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sabato 30 aprile 2011
Il fallimento dei verdi: umano troppo umano.
La grande aspettativa che dagli anni settanta ha atteso grandi novità dal movimento ecologista è andata delusa. Il movimento dei verdi è fallito miseramente nell'immobilismo e nella incapacità di intercettare un reale cambiamento in favore di natura e ambiente. Le cause del fallimento sono di natura essenzialmente ideologica. Il pensiero ecologico s'è voluto fondare sul pensiero politico della prima meta del novecento, non capendo così quali erano le esigenze del XXI secolo. L'opposizione pregiudiziale a politiche di sviluppo e ai cambiamenti tecnologici e stata deleteria. Per negare il nucleare si e accettato,ad esempio, che il nostro paese continuasse a bruciare migliaia di tonnellate di idrocarburi ogni anno, alla faccia della riduzione delle emissioni di co2. Il puntare cieco su tecnologie basate sulle cosiddette fonti rinnovabili non ha fatto che contribuire ad aumentare il costo dell'energia e ritardare quindi sviluppo e investimenti per l'ambiente. Alla base dell'errore ecologista c'è tuttavia un concetto di fondo: che basti ridurre la produzione e i consumi per riportare il mondo ad uno sviluppo sostenibile. Secondo i verdi sette miliardi di persone dovrebbero rinunciare a beni e ad una vita migliore per non inquinare l'aria, le acque e l'ambiente. Tutti dovrebbero cooperare in un sistema statalista per vivere più poveri e felici. Nessuna antropologia può accettare seriamente una simile prospettiva, disumana nel senso proprio del termine. Tra tutti gli utopismi questo e il più ridicolo. Convincere, per esempio, i cinesi che dovrebbero rinunciare alle auto e andare in bicicletta per altri cento anni è duro, e sconsiglio i verdi nostrani di andarglielo a dire. Per portare il mondo verso un vero sviluppo sostenibile, il pensiero dei verdi deve fare un passo indietro e riconoscere l'errore di fondo: quello di essere basato sull'antropocentrismo. Bisogna al contrario guardare il mondo da una prospettiva che veda l'uomo non come dominatore e proprietario unico del pianeta, ma come sua componente in armonia con le altre. Bisogna uscire da una prospettiva fortemente centrata sul presente e vedere il pianeta in un periodo temporale più vasto:dobbiamo preparare da ora il nostro futuro. Ridurre il numero di umani e l'unica prospettiva che serva a disegnare un futuro vivibile per noi e per gli altri esseri viventi. Ridurre il numero di umani può consentire alla tecnica di creare le condizioni di un diverso equilibrio tra uomo e ambiente ed un rapporto più equilibrato tra tutti gli esseri viventi del pianeta Terra. Denatalità e la parola chiave per disegnare un futuro, l'unico futuro.
lunedì 25 aprile 2011
Le città della globalizzazione: l'esplosione delle megalopoli.
