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sabato 10 settembre 2011

La crescita demografica: la grande sfida del XXI secolo

In questo secolo il mondo si troverà faccia a faccia con gli effetti della più grande esplosione demografica nella storia dell’umanità.
Se non si agisce ora, miliardi di esseri umani nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti

Immaginate fra 40 anni altri due miliardi di persone sul pianeta, tutti bisognosi di cibo, acqua e di un tetto, mentre i cambiamenti climatici accentuano questi fondamentali bisogni umani.
Se non si agisce ora, miliardi di persone nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti quale conseguenza di siccità, scarsità di cibo, degrado urbano, migrazioni e sempre più scarse risorse naturali, mentre la produzione cerca di fronteggiare la domanda.


E la crescita prevista della domanda è sconcertante. Più bocche da sfamare e cambiamenti nelle preferenze alimentari implicheranno:

un raddoppio della produzione agricola in quattro decenni,
un aumento dei consumi idrici del 30% entro il 2030, e
entro la metà del secolo, sistemazioni urbane per tre altri miliardi di persone.
Si aggiunga a ciò il bisogno di energia per sostenere la crescita economica tanto nei paesi post-industriali, in quelli industriali e in quelli di recente industrializzazione, tenendo conto di una domanda che raddoppierà entro il 2050, e si potrà valutare la portata della sfida per i governi e le società.

La buona notizia è che un recente rapporto, intitolato "Population: One Planet, Too many People?" dell’inglese Institution of Mechanical Engineers assicura che le previste sfide potrebbero essere affrontate con tecniche già note e con soluzioni sostenibili. Ciò vuol dire che non c'è nessun bisogno di rinviare l’azione globale aspettando la prossima importante scoperta in campo tecnico o una rivoluzione nel modo di pensare riguardo al controllo demografico.

Si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale crescerà nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiungerà una punta di 9,5 miliardi nel 2075

Il rapporto inoltre conclude che ci troviamo nel bel mezzo di un'opportunità unica, con un'abbondanza di tecnologie pulite e know-how disponibili per consentire alle nazioni appena divenute in via di sviluppo di “scavalcare” le alte quantità di emissioni, la fase di fame di risorse dell'industrializzazione iniziale. Ciò è particolarmente importante, dato che è nell’ambito di queste economie emergenti che ci si attende si verifichi la maggiore crescita demografica.


Soprattutto, si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale cresca nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiunga una punta di 9,5 miliardi nel 2075. Queste clamorose cifre globali non mettono in evidenza comunque quelle importanti tendenze demografiche regionali che invece indicano l’emergere nei prossimi decenni di tre tipologie in cui ricadranno le caratteristiche della maggior parte delle nazioni.

1) Le economie post-industriali mature saranno ampiamente caratterizzate da popolazioni stabili o in flessione. Per esempio, il numero di abitanti dell'Unione Europea è previsto che si riduca del 20% per il 2100. Il conseguente ridursi delle giovani generazioni avrà diverse implicazioni su aspetti come l’assistenza sociale, quella sanitaria e sulla composizione della forza lavoro. I conflitti con effetti sulle popolazioni e le tensioni in lontane regioni indotte dai cambiamenti climatici avranno un impatto su queste economie attraverso l’interruzione della catena di rifornimento di prodotti alimentari e di manufatti.

2) Le economie in via di sviluppo all’ultimo stadio, attualmente caratterizzate da alti livelli di industrializzazione, sperimenteranno un rallentamento della crescita demografica di pari passo alla crescita della ricchezza nazionale. Per esempio, in Asia, dove vive già metà della popolazione mondiale, la crescita demografica crescerà solamente del 25%, per raggiungere il suo massimo nel 2065 e prima di ridiscendere allo stesso modo di alcune economie post-industriali. Sebbene modesta, la continua crescita della popolazione di questa regione nel corso dei prossimi cinque decenni, sommata agli alti livelli di crescita del reddito personale e della ricchezza, porterà probabilmente a tensioni geopolitiche tra alcune nazioni per le risorse naturali, come fonti idriche comuni e materie prime per l’industria.

