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mercoledì 28 settembre 2011
Parla Ceronetti: La verità è che l'uomo è un falso Dio
La verità è che l'uomo è un falso Dio e il più falso degli idoli. Non dobbiamo esitare o essere tiepidi nel tirar giù e farne a pezzi le statue. Giù dai piedistalli, come i bronzi indecenti di Lenin, Mussolini, Stalin, Saddam Hussein! Fare questo Yoga liberatorio, ripetendo IO RINNEGO L'UOMO. Rinneghiamolo questo simulacro dell'essere uomo davvero, questo manufatto uterino che non sarà padrone di un Sé, che sarà fatto correre su rotaie e rotaie appena avrà messo fuori la micidiale testa! Rinnega, rinneghiamolo con serrate meditazioni questo scellerato che si è impadronito da stupratore sadico della Terra per farne un inferno mai potuto immaginare da nessun veggente antico, da nessun pittore di Giudizi Finali cristiani. Si, Hieronimus- lui vedeva, lui vide giusto, vide che cosa siamo e diventiamo. Anche qualche pittura indiana di Samsara fa perfette radiografie.
Via dall'uomo, via!
Pietà, non esaltazione. Aristotelicamente, orrore e pietà, ma di questa poca. Dentro noi stessi lo dobbiamo esecrare, tanto da cessare di riprodurlo, di mostrarlo con stolido orgoglio al resto dei viventi terrorizzati...
(Guido Ceronetti: "Insetti senza frontiere" -Adelphi 2009- pag. 92)
Nota del curatore del Blog: Quanta saggezza, quanta maggior comprensione della vita e delle cose in quei popoli antichi che eleggevano a propri idoli gli animali e adoravano le loro effigi. Come nell'antico Egitto. O come ancora oggi accade presso popoli indiani per la vacca. Presso alcuni popoli erano sacri i boschi, o certe piante che racchiudevano il senso di tutto ciò che esiste.Non è arretratezza questa, tutt'altro. In quel simbolo di animale c'è tutto un rapporto diverso con la nostra stessa animalità, con la nostra appartenenza alla terra nel senso più proprio di natura di cui tutti siamo parte, uomini, piante, animali. Nel riconoscerne la divinità c'è da parte di quei popoli il riconoscimento di un senso profondo in ciò che esiste e che la Terra non ci appartiene per poterne fare ciò che vogliamo. Erano e sono visioni di grande umiltà, che la civiltà occidentale ha perso. Pagandone le conseguenze.
lunedì 19 settembre 2011
PARLA ASIMOV: IL FUTURO DELL'UMANITA'
IL FUTURO DELL’UMANITA’
Tentare di predire il futuro della razza umana è un progetto rischioso, e sarebbe meglio lasciarlo ai mistici e agli scrittori di fantascienza…Ma di una cosa si può essere certi. Ammesso che non si verifichino catastrofi mondiali, come una guerra nucleare che coinvolga l’intera Terra, o un attacco extraterrestre, o una pandemia di una nuova malattia mortale, la popolazione umana aumenterà rapidamente. Già ora è aumentata di cinque volte rispetto a due secoli fa. E la popolazione mondiale sta tuttora aumentando a una velocità impressionante. Non esistono censimenti delle popolazioni antiche, ma si può stimarle solo in modo approssimato in base a quello che sappiamo sulle condizioni di vita. Gli ecologi hanno calcolato che la riserva di cibo prima dell’introduzione delle pratiche agricole, ottenibile con la caccia, la pesca, la raccolta di frutti e bacche, avrebbe potuto mantenere in vita una popolazione mondiale non superiore a 20.000.000 di unità e,molto probabilmente, l’effettiva popolazione durante il Paleolitico era, al massimo, solo un terzo o metà di questa stima. Perciò nel 6000 a.C. non potevano esserci più di 6-10 milioni di persone, meno della popolazione di una città attuale come Shanghai o Città del Messico. (Quando l’America venne scoperta, gli indiani che occupavano gli attuali Stati Uniti, probabilmente non superavano di molto le 250.000 unità, come se la popolazione di Verona fosse sparsa per tutto il territorio statunitense.)
L'Esplosione Demografica
Il primo grande incremento della popolazione mondiale si ebbe con la rivoluzione neolitica e la comparsa dell’agricoltura. All’inizio dell’età del bronzo la popolazione mondiale probabilmente si aggirava intorno ai 25 milioni; alle soglie dell’età del ferro ai 70 milioni; all’inizio dell’era cristiana ai 170 milioni , di cui un terzo concentrato nell’Impero Romano, un terzo nell’Impero Cinese e il resto sparso per il mondo. Nel 1600 la popolazione terrestre raggiungeva forse i 500 milioni, notevolmente inferiore all’attuale popolazione della sola India (1984).
A quell’epoca, la velocità di crescita della popolazione, fino ad allora contenuta, iniziò ad esplodere. Gli esploratori scoprirono sui nuovi continenti circa 46 milioni di chilometri quadrati di terra quasi disabitata pronta per essere colonizzata dagli europei. La rivoluzione industriale del XVIII secolo incrementò il numero della popolazione e la quantità di cibo prodotta. Perfino nelle arretrate Cina e India si verificò un’esplosione demografica. Di conseguenza la popolazione mondiale raddoppiò non in un periodo di due millenni (come in precedenza), ma in meno di due secoli; da 500 milioni di persone nel 1600 si giunse a 900 milioni nel 1800. Da allora la popolazione è aumentata ad una velocità ancora maggiore. Nel 1900 raggiunse la cifra di 1,6 miliardi e nei primi settant’anni del XX secolo è arrivata a 3,6 miliardi nonostante due guerre mondiali.
Nel 1970 la popolazione mondiale stava aumentando alla velocità di 220.000 unità al giorno, ossia 70 milioni all’anno. A questa velocità la popolazione mondiale raddoppierebbe in circa trentacinque anni, e in alcune zone, come l’America Latina, anche in tempo minore. (La previsione si è rivelata esatta ed oggi infatti, nel 2011, la popolazione mondiale è di 7 miliardi. N.d. R.).
Attualmente gli studiosi dell’incremento demografico si stanno decisamente orientando verso la teoria di Malthus, che è sempre stata criticata fin da quando venne formulata nel 1798.Thomas Robert Malthus sosteneva, nel Saggio sul principio della popolazione, che una popolazione tende sempre a crescere con un ritmo più rapido rispetto a quello consentito dalle riserve alimentari, con il risultato inevitabile di periodiche carestie e guerre. Nonostante le sue previsioni, nell’ultimo secolo e mezzo la popolazione mondiale è aumentata rapidamente senza seri ostacoli. Ma per questo rinvio della catastrofe, dobbiamo essere grati, in larga misura, al fatto che sulla Terra esistevano ancora vaste aree utilizzabili per la produzione di cibo. Ora le nuove terre coltivabili stanno cominciando a scarseggiare. La maggior parte della popolazione mondiale è denutrita, e noi dobbiamo fare degli enormi sforzi per eliminare questo stato di denutrizione cronica. Sicuramente il mare può essere sfruttato più razionalmente, traendone una quantità maggiore di risorse alimentari. L’uso di fertilizzanti chimici deve essere introdotto ancora in vaste aree. I pesticidi, usati appropriatamente, ridurranno le perdite alimentari dovute ai danni provocati dagli insetti in quelle regioni dove non si sono ancora presi provvedimenti. Esistono anche dei modi per favorire direttamente la crescita di piante e animali. Ormoni vegetali, come la gibberellina (studiata dai biochimici giapponesi…), potrebbero accelerare la crescita delle piante, mentre piccole quantità di antibiotici, aggiunte al mangime, accelerano la crescita degli animali (forse perché distruggono i batteri intestinali che altrimenti competono per il cibo che attraversa l’intestino, e forse perché eliminano lievi ma debilitanti infezioni). Tuttavia con le nuove bocche da nutrire che si moltiplicano alla velocità attuale, saranno necessari sforzi erculei solo per mantenere la popolazione mondiale nella presente condizione, già di per sé critica, in cui 300 milioni di bambini sotto i cinque anni, in tutto il mondo, sono denutriti al punto da subire lesioni permanenti al cervello.
Perfino una risorsa così comune come l’acqua dolce inizia a scarseggiare. Attualmente il consumo mondiale di acqua dolce è di quasi 7,5 trilioni di litri al giorno; sebbene le precipitazioni, che al momento rappresentano la principale fonte di acqua dolce, siano in totale pari a 50 volte questa quantità, solo una frazione delle precipitazioni è facilmente recuperabile ed utilizzabile. Negli Stati Uniti, dove il consumo totale di acuq dolce è di circa 1300 miliardi di litri al giorno e il consumo pro capite è assai più alto rispetto alla media mondiale, in un modo o nell’altro viene consumato circa il 10% delle precipitazioni totali. Di conseguenza i laghi e i fiumi della Terra sono oggetto di maggiori contese rispetto al passato. ( Le dispute della Siria e di Israele per il Giordano, e dell’Arizona e del Colorado per il fiume Colorado, sono un esempio al riguardo.) Si scavano pozzi sempre più profondi, e in molte parti del mondo il livello della falda acquifera si sta abbassando in modo pericoloso. Tra i tentativi per conservare l’acqua dolce c’è stato l’impiego di alcool cetilico per coprire laghi e bacini idrici artificiali in regioni come Australia,Israele e Africa orientale.L’alcool cetilico forma una pellicola sottilissima sulla superficie dell’acqua, riducendone l’evaporazione senza inquinare.(Naturalmente il crescente inquinamento dell’acqua, dovuto ai liquami di fogna e agli scarichi industriali, contribuisce ulteriormente alla diminuzione della riserva di acqua dolce.)
