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domenica 11 agosto 2013

LO STRANO AUMENTO DEL PREZZO DEL PETROLIO




Lo shale gas americano sta producendo effetti a catena, tra cui il crollo del prezzo del carbone, divenuto tanto conveniente che tutte le centrali alimentate con esso in Europa vanno funzionando al massimo. In Cina si assiste all’apertura quotidiana di nuove centrali, e il consumo di carbone cinese è salito alle stelle.  Le rinnovabili non sono ancora competitive e i costi sono proibitivi per una vera concorrenza con le fonti tradizionali. Scaroni, ad dell’Eni, recentemente volato a Boston per discutere al Mit lo stato della ricerca, conferma che finché non si migliorano i rendimenti e i sistemi di stoccaggio dell’energia per restituirla quando richiesta, le rinnovabili sono out e sopravvivono solo per i sussidi.
Sul fronte del petrolio ci si aspetterebbe un calo dei prezzi, come per il carbone.  L'immissione sui mercati dello shale gas americano, la diminuzione della richiesta, gli effetti della crisi porterebbero in teoria ad una riduzione dei prezzi. La previsione del  prossimo sfruttamento di giacimenti di petrolio attraverso la tecnica del fracking dovrebbe contribuire a tener bassi i prezzi:    paesi come Cina, Brasile, Russia e soprattutto gli Usa e Canada si preparano ad estrarre con questo metodo immensi giacimenti.  Il petrolio  ha invece sfondato i 110 dollari al barile, un aumento non giustificato dalla situazione oggettiva della produzione. Parlare di picco del petrolio in questa situazione è fuori luogo: non si tratta di riduzione dei giacimenti i quali, con le nuove tecnologie, rimangono assai superiori alla richiesta.   Ci sono varie spiegazioni per il mancato calo: riduzione degli stock, domanda solida e timore che gli eventi in Egitto limitino le forniture. Una quarta ragione la riporta Carsten Fritsch, analista di Commerzbank: “Ci sono molti investimenti speculativi sul petrolio”. Sul calo dei depositi non ci sono spiegazioni chiare: in teoria il calo dei consumi dovuto alla crisi e la minore richiesta degli Usa per le politiche di efficienza energetica e la maggiore disponibilità di shale gas avrebbe dovuto aumentare gli stock. Le raffinerie lavorano al 92 % della capacità, quindi la fornitura globale è ai massimi: come si spiegano allora quei 20 milioni di barili in meno, visto che gli Usa hanno drasticamente ridotto l’import dall’Arabia Saudita e né Cina né Europa hanno necessità?
Gli analisti del settore rilevano un dato: l’aumento dei noli delle navi cisterna, capaci di trasportare fino a 2 milioni di barili. Lo confermano due indicatori: il Baltic Dry Index salito del 14 %, e il Baltic Tanker Dirty Index (Bdiy) dedicato proprio alle petroliere, che oscilla in area 612 punti. Un altro dato è l’aumento delle scommesse al rialzo del prezzo del petrolio nei mercati finanziari, in un periodo di minore richiesta e in cui l’instabilità politica non sembra mostrare accelerazioni impreviste. Dove è finito il petrolio in eccesso, tale da provocare scarsità di offerta?
Secondo alcuni analisti potrebbe essere sulle navi cisterna, messo a riposo per garantire un aumento artificiale del prezzo. Poi, con i future, come i dati Usa hanno confermato, lo si rimette sul mercato a prezzi più alti. Non sarebbe la prima volta che i grandi player usano stratagemmi simili. Nel 2008 Koch Industries, conglomerato Usa specializzato in trasporto, raffinazione e distribuzione di petrolio, diede vita alla “contango speculation”: comprò greggio quando costava poco e lo stipò in container a terra e sulle navi nei porti in attesa che salisse il prezzo. Nel dicembre 2008, Koch affittò quattro superpetroliere, stoccò greggio al largo del Golfo del Messico e attese l’aumento dei prezzi, avvenuto nei mesi successivi.
In un mondo dove si fanno queste speculazioni, in presenza tra l’altro di una situazione ambientale di alto rischio (cosa avverrebbe se ad una di queste superpetroliere capitasse un incidente?), nessuno prende provvedimenti, non c’è difesa per i consumatori e per i paesi energeticamente deboli che dipendono dal petrolio, e gli unici a fare e disfare il mercato sono i grandi interessi finanziari.
Per questo Scaroni, in una recente intervista rilasciata a Repubblica, auspica la diversificazione delle fonti come difesa dagli interessi speculativi. L’Eni importa gas dalla Russia ma cresce l’importazione anche da Azerbaijan e Cipro. Per il petrolio ci sono gli interessi su nuovi pozzi in Africa. l’Italia si prepara a sfruttare, tramite l’Eni, il giacimento scoperto in Mozambico che sembra avere grosse riserve e bassi costi di produzione. In Italia il fracking non sembra avere futuro, visto l’alto inquinamento ambientale che comporta. Cresce anche in Italia l’interesse per centrali a carbone pulite di ultima generazione (prevedono l’immissione nel sottosuolo della CO2 e il filtraggio del particolato). Ma Scaroni non esclude anche la necessità della riapertura del discorso sul nucleare: “La Germania ha detto che lo abbandonerà nel 2020: quando lanci la palla così avanti puoi sempre cambiare idea”.  Anche l’Europa si muove sul fronte del nucleare, basta leggere la seguente notizia riportata di recente dal Corriere della Sera:
Attuare i più rigorosi standard di sicurezza: è l’obiettivo dell’UE sul nucleare, annunciato dal commissario per l’Energia Guenther Oettinger, dopo le indiscrezioni di stampa circolate nei giorni scorsi su possibili aiuti di stato per la costruzione di nuove centrali.
La notizia era stata diffusa dal quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung che, venuto in possesso della bozza di una normativa del Commissario alla Concorrenza, Joaquin Almunia, ha parlato di futuri contributi nazionali per l’estensione degli obiettivi UE sul nucleare. Secondo il quotidiano tedesco, i piani per il nucleare contenuti nella bozza di Almunia, dovrebbero essere presentati nella primavera del 2014.”


(Fonti: articoli da Milano Finanza, Corriere della Serra, Repubblica, siti web specializzati)


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