Nell’ultimo libro di Jurgen
Habermas “Tra Scienza e Fede”
(Laterza) il filosofo tedesco si chiede” Ma sono anche io un pezzo della
natura?” La risposta è SI, ed allora nasce la riflessione sul
rapporto fra libertà dell’uomo intesa sia in senso individuale che collettivo e
i limiti imposti dalla natura (risorse, paesaggio, ambiente ecc.). Habermas
parte da una impostazione neo-kantiana ma oggi sono evidenti i limiti della
stessa ragione che non riesce ad assicurare al mondo progresso e giustizia,
come si pensava alle origini del pensiero illuminista. Il ‘900 con le sue
guerre e con la caduta delle ideologie non ha distrutto solo le vite di tanti
giovani europei, ma anche le speranze e le stesse idee guida del pensiero
occidentale con la sua fede incondizionata nella ragione, nel progresso e nella
giustizia. Che resta dei grandi ideali delle Rivoluzioni di fine settecento e
del pensiero degli illuministi? Habermas fa una analisi spietata della società
contemporanea e denuncia la deriva minimalista della Scienza avviata ad un
naturalismo senza prospettive. Non meglio sta la cultura occidentale, che proprio nel momento in cui viene globalizzata, è
sempre più degradata e svuotata di valori, basata esclusivamente su un
consumismo senza limiti e portato alla esasperazione dai grandi poteri
finanziari. Di fronte al mondo contemporaneo la nozione normativa di una
società ideologicamente pluralistica perde di senso, e con essa la nozione
stessa di liberalismo, una nozione sempre più indeterminata e “polifonica”,
declinata secondo realtà diverse e a volte contrastanti. Le democrazie
occidentali, in crisi economica e ambientale, si rifugiano in politiche basate
su idee e formalismi (i cosiddetti diritti universali o particolari) che
rimangono periferici e succedanei rispetto alla forza del mercato e del
consumismo totalizzante. In questo contesto, in cui il liberalismo democratico
perde forza e si relativizza, irrompe l’11 settembre e ciò che esso significa
nello scenario storico successivo al crollo sovietico: nuovi conflitti
emergenti che vedono al centro movimenti religiosi, nazionalismi totalitari,
nuovi integralismi. I nuovi scenari vedono in campo fenomeni che la vecchia
politica internazionale non è più in grado di controllare: movimenti migratori
di massa, conflitti regionali di difficile gestione da parte delle potenze
rimaste, i nuovi nazionalismi, le rivolte popolari che sovvertono rapidamente
vecchi equilibri e spesso
basate su masse di giovani in paesi con alti tassi di natalità. Il fallimento
della gestione in senso democratico da parte di America ed Europa delle rivolte
giovanili nei paesi islamici e del nord Africa è un esempio lampante di come la
vecchia politica occidentale non riesce più a produrre effetti positivi per gli
interessi occidentali e della debolezza delle democrazie liberali. I problemi dell’instabilità
geo-politica non sono ancora quelli che pongono a rischio la sopravvivenza del
pianeta e della specie Homo. Habermas è cosciente che oggi, ed in futuro sempre
di più, la vera emergenza è quella ecologica e ambientale. Il mondo è ancora
preda di politiche consumistiche amorali, di integralismi religiosi, di scontri
nazionalistici, mentre una silenziosa cappa di anidride carbonica sta cominciando a dare i suoi effetti
con il surriscaldamento della biosfera, lo scioglimento dei poli,
l’innalzamento marino. Il mondo sembra guardare a meschini interessi locali,
mentre scure nebbie di smog cariche di veleni e particolato si diffondono su vaste
aree di Asia, Europa e America, in particolare intorno alle megalopoli. Il
prossimo esaurimento di risorse (come il petrolio) o della stessa acqua, la
desertificazione, la distruzione di foreste, tutto il problema ambientale
presuppongono una presa di coscienza , a cui la specie Homo è ancora in gran
parte estranea. Manca una cultura ecologica universalmente diffusa, proprio
mentre si diffondono ovunque modelli consumistici e di sfruttamento senza
limiti delle risorse ambientali. Crescono le megalopoli, crescono le
discariche, crescono le emissioni, avanza ovunque la cementificazione e la
deforestazione eppure le popolazioni di tante aree del pianeta sono
irresponsabili, ignorano il problema, pensano a nuovi integralismi, a politiche
nazionalistiche e di potenza, o a imitare il consumismo occidentale ponendosi
in concorrenza con l’occidente per l’accaparramento delle risorse. Nessuno
riesce a frenare i consumi di petrolio, gas e carbone, né a livello dei singoli
stati ne a livello degli organismi sovranazionali. Punto centrale di questo
problema è l’esplosione demografica di Homo, nell’ultimo secolo divenuta così devastante (oltre sette miliardi di umani mentre decine di migliaia di specie spariscono ogni anno) che le questioni connesse alla democrazia liberale,
all’economia, alla religione e al nazionalismo appaiono una follia senza senso di fronte ad una minaccia mortale. Qui ormai si tratta di salvare il pianeta.
