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martedì 10 dicembre 2013

Demografia e migrazioni: l’ombra di Darwin


  


E’ possibile che i fenomeni in atto nel mondo attuale come l’esplosione  della popolazione di Africa e Asia, la crescita economica di Cina, America  e India, i colossali processi migratori, il commercio mondializzato, la multietnicità culturale ecc. possano essere letti in chiave darwiniana?
Che i meccanismi della selezione naturale siano sempre in atto nella società contemporanea è un argomento di cui gli antropologi sono coscienti, ma che a livello politico e della cultura di massa si preferisce evitare. Non è politicamente corretto. Oggi domina la visione dell’assolutismo antropocentrico, in cui l’uomo è visto come depositario di diritti assoluti e “creatura culturale” al di sopra di ogni appartenenza alla natura ed alle sue leggi. Un antropologo dell’Università di Neww York, Gorge C. Williams, e un medico psichiatra,Randolph M. Nesse, scrissero alcuni anni fa un libro importante: “Why We Get Sick? The New Science of Darwinian Medicine” (Trad. italiana: Perché ci ammaliamo?  Einaudi) in cui spiegano come gran parte delle malattie della odierna popolazione siano tentativi di adattamento all’impetuoso sviluppo tecnologico e ai cambiamenti della vita materiale e immateriale succedutisi rapidamente in pochi secoli.

Il nostro corpo si è formato durante milioni di anni trascorsi nelle savane africane in piccoli gruppi dediti alla caccia e alla raccolta. La selezione naturale non ha avuto il tempo di modificarlo per affrontare alimentazioni ricche di grassi, automobili, droghe, luci artificiali  e riscaldamento centralizzato. La maggior parte delle malattie moderne, almeno quelle che è possibile prevenire, derivano da questa imperfetta combinazione tra l’ambiente e la nostra struttura. L’attuale diffusione di malattie cardiache e di tumori alla mammella ne è un tragico esempio” ("Perché ci ammaliamo", pag.14. Einaudi  1999).

Non c’è solo la biologia, anche a livello culturale agiscono meccanismi selettivi. In passato la diffidenza per le persone di culture ed etnie diverse ha rivestito un ruolo centrale nella difesa delle comunità locali e delle tradizioni culturali. Eliminare questa difesa avrebbe potuto avere in certi periodi  conseguenze catastrofiche; oggi con i moderni mezzi di spostamento e con la possibilità di avere a disposizione grandi quantità di risorse locali mediante commercio e tecnologia, questo meccanismo innato di difesa delle popolazioni locali di cultura omogenea, ha perso gran parte della sua funzione.  Ma esso, se pur depotenziato, è sempre presente nel sottofondo culturale di molte popolazioni e sopravvive come  sentimento di ostilità verso culture ed appartenenze estranee, che spesso viene sfruttato da forze politiche nazionaliste per i propri scopi. Gli stress di una convivenza ad alta densità demografica e con molta tecnologia, come quella presente nella grandi megalopoli contemporanee, è una situazione che si è venuta a sviluppare negli ultimi secoli e  mai sperimentata in passato dalle popolazioni di Homo. Anche in questa nuova situazione stanno agendo meccanismi selettivi che   sui tempi brevi hanno effetti a livello culturale e delle tradizioni sociali e, almeno in via teorica, potrebbero agire in senso biologico nei tempi lunghi, anche se non è possibile prevedere come.
Se prendiamo come esempio l’Europa contemporanea vediamo che i fenomeni antropici in atto la stanno profondamente trasformando in qualcosa che , alcuni decenni fa, non avremmo mai potuto prevedere. Se pensiamo che questi cambiamenti sono intervenuti in pochi decenni possiamo immaginare gli effetti sui tempi lunghi. La crescita delle grandi città europee sta trasformando irreversibilmente la vita, l’organizzazione sociale, la cultura, la politica, la tecnologia, il paesaggio, la percezione stessa della città e con essa aspetti materiali e psicologici che fanno di un cittadino europeo attuale un soggetto umano molto diverso da quello di un secolo fa.