In seguito al boom demografico, alla tecnologia, all'inurbamento le città si stanno trasformando in tutto il mondo.Le città maggiormente interessate da questa trasformazione sono soprattutto quelle del terzo mondo che si globalizza con il mercato. I significati della città si stanno anch'essi rapidamente modificando. Viene meno il significato del centro urbano raccolto intorno ai luoghi del sacro, di luogo dedicato alla spiritualità. Ma insieme al sacro anche l'estetico è un significato assente nella città contemporanea. Oggi l'architettura è sempre più volta alla creazione di edifici funzionali capaci di assicurare collegamenti e servizi tecnologici e privi di interessi estetici diretti ma solo derivati dalla funzione. O, per essere più precisi, i canoni architettonici della nuova città interpretano il concetto di estetica in modo completamente diverso, identificandolo con quello di efficienza funzionale. Oggi una big city che si avvia ad avere dieci o quindici milioni di abitanti non si può dire semplicemente brutta, è a suo modo bella, ma in un senso tutto nuovo. Anche il significato di città come luogo di produzione e di scambio, concetto che era stato alla base del suo sviluppo durante i secoli passarti, viene meno: la città è sempre meno il luogo dei mercanti e del mercato. Oggi la città è il luogo dei consumatori e del consumo. Si trasforma per acquisire una valenza puramente funzionale, di assicurare la possibilità a un numero sempre più alto di persone di vivere concentrati, con servizi e funzioni finalizzate a consentire la fruizione del consumo ad un numero altissimo di individui in relazione agli spazi disponibili. Concentrazioni che non si sono mai viste nel passato, un fatto inusitato per l'umanità. A tale scopo la città utilizza tutte le risorse della tecnologia delle costruzioni con produzione di edifici di enorme cubatura in altezza per assicurare il contenimento di un altissimo numero di consumatori e di fruitori di servizi. Inoltre l'informatizzazione permette il coordinamento e la sincronizzazione delle varie funzioni si un agglomerato complesso e sovrappopolato. Questo tipo di urbazione ad alta densità sta profondamente alterando gli aspetti tradizionali della cultura sia come forme di fruizione sia come contenuti oggettivi e valoriali, Così le principali città della Cina, dell'India e dell'America si stanno sviluppando secondo un nuovo concetto di città che va di pari passo con un nuovo skyline, un nuovo senso dei luoghi e di estetica dei luoghi, un nuovo senso della vita.Le città che permangono con il loro vecchio modo di essere sono molte città europee che per vari motivi non hanno intercettato lo sviluppo: tra queste le città italiane come Roma o Milano. Sempre più esse sono e diverranno città museo, con centri storici di grande valore estetico tradizionale e periferie degradate a contenitori-dormitorio poco funzionali.
mercoledì 20 aprile 2011
Le città prima della rivoluzione tecnologica
Verso il 1300 l'Europa aveva pochi milioni di abitanti, le campagne erano popolate in poche zone, ancora diffuse erano le foreste. Le città più grandi, belle e popolose si trovavano in Italia. Firenze e Venezia avevano circa 100.000 abitanti, Milano 80.000, Bologna e Genova 60.000, Siena e Palermo 50.000. In Spagna Cordova contava 60.000 abitanti e Barcellona 50.000. A nord delle Alpi soltanto Gand e Londra raggiungono le 60.000 anime e l'unico mostro urbano, la città più popolosa del mondo di allora, rimane Parigi con presumibilmente 200.000 cittadini. La città in quell'epoca era soprattutto luogo di commercio e di mercato, in cui venivano smerciati i prodotti della campagna e degli artigiani, fornito di mezzi finanziari (le prime banche) e di imprese familiari dedite al commercio anche con luoghi distanti. La piazza era lo spazio dedicato al mercato, e le botteghe erano i luoghi degli artigiani e dei mercanti stabili. Sebbene ci fossero già le prime condizioni per il successivo sviluppo tecnologico e industriale, i luoghi erano ancora a dimensione umana ed in equilibrio con la natura. Intorno all'anno 1000 era cominciata l'ascesa della curva demografica che avrebbe portato allo sviluppo in dimensione dei centri urbani, dei borghi e sobborghi, con l'ampliamento delle mura cittadine e il progresso economico e tecnologico. Ma ancora non c'erano gli eccessi dovuti all'umana arroganza nel gestire i nuovi mezzi tecnologici, che avrebbero condotto nei secoli successivi al boom demografico e al degrado dell'ambiente planetario.
giovedì 7 aprile 2011
La morte in mare dei migranti
Cancellati dal mare, morti senza nome. I migranti lasciavano una terra dove non avevano più nulla, neanche la speranza, e andavano verso una terra immaginaria che non hanno mai raggiunto. La pietà per quei migranti non deve però lasciare inascoltata la domanda di fondo. Quelle persone non le voleva nessuno: non sarebbero fuggiti se li avessero voluti dove erano nati. Non li volevano dove cercavano di andare. Che senso ha tutto questo?
