Brand è un simpatico 72enne, dal passato da militare paracadutista, che maneggia la tecnologia come un ragazzino. Nessun problema a destreggiarsi tra Mac, cavi o connessioni varie. Non è una persona qualunque: è uno che ha teorizzato l’importanza di una rete di computer mondiali quando internet era ancora solo un progetto militare, sconosciuto ai più. In molti riconoscono infatti come il precursore del World Wide Web proprio la sua idea del “The Whole Earth Catalog”: pubblicazione nata per promuovere prodotti che potessero aiutare le persone a trovare una guida al proprio ambiente di vita, condividendo infine la propria esperienza. Un uomo che guarda avanti, quindi, interpellato anche da Hollywood quando serve un parere su film futuristici come Minority Report.
Stewart Brand è pragmatico e si limita a fotografare la realtà. Nel proprio discorso pone l’attenzione su cosa accade. Oggi la popolazione mondiale è di 7 miliardi, di cui 1,1 nei miliardi paesi civilizzati. Nel 2012 più del 50% della popolazione vivrà nei centri urbani e ci si aspetta che la cifra salga al 61% nel 2030, tenendo presente che era al 3% nel 1800. Questo significa che i villaggi si stanno svuotando o scadendo a dormitorio, mentre cresceranno le periferie degradate delle città, quelle che comunemente chiamiamo favelas o bidonville.
In ogni caso, la domanda di energia elettrica sarà sempre più elevata. Non c'è da farsi illusioni: anche in presenza di stili di vita con risparmio energetico e strategie di contenimento, di fatto la richiesta di energia crescerà, in quanto la popolazione cresce e crescono le tecnologie anche nei paesi arretrati. Vediamo allora da dove si ricava ora. A livello mondiale il 66% circa dell’elettricità è prodotta da combustibili fossili, il 16% da impianti idroelettrici ed il 15% dal nucleare, il 3% da fonti rinnovabili.
Una delle fonti più pulite sembrerebbe l’energia solare. Chiaramente è necessario decidere dove installare i pannelli. Ebbene, si potrebbe immaginare di posizionarli nel deserto. Il deserto però non è una distesa sabbiosa come tanti immaginano, è piuttosto un microcosmo di organismi viventi, con flora e fauna uniche, in grado di resistere a climi estremi. Ebbene, è necessario usare quasi 130 km quadrati di suolo per produrre 1 GW (50 sq.miles). Parlando di superfici, i dati dell’eolico sono ancora più pesanti: quasi 650 km quadrati per 1 GW (250 sq.miles). Cifre che fanno riflettere, soprattutto pensando ai dati sull’aumento di popolazione appena visti. Difficile pensare come sia possibile usare solare ed eolico per supplire ai bisogni mondiali, tra l’altro senza aver toccato l’aspetto del dove posizionare gli impianti: come ben sappiamo in Italia basta ben poco per far nascere un “comitato del no”. Inoltre l'energia prodotta da fotovoltaico ed eolico è variabile, discontinua, difficile da stoccare. Richiede forti investimenti per elettrodotti dedicati e strutture di stocking che prevedono megaimpianti come bacini idrici, sistemi di pompaggio e condotte con modificazione del paesaggio, consumo di suolo e forte impatto ambientale.
Una delle fonti fossili per la produzione di energia è il carbone. Ma quanto ne serve? Per avere un’idea un giorno di funzionamento di una centrale da 1GW necessita di 80 vagoni di carbone, dove un vagone può trasportare 100 tonnellate. In questo caso la centrale ogni giorno genererà 19000 tonnellate di CO2, senza contare scarti vari e polveri. Arriviamo quindi al paradosso che il più grande disastro nucleare mai avvenuto, Chernobyl, non sia stato così distruttivo come l’inquinamento che produciamo giornalmente.
Cosa fare delle scorie nucleari? Qui Stewart Brand gioca in casa, citando le 121 discariche nucleari degli Stati Uniti, ricavate anche da ex installazioni militari. E gli altri? Brand porta una serie di esempi di nuove centrali, con una in particolare che brucia essa stessa le scorie, oppure un’altra che non produce CO2 (per chi volesse approfondire l’argomento, uno dei modelli di centrale citata è la AP1000 di Westignhouse). Con la prospettiva che la fusione nucleare si avvicini sempre più.
La questione è chiara: Brand considera il nucleare come il minore dei mali. Se il problema numero uno è il clima, non si può che pensare all’energia nucleare. Forse non sarà la soluzione definitiva ma potrebbe essere l’unica per garantire energia a tutti, con un impatto ambientale minore rispetto alle altre tecnologie.