Possiamo vedere che analoghi cambiamenti stanno interessando il continente 
nordamericano. La giornalista Chiqui Cartagena, immigrata naturalizzata americana, ha descritto la profonda trasformazione che gli Stati Uniti stanno subendo da alcuni decenni  sotto l’influsso della massiccia immigrazione dei Latinos. Oggi gli immigrati ispanici rappresentano il 17% della popolazione totale nordamericana e presto si avviano a diventare il 20%. Tutto sta cambiando in america: aspetti materiali come le merci in vendita, il lavoro, l’intrattenimento, il marketing, la pubblicità, ma anche aspetti culturali come l’arte, la lingua, il modo di fare dibattiti, la politica stessa. Romney ha perso le ultime elezioni anche perché ha ignorato il peso rappresentato dalla parte ispanica degli elettori.  Gli industriali ad esempio, che all’inizio avevano ignorato il problema, si sono accorti che se vogliono continuare a vendere i prodotti debbono adattarsi alle esigenze e alle richieste della nuova popolazione. Gli ispanici, racconta la giornalista, stanno creando un nuovo Baby Boom negli Stati Uniti: ogni 30 secondi per ogni non ispanico che entra in pensione, c'è un ragazzo ispanico che compie 18 anni. Il boom demografico e l'immigrazione hanno aumentato in pochi anni di cento milioni la popolazione americana; si stanno modificando i paesaggi, le città si espandono, la cementificazione e l'inquinamento aumentano, le tensioni sociali anche. Sebbene non se ne parli molto da parte degli intellettuali e degli scienziati,  questi fenomeni che interessano comunque, in modi e condizioni variabili,  tutte le aree del pianeta, fanno parte di processi della selezione naturale e della evoluzione darwiniana almeno a livello delle culture, delle organizzazioni sociali e su aspetti antropologici non marginali.

Forse l’effetto principale, percepibile nei tempi brevi della nostra esistenza individuale,  sarà a livello della cultura occidentale che si sta velocemente adattando ai nuovi cambiamenti. Già abbiamo assistito nel '900 all'abbandono pressoché definitivo della cultura contadina e delle tradizioni collegate: basta guardare qualsiasi foto che ritrae gruppi di persone delle nostre campagne  dedite all'agricoltura della prima metà del secolo scorso per accorgersi dei profondi cambiamenti dei tipi umani rispetto ad oggi. I cambiamenti culturali e del modo di vedere la vita sono stati anche maggiori di quelli fisici e antropologici.  Molti fenomeni contemporanei come la perdita del sentimento religioso, l’accettazione dei matrimoni gay, l’eutanasia, la svalutazione della nazionalità e dell’appartenenza, il trionfo dei diritti umani su tutti gli altri valori come il rispetto della natura, del paesaggio, dei luoghi e delle memorie locali, sono aspetti di questa visione del mondo come “campo aperto” all’espansione infinita dell’uomo e delle sue esigenze. In fondo è come se a livello politico e culturale la visione universalistica di Kant avesse prevalso su quella della cultura locale e delle appartenenze storiche tradizionali, aspetti su cui richiamavano l'attenzione pensatori importanti come Helder, Taine, Burke  e il nostro Vico. Solo che l’evoluzione darwinistica è imprevedibile: il nuovo tipo umano che sta definendosi dalla scomparsa del vecchio cittadino europeo e dall’emergere del nuovo cittadino globale, frutto di sradicamento, immigrazioni, caduta di vecchie barriere, crollo e scomparsa di culture, commercio internazionale, nuovi boom demografici ed espansioni economiche in aree prima depresse, sembra essere un mostruoso mix di qualità non esaltanti. Kant non avrebbe forse gradito gli effetti pratici delle sue ricette basate su una ragione universale e sull’esaltazione esasperata dei diritti dell’uomo rispetto al resto della natura. L’uomo nuovo prodotto dalla società tecnologica e antropocentrica contemporanea è molto diverso dai modelli teorizzati dagli illuministi: un egoista centrato sui propri interessi, assetato di guadagni e di consumi, sprezzante dell’ambiente, cementificatore, disinteressato alla sorte delle altre specie viventi. Un tipo umano completamente privo di senso estetico, abituato a vivere in suburbi e bidonville sovraffollati, a produrre rifiuti ed emissioni senza limiti, a soggiornare in mezzo a terre devastate da tossici e inquinanti, tra acque mortifere di colore giallognolo, fumi soffocanti e cancerogeni e in un clima caratterizzato da eventi estremi e riscaldamento globale. Perfino Darwin ne avrebbe avuto ribrezzo.


