E sotto questo uomo gigante vediamo città, paesi, campi dove in sicurezza gli uomini si occupano dei loro affari, perché tutto ciò che può causare la disgregazione ed il ritorno allo stato di guerra reciproca, si trova nella mano dell’uomo artificiale: sotto la spada gli strumenti del potere temporale, cioè il potere della collettività, la repressione, le armi; sotto il pastorale gli strumenti del potere spirituale, cioè una chiesa e –modernamente- la cultura, la scuola, i valori, i midia, le televisioni, la persuasione dovuta ai consumi, ai bisogni indotti ecc. Praticamente, afferma Hobbes, si erige il Leviatano trasferendo tutto il potere e tutta la forza a un solo uomo o ad una sola organizzazione di uomini che rappresenti le opinioni e le volontà della maggioranza, e questo è il solo modo per poter controllare la moltitudine di interessi egoistici degli uomini in perenne lotta e competizione tra loro. Modernamente possiamo vedere come questo trasferimento di potere dei singoli individui e delle collettività riguardi in particolare il potere economico, che va concentrandosi in una organizzazione finanziaria di poche elites che addirittura dispongono della sovranità sui singoli Stati.
Osservando l’uomo nella sua oggettività “scientifica” appare subito chiaro che egli non è l’essere assolutamente razionale ed etico che la filosofia di Cartesio faceva supporre. Al contrario, nel concreto sviluppo storico e nella sua oggettività antropologica, l’uomo contiene molti tratti irrazionali ed è provvisto di istinti e comportamenti tutt’altro che etici, anche se controllati e repressi nell’ambito della vita civile. Diversamente da Rousseau che vedeva nelle società primitive il regno dell’eguaglianza e della pace, poi corrotto dalla civiltà, Hobbes riteneva quelle società in preda alla guerra di tutti contro tutti per assicurarsi la vita e il potere sugli altri.
La modernità ha visto l’instaurarsi del dominio della scienza e della tecnica. Questo è il vero grande Leviathan dei tempi moderni. Un potere tecnocratico con molte facce: economica, finanziaria, tecnologica, militare, politica, burocratica, ma tutte dipinte su un unico Moloc uniformante che come un rullo compressore passa sul pianeta sotto l’ideologia antropocentrica del primato assoluto dell’uomo. Come nelle visioni nietzschiane dell’eterno ritorno nella vita delle megalopoli attuali l’uomo è tornato ad essere molto simile alle descrizioni hobbesiane dell’uomo prima dello Stato moderno.. Una delle definizioni delle megalopoli moderne è “giungla d’asfalto”. Qui di nuovo vige una sorta di bellum omnium contra omnes, in cui la guerra civile è stata sublimata, ma sempre di guerra si tratta. Negli spazi sovrappopolati delle città si vive in un equilibrio sociale instabile, dove gli individui hanno una sorta di aggressività reciproca permanente, e i sentimenti di amicizia e concordia vengono relegati ai diretti rapporti interpersonali tra persone che si conoscono. Il rapporto di conoscenza reciproca, che funziona da moderatore delle pulsioni aggressive, è ancora conservato nei piccoli centri, nelle città e nei paesi a “dimensione umana” . Ma nelle grandi megalopoli in continua espansione in un mondo sovrappopolato si vive in una specie di darwinismo sociale con una lotta continua per la supremazia economica o, a volte, per la stessa sopravvivenza fisica. Si può così assistere ai fenomeni di criminalità individuale o di gruppo, alle violenze dovute a motivazioni varie: economiche, sociali, etniche, politiche. Spesso si agitano i diritti come armi, in un conflitto perenne tra diritti contrapposti. Dilaga la droga tra i giovani, lo stress è continuo e corrisponde ad una aggressività repressa o volta contro se stessi. La depressione è la malattia delle megalopoli, e affligge milioni di persone che vi si rifugiano per sfuggire allo stress e alle responsabilità subentranti. La burocrazia è il potere diffuso di queste megalopoli in cui la legalità diviene una finzione dietro cui finiscono per dominare i poteri forti e le oligarchie, come nelle società barbariche. Le ideologie totalitarie hanno dato un volto becero al potere durante gran parte del novecento. Ma con l’esplodere della sovrappopolazione, le dittature antidemocratiche hanno ceduto il passo ad un totalitarismo diverso. Più subdolo ma più uniforme, quello proprio della superorganizzazione (termine caro a Aldous Huxlei) quale forma di governo delle megalopoli e del mondo sovrappopolato. Al patto originario che dava origine al Leviathan della monarchia e degli Stati, si è sostituito oggi un lento e inesorabile svuotamento del potere e della libertà degli uomini , del senso della loro vita, da parte della superorganizzazione tecnico-scientifica che ci domina tutti, ci fa moltiplicare come numero ma ci uniformizza senza più diversità e differenza, tutti funzionali alla grande macchina. Hobbes, il filosofo antipatico ha visto giusto: Leviathan è tra noi.
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"the life of man, solitary, poor, nasty, brutish, and short" La celeberrima frase di Hobbes non descrive affatto lo stato reale dei popoli primitivi, non più di quanto non facesse il mitico "buon selvaggio" di Rousseau. Ma secondo me descrive invece molto bene la vita dell'uomo post-industriale. Se guardiamo in giro per il mondo contemporaneo, mi pare che gli esempi non manchino.
RispondiEliminaJacopo