………………
Ma proviamo a essere il più ottimisti possibile, supponendo che non esistano limiti ragionevoli all’ingegno umano. Immaginiamo che, grazie ai miracoli della tecnologia, si riesca ad aumentare la produttività della Terra di dieci volte; supponiamo di estrarre minerali dall’oceano, di trovare pozzi zampillanti petrolio nel Sahara, carbone in Antartide, di sfruttare l’energia solare, di produrre energia con la fusione nucleare. E allora? Se la popolazione mondiale continuasse ad aumentare incontrollata con la velocità attuale, tutta la scienza e la tecnologia sarebbero inutili e noi ci troveremmo nella situazione di Sisifo. Se la popolazione mondiale continuasse a raddoppiare ogni trentacinque anni , nel 2570 risulterebbe aumentata di 100.000 volte. E’ estremamente difficile che la massa di materia vivente che la Terra può sostenere aumenti complessivamente (sebbene una specie possa sempre moltiplicarsi a spese di altre). In tal caso, nel 2570 la massa di esseri umani rappresenterebbe tutta la materia vivente, e se qualche uomo dovesse continuare a sopravvivere, sarebbe costretto al cannibalismo. Anche immaginando di produrre artificialmente sostanze alimentari, non si riuscirebbe a ottenere una produzione che tenesse il passo con l’inesorabile aumento della popolazione, la quale raddoppierebbe ogni trentacinque anni. A questa velocità, nel 2600 raggiungerebbe i 630.000 miliardi! Sul nostro pianeta ci sarebbe spazio solo stando in piedi. Se qualcuno ipotizzasse come soluzione l’emigrazione su altri pianeti, con l’attuale tasso di crescita della popolazione già nel 5000 ognuno di questi pianeti (supponendo 1000 miliardi di pianeti abitabili) sarebbe così sovraffollato da contenere solo gente in piedi. Ovviamente la specie umana non può aumentare peer molto tempo alla attuale velocità. In realtà, non è semplicemente per il numero di esseri umani che l’aumento si arresterà. Non solo il numero di uomini, donne e bambini aumenta sempre più ad ogni minuto, ma in media ad ogni minuto vengono consumate più risorse terrestri non rinnovabili, più energia, e viene prodotta una maggiore quantità di sostanze di rifiuto inquinanti. Con una popolazione che raddoppia ogni trentacinque anni, il consumo energetico nel 1970 stava aumentando non di due volte ma di sette volte. L’istinto cieco di sprecare e rovinare con sempre maggiore velocità ogni anno ci sta conducendo alla rovina ancora più rapidamente del semplice aumento del numero di abitanti. Il fumo prodotto dalla combustione del carbone e del petrolio nelle case e nelle fabbriche viene liberamente immesso nell’atmosfera e lo stesso accade ai gas di scarico degli stabilimenti industriali. Centinaia di milioni di automobili emettono vapori di benzina e gas di combustione, per non parlare dell’ossido di carbonio e dei composti di piombo. Gli ossidi di zolfo e di azoto (prodotti sia direttamente sia tramite la successiva ossidazione per opera dei raggi ultravioletti della luce solare), insieme ad altre sostanze, possono corrodere i metalli, alterare i materiali da costruzione, rendere friabile la gomma, danneggiare i raccolti, provocare e peggiorare le malattie all’apparato respiratorio e, sono anche una delle cause del cancro ai polmoni. Quando, a causa delle condizioniatmosferiche, l’aria sopra una città ristagna per un certo tempo, le sostanze inquinanti si accumulano, contaminando fortemente l’aria e favorendo la formazione di smog, dall’inglese “smoke” (fumo) e “fog” (nebbia). Che venne descritto per la prima volta a Los Angeles, anche se già da tempo esisteva in molte città e ora esiste praticamente ovunque. Nelle condizioni peggiori può provocare migliaia di morti tra coloro che, per età omalattia, hanno polmoni non in grado di sopportare ulteriori sforzi.
Le riserve di acqua dolce della Terra vengono inquinate dai prodotti chimici di rifiuto e, di tanto in tanto, uno di questi diventa tristemente famoso. Così, nel 1970, si scoprì che i composti di mercurio scaricati imprudentemente nelle acque di tutto il mondo venivano ritrovati negli organismi marini in quantità pericolose. Di questo passo, invece di utilizzare l’oceano come riserva maggiore di cibo, lo stiamo inquinando completamente.
I pesticidi ad azione prolungata, usati in modo indiscriminato,vengono incorporati prima dalle piante e poi dagli animali. A causa di queste sostanze tossiche, alcuni uccelli hanno sempre maggiori difficoltà a formare gusci d’uovo normali: combattendo gli insetti si sta provocando l’estinzione del falco pellegrino. Quasi sempre un nuovo “progresso” tecnologico, introdotto frettolosamente senza la dovuta cautela solo per l’ansia di superare i propri concorrenti e di trarre maggiori profitti, è causa di seri problemi. Dopo la Seconda guerra mondiale , i detersivi sintetici hanno sostituito i saponi. Questi detersivi contengono vari fosfato che si accumulano nelle riserve d’acqua dove favoriscono lo sviluppo di microorganismi che, consumando la riserva di ossigeno delle acque, provocano la morte degli altri organismi acquatici. Queste alterazioni degli ambienti acquatici (eutrofizzazione) stanno causando un rapido invecchiamento dei grandi laghi americani e stanno accorciando la loro vita naturale di milioni di anni. Il lago Erie rischia di trasformarsi in una palude e le paludi Everglades potrebbero prosciugarsi completamente.
Le specie viventi sono totalmente interdipendenti. Ogni volta che la vita di una particolare specie viene facilitata od ostacolata, dozzine di altre specie ne risentono, talvolta in modo imprevedibile. Lo studio delle relazioni tra gli organismi viventi, ecologia, solo ora suscita attenzione, poiché in molti casi gli esseri umani, nel tentativo di ottenere dei benefici personali di breve durata, hanno talmente alterato l’ecosistema, da provocare danni duraturi…
Un altro fattore che rende il problema dell’aumento demografico ancora più grave è la distribuzione non uniforme degli esseri umani sulla superficie terrestre. Ovunque la popolazione tende ad accumularsi nelle aree metropolitane. Si calcola che la popolazione urbana della Terra raddoppi non ogni trentacinque anni, ma ogni undici anni.Nel 2005, quando la popolazione mondiale sarà raddoppiata, quella metropolitana sarà, di conseguenza, aumentata più di nove volte.
E’ un serio problema. Già stiamo assistendo a un disfacimento della struttura sociale, un disfacimento che è maggiormente concentrato proprio in quelle nazioni avanzate dove l’urbanizzazione è più evidente. In queste nazioni è più concentrato nelle metropoli, soprattutto nei loro quartieri più popolati. Non c’è dubbio che gli esseri viventi, quando si trovano stipati oltre un certo limite, manifestano molti comportamenti patologici. Questo si è rivelato vero in esperimenti di laboratorio sui ratti, e i giornali e l’esperienza personale ci dovrebbero convincere che ciò vale anche per gli esseri umani.
Ne consegue, allora, che se le tendenze attuali rimangono invariate, la struttura sociale e tecnologica del nostro pianeta crollerà entro la metà del prossimo secolo, con conseguenze incalcolabili. Gli esseri umani, im uno stato di pura follia, potrebbero addirittura giungere all’estrema catastrofe della guerra termonucleare.
Ma si manterranno le attuali tendenze? Chiaramente, modificarle richiede un enorme sforzo e presuppone un cambiamento di convinzioni radicate. Gli esseri umani, per la maggior parte della loro storia, sono vissuti in un mondo in cui la vita era breve e molti bambini morivano ancora piccoli. Se la tribù voleva conservarsi, le donne dovevano generare il maggior numero di figli possibile. La maternità eraesaltata e ogni tendenza che potesse diminuire la natalità era soffocata. Le donne venivano mantenute in una condizione di inferiorità in modo che potessero essere solo delle macchine per generare e allevare i figli. I costumi sessuali erano così controllati che venivano accettati solo quegli atti che portavano al concepimento, mentre gli altri venivano considerati perversi e peccaminosi.