Quelle onde del mare che hanno inghiottito decine di migranti hanno parlato un linguaggio di un mondo ferito. Non sono un caso di brutalità delle leggi della natura. La natura è ciò che l'abbiamo resa con il nostro egoismo: un mondo ostile ai nostri desideri senza limiti. La specie umana ha superato il suo limite, ogni limite. Il mondo è, a causa dell'uomo, un mondo di eccessi. Eccesso di consumi, eccesso di inquinanti, eccesso di produzione, eccesso di megalopoli, eccesso di cemento, eccesso di denaro, eccesso di avidità. Ma non solo, anche eccesso di uomini, che è la prima causa di tutti gli altri eccessi. Se gli uomini sono troppi, non possono che avere una natura contro. Un mondo con un numero minore di umani è, paradossalmente, un mondo più umano, più vicino alla natura, capace di ascoltare il suo linguaggio. Un mondo con meno uomini è un mondo che da più valore agli uomini. Un mondo con un minore egoismo della nostra specie è un mondo che non rifiuta ma vuole l'uomo.
Quelle onde del mare che hanno inghiottito decine di migranti hanno parlato un linguaggio di un mondo ferito. Non sono un caso di brutalità delle leggi della natura. La natura è ciò che l'abbiamo resa con il nostro egoismo: un mondo ostile ai nostri desideri senza limiti. La specie umana ha superato il suo limite, ogni limite. Il mondo è, a causa dell'uomo, un mondo di eccessi. Eccesso di consumi, eccesso di inquinanti, eccesso di produzione, eccesso di megalopoli, eccesso di cemento, eccesso di denaro, eccesso di avidità. Ma non solo, anche eccesso di uomini, che è la prima causa di tutti gli altri eccessi. Se gli uomini sono troppi, non possono che avere una natura contro. Un mondo con un numero minore di umani è, paradossalmente, un mondo più umano, più vicino alla natura, capace di ascoltare il suo linguaggio. Un mondo con meno uomini è un mondo che da più valore agli uomini. Un mondo con un minore egoismo della nostra specie è un mondo che non rifiuta ma vuole l'uomo.
lunedì 4 aprile 2011
I perché del fallimento di alcune politiche di denatalità
Le ultime proiezioni delle Nazioni Unite indicano che se la popolazione indiana continuerà a crescere al ritmo attuale raggiungerà i 2 miliardi di abitanti nel 2101.
Nel 1979, il tasso di fertilità in Cina era ufficialmente di 2,8 figli per donna, mentre in Kerala si arrivava a 3. Nel 2007, dopo 28 anni di politica coercitiva del Figlio Unico, il tasso cinese era sceso a 1,7, pari a quello registrato contemporaneamente in Kerala che, tuttavia, non ha trattato allo scopo i suoi abitanti come topi da laboratorio nè li ha vessati. Il successo dello Stato indiano meridionale è dovuto infatti semplicemente alla politica chiamata delle 3 E, Education, Employment, Equality, ovverosia Scolarizzazione, Impiego e Pari opportunità. In concreto, la politica keralita delle 3 E ha prodotto un alto grado di alfabetizzazione, guadagni regolari per le famiglie, donne molto più indipendenti e fiduciose nel loro futuro e di conseguenza un calo nella crescita demografica. Ma il resto dell'India, particolarmente il Nord, non ha imparato nulla dal Kerala, in linea con le inefficaci iniziative governative, secondo gli esperti. Il tasso di fertilità generale indiano è ancora di 2,78 figli per donna.
Jawaharlal Nehru vedeva l'abbondanza di popolazione addirittura come un punto a favore, per un Paese povero e non intraprese quindi nessuna misura per contrastarne la crescita. Poi vennero i giorni bui dell' Emergenza, durante la quale decine di migliaia di indiani poveri, spesso del tutto ignari, vennero attirati con piccole offerte di denaro o con taniche di olio vegetale in omaggio nei famigerati Campi di pianificazione familiare, dove venivano sterilizzati. Nel 1977 Indira Gandhi fu sconfitta e la Pianificazione Familiare venne ribattezzata Welfare familiare, il cui noto slogan Hum do, Hamare do - noi siamo due e i nostri (figli) sono due - apparve su ogni superficie disponibile in tutto il Paese, per esortare gli Indiani ad avere famiglie meno numerose.
Eppure le proiezioni delle Nazioni Unite parlano chiaro e, di conseguenza, è evidente che le politiche indiane per il controllo delle nascite sono state fino ad ora un fallimento. Cos'è andato storto?
