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martedì 20 novembre 2012

L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE: PERCHE’ NON E’ UN MALE



 E’ consuetudine sentire da parte dei pro-natalisti  forti preoccupazioni per una società sempre più composta da anziani e con pochi giovani. Costoro, in genere di area cattolica o ideologica (di destra e di sinistra), paventano che la scarsa natalità porterà ad una società stagnante, con molti pensionati, pochi giovani, poca creatività e poca voglia di migliorare. Si tratta di preoccupazioni immotivate sia dal punto di vista antropologico che socio-economico. L’antropologa Rachel Caspari , professore alla  Central Michigan University, in un suo articolo pubblicato su Le Scienze ci dice invece tutto il contrario: gli anziani hanno svolto un ruolo centrale per la supremazia della nostra specie ed hanno influito in maniera essenziale e positiva  sulla cultura dell’uomo moderno. In epoche arcaiche i nonni erano una rarità:
“le ricerche da noi condotte indicano che gli individui in età tale da diventare nonni divennero comuni solo in un periodo relativamente recente della preistoria umana, e che questa novità si affermò più o meno nello stesso momento in cui un grande cambiamento culturale ci ha portato  verso comportamenti distintamente moderni, tra cui la dipendenza da una comunicazione basata sui simboli, indispensabile per l’arte e il linguaggio. Queste scoperte suggeriscono che vivere fino ad una età avanzata ha avuto profondi effetti sulla dimensione delle popolazioni, sulle interazioni sociali e sulla genetica dei primi gruppi umani moderni, e potrebbe spiegare anche come i Sapiens abbiano vinto la competizione con gruppi umani arcaici come i Neanderthal”.
 L’antropologa prosegue illustrando i suoi studi su alcune popolazioni Neanderthal vissute tra i 130.000 e i 600.000 anni fa, da cui si deduce che gli individui di quella specie non superavano in media  i 30-35 anni. Per parafrasare le parole del filosofo Thomas Hobbes, la vita preistorica era misera, brutale e breve. La studiosa e i suoi collaboratori sono passati a studiare comparativamente popolazioni di australopitechi, di membri del genere Homo vissuti 50.000 anni fa, poi i Neanderthal vissuti fino a 30.000 anni fa e infine i Sapiens che vissero tra 35.000 e 20.000 anni fa.
Benché ci aspettassimo ritrovare un aumento di longevità nel tempo, non eravamo preparati a risultati spettacolari come quelli che abbiamo ottenuto. La differenza fra i primi Homo e gli umani moderni del Paleolitico superiore ha rivelato un drastico aumento di 5 volte nel rapporto OY (Old/Young rapporto fra adulti anziani e giovani adulti). La sopravvivenza in età adulta è aumentata nettamente solo molto tardi nel corso dell’evoluzione umana. I nonni forniscono abitualmente risorse economiche e sociali ai loro discendenti e rafforzano anche complesse connessioni sociali contribuendo alla costruzione di una complessa organizzazione sociale umana. Gli anziani trasmettono anche altri tipi di informazioni culturali, da quelle sull’ambiente (quali specie di piante sono velenose, dove trovare l’acqua in tempi di siccità e così via) a quelle tecnologiche (come intrecciare un cesto o costruire un coltello di ossidiana).”
 Studi condotti da Pontus Strimling dell’Università di Stoccolma hanno dimostrato che la ripetizione è un fattore di importanza cruciale nella trasmissione di regole e tradizioni in una cultura. Le famiglie multigenerazionali hanno più membri che si occupano di inculcare  nei giovani le nozioni più importanti. In questo modo  è presumibile,  la longevità ha stimolato l’accumulo e il trasferimento intergenerazionale di informazioni, incoraggiando la formazione di quegli intricati rapporti di parentela e delle altre reti sociali che ci permettono di aiutare e di essere aiutati quando i tempi si fanno duri.  Secondo Adam Powell (University College di Londra) e molti altri ricercatori, l’ampliamento delle popolazioni dovuto alla presenza di folti gruppi di anziani, promosse lo sviluppo di grandi reti commerciali, di sistemi complessi di cooperazione e dell’espressione materiale dell’identità individuale e di gruppo. In questa prospettiva, i fattori che più caratterizzano il Paleolitico superiore, per esempio l’esplosione dell’uso di simboli o l’inserimento di materiali esotici nella manifattura di strumenti, potrebbero essere stati la conseguenza dell’accrescimento del’età media delle popolazioni. La presenza di anziani sembra inoltre aver favorito a livello genetico sia il presentarsi di mutazioni sia la diffusione di mutazioni vantaggiose attraverso le popolazioni, via via che i loro membri si riproducono. Sono state descritte diverse varianti genetiche –ad esempio quelle che determinano la tolleranza al latte vaccino- che sono apparse e si sono diffuse rapidamente nell’arco degli ultimi 10.000 anni grazie al numero sempre più grande di individui fertili di età superiore alla media. Apparsa inizialmente come sottoprodotto di qualche cambiamento culturale, la longevità è divenuta un prerequisito per il comportamento unico e complesso che contraddistingue la modernità. Queste innovazioni, a loro volta, hanno  promosso la sopravvivenza e l’importanza degli adulti anziani, portando a quella tipologia di popolazione che ha podotto effetti culturali e genetici così profondi sui nostri predecessori. Che, diventando più vecchi, divennero davvero più saggi.  (Molte delle notizie sopra riportate sono tratte da un articolo di Le Scienze, ottobre 2011, pag. 69).
L’articolo dell’antropologa Rachel Caspari smentisce le tesi dei pro-natalisti che lamentano il danno sociale ed economico dovuto alle culle vuote. Oggi possiamo vedere che le culle piene non portano i benefici che i natalisti sognano. Tutti i paesi arretrati e con economie di sussistenza hanno alti tassi di natalità. Dove c’è benessere la popolazione è stabile o tende alla lenta riduzione (al netto dei fenomeni immigratori). L’espansione degli anziani, lungi dal determinare effetti negativi, porta ad una maggiore stabilità sociale, ad una protezione delle giovani generazioni, al mantenimento delle proprie tradizioni, allo sviluppo culturale e persino ad una maggiore creatività sia dal punto di vista sociale, scientifico ed artistico. La combinazione tra esperienza, cultura e stabilità sociale fa sviluppare l’intera società. Inoltre le società con forte prevalenza dei giovani sono aggressive, in preda al fanatismo e poco prudenti; molte delle guerre che si sono combattute nei secoli scorsi sono avvenute in società con le culle piene. Le società con molti anziani sono in genere società pacifiche e prudenti, con poca presa del fanatismo politico o religioso. Con un buon uso della tecnologia le società con alte percentuali di anziani possono offrire una vita migliore e una gestione più oculata delle risorse.