Ora però viviamo in un mondo sovrappopolato. Se vogliamo evitare la catastrofe, la maternità deve diventare un privilegio concesso con parsimonia. Le nostre idee riguardo al sesso, anche in relazione al concepimento, devono cambiare. I problemi del mondo, quelli veramente seri, sono globali. I pericoli dovuti alla sovrappopolazione, all’inquinamento, all’esaurimento delle risorse, ad un’ eventuale guerra nucleare, minacciano qualsiasi nazione, e non possono esserci vere soluzioni finché tutte le nazioni non collaborano. Ciò significa che una nazione non può più seguire una propria strada, noncurante delle altre; le nazioni non possono più agire credendo che esista una “sicurezza nazionale” per cui possono trarre vantaggio da situazioni sfavorevoli per altre. In breve, è necessario un effettivo governo mondiale, confederato in maniera che le differenze culturali abbiano modo di esprimersi e che sia in grado (si spera) di garantire il rispetto dei diritti umani. I governi cominciano a comprendere l’enorme pericolo della sovrappopolazione. La pianificazione demografica comincia ad essere incoraggiata, e la Cina attualmente si sta fortemente indirizzando verso una famiglia con un solo figlio. Con l’avvento del femminismo le donne hanno compreso l’importanza di essere in una condizione paritaria in ogni aspetto della vita e sono sempre più decise a raggiungerla. Ciò è determinante perché la donna sempre più impegnata nel mondo del lavoro ha trovato altri modi per realizzarsi oltre al ruolo tradizionale di madre o di regina della casa; anche questa presa di coscienza può avere una parte importante nell’abbassamento del tasso di natalità. Le azioni per tentare un controllo della popolazione, che sembrerebbero essenziali a chiunque fosse in grado di ragionare per un momento, trovano degli oppositori. Negli stati Uniti c’è chi si oppone non solo all’aborto, ma anche all’educazione sessuale nelle scuole e all’uso di contraccettivi che renderebbero inutile l’aborto. In questa ottica l’unico sistema consentito per diminuire il tasso di natalità è l’astinenza sessuale, una soluzione su cui non tutti si troverebbero d’accordo…
Non bisogna sottovalutare l’effetto della tecnologia sempre più avanzata. La proliferazione di satelliti per telecomunicazioni potrebbe, in un prossimo futuro, permettere di collegarsi con qualsiasi persona sulla Terra. Il mondo diventerebbe così piccolo da assomigliare, come struttura sociale, ad una specie di paese (villaggio mondiale). La nuova generazione delle nazioni in via di sviluppo potrebbe crescere apprendendo i moderni metodi agricoli, l’uso appropriato di fertilizzanti e pesticidi, e le tecniche per il controllo delle nascite. Potrebbe perfino verificarsi, per la prima volta nella storia della Terra, una tendenza alla decentralizzazione…ci sarebbe meno bisogno di accentrare ogni cosa in un grande agglomerato decadente. Anche i calcolatori e i robot porterebbero un valido contributo. Chissà allora? La catastrofe sembra vere il coltello dalla parte del manico, ma la corsa alla salvezza forse non è ancora finita.
(Da: Isaac Asimov: Il libro di biologia Mondadori 1987, pag. 316-324).
Nota del redattore del Blog: il testo che avete letto è stupefacente, considerando che è stato pubblicato per la prima volta nel 1984. E’ pieno di previsioni azzeccate, come il raddoppio della popolazione del pianeta nel giro di 35 anni, o la previsione della rete di comunicazioni che avrebbe reso il mondo un villaggio globale, con il bene (e il male) che ciò comporta.
L’allarme sull’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici per mantenere i tassi di crescita della popolazione erano e restano validi ancora oggi che continuiamo ad inquinare noi e il pianeta in maniera irreversibile. L’uso di ormoni, farmaci e nutrienti artificiali su piante e animali sta distruggendo i sapori e le forme viventi e, dulcis in fundo, è direttamente responsabile di nuove terribili forme infettive come il morbo della mucca pazza o malattie degenerative come il Parkinson e l’Alzhaimer, proprio come previsto da Asimov. E ci dobbiamo domandare se Asimov sia stato semplicemenente un grande scrittore di fantascienza, e non abbia previsto invece, con profondità di immaginazione e vigore d’intelletto, quello che tanti governanti, filosofi e uomini di cultura non vedevano e non vedono ancora.
domenica 18 settembre 2011
Una rivoluzione possibile
E' una rivoluzione che non richiede armi, insurrezioni, attacchi armati, prese di bastiglia. E' una rivoluzione senza violenza, la più pacifica che si possa immaginare. Non si deve imprigionare nessuno, non servono processi, tribunali rivoluzionari, comitati di salute pubblica, e nemmeno esecuzioni sommarie e tutti i tristi rituali delle rivoluzioni passate. Non servono neanche invenzioni, accelerazioni tecnologiche, nuove fonti d'energia, risorse inaspettate. Per la più importante rivoluzione in grado di cambiare il pianeta serve molto meno, una cosa molto più semplice. Serve meno antropocentrismo, meno egoismo da parte dell'uomo, meno arroganza, meno appropriazione della natura da parte di una specie. La rivoluzione più importante della storia, quella in grado di salvare il pianeta e ridare un senso alla Terra, si può fare con poco: basta che ogni famiglia faccia due figli, non più di due figli.
Una rivoluzione che interrompa l'esplosione demografica della specie Homo che ci sta portando alla catastrofe irreversibile. Frenare la cieca e irresponsabile procreazione di figli, al di fuori di ogni buon senso, di ogni equilibrato rapporto con l'ambiente e con le risorse del luogo in cui si vive. Togliersi le bende dell'egoismo dagli occhi e tornare a guardare la natura intorno a noi. Due figli al massimo per ogni coppia. Non serve altro.
Una rivoluzione che interrompa l'esplosione demografica della specie Homo che ci sta portando alla catastrofe irreversibile. Frenare la cieca e irresponsabile procreazione di figli, al di fuori di ogni buon senso, di ogni equilibrato rapporto con l'ambiente e con le risorse del luogo in cui si vive. Togliersi le bende dell'egoismo dagli occhi e tornare a guardare la natura intorno a noi. Due figli al massimo per ogni coppia. Non serve altro.
mercoledì 14 settembre 2011
L’inquinamento atmosferico è un fattore scatenante l’infarto miocardico acuto: le conclusioni del comitato scientifico della American Heart Association
Fra gli studi che hanno fornito i risultati più importanti, lo studio ACS (American Cancer Society ) ha osservato una correlazione fra aumentato rischio di morte per cardiopatie ischemiche ed esposizione a lungo termine a elevate concentrazioni di PM2,5 nell’aria atmosferica. Infatti, gli eventi ischemici cardiaci contribuivano al maggior incremento del rischio relativo (RR 1,18; IC 95% .1,14-1,23) e di quello assoluto per la mortalità per un aumento della concentrazione di PM2,5 di 10 µg/metro cubo
L’analisi dei soggetti sopravvissuti ad un infarto miocardico condotta su 196.000 residenti in 21 città degli Stati Uniti e assistiti da Medicare ha dimostrato che il rischio di un evento avverso post-infarto (morte, recidiva dell’infarto, primo ricovero per scompenso cardiaco congestizio) era aumentato dopo l’esposizione ad elevati livelli di PM10. In un altro studio è stato osservato che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico da traffico veicolare era associato con un significativo aumento del rischio di infarto miocardico. Tuttavia in diversi studi condotti su donne, soltanto gli eventi coronarici fatali, ma non l’infarto miocardico non fatale da solo, erano statisticamente correlati con le concentrazioni di PM2,5. In entrambi gli studi l’ampiezza dell’effetto sulla mortalità cardiovascolare era molto maggiore e molto più robusto dal punto di vista statistico rispetto agli eventi non fatali come infarto del miocardio.
Diversi studi hanno anche riportato un aumento dei ricoveri in ospedale per cardiopatie ischemiche associate con aumenti nel breve termine delle concentrazioni del particolato atmosferico. In uno studio americano, una riduzione di 10 µg/delle concentrazioni di PM2,5 riduceva, secondo stime attendibili, il tasso di ricoveri per cardiopatie ischemiche di 1523 casi all’anno. Numerosi studi hanno osservato un’associazione positiva fra aumento del particolato ed esposizione al traffico, anche per poche ore o alcuni giorni, con un aumentato rischio di infarto del miocardio.
In generale un aumento acuto del rischio di cardiopatie ischemiche è stato osservato ripetutamente, persino dopo l’esposizione per poche ore ad elevate concentrazioni di particolato. Altri studi hanno riportato un aumentato rischio d’infarto del miocardio poco dopo esposizione al traffico. Nello studio di Peters et al. pubblicato nel 2004 fu osservata una correlazione tra l’infarto e l’ esposizione al traffico nell’ora precedente all’attacco ischemico, e non è certo se il risultato fosse dovuto all’inquinamento atmosferico o una combinazione di altri fattori, per esempio l’affaticamento o lo stress emotivo. Altri studi non confermano un’associazione tra recentissima esposizione al particolato atmosferico e sviluppo dell’infarto del miocardio, anche se i livelli di PM2,5 e di diversi altri inquinanti atmosferici nei giorni precedenti erano correlati all’insorgenza dell’infarto.