Brand conclude il proprio discorso con una considerazione. Si dice che gli ambientalisti degli anni ‘60 “amavano gli alberi”, quelli di oggi “amano gli alberi, ma ma anche il genoma”. Questo significa che bisogna essere meno romantici e più scientifici, e pensare che la scienza è sempre in evoluzione. Guardare 15 anni in avanti, e pensare come sarà il nostro mondo allora.
Non capita tutti i giorni che l’autore del Whole
Earth Catalog (definito da Steve Jobs un world wide web ante
litteram) sia a disposizione per parlare delle sue idee, non sempre
allineate con il resto dei pensatori della sua generazione. Mettiamola così:
Brand è un ecologista, ci tiene a definirsi ancora così. Ed è così che lo
presenta Luca De Biase, durante la presentazione
dell’ultimo libro dell’autore americano, Una cura per la terra (Codice Edizioni).
Però è un ecologista della prima ora,
di quelli che la questione l’hanno studiata bene, laureandocisi a Stanford
addirittura. E, soprattutto, è un autentico americano, uno di quelli che non
possono fare a meno di guardare al lato pratico di ogni situazione. Il che si
traduce in maniera molto sintetica in un: si può cambiare idea, anzi si deve,
quando i tempi cambiano. Brand va dritto al punto, e partendo da quello che fu
un articolo rivoluzionario, Environmental Heresies, pubblicato nel 2005
sulla rivista del MIT Technologies Review, prova a ribaltare quelli che sono i
convincimenti più radicati (e più refrattari al cambiamento) nel mondo
ambientalista. Tre sono i punti chiave che il pioniere Brand prende in
considerazione per un futuro migliore, puntando il dito contro l’ideologia che
secondo lui guida gli ambientalisti di vecchia generazione. Iniziamo da uno dei
più controversi.
IL NUCLEARE E' NECESSARIO
Non importa cosa pensava negli anni
’70, quando avrebbe sicuramente detto no al nucleare. Brand negli ultimi
vent’anni ha visitato alcuni dei luoghi in cui vengono depositate le scorie,
uno degli argomenti più forti degli ambientalisti contro l’uso di questa fonte
di energia. E si è convinto che tutto quello che ci è stato raccontato parte da
presupposti sbagliati. Afferma: “Di solito gli ambientalisti agitano lo
spauracchio di un futuro insostenibile. E dicono: «Dovete garantire che tutta
la radioattività emessa dai rifiuti resterà completamente isolata per 10 000
anni (o perfino un milione) e se non ne siete in grado non potete utilizzare
questa fonte di energia.» Perché? «Perché la radioattività, anche in
quantità ridotta, nuoce agli esseri umani e alle altre forme di vita. Potrebbe
contaminare le acque sotterranee.» E nessuno di loro prende in considerazione
il fatto che tra centinaia di anni gli essere umani, se l’evoluzione procede
come ha fatto finora, saranno sicuramente molto più capaci di quanto lo siano
ora di risolvere un’eventuale fuoriuscita di radioattività, peraltro facilmente
rilevabile ed eliminabile.” Per chi ha ancora timori sulla sicurezza e pensa a
ciò che successe a Chernobyl nel 1986, Brand consiglia la lettura di alcuni
rapporti su greenfacts.org che, a
più di vent'anni di distanza, fanno una valutazione oggettiva e dettagliata
dell'incidente.
Ma soprattutto, prosegue
Brand, perché ci ostiniamo a ignorare che il vero problema, per la
sopravvivenza della terra, sono le emissioni di Co2? Il nucleare, ben
gestito come già avviene in America, Giappone, Francia, non solo permette al
paese che ne fa utilizzo un risparmio energetico enorme, ma anche di ridurre le
emissioni dovute all’utilizzo di combustibile fossile che sono il vero cancro
del pianeta. Il nucleare è pulito, è verde, è poco ingombrante. Una centrale
che produce 1 miliardo di Watt con combustibile fossile emette tantissime
scorie. Se la stessa energia è prodotta col nucleare le scorie sono contenute
in due barili facilmente conservabili. Se il nostro obiettivo è quello di
combattere il global warming, l’energia nucleare va assolutamente presa in
considerazione in quel mix di energie a bassa emissione da utilizzare in
futuro. “L’Italia dovrebbe accelerare il discorso sul nucleare, è
assurdo che abbiate questa dipendenza energetica (e dunque economica) dalla
Francia. Soprattutto le giovani generazioni e gli scienziati più in
gamba, quelli più aggiornati come James Hansen, sanno bene che
questa è la direzione giusta. Senza dimenticare che la ricerca va avanti, e che
in India stanno già sperimentando un nuovo reattore nucleare che usa il torio invece
che l’uranio. Il che vuol dire il triplo di giacimenti, più difficoltà a
trasformare l’energia in un’arma pericolosa, più sicurezza.”
