Nella foto: l'ambientalista "pentito" Patrick Moore
Il movimento ambientalista è fallito. Dice Jacopo Simonetta in
un bell’articolo sull’argomento pubblicato su www.malthusday.blogspot.it: “Le associazioni
storiche sopravvivono, i partiti “verdi” scompaiono, i pochi limiti legali e
morali faticosamente posti alla distruzione del pianeta vengono man mano
rimossi senza pudori”.
I motivi del fallimento sono al centro di un
dibattito che non interessa i singoli movimenti ma riguarda una discussione
globale sul futuro del pianeta. Sull’ultimo numero delle Scienze c’è
un’intervista interessante a Patrick Moore, cofondatore di Greenpeace e
ambientalista pentito (“ragionevole” come si definisce lui). Patrick, che ai
tempi era un capellone vestito country, oggi si è tagliato i capelli (radi) e
veste normale, un cambiamento che esprime molte cose.
Ce l’ha con Greenpeace e con tutti gli
ambientalisti, dice che le posizioni ideologiche preconcette hanno rovinato il
movimento e fa due esempi: la battaglia sul cloro e quella contro il Golden
Rice. Greenpeace, poiché la diossina contiene cloro, aveva messo al bando
questo elemento facendo lotte per vietarne l’uso anche quando era utile come
nella disinfezione di piscine e dell’acqua potabile o nella sintesi di
antibiotici (tra l’altro anche il semplice sale da cucina contiene cloro).
” Gli
ambientalisti” -dice Patrick-
“puntano ad emozionare le persone per stimolarle a muoversi ed agire, ma
ricorrono a bugie e a mezze verità,
e non dati scientifici, questo è un loro limite”.
Prima scelgono,
per lo più soluzioni approssimative e semplificate, poi giustificano. Guardiamo
ad esempio, e qui siamo al secondo tema amato da Patrick, al problema degli
Ogm. Perché gli ambientalisti non comprendono l’importanza del Golden Rice (una
varietà di riso arricchita per via genetica di protovitamina A)? Greenpeace si
batte da anni contro questa varietà, spaventa le madri, arriva a dire che il
Golden Rice provoca il cancro ai loro bambini. Greenpeace distrugge addirittura
i campi, impedisce i trial, dice che il Golden Rice è il male. Patrick afferma invece con durezza che Greenpeace sta portando avanti, in questo modo, un
crimine contro l’umanità. Migliorare una pianta geneticamente significa cercare
caratteri agronomici a noi utili (maggiore produzione, resistenze alle
malattie). Da 10.000 anni noi miglioriamo le piante e per farlo spostiamo geni
e dunque modifichiamo tratti consistenti del genoma con incroci ed innesti.
Oggi l’uso del Dna ricombinante ha semplificato e migliorato molto la tecnica.
Ma si è diffusa la paura
immotivata, anche per l’azione a tamburo battente degli ambientalisti, al di là
delle evidenze scientifiche. In Italia nemmeno è possibile sperimentare in
campo. Eppure milioni di bambini, in alcune zone depresse,soffrono della
malnutrizione da deficienza della vitamina A. Oltre alla morte, un risultato di
questa deficienza è la cecità. Si contano da 250.000 a 500.000 casi di cecità
irreversibile ogni anno. La maggior parte di queste persone vive in baraccopoli
urbane, che spesso hanno una razione di riso al giorno. Per gli oppositori
delle piante Ogm senza se e senza ma, il Golden Rice potrebbe essere un duro
colpo: se passa il riso modificato poi far accettare le altre varietà sarebbe
un gioco da ragazzi. “E infatti – continua Patrick Moore- per impedirlo
Greenpeace spaventa le persone e distrugge i campi di prova.” Come per il cambiamento climatico: Moore si dice
favorevole al nucleare per fermare la produzione di anidride carbonica; lui,
che ha fondato Greenpeace.
Nel dibattito sul fallimento ambientalista
in cui è intervenuto con il suo interessante articolo, Simonetta individua un
errore di fondo che ha portato al fallimento: l’ideologia del
progresso. “Sia il capitalismo che il socialismo perseguono infatti il
progresso indefinito della società. A mio parere, era invece proprio
l’archetipo del progresso che avrebbe dovuto essere messo in discussione”.