La mancanza di una correlazione fra infarto e particelle di PM2,5 può essere dovuta al fatto che in questo studio le concentrazioni di particolato erano misurate a livello regionale e lontano dalla zona di residenza dei soggetti infartuati.
Infine nel solo studio in cui partecipanti furono sottoposti a coronarografia, eseguita prima dell’infarto, l’esposizione all’inquinamento atmosferico era correlata al livello di particolato soltanto nei soggetti con lesioni aterosclerotiche ostruttive in almeno una coronaria. Queste osservazioni suggeriscono l’importanza della predisposizione del paziente, ad esempio in presenza di una preesistente coronaropatia, agli effetti negativi del particolato atmosferico, il quale deve essere considerato come causa scatenante di un evento ischemico cardiaco, nei soggetti predisposti, nelle ore o nei giorni successivi all’esposizione.
Conclusioni
Sulla base dei risultati degli studi epidemiologici che hanno valutato l’associazione dell’esposizione al particolato atmosferico con i principali endpoint cardiovascolari (morbilità, mortalità, tasso di ricoveri ospedalieri), è oggi possibile affermare che le prove attualmente disponibili depongono in modo robusto e consistente per un effetto scatenante del particolato atmosferico sulle cardiopatie ischemiche.
RACCOMANDAZIONE DEL CURATORE DEL BLOG
Tutti coloro che abitano in grandi centri urbani sono vivamente invitati, quando sono fuori casa, ad indossare le apposite mascherine anti-particolato, responsabile principale -oltre che dell'infarto- della broncopatia cronica ostruttiva, tra le prime cause di morbilità e mortalità in Italia.
L’analisi dei soggetti sopravvissuti ad un infarto miocardico condotta su 196.000 residenti in 21 città degli Stati Uniti e assistiti da Medicare ha dimostrato che il rischio di un evento avverso post-infarto (morte, recidiva dell’infarto, primo ricovero per scompenso cardiaco congestizio) era aumentato dopo l’esposizione ad elevati livelli di PM10. In un altro studio è stato osservato che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico da traffico veicolare era associato con un significativo aumento del rischio di infarto miocardico. Tuttavia in diversi studi condotti su donne, soltanto gli eventi coronarici fatali, ma non l’infarto miocardico non fatale da solo, erano statisticamente correlati con le concentrazioni di PM2,5. In entrambi gli studi l’ampiezza dell’effetto sulla mortalità cardiovascolare era molto maggiore e molto più robusto dal punto di vista statistico rispetto agli eventi non fatali come infarto del miocardio.
Diversi studi hanno anche riportato un aumento dei ricoveri in ospedale per cardiopatie ischemiche associate con aumenti nel breve termine delle concentrazioni del particolato atmosferico. In uno studio americano, una riduzione di 10 µg/delle concentrazioni di PM2,5 riduceva, secondo stime attendibili, il tasso di ricoveri per cardiopatie ischemiche di 1523 casi all’anno. Numerosi studi hanno osservato un’associazione positiva fra aumento del particolato ed esposizione al traffico, anche per poche ore o alcuni giorni, con un aumentato rischio di infarto del miocardio.
In generale un aumento acuto del rischio di cardiopatie ischemiche è stato osservato ripetutamente, persino dopo l’esposizione per poche ore ad elevate concentrazioni di particolato. Altri studi hanno riportato un aumentato rischio d’infarto del miocardio poco dopo esposizione al traffico. Nello studio di Peters et al. pubblicato nel 2004 fu osservata una correlazione tra l’infarto e l’ esposizione al traffico nell’ora precedente all’attacco ischemico, e non è certo se il risultato fosse dovuto all’inquinamento atmosferico o una combinazione di altri fattori, per esempio l’affaticamento o lo stress emotivo. Altri studi non confermano un’associazione tra recentissima esposizione al particolato atmosferico e sviluppo dell’infarto del miocardio, anche se i livelli di PM2,5 e di diversi altri inquinanti atmosferici nei giorni precedenti erano correlati all’insorgenza dell’infarto.
La mancanza di una correlazione fra infarto e particelle di PM2,5 può essere dovuta al fatto che in questo studio le concentrazioni di particolato erano misurate a livello regionale e lontano dalla zona di residenza dei soggetti infartuati.
Infine nel solo studio in cui partecipanti furono sottoposti a coronarografia, eseguita prima dell’infarto, l’esposizione all’inquinamento atmosferico era correlata al livello di particolato soltanto nei soggetti con lesioni aterosclerotiche ostruttive in almeno una coronaria. Queste osservazioni suggeriscono l’importanza della predisposizione del paziente, ad esempio in presenza di una preesistente coronaropatia, agli effetti negativi del particolato atmosferico, il quale deve essere considerato come causa scatenante di un evento ischemico cardiaco, nei soggetti predisposti, nelle ore o nei giorni successivi all’esposizione.
Conclusioni
Sulla base dei risultati degli studi epidemiologici che hanno valutato l’associazione dell’esposizione al particolato atmosferico con i principali endpoint cardiovascolari (morbilità, mortalità, tasso di ricoveri ospedalieri), è oggi possibile affermare che le prove attualmente disponibili depongono in modo robusto e consistente per un effetto scatenante del particolato atmosferico sulle cardiopatie ischemiche.
RACCOMANDAZIONE DEL CURATORE DEL BLOG
Tutti coloro che abitano in grandi centri urbani sono vivamente invitati, quando sono fuori casa, ad indossare le apposite mascherine anti-particolato, responsabile principale -oltre che dell'infarto- della broncopatia cronica ostruttiva, tra le prime cause di morbilità e mortalità in Italia.
lunedì 12 settembre 2011
SEMBRAVA UN'EVOLUZIONE.....
INVECE SI E' TRATTATO DI UNA INVOLUZIONE
Il Pitecantropo (B) infatti si era adattato all'ambiente, senza procurarvi distruzioni o ferite. Gli ominidi erano in numero limitato (alcune centinaia di migliaia), e vivevano in perfetta simbiosi con il resto del pianeta. L'evoluzione portò ad un accrescimento della scatola cranica e dell'encefalo in essa contenuto, insieme alla riduzione del massiccio facciale e delle sporgenze sovraorbitarie. Le capacità manuali, la stazione eretta, le attività intellettive e la cultura si sono sviluppate enormemente soprattutto nell'ultimo mezzo milione di anni, fino ad arrivare all' Homo sapiens sapiens. Chi immaginava che proprio questo, l'esemplare più evoluto dei primati, portasse il pianeta alla distruzione? Il tutto poi in maniera accelerata, con una attività umana di annichilimento della natura cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi due-tre secoli. Purtroppo insieme alla scatola cranica è cresciuto l'egoismo metafisico di questo primate, che ha basato ogni sua azione su un pensiero antropocentrico che ha ignorato tutto il resto della biosfera. Il risultato è il mondo che abbiamo sotto gli occhi, già devastato irreparabilmente, ed avviato ad un futuro che, a definire da incubo, si pecca di ottimismo.
sabato 10 settembre 2011
La crescita demografica: la grande sfida del XXI secolo
In questo secolo il mondo si troverà faccia a faccia con gli effetti della più grande esplosione demografica nella storia dell’umanità.
Se non si agisce ora, miliardi di esseri umani nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti
Immaginate fra 40 anni altri due miliardi di persone sul pianeta, tutti bisognosi di cibo, acqua e di un tetto, mentre i cambiamenti climatici accentuano questi fondamentali bisogni umani.
Se non si agisce ora, miliardi di persone nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti quale conseguenza di siccità, scarsità di cibo, degrado urbano, migrazioni e sempre più scarse risorse naturali, mentre la produzione cerca di fronteggiare la domanda.
E la crescita prevista della domanda è sconcertante. Più bocche da sfamare e cambiamenti nelle preferenze alimentari implicheranno:
un raddoppio della produzione agricola in quattro decenni,
un aumento dei consumi idrici del 30% entro il 2030, e
entro la metà del secolo, sistemazioni urbane per tre altri miliardi di persone.
Si aggiunga a ciò il bisogno di energia per sostenere la crescita economica tanto nei paesi post-industriali, in quelli industriali e in quelli di recente industrializzazione, tenendo conto di una domanda che raddoppierà entro il 2050, e si potrà valutare la portata della sfida per i governi e le società.
La buona notizia è che un recente rapporto, intitolato "Population: One Planet, Too many People?" dell’inglese Institution of Mechanical Engineers assicura che le previste sfide potrebbero essere affrontate con tecniche già note e con soluzioni sostenibili. Ciò vuol dire che non c'è nessun bisogno di rinviare l’azione globale aspettando la prossima importante scoperta in campo tecnico o una rivoluzione nel modo di pensare riguardo al controllo demografico.