OGM, CIBO DEL FUTURO
“Guardatemi”, dice Brand. “Sono un
consumatore di cibo Ogm da ben 14 anni e sto piuttosto bene. So bene che in
Europa siete più scettici, ma questo è il secolo delle biotecnologie, non si
può far finta di niente.” Secondo lui pensare che l’agricoltura possa andare
avanti senza ricorrere al biotech significa non solo non credere in un futuro
migliore, ma proprio fare un passo indietro. Gli Ogm ci permettono di ridurre
gli spazi da coltivare per produrre la stessa quantità di prodotto, grazie alla
cosiddetta Sod seeding. E di ridurre i rischi di
tossicità per via dell’uso di insetticidi. Ma non solo. Grazie agli
Ogm e alla ricerca, potremo avere prodotti sempre più buoni e sempre più sani. “Più di metà della
popolazione mondiale (India, Cina e Filippine) hanno alla base della loro
alimentazione il riso. Spesso la conseguenza è un grosso deficit di vitamina A,
con problemi alla vista soprattutto per i bambini. Un gruppo di ricercatori
svizzeri ha ovviato a questo problema brevettando il Golden
Rice, riso geneticamente modificato perché arricchito di
beta-carotene. Pensiamo poi alle popolazioni africane, che si nutrono
principalmente di sorgo e kasava, alimenti a base di amido con quasi zero
proprietà nutritive. Arricchendo questi prodotti con minerali, vitamine e
proteine, molti problemi dovuti a un’alimentazione troppo povera potrebbero
essere risolti.”
Un esempio che dovrebbe convincerci a
pensarci su è molto vicino a casa nostra. Il Parmigiano Reggiano,
simbolo della produzione local, viene in realtà fatto con il latte di mucche
che si nutrono con soya Ogm proveniente da Brasile e Argentina. Eppure lo
consideriamo un prodotto altamente genuino. “E questo succede perché è ormai
impossibile fare a meno del biotech. Un giorno, molto presto, lo capiremo
tutti, e saremo in grado di coltivare Ogm nell’orto di casa nostra. E sarà un
gran progresso.” Gli si obietta che gli Ogm possono gravemente attentare alla
biodiversità, riducendo pericolosamente le specie esistenti in natura a causa
di un mancato utilizzo o una mancata coltivazione. Ma non è affatto d’accordo.
E proprio per spiegare perché passa all’ultimo punto della discussione.
CITTA’ PIU’ POPOLATE? SI’,
GRAZIE.
Cinque contadini su sei abbandonano i
campi per trasferirsi in città. E secondo Brand questo è un gran vantaggio per
tutti. “Perché l’agricoltura è quanto meno ecologico ci sia. Soprattutto
l’agricoltura di sussistenza, che è una trappola di povertà. Grazie agli Ogm si
ridurranno gli spazi da dover coltivare, e allora trasferirsi in città per
molti sarà la scelta più opportuna. Con gran vantaggio per la biodiversità.” Perché, come
spiega subito dopo, non sono gli Ogm i veri nemici della biodiversità, quanto i
contadini che sfruttando i terreni, scegliendo arbitrariamente quali
coltivazioni privilegiare e quali no, fanno un vero e proprio danno a
determinate specie. Senza contare che la coltivazione tradizionale, quella che
prevede l’aratura del terreno, emette Co2 in grandissima quantità. Le
megalopoli non sono questi mostri che gli ambientalisti descrivono. Anzi “gli
agglomerati urbani devono essere intesi come un fattore di sviluppo e
un'occasione per risparmiare energia, perché le città sono officine di
innovazione, centri di creazione della ricchezza, luoghi dove si risolvono
problemi.”
(Da www.mag.wired.it/)
INTERVISTA A STEWART BRAND PUBBLICATA SU WIRED (dicembre 2010):
Dopo polemiche, dubbi e
scettiscismi, siamo arrivati alla condivisione di una verità comune sul
riscaldamento globale? Il modo in cui viene raccontato è corretto?
La spiegazione pubblica generale –
quella dell’IPCC – è accurata. Rimane molta incertezza per gli aspetti
scientifici: può svilupparsi più lentamente o più velocemente di quello che ci
aspettiamo. Ma niente può far pensare che il riscaldamento globale non ci sarà.
