E’ consuetudine
sentire da parte dei pro-natalisti
forti preoccupazioni per una società sempre più composta da anziani e
con pochi giovani. Costoro, in genere di area cattolica o ideologica (di destra
e di sinistra), paventano che la scarsa natalità porterà ad una società
stagnante, con molti pensionati, pochi giovani, poca creatività e poca voglia
di migliorare. Si tratta di preoccupazioni immotivate sia dal punto di vista
antropologico che socio-economico. L’antropologa Rachel Caspari , professore
alla Central Michigan University,
in un suo articolo pubblicato su Le Scienze ci dice invece tutto il contrario:
gli anziani hanno svolto un ruolo centrale per la supremazia della nostra
specie ed hanno influito in maniera essenziale e positiva sulla cultura dell’uomo moderno. In
epoche arcaiche i nonni erano una rarità:
“le ricerche da noi
condotte indicano che gli individui in età tale da diventare nonni divennero
comuni solo in un periodo relativamente recente della preistoria umana, e che
questa novità si affermò più o meno nello stesso momento in cui un grande
cambiamento culturale ci ha portato
verso comportamenti distintamente moderni, tra cui la dipendenza da una
comunicazione basata sui simboli, indispensabile per l’arte e il linguaggio.
Queste scoperte suggeriscono che vivere fino ad una età avanzata ha avuto
profondi effetti sulla dimensione delle popolazioni, sulle interazioni sociali
e sulla genetica dei primi gruppi umani moderni, e potrebbe spiegare anche come
i Sapiens abbiano vinto la competizione con gruppi umani arcaici come i
Neanderthal”.
L’antropologa prosegue illustrando i suoi
studi su alcune popolazioni Neanderthal vissute tra i 130.000 e i 600.000 anni
fa, da cui si deduce che gli individui di quella specie non superavano in media
i 30-35 anni. Per parafrasare le
parole del filosofo Thomas Hobbes, la vita preistorica era misera, brutale e
breve. La studiosa e i suoi collaboratori sono passati a studiare
comparativamente popolazioni di australopitechi, di membri del genere Homo
vissuti 50.000 anni fa, poi i Neanderthal vissuti fino a 30.000 anni fa e
infine i Sapiens che vissero tra 35.000 e 20.000 anni fa.
“Benché ci
aspettassimo ritrovare un aumento di longevità nel tempo, non eravamo preparati
a risultati spettacolari come quelli che abbiamo ottenuto. La differenza fra i
primi Homo e gli umani moderni del Paleolitico superiore ha rivelato un
drastico aumento di 5 volte nel rapporto OY (Old/Young rapporto fra adulti
anziani e giovani adulti). La sopravvivenza in età adulta è aumentata
nettamente solo molto tardi nel corso dell’evoluzione umana. I nonni forniscono
abitualmente risorse economiche e sociali ai loro discendenti e rafforzano
anche complesse connessioni sociali contribuendo alla costruzione di una
complessa organizzazione sociale umana. Gli anziani trasmettono anche altri
tipi di informazioni culturali, da quelle sull’ambiente (quali specie di piante
sono velenose, dove trovare l’acqua in tempi di siccità e così via) a quelle
tecnologiche (come intrecciare un cesto o costruire un coltello di ossidiana).”
Studi condotti da Pontus Strimling
dell’Università di Stoccolma hanno dimostrato che la ripetizione è un fattore
di importanza cruciale nella trasmissione di regole e tradizioni in una cultura.