Sebbene accenni al problema demografico,
Simonetta ritiene che gli ambientalisti avrebbero dovuto puntare a bloccare il
progresso economico che è alla origine del progresso tecnologico. Qui Simonetta
si rivela essere nella corrente ideologica dei critici della modernità intesa
come rivoluzione tecnologica. “Frenare la crescita economica avrebbe infatti
comportato la probabilità di un parallelo rallentamento del progresso
tecnologico”. Identifica nel
simbolo del Leviatano di Hobbes il concetto globalizzante della trasformazione tecnica del mondo
che sta divorando l’ambiente naturale.
Credo tuttavia che le critiche di Simonetta
al movimento ambientalista non vadano alla sostanza del problema. Una critica
all’illuminismo che ne metta in discussione l’idea di progresso può essere
pericolosa e fuorviante. Come sanno i miei lettori ritengo che non è il
progresso tecnologico il nemico, ma l’uso che se ne fa. Alla base della crisi
globale dell’ambiente c’è l’ideologia antropocentrica che vede nell’uomo il
padrone assoluto del pianeta. Come tale, Homo utilizza la tecnologia come mezzo
per trasformare l’ambiente secondo quelli che ritiene i propri bisogni, senza
considerazione per la natura e tutte le altre specie. La tecnologia può essere
mezzo di distruzione, ma può essere anche mezzo per ridurre l’impatto
ambientale della presenza umana. L’uomo ha perso il controllo razionale del
mezzo tecnologico, che si è autonomizzato. Ora la tecnica funziona in maniera impazzita non solo per
soddisfare i desideri dell’uomo, ma addirittura per generarli ed indirizzarli. L’apparato
tecnologico che gestisce il mondo è frutto della stessa visione antropocentrica
ed è incentrato su una volontà di potenza umana priva di limiti. Ma la
tecnologia è in sé un mezzo, e come tale può ritornare a essere gestita per la convivenza
tra uomo e ambiente secondo una visione equilibrata (vedi “Il principio di Responsabilità”
di Hans Jonas). La tecnologia può inquinare, ma può anche ridurre
l’inquinamento e preservare la Terra. Un esempio sono
le nuove tecnologie per produrre energia e ridurre le emissioni di carbonio in atmosfera. Le tecnologie di
smaltimento e trasformazione degli inquinanti. I nuovi materiali
eco-compatibili. Un altro esempio è la pillola anticoncezionale, prodotto
tecnologico che riduce l’impatto numerico della nostra specie sulla Terra.
Ritengo che le scelte che gli ambientalisti hanno davanti
devono essere incentrate su una nuova concezione dell’uomo.
Se analizziamo i
motivi del fallimento, dobbiamo guardare ad un modello di poco precedente
all’ambientalismo: quello del comunismo. Il comunismo non è fallito tanto
sull’economia o nel campo della geo-politica. Il comunismo è fallito sull’uomo
e sull’idea di uomo che ne era alla base. Il marxismo mirava ad assicurare il progresso dell'uomo fino a cambiarne la sostanza spirituale e materiale e creare un nuovo tipo di uomo senza differenziazioni di classe economica. Per quello scopo si era prefisso la
distruzione della classe borghese nei paesi in cui avesse assunto il potere.
Compito che riuscì a svolgere in maniera egregia. Ma fallì nella creazione
dell’ “uomo nuovo”, come il marxismo definiva l’archetipo del nuovo cittadino
dello Stato egualitario. Ne è scaturita la perdita dei valori tradizionali
della cultura e della società che la classe borghese rappresentava, e
l’emergere di una classe di burocrati grigi o peggio di arrampicatori sociali
privi di scrupoli e accecati dal desiderio sfrenato di beni e di denaro inteso
come valore assoluto. Come dimostra l’esempio della Russia contemporanea,
che non è nata dal nulla, ma da
settanta anni di marxismo-leninismo. E la storia della Cina contemporanea ha confermato.
Così è sull’idea dell’uomo che il movimento
ambientalista si gioca il futuro, se ancora ne avrà uno. Copernico docet. Se
l’uomo rimarrà il padrone assoluto del Cosmo e rimarrà l’imbarazzato silenzio
degli ecologisti sulla necessità
di un controllo demografico dell’eccessiva crescita della nostra specie , non
vedo vie di uscita. Ma se al centro rimettiamo la Terra e le sue infinite
specie, e cerchiamo un nuovo paradigma di convivenza e di cura tra l’uomo e il
pianeta, forse è possibile sperare ancora.