7 commenti:

  1. << E’ possibile che i fenomeni in atto nel mondo attuale come l’esplosione della popolazione di Africa e Asia, la crescita economica di Cina, America e India, i colossali processi migratori, il commercio mondializzato, la multietnicità culturale ecc. possano essere letti in chiave darwiniana? >>

    Ovviamente sì, caro Agobit.
    Siamo tutti figli di Darwin. che ne siamo consapevoli o no.
    Ma (come dice il titolo del mio blog) esserne consapevoli è senz'altro meglio.

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  2. "...la perdita del sentimento religioso, l’accettazione dei matrimoni gay, l’eutanasia, la svalutazione della nazionalità e dell’appartenenza, il trionfo dei diritti umani su tutti gli altri valori come il rispetto della natura, del paesaggio, dei luoghi e delle memorie locali, sono aspetti di questa visione del mondo come “campo aperto” all’espansione infinita dell’uomo e delle sue esigenze"
    Non capisco. Che fastidio danno alla natura e al paesaggio i gay? E non è il sentimento religioso cristiano il più antropocentrico di tutti? E non è più dannoso per l'ambiente l'accanimento terapeutico piuttosto che l'eutanasia? Inoltre, appartenenza e nazionalità sono cose ben diverse. Le moderne nazioni europee abbracciano comunità che in precedenza avevano identità proprie, e trascendono il senso di appartenenza a un ambiente fisico: la stessa Italia va da mari a monti, dal freddo al caldo, e data questa grande diversità l'appartenenza nazionale e quella alla terra che si coltiva o in cui si vive non coincidono.

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  3. L'esigenza di comprimere i concetti in uno scritto leggibile e non lungo porta a qualche incomprensione. Ciò che non va è l'antropocentrismo, non certo i gay. Io difendo i gay nei loro diritti rispetto alla natura. L'accettazione diffusa della omosessualità è molto probabilmente un portato della densità demografica delle grandi metropoli: riprendo il concetto dal libro di etologia di Eibl-Eibelsfeldt in cui si descrive con esempi come gli animali costretti a vivere in situazione di sovraffollamento, aumentano l'infertilità e i comportamenti omosessuali. Sul matrimonio gay invece non concordo, lo considero una estensione della tendenza antropocentrica a riempire di diritti tutti i comportamenti umani. La perdita del sentimento religioso si riferisce agli aspetti attinenti al sacro della vita, molti dei quali si ritrovano nella natura. In particolare mi riferivo alla crescente tecnicizzazione del mondo e al conseguente regredire di tutto ciò che non ricade nel pensiero matematizzato della scienza. Sulla follia cristiana del "crescete e moltiplicatevi" e dell'uomo come figlio di dio e quindi padrone del mondo concordo in pieno: è uno degli aspetti peggiori dell'antropocentrismo. Il mio giudizio sul nazionalismo è negativo, pensavo che fosse chiaro dal contesto. Certo che l'appartenenza è cosa del tutto diversa.

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  4. Molto interessante, caro Agobit, la tua sottile distinzione tra nazionalismo e appartenenza.
    Meriterebbe forse di essere un po' sviscerata dagli altri amici del blog.