Alcuni esperti puntano il dito proprio contro l'enfasi impiegata nel propagandare l'idea della sterilizzazione, a cominciare dagli Anni 60. " Si utilizzarono termini come Esplosione Demografica, coniati in Occidente, dove si guardava alla crescente popolazione di Cina e India come ad una minaccia politica certa, durante l'epoca della Guerra Fredda" commenta A R Nanda, direttore della Population Foundation of India, una ONG che si occupa di studi demografici. " La crescita demografica non può essere efficacemente controllata con metodi coercitivi, ma solo con la crescita economica, la scolarizzazione per tutti e lavoro per le donne".
E' un uomo informato: fu segretario nel ministero per la Sanità nel 2000, quando il governo produsse il primo Piano per la Popolazione a livello nazionale, noto come NPP che tuttavia per ora ha mancato i suoi obiettivi, riguardo alla questione natalità. Secondo Nanda, in precedenza il problema principale era stato la mancanza di un approccio olistico al problema. Il NPP incluse invece la pianificazione familiare in un più ampio programma sanitario, motivo per cui gli slogan volti al controllo delle nascite sono divenuti molto meno visibili negli ultimi 9 anni, in India, lasciando il passo ad esortazioni rivolte alla salute in un quadro più generale, che sta ottenendo un maggior successo relativo.
Venkatesh Srinivasan, rappresentante dello UN Population Fund in India, illustra un progetto portato avanti in Rajasthan, volto a far sì che le coppie distanzino maggiormente la nascita del secondo figlio da quella del primo. " Ci siamo concentrati principalmente sulla salute di madre e figlio e ora l'assunzione di anticoncezionali orali in Rajasthan è la più alta del Paese" spiega e specifica " Non sono le politiche governative ad essere genericamente fallimentari; quello a cui non si presta attenzione, ciò che è carente, è prima di tutto il tipo di comunicazione che si offre in proposito e, in secondo luogo, quand'anche la comunicazione corretta fosse stata offerta e recepita, poi non si verifica una conseguente e regolare somministrazione di anticoncezionali ad un adeguato numero di persone."
Davanti alla prospettiva di due miliardi di Indiani all'inizio del prossimo secolo, il governo attuale e quelli futuri faranno bene a prendere nota.
Liberamente tratto e tradotto da The Times of India
Nel 1979, il tasso di fertilità in Cina era ufficialmente di 2,8 figli per donna, mentre in Kerala si arrivava a 3. Nel 2007, dopo 28 anni di politica coercitiva del Figlio Unico, il tasso cinese era sceso a 1,7, pari a quello registrato contemporaneamente in Kerala che, tuttavia, non ha trattato allo scopo i suoi abitanti come topi da laboratorio nè li ha vessati. Il successo dello Stato indiano meridionale è dovuto infatti semplicemente alla politica chiamata delle 3 E, Education, Employment, Equality, ovverosia Scolarizzazione, Impiego e Pari opportunità. In concreto, la politica keralita delle 3 E ha prodotto un alto grado di alfabetizzazione, guadagni regolari per le famiglie, donne molto più indipendenti e fiduciose nel loro futuro e di conseguenza un calo nella crescita demografica. Ma il resto dell'India, particolarmente il Nord, non ha imparato nulla dal Kerala, in linea con le inefficaci iniziative governative, secondo gli esperti. Il tasso di fertilità generale indiano è ancora di 2,78 figli per donna.
Jawaharlal Nehru vedeva l'abbondanza di popolazione addirittura come un punto a favore, per un Paese povero e non intraprese quindi nessuna misura per contrastarne la crescita. Poi vennero i giorni bui dell' Emergenza, durante la quale decine di migliaia di indiani poveri, spesso del tutto ignari, vennero attirati con piccole offerte di denaro o con taniche di olio vegetale in omaggio nei famigerati Campi di pianificazione familiare, dove venivano sterilizzati. Nel 1977 Indira Gandhi fu sconfitta e la Pianificazione Familiare venne ribattezzata Welfare familiare, il cui noto slogan Hum do, Hamare do - noi siamo due e i nostri (figli) sono due - apparve su ogni superficie disponibile in tutto il Paese, per esortare gli Indiani ad avere famiglie meno numerose.