3) Il terzo gruppo è formato dai paesi da poco divenuti in via di sviluppo e così pure dalle economie sottosviluppate che stanno per entrare nella fase di industrializzazione. Una crescita demografica più rapida, responsabile della maggior parte dell'aumento globale fino al 2075, costituirà la caratteristica fondamentale di queste nazioni. L’Africa è l’area principale a tale riguardo, con molti paesi del continente proiettati a raddoppiare o triplicare le loro popolazioni entro il 2050. Ciò determinerà una considerevole pressione perché vi sia un’accresciuta produzione alimentare interna, altrettanto dicasi per l'acqua e per le fonti energetiche. Dove ciò si combinasse con tensioni sociali e politiche derivanti da un’urbanizzazione incontrollata e da una drammatica espansione delle baraccopoli suburbane, potrebbe dar luogo a conflitti interni e lungo i confini, destabilizzando le vie del commercio internazionale e determinando delle migrazioni di massa dalle aree di conflitto verso regioni più stabili, come l’Europa.

Le tensioni geopolitiche tra nazioni in tutti e tre questi gruppi è probabile che si determinino sia a causa dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) che a causa di fonti di energia a basso-tasso di emissioni. L’accesso a disponibili e abbondanti fonti energetiche consente l’industrializzazione, il superamento della povertà, la crescita economica e una società post-industriale.

Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza

La storia ci insegna ripetutamente che, senza questa energia, le società alla fine crollano di fronte al ridursi degli introiti su investimenti in un contesto sempre più complesso. Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza.

È per questo che le economie da poco divenute in via di sviluppo sono essenziali per conseguire un buon risultato. Se queste nazioni hanno in mente le stesse alte emissioni di gas serra (GHG), lo stesso processo insostenibile di sviluppo seguito in passato dalle mature nazioni industrializzate del mondo, non vi saranno dei buoni risultati per tutti noi.

Per esempio, se la combinazione di industrializzazione e di crescita economica nel corso del XXI secolo facesse sì che la quantità media di emissioni GHG degli africani raggiunga l’attuale modesto livello degli asiatici, il recente aumento di popolazione di questo continente introdurrebbe circa 9Giga tonnellate all’anno di gas serra nell'atmosfera. Questa quantità rappresenta un quarto delle attuali emissioni mondiali. In un mondo in cui si cerca di ridurre le emissioni ereditate dalle insostenibili infrastrutture industriali, un tale risultato sarebbe tragico ed imperdonabile, particolarmente dato che già oggi possediamo il know-how e le tecnologie pulite disponibili per evitarlo.

Attraverso l’applicazione di soluzioni ingegneristiche come la biotecnologia, l’accresciuta meccanizzazione e automazione, la riduzione degli sprechi, un migliorato sistema di stoccaggio e di distribuzione e una migliore gestione delle risorse idriche, si possono fornire più che sufficienti risorse alimentari per fronteggiare la prevista domanda.


Allo stesso modo, attraverso miglioramenti nella gestione delle falde acquifere, della raccolta e della conservazione dell'acqua piovana, del riutilizzo dell'acqua e della desalinizzazione si possono coprire i futuri consumi.

Nel contesto urbano, modelli di pianificazione integrata e nuovi modelli di proprietà comune offrono una via per interventi di successo nelle infrastrutture delle baraccopoli. Un terzo della popolazione urbana mondiale già vive in insalubri baraccopoli con scarso o nessun accesso alla distribuzione idrica o energetica e alla sanità.

Le soluzioni ingegneristiche potrebbero svolgere anche un ruolo fondamentale nel fronteggiare la minaccia rappresentata dall’aumento del livello del mare per le aree urbane. Tre quarti delle grandi città del mondo sono sulla costa, con alcune delle maggiori ubicate nelle pianure deltaiche in paesi in via di sviluppo (come Bangkok e Sciangai), dove lo sprofondare del suolo esacerberà la sfida. Dati i tempi lunghi necessari per attuare strategie come infrastrutture ingegneristiche a difesa dalle inondazioni, la valutazione degli aumenti di livello previsti e le possibili soluzioni richiedono un’attenzione urgente per gli agglomerati urbani litoranei nel mondo.