Si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale crescerà nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiungerà una punta di 9,5 miliardi nel 2075
Il rapporto inoltre conclude che ci troviamo nel bel mezzo di un'opportunità unica, con un'abbondanza di tecnologie pulite e know-how disponibili per consentire alle nazioni appena divenute in via di sviluppo di “scavalcare” le alte quantità di emissioni, la fase di fame di risorse dell'industrializzazione iniziale. Ciò è particolarmente importante, dato che è nell’ambito di queste economie emergenti che ci si attende si verifichi la maggiore crescita demografica.
Soprattutto, si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale cresca nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiunga una punta di 9,5 miliardi nel 2075. Queste clamorose cifre globali non mettono in evidenza comunque quelle importanti tendenze demografiche regionali che invece indicano l’emergere nei prossimi decenni di tre tipologie in cui ricadranno le caratteristiche della maggior parte delle nazioni.
1) Le economie post-industriali mature saranno ampiamente caratterizzate da popolazioni stabili o in flessione. Per esempio, il numero di abitanti dell'Unione Europea è previsto che si riduca del 20% per il 2100. Il conseguente ridursi delle giovani generazioni avrà diverse implicazioni su aspetti come l’assistenza sociale, quella sanitaria e sulla composizione della forza lavoro. I conflitti con effetti sulle popolazioni e le tensioni in lontane regioni indotte dai cambiamenti climatici avranno un impatto su queste economie attraverso l’interruzione della catena di rifornimento di prodotti alimentari e di manufatti.
2) Le economie in via di sviluppo all’ultimo stadio, attualmente caratterizzate da alti livelli di industrializzazione, sperimenteranno un rallentamento della crescita demografica di pari passo alla crescita della ricchezza nazionale. Per esempio, in Asia, dove vive già metà della popolazione mondiale, la crescita demografica crescerà solamente del 25%, per raggiungere il suo massimo nel 2065 e prima di ridiscendere allo stesso modo di alcune economie post-industriali. Sebbene modesta, la continua crescita della popolazione di questa regione nel corso dei prossimi cinque decenni, sommata agli alti livelli di crescita del reddito personale e della ricchezza, porterà probabilmente a tensioni geopolitiche tra alcune nazioni per le risorse naturali, come fonti idriche comuni e materie prime per l’industria.
3) Il terzo gruppo è formato dai paesi da poco divenuti in via di sviluppo e così pure dalle economie sottosviluppate che stanno per entrare nella fase di industrializzazione. Una crescita demografica più rapida, responsabile della maggior parte dell'aumento globale fino al 2075, costituirà la caratteristica fondamentale di queste nazioni. L’Africa è l’area principale a tale riguardo, con molti paesi del continente proiettati a raddoppiare o triplicare le loro popolazioni entro il 2050. Ciò determinerà una considerevole pressione perché vi sia un’accresciuta produzione alimentare interna, altrettanto dicasi per l'acqua e per le fonti energetiche. Dove ciò si combinasse con tensioni sociali e politiche derivanti da un’urbanizzazione incontrollata e da una drammatica espansione delle baraccopoli suburbane, potrebbe dar luogo a conflitti interni e lungo i confini, destabilizzando le vie del commercio internazionale e determinando delle migrazioni di massa dalle aree di conflitto verso regioni più stabili, come l’Europa.
Le tensioni geopolitiche tra nazioni in tutti e tre questi gruppi è probabile che si determinino sia a causa dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) che a causa di fonti di energia a basso-tasso di emissioni. L’accesso a disponibili e abbondanti fonti energetiche consente l’industrializzazione, il superamento della povertà, la crescita economica e una società post-industriale.
Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza
La storia ci insegna ripetutamente che, senza questa energia, le società alla fine crollano di fronte al ridursi degli introiti su investimenti in un contesto sempre più complesso. Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza.
È per questo che le economie da poco divenute in via di sviluppo sono essenziali per conseguire un buon risultato. Se queste nazioni hanno in mente le stesse alte emissioni di gas serra (GHG), lo stesso processo insostenibile di sviluppo seguito in passato dalle mature nazioni industrializzate del mondo, non vi saranno dei buoni risultati per tutti noi.
Per esempio, se la combinazione di industrializzazione e di crescita economica nel corso del XXI secolo facesse sì che la quantità media di emissioni GHG degli africani raggiunga l’attuale modesto livello degli asiatici, il recente aumento di popolazione di questo continente introdurrebbe circa 9Giga tonnellate all’anno di gas serra nell'atmosfera. Questa quantità rappresenta un quarto delle attuali emissioni mondiali. In un mondo in cui si cerca di ridurre le emissioni ereditate dalle insostenibili infrastrutture industriali, un tale risultato sarebbe tragico ed imperdonabile, particolarmente dato che già oggi possediamo il know-how e le tecnologie pulite disponibili per evitarlo.
Attraverso l’applicazione di soluzioni ingegneristiche come la biotecnologia, l’accresciuta meccanizzazione e automazione, la riduzione degli sprechi, un migliorato sistema di stoccaggio e di distribuzione e una migliore gestione delle risorse idriche, si possono fornire più che sufficienti risorse alimentari per fronteggiare la prevista domanda.
Allo stesso modo, attraverso miglioramenti nella gestione delle falde acquifere, della raccolta e della conservazione dell'acqua piovana, del riutilizzo dell'acqua e della desalinizzazione si possono coprire i futuri consumi.
Nel contesto urbano, modelli di pianificazione integrata e nuovi modelli di proprietà comune offrono una via per interventi di successo nelle infrastrutture delle baraccopoli. Un terzo della popolazione urbana mondiale già vive in insalubri baraccopoli con scarso o nessun accesso alla distribuzione idrica o energetica e alla sanità.
Le soluzioni ingegneristiche potrebbero svolgere anche un ruolo fondamentale nel fronteggiare la minaccia rappresentata dall’aumento del livello del mare per le aree urbane. Tre quarti delle grandi città del mondo sono sulla costa, con alcune delle maggiori ubicate nelle pianure deltaiche in paesi in via di sviluppo (come Bangkok e Sciangai), dove lo sprofondare del suolo esacerberà la sfida. Dati i tempi lunghi necessari per attuare strategie come infrastrutture ingegneristiche a difesa dalle inondazioni, la valutazione degli aumenti di livello previsti e le possibili soluzioni richiedono un’attenzione urgente per gli agglomerati urbani litoranei nel mondo.
Delle soluzioni innovative di finanziamento avranno un importante ruolo non solo negli approcci ingegneristici per l’urbanizzazione, ma anche nel dispiegamento di tecnologie ad energia pulita su base comune, come quella solare, eolica e microidroelettrica, come pure centrali locali combinate, termiche ed elettriche, che utilizzano biomasse o energia prodotta dai rifiuti. Se significativi livelli d'accesso all’energia e all’acqua devono essere realizzati e va incoraggiata l’adozione di tecnologie sostenibili localizzate, meccanismi come innovativi prestiti con tassi di interesse al di sotto di quelli del mercato e micro-finanziamenti, pacchetti per l’adeguamento a “costo zero” e nuove formule di proprietà individuale e comune, tipo trust, possono essere adottati per ridurre l'investimento di capitali.
È difficile prevedere esattamente che cambiamenti climatici si determineranno in ogni singola regione per effetto di un possibile aumento del riscaldamento globale da 3°C a 6°C entro la fine del secolo. Ci possono essere alcune aree, particolarmente nell'emisfero settentrionale, dove gli effetti dei cambiamenti climatici aumenteranno la capacità di una nazione a fronteggiare la crescita demografica, per esempio attraverso accresciute produzioni agricole o un più facile accesso all’energia. Comunque, gli effetti di eventi atmosferici estremi, più alte temperature e una diversa distribuzione della pioggia, avverranno in altre aree che avranno ancor più difficoltà a fronteggiare l’aumento demografico.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici
Delle proiezioni suggeriscono che i cambiamenti climatici potrebbero determinare lo spostamento anche di un miliardo di persone nei prossimi 40 anni, per un'intensificarsi di disastri naturali, a causa della siccità, dell’aumento del livello del mare e dei conflitti per delle risorse sempre più scarse. Delle migrazioni su vasta scala da tali aree, determinando ancor più pressione sulle regioni del mondo che risulteranno temperate per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero causare delle notevoli preoccupazioni di sicurezza nelle nazioni più fortunate.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Per esempio, il dispiegamento di tecnologie per la gestione dell'energia, come elettrodomestici e termostati intelligenti, insieme alla riduzioni degli sprechi, grazie ad edifici edificati con materiali ancor più isolanti e ad un efficiente utilizzo del calore, sono esempi d'iniziative ingegneristiche che potrebbero ridurre alcuni degli effetti determinati dalla necessità di fonti energetiche più sostenibili.