Sarebbe una notizia stupenda se si avviasse qualche meccanismo di
compensazione, ma ogni anno che passa, coi dati che abbiamo, il processo sembra
sempre più inevitabile.
Nel libro parla spesso degli
“ambientalisti” come se lei non fosse uno di questi…
No, lo sono da
quando avevo dieci anni e adesso più che mai. Ma credo che dobbiamo pensare
alla conversazione dell’ambiente in un modo diverso dal passato.
Secondo lei c’è ancora un
futuro politico per i movimenti Verdi?
Non lo so proprio. Secondo me I Verdi
avranno delle chance nei prossimi anni se appoggeranno l’energia nucleare, i
raccolti transgenici e la bioingegneria come mezzi fondamentali per ottenere
dei risultati Verdi.
In Germania e Francia hanno
saputo reinventarsi, in Italia no. Negli Stati Uniti?
Magari l’Italia
saprà reinventare il movimento Verde in un modo più appropriato a questo secolo
e ai suoi problemi. I Verdi americani vanno bene, e mi rallegro che siano più
disponibili a discutere di temi come il nucleare e I raccolti transgenici.
Mi spiega la sua divisione in
tre categorie di ambientalisti?
I Romantici, che trattano I problemi come
tragedie incurabili. Gli Scienziati che cercano di capire cosa siano
esattamente I problemi. Gli ingegneri, che li risolvono. Io penso che gli
ambientalisti debbano mantenere le loro emozioni per la natura, ma anche
aderire completamente agli approcci di scienza e ingegneria per ottenere
soluzioni concrete.
Sembra me e mia moglie: dice
che ce la possiamo cavare?
Certo: informatevi sui siti scientifici e leggete le
riviste come Science, Nature e New Scientist.
Lei è un grande ammiratore
delle città e del modo in cui migliorano le vite delle persone: ma non trascura
tutti i consueti lati negativi delle realtà urbane? Povertà, stress da lavoro,
relazioni limitate, inquinamento…
… e il crimine organizzato, il lavoro
infantile, le malattie (comprese le epidemie). Nessun paese incoraggia
l’urbanizzazione, e alcuni la scoraggiano: eppure ogni settimana un milione e
duecentomila persone si trasferiscono in città in cerca di opportunità e lo
hanno fatto per decenni. Tutti volontariamente. Immagino che sappiano quello
che fanno.
Beh, questo potrebbe valere
per qualunque scelta. Facciamo molte cose in molti, sbagliando.
Ok, I loro figli
ritornano in campagna? No. I loro cugini rimangono in campagna? Per lo più no.
Questo mi fa pensare che le loro esperienze urbane siano soddisfacenti.
Perché dice che le donne
hanno un ruolo peculiare nella crescita dell’urbanizzazione?
Perché ne sono un traino. In città le
donne possono trovare un lavoro, ottenere un’educazione e liberarsi di un
cattivo marito. Migliore assistenza medica e migliori scuole per I loro figli.
Ogni donna che lotta per questo migliora la sua situazione e le città stesse.
Parla bene persino delle
baraccopoli e del modo in cui aiutano le comunità…
Le città generano
ricchezza. Anche nelle baraccopoli, si dà il caso. Le terribili condizioni in
cui vi si vive migliorano col tempo quando le persone gradualmente diminuiscono
il loro grado di povertà e I governi si fanno carico di fornire le
infastrutture di base: acqua, elettricità, fognature.
Davvero? Non tutti la pensano
così.
Gli
esperti di cui mi fido io dicono che le baraccopoli uccidono molta gente, ma ne
guariscono di più di quanta ne uccidano. Guariscono la miseria.
A cosa si riferisce quando
parla di un ritorno alla “vita naturale”?
Lo scrivo nel capitolo “Il
giardinaggio è tutto” del libro. Ormai non esiste un solo posto sulla Terra
esente dalle attività umane, spesso dannose. Ma per sopravvivere dipendiamo da
sistemi naturali intatti: quelli che chiamo “infrastrutture naturali”, oceani
salubri, clima stabile, fiumi che scorrono puliti fino al mare, ricca
biodiversità, eccetera. Ci siamo presi il ruolo di badanti della Terra.
Possiamo farlo bene o male, ma non abbiamo più scelta se farlo o no. Farlo bene
è quello che chiamo “giardinaggio”.
In un capitolo spiega di
essersi convinto che chiunque sia preparato sul nucleare è favorevole al
nucleare: ma quindi tutti gli argomenti contro sono infondati?
Sono rimasto impressionato da quanto
siano esagerate molte delle accuse contro il nucleare. Le radiazioni sono molto
meno pericolose di quanto mi era stato spiegato. L’eliminazione delle scorie è
facile e normale, gli Stati Uniti l’hanno fatto nel New Mexico per più di un decennio
senza problemi.