4 commenti:

  1. Ma più anziani in giro vuol dire più malattie croniche da gestire e gente non autosufficiente da curare. Vecchi che curano vecchi? La transizione non sarà semplice ...

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  2. Ovviamente dopo "curare" ci dovrebbe essere un punto interrogativo ...

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  3. Dipende dalla velocità della transizione. Tutti noi siamo per un "rientro dolce" spalmato per decine e decine di anni. I modelli non mancano, a partire da molti paesi europei. Ma forse il modello migliore è proprio la Cina: dal 1979 , con l'introduzione della legge del "figlio unico", la Cina ha determinato una curva di popolazione di tipo "occidentale" che ha portato a circa 500 milioni di cinesi in meno, rispetto alla popolazione prevista con le curve di crescita precedenti, in poco più di trent'anni. La demografia cinese è passata dalla forte crescita alla stabilità in pochi decenni. La cosa ha determinato disastri sociali? L'abbandono degli anziani? NO. Ha invece determinato il più clamoroso boom economico degli ultimi secoli, ha portato la Cina al primo posto per percentuale di crescita del PIL, ha migliorato la situazione economica e sociale di tutti, ha determinato una migliore organizzazione sanitaria e una migliorata assistenza agli anziani. Gli anziani Cinesi, nonostante la stabilità demografica, sono assai meglio accuditi oggi che trent'anni fa.

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  4. Caro Agobit, sono d'accordo con il tuo eccellente post.
    E' ora di finirla con questa storia del declino demografico da invecchiamento.
    L'unica cosa che le società vecchie non sanno fare bene, sono le guerre. E meno male !

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