Ciò che è necessario è la volontà politica e sociale per correggere i danni del mercato, per stabilire innovativi meccanismi per il finanziamento e per nuovi modelli di proprietà individuale e comune, e per trasferire, attraverso la localizzazione, conoscenze tecnologiche ed esperienze non inquinanti per conseguire risultati più sicuri.
Il rapporto dell'Istituto propone cinque obiettivi di sviluppo ingegneristico (EDG) quale primo passo sulla strada per raggiungere tale obiettivo. Questi coprono le questioni fondamentali che vanno risolte in campo energetico, idrico, alimentare, urbanistico e finanziario.
Inoltre il rapporto suggerisce al governo inglese di diventare capofila a livello mondiale collaborando con la professione per definire obiettivi di trasferimento e misure per la realizzazione di questi EDG con lo scopo di sostenerli all'ONU, quale base di un quadro internazionale per sostituire gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) alla loro scadenza nel 2015.
A sostegno degli obiettivi, l'Istituto raccomanda anche che venga adottato un meccanismo per l'addestramento e il trasferimento di ingegneri nelle nazioni divenute di recente in via di sviluppo per fornire pareri sulla localizzazione di tecnologie non inquinanti e di pratiche sostenibili. Praticamente, ha richiesto che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale (DFID) del governo inglese prenda l’iniziativa di sperimentare un modello di trasferimento nel contesto del suo mandato per lo sviluppo estero.
In conclusione, dato che gran parte di noi vive più a lungo in reciproca dipendenza con un pianeta sempre più affollato ma con risorse limitate, gli effetti dell’aumento della popolazione globale si ripercuoteranno in qualche misura sulla vita di ognuno di noi - ovunque ci si trovi. L'impatto non rispetterà i confini. Questo non è altruismo. Si tratta di creare una struttura politica e di perfezionare un percorso di autodifesa.
Tim Fox è Capo dell’Energy and Environment, UK Institution of Mechanical Engineers, e principale autore del rapporto “Population: One Planet, Too many People?
(Tratto da "Nato review").
Se non si agisce ora, miliardi di esseri umani nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti
Immaginate fra 40 anni altri due miliardi di persone sul pianeta, tutti bisognosi di cibo, acqua e di un tetto, mentre i cambiamenti climatici accentuano questi fondamentali bisogni umani.
Se non si agisce ora, miliardi di persone nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti quale conseguenza di siccità, scarsità di cibo, degrado urbano, migrazioni e sempre più scarse risorse naturali, mentre la produzione cerca di fronteggiare la domanda.
E la crescita prevista della domanda è sconcertante. Più bocche da sfamare e cambiamenti nelle preferenze alimentari implicheranno:
un raddoppio della produzione agricola in quattro decenni,
un aumento dei consumi idrici del 30% entro il 2030, e
entro la metà del secolo, sistemazioni urbane per tre altri miliardi di persone.
Si aggiunga a ciò il bisogno di energia per sostenere la crescita economica tanto nei paesi post-industriali, in quelli industriali e in quelli di recente industrializzazione, tenendo conto di una domanda che raddoppierà entro il 2050, e si potrà valutare la portata della sfida per i governi e le società.
La buona notizia è che un recente rapporto, intitolato "Population: One Planet, Too many People?" dell’inglese Institution of Mechanical Engineers assicura che le previste sfide potrebbero essere affrontate con tecniche già note e con soluzioni sostenibili. Ciò vuol dire che non c'è nessun bisogno di rinviare l’azione globale aspettando la prossima importante scoperta in campo tecnico o una rivoluzione nel modo di pensare riguardo al controllo demografico.
Si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale crescerà nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiungerà una punta di 9,5 miliardi nel 2075
Il rapporto inoltre conclude che ci troviamo nel bel mezzo di un'opportunità unica, con un'abbondanza di tecnologie pulite e know-how disponibili per consentire alle nazioni appena divenute in via di sviluppo di “scavalcare” le alte quantità di emissioni, la fase di fame di risorse dell'industrializzazione iniziale. Ciò è particolarmente importante, dato che è nell’ambito di queste economie emergenti che ci si attende si verifichi la maggiore crescita demografica.
Soprattutto, si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale cresca nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiunga una punta di 9,5 miliardi nel 2075. Queste clamorose cifre globali non mettono in evidenza comunque quelle importanti tendenze demografiche regionali che invece indicano l’emergere nei prossimi decenni di tre tipologie in cui ricadranno le caratteristiche della maggior parte delle nazioni.
1) Le economie post-industriali mature saranno ampiamente caratterizzate da popolazioni stabili o in flessione. Per esempio, il numero di abitanti dell'Unione Europea è previsto che si riduca del 20% per il 2100. Il conseguente ridursi delle giovani generazioni avrà diverse implicazioni su aspetti come l’assistenza sociale, quella sanitaria e sulla composizione della forza lavoro. I conflitti con effetti sulle popolazioni e le tensioni in lontane regioni indotte dai cambiamenti climatici avranno un impatto su queste economie attraverso l’interruzione della catena di rifornimento di prodotti alimentari e di manufatti.
2) Le economie in via di sviluppo all’ultimo stadio, attualmente caratterizzate da alti livelli di industrializzazione, sperimenteranno un rallentamento della crescita demografica di pari passo alla crescita della ricchezza nazionale. Per esempio, in Asia, dove vive già metà della popolazione mondiale, la crescita demografica crescerà solamente del 25%, per raggiungere il suo massimo nel 2065 e prima di ridiscendere allo stesso modo di alcune economie post-industriali. Sebbene modesta, la continua crescita della popolazione di questa regione nel corso dei prossimi cinque decenni, sommata agli alti livelli di crescita del reddito personale e della ricchezza, porterà probabilmente a tensioni geopolitiche tra alcune nazioni per le risorse naturali, come fonti idriche comuni e materie prime per l’industria.
3) Il terzo gruppo è formato dai paesi da poco divenuti in via di sviluppo e così pure dalle economie sottosviluppate che stanno per entrare nella fase di industrializzazione. Una crescita demografica più rapida, responsabile della maggior parte dell'aumento globale fino al 2075, costituirà la caratteristica fondamentale di queste nazioni. L’Africa è l’area principale a tale riguardo, con molti paesi del continente proiettati a raddoppiare o triplicare le loro popolazioni entro il 2050. Ciò determinerà una considerevole pressione perché vi sia un’accresciuta produzione alimentare interna, altrettanto dicasi per l'acqua e per le fonti energetiche. Dove ciò si combinasse con tensioni sociali e politiche derivanti da un’urbanizzazione incontrollata e da una drammatica espansione delle baraccopoli suburbane, potrebbe dar luogo a conflitti interni e lungo i confini, destabilizzando le vie del commercio internazionale e determinando delle migrazioni di massa dalle aree di conflitto verso regioni più stabili, come l’Europa.
Le tensioni geopolitiche tra nazioni in tutti e tre questi gruppi è probabile che si determinino sia a causa dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) che a causa di fonti di energia a basso-tasso di emissioni. L’accesso a disponibili e abbondanti fonti energetiche consente l’industrializzazione, il superamento della povertà, la crescita economica e una società post-industriale.
Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza
La storia ci insegna ripetutamente che, senza questa energia, le società alla fine crollano di fronte al ridursi degli introiti su investimenti in un contesto sempre più complesso. Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza.
È per questo che le economie da poco divenute in via di sviluppo sono essenziali per conseguire un buon risultato. Se queste nazioni hanno in mente le stesse alte emissioni di gas serra (GHG), lo stesso processo insostenibile di sviluppo seguito in passato dalle mature nazioni industrializzate del mondo, non vi saranno dei buoni risultati per tutti noi.
Per esempio, se la combinazione di industrializzazione e di crescita economica nel corso del XXI secolo facesse sì che la quantità media di emissioni GHG degli africani raggiunga l’attuale modesto livello degli asiatici, il recente aumento di popolazione di questo continente introdurrebbe circa 9Giga tonnellate all’anno di gas serra nell'atmosfera. Questa quantità rappresenta un quarto delle attuali emissioni mondiali. In un mondo in cui si cerca di ridurre le emissioni ereditate dalle insostenibili infrastrutture industriali, un tale risultato sarebbe tragico ed imperdonabile, particolarmente dato che già oggi possediamo il know-how e le tecnologie pulite disponibili per evitarlo.
Attraverso l’applicazione di soluzioni ingegneristiche come la biotecnologia, l’accresciuta meccanizzazione e automazione, la riduzione degli sprechi, un migliorato sistema di stoccaggio e di distribuzione e una migliore gestione delle risorse idriche, si possono fornire più che sufficienti risorse alimentari per fronteggiare la prevista domanda.
Allo stesso modo, attraverso miglioramenti nella gestione delle falde acquifere, della raccolta e della conservazione dell'acqua piovana, del riutilizzo dell'acqua e della desalinizzazione si possono coprire i futuri consumi.
