L'immorale federalismo
eolico che sta devastando il Molise
L'affare delle migliaia
di «aerogeneratori» in una piccola regione
Per chi nutrisse ancora qualche dubbio circa il disastro
che ha significato per il Bel Paese il passaggio alle Regioni di gran parte dei
poteri in materia ambientale, il caso del Molise rappresenta una utile lezione
riassuntiva. Anche perché esso se l'è dovuta vedere con uno dei peggiori
flagelli che si è abbattuto nell'ultimo quindicennio su tutta la Penisola,
l'invasione delle pale eoliche: quei piloni e quelle eliche sempre più
gigantesche che in un numero sempre maggiore hanno alterato per sempre il profilo
costiero, la linea delle colline, lo sfondo paesistico di migliaia di
chilometri quadrati del territorio italiano. Un pervasivo insediamento
cementizio tanto più irresistibile in quanto promosso dai potenti interessi
economici delle società elettriche, le quali hanno tutti i mezzi (e la
spregiudicatezza) per «convincere» il ceto di governo locale: non solo perlopiù
di fragile livello culturale e di altrettanto fragile tenuta morale, ma in
genere avidissimo di benefici d'ogni tipo.
Il Molise è una regione piccolissima
(neppure 4.500 chilometri quadrati) e di eccezionale bellezza. Basti pensare
che, tenuto conto dei vincoli di varia natura amministrativa, tra cui beninteso
quelli emanati dalla stessa autorità regionale, ben il 72,5 per cento
dell'intero suo territorio è stato dichiarato di interesse paesaggistico. E
negli stessi documenti ufficiali della pianificazione ambientale si precisa che
«la realizzazione di antenne e/o ripetitori non dovrà costituire barriere od
ostacoli oppure escludere la visione di aspetti caratteristici del paesaggio».
Peccato
che i fatti siano andati in direzione esattamente contraria a queste belle
parole. Già alla data di dicembre di due anni fa, infatti, risultava
autorizzata dagli uffici regionali l'installazione di ben 408 «aerogeneratori»
mentre erano in corso progetti per realizzarne altri 2.131. Sì, avete letto
bene: 2.131. Il che vuol dire niente altro che una pala eolica — la cui altezza
oscilla tra i 125 i 170 metri: ognuna con una base di calcestruzzo di 20 metri
di lato per 3 di spessore, nonché pali di fondazione sprofondati nel terreno
per almeno 20-25 metri — una pala eolica di tal genere per ogni chilometro e
mezzo circa di superficie della regione. Figuriamoci se non ci fosse stato il
vincolo paesistico di cui sopra!
È facile immaginare l'effetto devastante di
questa autentica pazzia. In pratica, per dirne solo una, tutti i fertili
territori del Basso Molise degradanti verso l'Adriatico, terre fertilissime di
cerealicoltura, di vigne e di uliveti, sede da millenni di quella preziosa
testimonianza degli insediamenti umani che sono i «tratturi», e con esse tutti
gli antichi casolari che le popolano, sono schiacciate, di fatto visivamente
annichilite, da una sequela di queste macchine gigantesche. La cui installazione,
dalla quale i molisani non ricavano alcun vantaggio, porta però un bel rivolo
di quattrini all'amministrazione regionale, che infatti incassa dalle imprese
che presentano progetti, per il semplice esame istruttorio, lo 0,03 per cento
del costo dei progetti stessi e, se approvati, la stessa percentuale sul valore
delle opere infrastrutturali eseguite (in pratica circa 90 mila euro per ogni
progetto semplicemente presentato).
Ciò che è significativo è che in tutti
questi anni, contro lo strapotere delle società elettriche, contro il
permissivismo cieco (se non peggio…) della Giunta regionale molisana, e in
difesa degli interessi autentici delle popolazioni, della loro storia e della
loro identità, una sola istituzione ha fatto sentire la sua voce: la Direzione
regionale per i Beni Culturali — cioè l'articolazione sul territorio del
ministero romano — nella persona del suo dirigente, un funzionario fedele di
cui è giusto non dimenticare il nome: il dottor Gino Famiglietti. Verificando
con attenzione, cercando di fare quel non molto che poteva, valutando caso per
caso e talvolta dando anche parere positivo, ma sempre regolarmente osteggiato
e denigrato dal governo regionale, la cui massima autorità in più di
un'occasione neppure si è degnata di rispondere ai suoi rilievi.
Dobbiamo
rendercene conto una buona volta. Questa è la realtà del federalismo che
abbiamo realizzato in Italia. In un numero altissimo di casi il decentramento
dei poteri alle periferie, con la virtuale cancellazione di qualunque capacità
vera di controllo e di interdizione da parte del centro, ha voluto dire
semplicemente una paurosa diminuzione di tutela di tutto ciò che è pubblico, a
cominciare per l'appunto dalla natura dal paesaggio. Su questo piano, per oltre
un secolo, lo Stato nazionale, le sue classi politiche e le sue burocrazie,
hanno dimostrato una capacità enormemente superiore a quella dimostrata dai
gruppi dirigenti regionali e comunali e dai loro uffici, assai più permeabili a
ogni genere di tentazione ma soprattutto sempre dominati spasmodicamente dal
problema del consenso. Quel che è successo ai beni ambientali e al paesaggio
italiano ne è testimonianza vivente: negli ultimi trent'anni, grazie al
cosiddetto federalismo, esso ha subito danni di qualità e quantità tali che
ormai ogni giorno di più l'Italia che tanti di noi hanno conosciuto e amato
rischia di non essere altro che un semplice ricordo.
(FONTE: ERNESTO GALLI
DELLA LOGGIA, CORRIERE DELL SERA | 11 NOVEMBRE 2012 )
Il Molise è una delle regioni più verdi d'Italia. La devastazione in atto denunciata da Galli della Loggia è tra le più gravi per quel che resta del paesaggio italiano, che è il nostro patrimonio nazionale più prezioso. L' edificazione massiccia di queste megastrutture di cemento e acciaio con un impatto ambientale catastrofico è un esempio della demagogia ( e della corruzione) che si sta bevendo le nostre campagne e i nostri paesaggi. Insieme alle pale eoliche si assiste in tante parti del territorio ai non meno devastanti impianti di pannelli fotovoltaici che oltre ad alterare il paesaggio, tolgono sole e aria alla terra condannandola all'inaridimento. Il tutto per una produzione di energia scarsa, discontinua, insicura e di difficile stoccaggio.Tanto è vero che per andare avanti l'installazione delle rinnovabili ha bisogno di sussidi di pubblico denaro, altrimenti nessuno si sognerebbe di impiantarle. Corollario alle turrite pale eoliche e alle cappe di plastica e silicio che soffocano le campagne ci sono gli elettrodotti con l'inquinamento elettromagnetico dei territori. Anche le rinnovabili contribuiscono così al quotidiano consumo di territorio e all'inquinamento ambientale di questo povero paese. La mia modesta proposta è quella togliere alla speculazione di imprese e politici i miliardi di euro di incentivi che regaliamo ogni anno alla demagogia delle rinnovabili, e di destinarli invece all'agricoltura e alla cura delle campagne e del paesaggio. Ne guadagneremmo tutti, in salute, in bellezza della nostra terra, in turismo e benessere economico.
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