Habermas cerca di proporre una
strategia di uscita e allo scopo ricorre alla visione universalistica di Kant
basata su una ragione etica che possa essere accettata da tutti i popoli. Le
questioni di fondo oggi si possono così riassumere: la ragione soggiace alla
natura, o se ne distacca? O se non vi soggiace la ragione è comunque implicata
con la natura? La nostra libertà è
trascendente e va oltre le leggi naturali, secondo una antinomia kantiana, o è condizionata dalla natura? Una
ragione esclusivamente umanistica, distaccata dalla natura (natura considerata
un semplice magazzino di risorse cui accedere per soddisfare i bisogni umani)
abbiamo visto a cosa ha portato: si è rivelata una strada sbagliata. Bisogna
uscire dall’antropocentrismo e riportare l’uomo ad un rapporto equilibrato con
la natura. L’uomo, dice Habermas, è una parte di natura, e vive perché con-vive
con essa, non il suo padrone. Il
filosofo propone organismi sovranazionali che impostino con maggiori poteri
politiche di controllo delle economie delle varie aree, che stabiliscano
priorità, ridistribuiscano risorse e benessere, assicurino equilibrio tra le
varie zone del pianeta, riportino in limiti sostenibili le varie criticità.
“L’esigenza di un’istituzione in cui non solo i funzionari governativi a ciò
delegati, in possesso di competenze specialistiche e provenienti dalle sezioni
specializzate di singoli comparti, ma anche i rappresentanti di governi
ampiamente competenti, o gruppi di ministri, si incontrano per vedere i
problemi nel loro contesto e poter decidere in maniera flessibile, si può intendere
come una implicita risposta rispetto alla difesa di un ordinamento mondiale disaggregato fatta in nome
del pluralismo giuridico. Anche i G8, G20 ecc. non sono sufficienti ed è
difficile che si sviluppi con tali mezzi una politica interna mondiale di lunga
durata capace di incidere, ad esempio, sui problemi ambientali. Fatta eccezione
per gli Stati Uniti e la Cina (forse anche per la Russia), gli odierni Stati
nazionali non sono adatti al ruolo di partner capaci di agire politicamente su
scala mondiale. Essi dovrebbero aggregarsi in ordini di grandezza continentali,
o addirittura mondiali, elaborando politiche sostenibili senza perciò dover
accettare sostanziali deficit di democrazia.”
Allo scopo nuove forme di legislazione
internazionale dovrebbero essere studiate ed introdotte che obblighino i
singoli stati, senza intaccare l’autonomia di scelte particolari salvando una
parte del pluralismo giuridico.
L’ottimismo di Habermas su questo
punto, che proviene direttamente dalla impostazione kantiana di una ragione
universale in grado di controllare tutti i processi storici, mi lascia
perplesso. Un esempio per tutti: quanto sono compatibili le idee di Kant basate
sulla ragione etica e la fede laica nel progresso con la sharia proclamata da
molte delle nuove “democrazie” islamiche?
<< L’uomo, dice Habermas, è una parte di natura, e vive perché con-vive con essa, non il suo padrone. Il filosofo propone organismi sovranazionali che impostino con maggiori poteri politiche di controllo delle economie delle varie aree, che stabiliscano priorità, ridistribuiscano risorse e benessere, assicurino equilibrio tra le varie zone del pianeta, riportino in limiti sostenibili le varie criticità. >>
RispondiEliminaCaro Agobit, l'affermazione di Habermas, di per sè, appare abbastanza logica e condivisibile.
Però, non so perchè, il pensiero di un governo mondiale mi porta più angoscia che speranza.
Non bisogna dimenticare che la struttura dei governi è figlia dei flussi energetici: un governo mondiale è ipotizzabile solo con una struttura energetica centralizzata, come quella attuale degli idrocarburi.
Nel futuro, ci aspetta invece, probabilmente, una griglia diffusa di energie rinnovabili locali e quindi, per conseguenza, tanti governi locali. I quali, ovviamente, dovranno poi trovare un modo per convivere in modo pacifico nei punti di contatto.
Ma questa è un'altra storia, ancora tutta da scrivere.
Caro Lumen, molto interessante la tua teoria dei flussi energetici. Anche io ritengo che l'energia sia la chiave per capire il presente e progettare il futuro. Come sai non sono però così ottimista sulle rinnovabili, a meno di straordinari progressi della ricerca. Staremo a vedere, nel frattempo ho postato un articolo sulle manovre speculative intorno al prezzo del petrolio e alcune delle ultime novità sul fronte energia.
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