Nel contesto urbano, modelli di pianificazione integrata e nuovi modelli di proprietà comune offrono una via per interventi di successo nelle infrastrutture delle baraccopoli. Un terzo della popolazione urbana mondiale già vive in insalubri baraccopoli con scarso o nessun accesso alla distribuzione idrica o energetica e alla sanità.
Le soluzioni ingegneristiche potrebbero svolgere anche un ruolo fondamentale nel fronteggiare la minaccia rappresentata dall’aumento del livello del mare per le aree urbane. Tre quarti delle grandi città del mondo sono sulla costa, con alcune delle maggiori ubicate nelle pianure deltaiche in paesi in via di sviluppo (come Bangkok e Sciangai), dove lo sprofondare del suolo esacerberà la sfida. Dati i tempi lunghi necessari per attuare strategie come infrastrutture ingegneristiche a difesa dalle inondazioni, la valutazione degli aumenti di livello previsti e le possibili soluzioni richiedono un’attenzione urgente per gli agglomerati urbani litoranei nel mondo.
Delle soluzioni innovative di finanziamento avranno un importante ruolo non solo negli approcci ingegneristici per l’urbanizzazione, ma anche nel dispiegamento di tecnologie ad energia pulita su base comune, come quella solare, eolica e microidroelettrica, come pure centrali locali combinate, termiche ed elettriche, che utilizzano biomasse o energia prodotta dai rifiuti. Se significativi livelli d'accesso all’energia e all’acqua devono essere realizzati e va incoraggiata l’adozione di tecnologie sostenibili localizzate, meccanismi come innovativi prestiti con tassi di interesse al di sotto di quelli del mercato e micro-finanziamenti, pacchetti per l’adeguamento a “costo zero” e nuove formule di proprietà individuale e comune, tipo trust, possono essere adottati per ridurre l'investimento di capitali.
È difficile prevedere esattamente che cambiamenti climatici si determineranno in ogni singola regione per effetto di un possibile aumento del riscaldamento globale da 3°C a 6°C entro la fine del secolo. Ci possono essere alcune aree, particolarmente nell'emisfero settentrionale, dove gli effetti dei cambiamenti climatici aumenteranno la capacità di una nazione a fronteggiare la crescita demografica, per esempio attraverso accresciute produzioni agricole o un più facile accesso all’energia. Comunque, gli effetti di eventi atmosferici estremi, più alte temperature e una diversa distribuzione della pioggia, avverranno in altre aree che avranno ancor più difficoltà a fronteggiare l’aumento demografico.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici
Delle proiezioni suggeriscono che i cambiamenti climatici potrebbero determinare lo spostamento anche di un miliardo di persone nei prossimi 40 anni, per un'intensificarsi di disastri naturali, a causa della siccità, dell’aumento del livello del mare e dei conflitti per delle risorse sempre più scarse. Delle migrazioni su vasta scala da tali aree, determinando ancor più pressione sulle regioni del mondo che risulteranno temperate per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero causare delle notevoli preoccupazioni di sicurezza nelle nazioni più fortunate.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Per esempio, il dispiegamento di tecnologie per la gestione dell'energia, come elettrodomestici e termostati intelligenti, insieme alla riduzioni degli sprechi, grazie ad edifici edificati con materiali ancor più isolanti e ad un efficiente utilizzo del calore, sono esempi d'iniziative ingegneristiche che potrebbero ridurre alcuni degli effetti determinati dalla necessità di fonti energetiche più sostenibili.
Ciò che è necessario è la volontà politica e sociale per correggere i danni del mercato, per stabilire innovativi meccanismi per il finanziamento e per nuovi modelli di proprietà individuale e comune, e per trasferire, attraverso la localizzazione, conoscenze tecnologiche ed esperienze non inquinanti per conseguire risultati più sicuri.
Il rapporto dell'Istituto propone cinque obiettivi di sviluppo ingegneristico (EDG) quale primo passo sulla strada per raggiungere tale obiettivo. Questi coprono le questioni fondamentali che vanno risolte in campo energetico, idrico, alimentare, urbanistico e finanziario.
Inoltre il rapporto suggerisce al governo inglese di diventare capofila a livello mondiale collaborando con la professione per definire obiettivi di trasferimento e misure per la realizzazione di questi EDG con lo scopo di sostenerli all'ONU, quale base di un quadro internazionale per sostituire gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) alla loro scadenza nel 2015.
A sostegno degli obiettivi, l'Istituto raccomanda anche che venga adottato un meccanismo per l'addestramento e il trasferimento di ingegneri nelle nazioni divenute di recente in via di sviluppo per fornire pareri sulla localizzazione di tecnologie non inquinanti e di pratiche sostenibili. Praticamente, ha richiesto che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale (DFID) del governo inglese prenda l’iniziativa di sperimentare un modello di trasferimento nel contesto del suo mandato per lo sviluppo estero.
In conclusione, dato che gran parte di noi vive più a lungo in reciproca dipendenza con un pianeta sempre più affollato ma con risorse limitate, gli effetti dell’aumento della popolazione globale si ripercuoteranno in qualche misura sulla vita di ognuno di noi - ovunque ci si trovi. L'impatto non rispetterà i confini. Questo non è altruismo. Si tratta di creare una struttura politica e di perfezionare un percorso di autodifesa.
Tim Fox è Capo dell’Energy and Environment, UK Institution of Mechanical Engineers, e principale autore del rapporto “Population: One Planet, Too many People?
(Tratto da "Nato review").
venerdì 9 settembre 2011
INTO THE WILD
Into The Wild
"Ti sbagli se credi che felicita' si trovi solo nel rapporto con le persone, Dio ha messo la felicita' dappertutto. Dobbiamo solo cambiare il modo di guardare le cose".
(dal dialogo di Chris e Ron sulla collina davanti al Salt lake).
Questo film mi coinvolge sempre, ogni volta che lo vedo (e l'ho rivisto molte volte). Dare un nome alle cose significa portarle alla luce, smettere di considerarle un mero sfondo, un contorno insignificante alla attività dell'uomo e riconoscere in esse qualcosa di sacro. La natura viene così valutata per quello che e', qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, con la stessa dignità e lo stesso significato, in un legame che non lascia scampo. Per salvarci dobbiamo salvare la natura, e noi dobbiamo imparare a trovare in essa quella felicita che spesso cerchiamo dove non possiamo trovarla. Guardare al di la del nostro egoismo di uomini, riconoscersi invece in una appartenenza originaria il cui oblio ci sta portando alla rovina.
La follia di Chris, che fugge gli uomini per cercare la risposta in un mondo selvaggio e disabitato e' la risposta ad un'altra follia, quella che ci porta a vivere in un mondo artificiale sovrappopolato e pero' vuoto, in città artificiali, secondo rapporti innaturali che hanno perso ogni traccia di umano. Il bisogno che sorge nel profondo della coscienza di alcuni di noi, quel bisogno irrazionale di allontanarsi dalla cosiddetta civiltà, di viaggiare verso un mondo, forse del tutto irreale e fantastico, fatto di verde, di foreste, di acque incontaminate, di luminose cime di monti innevati, e' un richiamo. Qualcosa ci chiama dal nostro oblio, una voce che ci vuol riportare al senso, ad un senso. Che la vita abbia ancora un senso. Into The Wild.
"Ti sbagli se credi che felicita' si trovi solo nel rapporto con le persone, Dio ha messo la felicita' dappertutto. Dobbiamo solo cambiare il modo di guardare le cose".
(dal dialogo di Chris e Ron sulla collina davanti al Salt lake).
Questo film mi coinvolge sempre, ogni volta che lo vedo (e l'ho rivisto molte volte). Dare un nome alle cose significa portarle alla luce, smettere di considerarle un mero sfondo, un contorno insignificante alla attività dell'uomo e riconoscere in esse qualcosa di sacro. La natura viene così valutata per quello che e', qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, con la stessa dignità e lo stesso significato, in un legame che non lascia scampo. Per salvarci dobbiamo salvare la natura, e noi dobbiamo imparare a trovare in essa quella felicita che spesso cerchiamo dove non possiamo trovarla. Guardare al di la del nostro egoismo di uomini, riconoscersi invece in una appartenenza originaria il cui oblio ci sta portando alla rovina.