L’energia nucleare è certamente più costosa del carbone o del
gas naturale, ma anche l’eolico e il solare lo sono, e alla lunga costano più
del nucleare. Gli stati devono tassare I combustibili – carbone, gas, petrolio
– oppure siamo cotti.
Perché ha cambiato idea sul
nucleare?
Appena ho cominciato a occuparmi seriamente del cambiamento
climatico, mi sono dovuto occupare seriamente del nucleare. Appena ho studiato
le cose attentamente, ho cambiato opinione. È successo a molte persone.
Come mai sul nucleare la
destra è più aperta della sinistra?
La destra disprezza le persone di
sinistra e i loro amici ecologisti, quindi appoggia quel che la sinistra
contesta, il nucleare. Altri semplicemente sono aperti agli argomenti razionali
a favore del nucleare.
Da dove viene tutta la sua
fiducia nel progresso tecnologico e scientifico? Non ci sono rischi nel
nucleare, non ci sono rischi nell’ingegneria genetica, non ci sono rischi nella
geoingegneria?
La scienza aiuta a capire qual è il
livello di rischio, e la tecnologia permette di orientarlo nella direzione
migliore. Non esiste niente che non presenti rischi. Ma ora il rischio maggiore
viene dal non fare niente, e aspettare che il cambiamento climatico ci
travolga.
La geoingegneria è rischiosa, certo. Infatti dobbiamo fare
sperimentazioni su larga scala sulle diverse tecniche, in modo da sapere che
diavolo stiamo facendo se decidiamo di usarle.
Come mai le molte soluzioni
per la terra che propone non vengono sviluppate?
Molte lo sono. La
biotecnologia si sta sviluppando rapidamente. C’è un ritorno del nucleare. Gli
ambienti naturali vengono protetti e ricostruiti. Le città crescono e diventano
più umane. Lo sfruttamento delle fonti energetiche incoraggia il risparmio e
l’efficienza. La cosa più importante che non abbiamo ancora fatto è tassare il
carbone.
Cos’è che la rende così
ottimista, in un tempo di pessimismi, catastrofismi e allarmi permanenti?
Ho assistito da
vicino a molti successi tecnologici rapidi e benigni: I computer, il Web, I
telefoni cellulari, I videogiochi, e la biologia. Sono esperienze che
incoraggiano l’ottimismo.
Una delle sue obiezioni alle
paure del nucleare – che gli uomini si adatteranno e troveranno nuovi modi per
sfuggire ai pericoli attuali – si può usare anche rispetto al riscaldamento
globale?
Penso che possiamo adattarci a un
aumento delle temperature che non superi i due gradi. Con cambiamenti più
improvvisi e forti, è molto più improbabile. (Da Wired )
Stewart Brand non è un ideologo, non ha la mente a senso unico, che ragiona secondo schemi prefissati (da altri). Odia la demagogia del politically correct e va al fondo dei problemi. Ha la fortuna di avere una impostazione di pensiero pragmatica, un tipo di pensiero a cui in Europa, terra delle ideologie, non siamo abituati. Considera ridicolo e tragico rifiutare una tecnologia ad emissione zero di gas serra e affidarsi, in pratica, a petrolio, gas e carbone , mentre il pianeta sta morendo soffocato dalle emissioni di CO2. Considera ridicolo e tragico tapparsi occhi ed orecchie sulla ricerca nucleare, sulle centrali a fusione -che sono sempre più vicine grazie alla ricerca in atto- , e puntare tutto su tecnologie inefficienti delle rinnovabili. Inefficienti per un mondo sempre più sovrappopolato e che richiede continuamente sempre più energia. Inefficienti per il tipo di strutture dell'insediamento umano: megalopoli interconnesse da collegamenti materiali e immateriali. Le campagne, se continuiamo su questa strada, saranno ridotte ad aree di sussistenza per le città in espansione, degradate a strutture funzionali per collegamenti e insediamenti di servizio. Il futuro che si prospetta, anche nelle menti degli ambientalisti mainstream, non è piacevole: un mondo che presto sarà di nove miliardi di umani, concentrato nelle città-megalopoli, con campagne cementificate o ricoperte da pannelli fotovoltaici e torri eoliche, e che allo stesso tempo continua a bruciare miliardi di tonnellate di carbone e petrolio. Un mondo surriscaldato dall'effetto serra e sconvolto da disastri climatici e ambientali. Se non facciamo qualcosa, ora, subito, ci aspetta l'inferno di un pianeta da incubo.
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