Le famiglie multigenerazionali hanno più membri che si occupano di
inculcare nei giovani le nozioni
più importanti. In questo modo è presumibile, la longevità ha stimolato
l’accumulo e il trasferimento intergenerazionale di informazioni, incoraggiando
la formazione di quegli intricati rapporti di parentela e delle altre reti
sociali che ci permettono di aiutare e di essere aiutati quando i tempi si
fanno duri. Secondo Adam Powell
(University College di Londra) e molti altri ricercatori, l’ampliamento delle
popolazioni dovuto alla presenza di folti gruppi di anziani, promosse lo
sviluppo di grandi reti commerciali, di sistemi complessi di cooperazione e
dell’espressione materiale dell’identità individuale e di gruppo. In questa
prospettiva, i fattori che più caratterizzano il Paleolitico superiore, per
esempio l’esplosione dell’uso di simboli o l’inserimento di materiali esotici
nella manifattura di strumenti, potrebbero essere stati la conseguenza
dell’accrescimento del’età media delle popolazioni. La presenza di anziani
sembra inoltre aver favorito a livello genetico sia il presentarsi di mutazioni
sia la diffusione di mutazioni vantaggiose attraverso le popolazioni, via via
che i loro membri si riproducono. Sono state descritte diverse varianti
genetiche –ad esempio quelle che determinano la tolleranza al latte vaccino-
che sono apparse e si sono diffuse rapidamente nell’arco degli ultimi 10.000
anni grazie al numero sempre più grande di individui fertili di età superiore
alla media. Apparsa inizialmente come sottoprodotto di qualche cambiamento
culturale, la longevità è divenuta un prerequisito per il comportamento unico e
complesso che contraddistingue la modernità. Queste innovazioni, a loro volta,
hanno promosso la sopravvivenza e
l’importanza degli adulti anziani, portando a quella tipologia di popolazione
che ha podotto effetti culturali e genetici così profondi sui nostri
predecessori. Che, diventando più vecchi, divennero davvero più saggi. (Molte delle notizie sopra riportate
sono tratte da un articolo di Le Scienze, ottobre 2011, pag. 69).
L’articolo
dell’antropologa Rachel Caspari smentisce le tesi dei pro-natalisti che
lamentano il danno sociale ed economico dovuto alle culle vuote. Oggi possiamo
vedere che le culle piene non portano i benefici che i natalisti sognano. Tutti
i paesi arretrati e con economie di sussistenza hanno alti tassi di natalità.
Dove c’è benessere la popolazione è stabile o tende alla lenta riduzione (al
netto dei fenomeni immigratori). L’espansione degli anziani, lungi dal
determinare effetti negativi, porta ad una maggiore stabilità sociale, ad una
protezione delle giovani generazioni, al mantenimento delle proprie tradizioni,
allo sviluppo culturale e persino ad una maggiore creatività sia dal punto di
vista sociale, scientifico ed artistico. La combinazione tra esperienza,
cultura e stabilità sociale fa sviluppare l’intera società. Inoltre le società
con forte prevalenza dei giovani sono aggressive, in preda al fanatismo e poco
prudenti; molte delle guerre che si sono combattute nei secoli scorsi sono
avvenute in società con le culle piene. Le società con molti anziani sono in
genere società pacifiche e prudenti, con poca presa del fanatismo politico o
religioso. Con un buon uso della tecnologia le società con alte percentuali di
anziani possono offrire una vita migliore e una gestione più oculata delle
risorse.
Ma più anziani in giro vuol dire più malattie croniche da gestire e gente non autosufficiente da curare. Vecchi che curano vecchi? La transizione non sarà semplice ...
RispondiEliminaOvviamente dopo "curare" ci dovrebbe essere un punto interrogativo ...
RispondiEliminaDipende dalla velocità della transizione. Tutti noi siamo per un "rientro dolce" spalmato per decine e decine di anni. I modelli non mancano, a partire da molti paesi europei. Ma forse il modello migliore è proprio la Cina: dal 1979 , con l'introduzione della legge del "figlio unico", la Cina ha determinato una curva di popolazione di tipo "occidentale" che ha portato a circa 500 milioni di cinesi in meno, rispetto alla popolazione prevista con le curve di crescita precedenti, in poco più di trent'anni. La demografia cinese è passata dalla forte crescita alla stabilità in pochi decenni. La cosa ha determinato disastri sociali? L'abbandono degli anziani? NO. Ha invece determinato il più clamoroso boom economico degli ultimi secoli, ha portato la Cina al primo posto per percentuale di crescita del PIL, ha migliorato la situazione economica e sociale di tutti, ha determinato una migliore organizzazione sanitaria e una migliorata assistenza agli anziani. Gli anziani Cinesi, nonostante la stabilità demografica, sono assai meglio accuditi oggi che trent'anni fa.
RispondiEliminaCaro Agobit, sono d'accordo con il tuo eccellente post.
RispondiEliminaE' ora di finirla con questa storia del declino demografico da invecchiamento.
L'unica cosa che le società vecchie non sanno fare bene, sono le guerre. E meno male !