Delle soluzioni innovative di finanziamento avranno un importante ruolo non solo negli approcci ingegneristici per l’urbanizzazione, ma anche nel dispiegamento di tecnologie ad energia pulita su base comune, come quella solare, eolica e microidroelettrica, come pure centrali locali combinate, termiche ed elettriche, che utilizzano biomasse o energia prodotta dai rifiuti. Se significativi livelli d'accesso all’energia e all’acqua devono essere realizzati e va incoraggiata l’adozione di tecnologie sostenibili localizzate, meccanismi come innovativi prestiti con tassi di interesse al di sotto di quelli del mercato e micro-finanziamenti, pacchetti per l’adeguamento a “costo zero” e nuove formule di proprietà individuale e comune, tipo trust, possono essere adottati per ridurre l'investimento di capitali.

È difficile prevedere esattamente che cambiamenti climatici si determineranno in ogni singola regione per effetto di un possibile aumento del riscaldamento globale da 3°C a 6°C entro la fine del secolo. Ci possono essere alcune aree, particolarmente nell'emisfero settentrionale, dove gli effetti dei cambiamenti climatici aumenteranno la capacità di una nazione a fronteggiare la crescita demografica, per esempio attraverso accresciute produzioni agricole o un più facile accesso all’energia. Comunque, gli effetti di eventi atmosferici estremi, più alte temperature e una diversa distribuzione della pioggia, avverranno in altre aree che avranno ancor più difficoltà a fronteggiare l’aumento demografico.

L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici

Delle proiezioni suggeriscono che i cambiamenti climatici potrebbero determinare lo spostamento anche di un miliardo di persone nei prossimi 40 anni, per un'intensificarsi di disastri naturali, a causa della siccità, dell’aumento del livello del mare e dei conflitti per delle risorse sempre più scarse. Delle migrazioni su vasta scala da tali aree, determinando ancor più pressione sulle regioni del mondo che risulteranno temperate per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero causare delle notevoli preoccupazioni di sicurezza nelle nazioni più fortunate.

L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Per esempio, il dispiegamento di tecnologie per la gestione dell'energia, come elettrodomestici e termostati intelligenti, insieme alla riduzioni degli sprechi, grazie ad edifici edificati con materiali ancor più isolanti e ad un efficiente utilizzo del calore, sono esempi d'iniziative ingegneristiche che potrebbero ridurre alcuni degli effetti determinati dalla necessità di fonti energetiche più sostenibili.

Ciò che è necessario è la volontà politica e sociale per correggere i danni del mercato, per stabilire innovativi meccanismi per il finanziamento e per nuovi modelli di proprietà individuale e comune, e per trasferire, attraverso la localizzazione, conoscenze tecnologiche ed esperienze non inquinanti per conseguire risultati più sicuri.

Il rapporto dell'Istituto propone cinque obiettivi di sviluppo ingegneristico (EDG) quale primo passo sulla strada per raggiungere tale obiettivo. Questi coprono le questioni fondamentali che vanno risolte in campo energetico, idrico, alimentare, urbanistico e finanziario.

Inoltre il rapporto suggerisce al governo inglese di diventare capofila a livello mondiale collaborando con la professione per definire obiettivi di trasferimento e misure per la realizzazione di questi EDG con lo scopo di sostenerli all'ONU, quale base di un quadro internazionale per sostituire gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) alla loro scadenza nel 2015.

A sostegno degli obiettivi, l'Istituto raccomanda anche che venga adottato un meccanismo per l'addestramento e il trasferimento di ingegneri nelle nazioni divenute di recente in via di sviluppo per fornire pareri sulla localizzazione di tecnologie non inquinanti e di pratiche sostenibili. Praticamente, ha richiesto che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale (DFID) del governo inglese prenda l’iniziativa di sperimentare un modello di trasferimento nel contesto del suo mandato per lo sviluppo estero.

In conclusione, dato che gran parte di noi vive più a lungo in reciproca dipendenza con un pianeta sempre più affollato ma con risorse limitate, gli effetti dell’aumento della popolazione globale si ripercuoteranno in qualche misura sulla vita di ognuno di noi - ovunque ci si trovi. L'impatto non rispetterà i confini. Questo non è altruismo. Si tratta di creare una struttura politica e di perfezionare un percorso di autodifesa.

Tim Fox è Capo dell’Energy and Environment, UK Institution of Mechanical Engineers, e principale autore del rapporto “Population: One Planet, Too many People?
(Tratto da "Nato review").

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