La follia di Chris, che fugge gli uomini per cercare la risposta in un mondo selvaggio e disabitato e' la risposta ad un'altra follia, quella che ci porta a vivere in un mondo artificiale sovrappopolato e pero' vuoto, in città artificiali, secondo rapporti innaturali che hanno perso ogni traccia di umano. Il bisogno che sorge nel profondo della coscienza di alcuni di noi, quel bisogno irrazionale di allontanarsi dalla cosiddetta civiltà, di viaggiare verso un mondo, forse del tutto irreale e fantastico, fatto di verde, di foreste, di acque incontaminate, di luminose cime di monti innevati, e' un richiamo. Qualcosa ci chiama dal nostro oblio, una voce che ci vuol riportare al senso, ad un senso. Che la vita abbia ancora un senso. Into The Wild.
mercoledì 7 settembre 2011
FERMIAMO L'INDUSTRIA DEL CEMENTO
Su forza compagni, svegliatevi, scongelate il cervello. Il Marxismo e' stato fallimentare nella gestione dell'economia moderna, e' vero. Pero' non tutto e' da gettare. L'idea delle nazionalizzazioni ad esempio, cioè sottrarre alcune imprese strategiche all'economia di mercato, può avere un ruolo nell'economia ambientalista che caratterizzerà il futuro del pianeta.L'industria del cemento e' strategica per una serie di motivi: e' altamente inquinante, ha un forte impatto sull'ambiente alterando profondamente e irreversibilmente il paesaggio, e' in mano ai capitali speculativi e a volte addirittura, per quanto riguarda il nostro paese ma non solo, diretta proprietà di imprese in odore di mafia e camorra e della delinquenza organizzata. Le capacita' distruttive di suolo pubblico da parte dei costruttori sono amplificate alla ennesima potenza dall'uso del cemento nelle sue varietà di calcestruzzo, cemento armato ecc. Con il cemento e' possibile edificare manufatti di enormi dimensioni in tempi limitati, con impatti ambientali devastanti rispetto ai sistemi tradizionali e secolari della pietra e del legno. Basta pensare alle moderne periferie delle città o alle autostrade e a come queste opere abbiano in pochi anni stravolto il volto del pianeta per rendersi conto delle capacita' devastanti del cemento. Uno degli effetti peggiori di questo ritrovato della tecnica e' l'uniformizzazione planetaria dell'architettura per cui, nel mondo contemporaneo, le città di ogni parte del globo sono indistinguibili tra loro, essendo divenute simili le tecniche costruttive e la conformazione estetica degli edifici in cemento. L'esplosione planetaria, dagli anni 50-60 del secolo scorso in poi, delle megalopoli con i grattacieli, i centri commerciali, strade e superstrade, tutti edificati in cemento, sono il portato della mercificazione edilizia nel tempo della sovrappopolazione e del conseguente fenomeno dell'inurbamento massiccio. Bloccare la speculazione del cemento e' dunque una priorità. E' necessario creare un'Autority per la salvaguardia del territorio e contro l'utilizzo del cemento, che gestisca per conto dello Stato la produzione e la vendita del prodotto, pericoloso ormai come l'eternit in quanto tossico per la salute del pianeta. Le nuove costruzioni dovrebbero essere per legge edificate utilizzando materiali ecocompatibili come pietra, mattoni e legno. L'uso del cemento dovrebbe essere disincentivato da alti prezzi e tassazioni per impatto ambientale, e riservato a restauri di vecchi edifici in cemento o per strutture non altrimenti edificabili e comunque solo quando strettamente indispensabile, sottraendo il settore agli speculatori. Dovrebbe essere vietato in particolare l'edificazione con il cemento di strutture secolari, destinate a durare, onde evitare di alterare per sempre il pianeta e il paesaggio anche per le generazioni future. Nazionalizzare i cementifici e creazione di un'Autority per la salvaguardia del territorio sono un'assoluta priorità in tempo di sovrappopolazione e speculazione edilizia libera.
sabato 3 settembre 2011
1950. UN MONDO DIVERSO
Era il 1950. Un mondo profondamente diverso da quello di oggi. Non ce ne rendiamo conto e sembra impossibile che sia cambiato tutto in pochi decenni, ma è così. La guerra era finita da poco. L'Italia era un paese agricolo in cui la maggioranza della popolazione era dedita all'agricoltura. Nelle campagne del centro e nord Italia imperversava la mezzadria.
Le città erano piccole, alcune come Milano e Napoli ancora in piena ricostruzione dopo i bombardamenti. Roma aveva poco più di un milione di abitanti, di cui molti immigrati dal sud dopo la guerra. Le campagne erano curate e popolate da gente operosa, le fattorie in attività, con la stalla degli animali, con il grano da raccogliere, i primi trattori e le trebbiatrici a motore. I negozi erano poveri, arredati in modo spartano, con poche merci esposte. Le vetrine erano spoglie, buie, non ancora illuminate. La televisione non c'era, se non come un sogno, vaghe notizie che venivano dall'America. In casa c'era una grossa radio che tutti ascoltavano a certe ore.La sera, nei paesi, la gente sedeva sulle sedie fuori dei portoni per conversare al fresco, sotto le stelle.Si beveva già la Coca Cola, appena arrivata dall'America, si mangiavano i gelati Motta (buonissimi quelli al fior di latte o alla banana). L'industrializzazione era in atto, si preparava il boom. Molti migravano al nord dal meridione povero e arretrato, ma fu un fenomeno limitato che allora ci parve epocale. C'era molta carica, molta voglia di migliorarsi, si percepiva un futuro luminoso. Ancora non si viaggiava nello spazio, ma si fantasticava sui dischi volanti.Nessuno dubitava del progresso, il mondo non poteva che progredire, svilupparsi.
Il pianeta aveva, in quel 1950, due miliardi di abitanti: era un altro pianeta da quello di oggi. Questo spiega tutto: l'energia, la forza, la volontà di quella gente che sentiva suo il mondo. Una rinascita dopo la guerra era possibile.
Oggi invece il pianeta ha sette miliardi di umani. Oggi non c'è futuro. Oggi c'è una sensazione sempre più forte del disastro imminente, della perdita di tutto. Un pianeta sovrappopolato è un pianeta che non ha futuro. Al posto della luce si vedono i tetri bagliori di un incendio. Una persona nata nel 1950 ha visto, nell'arco della sua sola vita un cambiamento epocale: da un mondo pieno di fiducia e vivibile, a quello senza speranza e soffocato di oggi. Dovunque megalopoli, cementificazione, distruzione di campagne e foreste, acque inquinate e maleodoranti, l'aria irrespirabile, masse umane che migrano disperate alla ricerca della sussistenza. E' il mondo da sette miliardi di umani, la bomba demografica che è esplosa in pochi anni, perché dal 1950 sono passati pochi anni.
Il cielo allora era ancora azzurro, e chi ha lì i ricordi dell'infanzia non può dimenticarlo. Oggi il cielo è grigio e giallastro. In sessant'anni un'armonia si è rotta per sempre.
venerdì 2 settembre 2011
Rapporto sul pianeta Terra di un equipaggio di extraterrestri
Un primate, del genere di mammiferi Ominidi, discendente da una scimmia chiamata Australopitecus, ha invaso il pianeta ricoprendolo di suoi prodotti, inquinando aria, acque e suoli con le deiezioni chimiche e rifiuti, rendendone l'aria irrespirabile con la combustione in pochi decenni dei depositi di idrocarburi accumulati in milioni di anni. L’ominide usa ricoprire di bitume le vie di transito che utilizza con i suoi carri motorizzati, inoltre edifica tane stratificate in vari piani utilizzando una particolare malta mescolata a sabbie, ghiaie, e tondini di metallo, fino a creare giganteschi alveari fitti di ominidi e altamente inquinanti. Dove si instaura devasta rapidamente l’ambiente naturale scacciando via ed estinguendo tutte le altre specie animali e vegetali. E’ particolarmente bisognoso di acqua che restituisce come liquame saponoso e maleodorante, con numerosi composti chimici tossici. Costruisce e utilizza macchinari che bruciano idrocarburi riversando nell’aria miliardi di tonnellate di anidride carbonica e fumi altamente tossici per tutte le specie, lui compreso. Usa cibarsi di altri animali, pur essendo costitutivamente vegetariano, per il piacere che da al palato la carne cotta. A questo scopo alleva altri mammiferi o uccelli e, recentemente anche pesci, perché ha rinunciato all’attività di cacciatore di cui era specialista, trovando più comodo uccidere serialmente e sezionare gli animali in enormi stabilimenti. Costruisce armi molto potenti che utilizza per lo più contro individui della stessa specie. Scambia le merci con biglietti stampati, di cui è più avido delle merci stesse. L’attività più specifica è la replicazione, ed infatti è giunto a ricoprire il pianeta con sette miliardi di ominidi e non si da tregua, tanto che arriverà a dieci miliardi in qualche decennio. Figlia pensando solo a sé e alla propria tribù senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze. Non si rende facilmente conto del danno che arreca al pianeta, essendo tra l’altro un animale particolarmente aggressivo, distruttivo, e fortemente interessato ai propri comodi, senza alcun riguardo alle altre specie ( ed anche agli altri individui della propria specie). Si rende conto dell’esistenza di un problema solo quando ci sbatte il muso e incappa in qualche catastrofe, o disastro ambientale. Continua tuttavia nel comportamento aberrante di distruzione dell’ambiente in cui vive, di polluzione di inquinanti e di replicazione senza limiti, pur avendone compreso i rischi, in quanto è portato a sottovalutare i fatti e a sopravvalutare i propri desideri. Non ragiona per argomenti ma per convinzioni, posto alle strette non prende atto ma si infuria emanando grida. Riteniamo si autodistruggerà nel giro di qualche secolo, o anche prima.
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