Eppure le proiezioni delle Nazioni Unite parlano chiaro e, di conseguenza, è evidente che le politiche indiane per il controllo delle nascite sono state fino ad ora un fallimento. Cos'è andato storto?
Alcuni esperti puntano il dito proprio contro l'enfasi impiegata nel propagandare l'idea della sterilizzazione, a cominciare dagli Anni 60. " Si utilizzarono termini come Esplosione Demografica, coniati in Occidente, dove si guardava alla crescente popolazione di Cina e India come ad una minaccia politica certa, durante l'epoca della Guerra Fredda" commenta A R Nanda, direttore della Population Foundation of India, una ONG che si occupa di studi demografici. " La crescita demografica non può essere efficacemente controllata con metodi coercitivi, ma solo con la crescita economica, la scolarizzazione per tutti e lavoro per le donne".
E' un uomo informato: fu segretario nel ministero per la Sanità nel 2000, quando il governo produsse il primo Piano per la Popolazione a livello nazionale, noto come NPP che tuttavia per ora ha mancato i suoi obiettivi, riguardo alla questione natalità. Secondo Nanda, in precedenza il problema principale era stato la mancanza di un approccio olistico al problema. Il NPP incluse invece la pianificazione familiare in un più ampio programma sanitario, motivo per cui gli slogan volti al controllo delle nascite sono divenuti molto meno visibili negli ultimi 9 anni, in India, lasciando il passo ad esortazioni rivolte alla salute in un quadro più generale, che sta ottenendo un maggior successo relativo.
Venkatesh Srinivasan, rappresentante dello UN Population Fund in India, illustra un progetto portato avanti in Rajasthan, volto a far sì che le coppie distanzino maggiormente la nascita del secondo figlio da quella del primo. " Ci siamo concentrati principalmente sulla salute di madre e figlio e ora l'assunzione di anticoncezionali orali in Rajasthan è la più alta del Paese" spiega e specifica " Non sono le politiche governative ad essere genericamente fallimentari; quello a cui non si presta attenzione, ciò che è carente, è prima di tutto il tipo di comunicazione che si offre in proposito e, in secondo luogo, quand'anche la comunicazione corretta fosse stata offerta e recepita, poi non si verifica una conseguente e regolare somministrazione di anticoncezionali ad un adeguato numero di persone."
Davanti alla prospettiva di due miliardi di Indiani all'inizio del prossimo secolo, il governo attuale e quelli futuri faranno bene a prendere nota.
Liberamente tratto e tradotto da The Times of India
mercoledì 30 marzo 2011
Epidemie, migrazioni, crisi economiche effetti della sovrappopolazione.
Le grandi migrazioni degli ultimi 50 anni, le grandi epidemie (spagnola, AIDS, ebola, e la recrudescenza Tbc e la possibile futura Sars), le crisi economiche globalizzate sono effetti dell'eccesso demografico della popolazione di umani combinato con gli effetti della tecnica moderna. L'eccesso di popolazione rispetto alle risorse del territorio è infatti la causa prima delle migrazioni. Queste in passato ci sono sempre state in relazione all'eccesso di crescita demografica. Quello che contraddistingue le migrazioni attuali rispetto a quelle del passato è che la migranza non è verso territori scarsamente popolati, quali quelle successive alla crisi dell'Impero romano che vedevano le popolazioni nord orientali in forte crescita invadere le praterie dell'Europa occidentale e meridionale. Oppure quelle del boom demografico della fine del XIX secolo e dei primi decenni del XX secolo in Europa che fecero sì che enormi masse migrassero verso le deserte praterie e le poco popolose città dell'America. Al contrario le migrazioni odierne avvengono verso paesi fortemente popolosi, con altissima densità demografica, verso città che già contengono milioni o decine di milioni di individui. Ciò le rende costosissime del punto di vista sociale e devastanti da quello ambientale. Inoltre le società sovrappopolate odierne che caratterizzano questo mondo, lo rendono ideale per le pandemie. Milioni di persone viaggiano di continuo, miliardi vivono in baraccopoli senza fogne, mangiando cibo contaminato da escrementi, bevendo acqua inquinata, e vivendo a stretto contatto con animali come polli, suini e ratti. L'Aids è nato dal combinato disposto di una forte crescita demografica, una stretta convivenza con gli animali, facilità di viaggi, degrado dei costumi. Siamo tutti esposti a mutazioni di virus che potrebbero creare, da un momento all'altro, pandemie catastrofiche. La natura risponde all'eccesso demografico con tentativi di riequilibrio in cui rientrano queste pandemie di nuovo tipo. Infine la globalizzazione connessa alle migrazioni, alla nuova cultura mondialista, alle crisi di disponibilità di risorse rispetto ai tassi demografici, alle nuove economie di scala dei grandi agglomerati urbani, determinano crisi economiche globali con inflazione, depressione monetaria, squilibrio tra produzione e mercato, bolle finanziarie con ripercussioni mondiali e aggravamento delle condizioni sociali.