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  5. “…una estensione della tendenza antropocentrica a riempire di diritti tutti i comportamenti uman."

    In natura non esistono diritti, vige la legge della giungla o del più forte. Il diritto nella specie umana nasce probabilmente dalla necessità di regole per un'associazione di esseri molto particolari come quelli umani, il cui repertorio comportamentale non è fissato: l'uomo è l'essere culturale per eccellenza (la cultura però può portare ad aberrazioni, a reprimere persino l'istinto di sopravvivenza). Regole di comportamento si ritrovano anche in altre specie, ma sono regole elementari, non paragonabili a quelle stabilite dall'uomo. Le regole, il diritto, hanno la funzione di garantire o assicurare la convivenza all'interno del gruppo, quindi anche la coesione, la solidarietà, la difesa da altri gruppi o dalle avversità naturali. L'espansione dei diritti però può risultare controproducente. Il senso di giustizia è probabilmente innato, ma definire la giustizia è difficile (una bella formula è "unicuique suum"). Giustizia e libertà sono termini ambigui, in parte antitetici. Se perseguo fanaticamente un ideale (?) di giustizia dovrò limitare la libertà, se tendo a un massimo di libertà baderò meno al rispetto della giustizia. La vita associata richiede una cessione di sovranità o libertà individuale - nell'interesse generale, ma anche del singolo, solo che il collettivo e il singolo tendono naturalmente ad allargare la propria sfera. È l'eterna tensione tra le aspirazioni individuali e quelle del gruppo. L'equilibrio è difficile e sempre minacciato. Ciò si riflette anche nella contrapposizione più Stato, meno Stato.
    Le regole, ovvero le limitazioni alla propria libertà, sono necessarie, ma il loro infittirsi può risultare asfissiante, insopportabile. D'altra parte la mostruosa crescita demografica rende necessario l'aumento delle regole e delle limitazioni.
    Probabilmente è quasi impossibile mantenere a lungo uno stato di equilibrio benefico per un intero gruppo. Ma poi anche se si raggiungesse uno stato di benessere collettivo - come nella superorganizzata Città del Sole di Campanella - uno alla fine vorrebbe solo scappare. Libertà vo cercando ...


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  6. > un mostruoso mix di qualità non esaltanti

    Sei stato molto garbato.
    Io ritengo che gli scenari del modernismo e del post modernismo, specie quelli più recenti, sono aberranti ed esteticamente squallidi.
    Solo dei dementi sceglierebbero di passare le proprie vacanze in uno svincolo autostradale, in un centro elaborazione dati o in una banlieue o una baraccopoli di una qualche tumore urbano al posto di una villa sulle rive del Benaco o in una dimora con parco in paesino appenninico del rinascimento italiano.

    La qualità della vita è semplicemente incompatibile con la costipazione umana e con le escrescenze artificiali e artificializzanti che essa produce.

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  7. "il trionfo dei diritti umani su tutti gli altri valori come il rispetto della natura, del paesaggio, dei luoghi e delle memorie locali, sono aspetti di questa visione del mondo come “campo aperto” all’espansione infinita dell’uomo e delle sue esigenze."

    "L’uomo nuovo prodotto dalla società tecnologica e antropocentrica contemporanea è molto diverso dai modelli teorizzati dagli illuministi: un egoista centrato sui propri interessi, assetato di guadagni e di consumi, sprezzante dell’ambiente, cementificatore, disinteressato alla sorte delle altre specie viventi. Un tipo umano completamente privo di senso estetico, abituato a vivere in suburbi e bidonville sovraffollati, a produrre rifiuti ed emissioni senza limiti, a soggiornare in mezzo a terre devastate da tossici e inquinanti, tra acque mortifere di colore giallognolo, fumi soffocanti e cancerogeni e in un clima caratterizzato da eventi estremi e riscaldamento globale. Perfino Darwin ne avrebbe avuto ribrezzo."

    Quanto è vero!

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