mercoledì 23 marzo 2011
Immigrazione e nichilisti nostrani

I nostri nichilisti predicano l'accoglienza di decine di migliaia di immigrati in arrivo nel nostro paese, dimenticando (o meglio fingendo di dimenticare) quello che ciò comporta: la ulteriore cementificazione del territorio italiano. A differenza dei migranti che nel secolo scorso si recavano nelle Americhe, i migranti che arrivano da noi giungono in un territorio già ampiamente sovrappopolato ed edificato. Non c'è area regionale, provinciale o comunale che ormai sia esente da strade, superstrade, case, palazzi,case, casette, villini, tuguri, capannoni, magazzini, centri commerciali, ripetitori, fabbriche. Aspetto caratteristico dei nichilisti nostrani è che essi avversano i grandi progetti, le grandi opere, le trasformazioni ambientali basate su visioni alte e idee di ampio respiro. Ritengono, sulla base di premesse ideologiche vetero-marxiste o da cattolici pauperisti, che le grandi idee di cambiamento del paese presuppongono grandi imprese realizzatrici e quindi grandi capitali, grandi finanze. Ritenendo il capitalismo e il libero mercato equivalente alla speculazione finanziaria, ed essendo intrinsecamente nichilisti, il loro motto è: piccolo è bello ( a meno che non si tratti di cooperative). Risultato: il nostro paese è fatto solo di piccole e medie imprese, a parte la solita eccezione della Fiat, o da imprese di Stato. Le nostre imprese edilizie sono imprese familiari che hanno scopi strettamente speculativi (il nichilismo genera nichilismo). Le costruzioni in questo paese sono in maggioranza costruzioni fai da te, spesso artigianali e comunque fatte da piccole società che realizzano edifici scadenti, di bassa qualità architettonica, di bassa classe energetica, fatti di materiali rabberciati. Tra l'altro spesso si tratta di edifici costruiti contro la legge in violazione o "in deroga" a piani regolatori, quando esistono. Questa filosofia anticapitalista e d'accatto ha generato periferie degradate, senza servizi,senza un piano regolatore, che hanno spesso distrutto luoghi di rara bellezza. Basti pensare alla periferia romana, in particolare la zona est di Roma: una distesa di casupole ad uno o pochi piani, larghe e basse, mal costruite, prive di qualsiasi criterio funzionale oltre che estetico. Questo modo di utilizzare l'agro romano ha distrutto un ambiente unico al mondo per bellezza e ha fatto perdere l'occasione per uno sviluppo moderno della città basato su costruzioni, anche abitative, di ampio respiro, architettonicamente qualificate, con bassa dispersione di energia e bassi consumi, con un rapporto tra edifici e aree verdi che le rendesse vivibili e degne di Roma. L'arrivo di altre migliaia di immigrati in un paese che non possiede una classe politica ed imprenditoriale con una visione alta, dotata della capacità di pensare in larga scala e su ampi progetti, porterà ulteriore degrado alle nostre città, ulteriore cemento di bassa qualità, invivibile, antiestetico, fonte di ulteriore costo energetico e di inquinamento ambientale.
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