“Il
linguaggio è la casa dell’essere ed in essa abita l’uomo”.
(Martin Heidegger: Lettera sull’Umanesimo).
Il test di
Turing prevede che una giuria –attraverso un terminale- faccia delle domande
(su tutti gli argomenti possibili) a due interlocutori non visibili. Uno è un
essere umano, l’altro un programma per computer, e la giuria deve
indovinare quale dei due è l’umano
e quale il computer. Turing nel 1950 aveva predetto che nel 2000 i computer
sarebbero stati in grado di ingannare il 30 per cento dei giudici dopo 5 minuti
di conversazione. La previsione di Turing non si è ancora avverata.
Quale è il
motivo per cui il linguaggio dell’uomo è così diverso da quello delle macchine?
Quando ad uno dei partecipanti al test in qualità di risponditore fu chiesto
perché le sue risposte fossero state riconosciute quasi sempre come umane, la
sua risposta fu: “perché sono stato lunatico, irritante e odioso”.
A ben vedere il
test di Turing permette di misurare anche il nostro avanzamento nel modo di
pensare. “Per esempio –come sostiene il filosofo di Oxford John Lucas- se non
riusciremo ad impedire alle macchine di passare il test non sarà perché le
macchine sono molto intelligenti, ma perché gli esseri umani, o per lo meno
alcuni, sono di legno”.
Se l’evoluzione
tecnologica viaggia rapidamente, è altrettanto vero che il linguaggio umano
rischia di regredire, di uniformarsi ad un livello standard, di essere dominato
da frasi fatte o da modalità stereotipe come certi linguaggi tecnici. Come
spiega Garry Kasparov nel suo libro “Gli scacchi, la vita”: Negli scacchi un
giocatore giovane può fare parecchia strada imitando i grandi campioni, ma per
sfidarli deve inventare un suo modo di giocare”. Per giocare oltre un certo livello
è necessario cambiare le teorie esistenti. “La forma più alta della guerra è
l’attacco al concetto stesso di strategia”, dice Sun Tzu.
In presenza di
una situazione oggettiva mutata non
è facile modificare il linguaggio (il software) di un computer che lo
renda più adatto alla situazione. La programmazione di software è per la
maggior parte basata sulla ripetibilità delle risposte: come possono
testimoniare quasi tutti i programmatori, un difetto di programmazione
irripetibile è anche inaggiustabile. Questo è anche il motivo per cui i
computer funzionano meglio dopo un riavvio che non dopo giorni di continuo uso.
Questi stati zero sono quelli che i programmatori affrontano regolarmente e
quindi sono quelli i cui errori sono stati quasi totalmente corretti: più a
lungo un sistema informatico è in attività, più singolare e unico il suo stato
tende ad essere, inclusi i suoi errori. La stessa cosa si può dire delle
persone, se non che queste non possono riavviarsi da zero. Nessun computer
possiede la plasticità sinaptica, cioè la stupefacente capacità plastica dei
neuroni: ogni volta che un neurone si accende la struttura delle connessioni
con gli altri neuroni si modifica. In altre parole, un cervello che funziona è
un cervello che cambia. Ma il linguaggio può creare delle rigidità. Il proprio
linguaggio costituisce il mondo all’interno del quale si avverano i pensieri,
le ragioni e i sentimenti di ogni individuo. Se il linguaggio è stereotipo e
ricalcato su proposizioni precostituite, anche il pensiero sarà rigido e
scarsamente modificabile al variare delle condizioni esterne. Il
conformismo al pensiero
politicamente dominante (il politically correct), all’opinione media
prevalente, toglie la plasticità al pensare ed all’agire delle persone, fino a
portare a comportamenti che mettono a rischio la capacità di affrontare
situazioni critiche e addirittura la sopravvivenza. In presenza di una
martellante presenza di midia che ripetono concetti stereotipi è difficile, per
un individuo, elaborare un pensiero individuale che si basi –invece che su
concetti indotti- sulla propria esperienza personale e sulla propria storia. E
l’esperienza è fondamentale nel campo del pensiero per elaborare strategie in
grado di far fronte ai cambiamenti dell’ambiente esterno.
Il nostro
linguaggio cambia ogni giorno, e il linguaggio che si utilizzava alcuni decenni
fa, ad esempio dai giovani degli anni ‘60, è profondamente mutato rispetto a
quello usato dai giovani di oggi. Negli anni 60 non esisteva il concetto di
limite, di riduzione dei consumi e di emissioni, di riserva naturale
esauribile, di rispetto per i limiti della natura. All’interno del linguaggio
degli anni ’60 le strategie erano esclusivamente di crescita, di sviluppo
illimitato, di consumi sempre crescenti, di progresso nel numero e nella
qualità dei prodotti. Gli effetti ambientali di queste strategie erano del
tutto ignorati o sottovalutati ed al massimo si prendevano in
considerazione solo i riflessi
sulla giustizia sociale (sempre all’interno del modo di vedere antropocentrico)
quali la redistribuzione della ricchezza e di uguaglianza. Assolutamente fuori
da ogni considerazione erano gli aspetti legati alle altre specie viventi e
alla biodiversità. (Anche gli animali –come esseri senzienti- hanno un linguaggio, anche se
incomparabilmente diverso dal nostro e meno plastico. Tuttavia, visti i danni
compiuti dall’uomo, è bene non esprimere giudizi di valore sui rispettivi
linguaggi). Il linguaggio prevalente di quegli anni, all’interno del quale
si sono sviluppate le strategie del mondo occidentale nei decenni successivi,
ha portato a comportamenti che hanno avuto un esito tragico per il pianeta.
Oggi il
cervello umano sta elaborando nuovi schemi di pensiero all’interno di un nuovo
linguaggio che faticosamente tenta di farsi strada di fronte alle rigidità e
agli stereotipi dei linguaggi del passato. L’infelicità e la preoccupazione per
le sorti della Terra sono sempre più diffuse, ma i comportamenti tardano ad
adeguarsi alla presa d’atto della crisi ambientale globale. Tra i nuovi
concetti su cui si converge la
parola “limite” è una delle più rilevanti. Limitare i consumi, limitare le
emissioni di gas serra, limitare la crescita indiscriminata del cemento, delle
città, delle strutture tecnologiche inquinanti, limitare le nascite e
l’eccessiva pressione antropica, sono concetti e schemi linguistici sempre più
diffusi. Il concetto di limite si applica alle risorse del pianeta, all’acqua,
al suolo, all’energia, al petrolio, al gas ecc. ed ormai tutte le elaborazioni
di programmi riguardanti il futuro debbono essere incentrate su di esso. Le auto hanno tutte limiti di emissione di CO2, i vari protocolli internazionali prevedono limiti di emissione, uno dei libri più importanti dell'ultimo secolo ha per titolo : i Limiti dello sviluppo. Tuttavia la nascita e la diffusione di questo nuovo linguaggio è contrastato dai vecchi modi
di pensare, dalle ripetitività, dalle rigidità, dall’uso di terminologie basate
sull’ idea di uomo come principe del creato, come proprietario e utilizzatore
senza limiti delle risorse naturali. La religione e le ideologie antropocentriche sono mondi ancora impermeabili ai nuovi linguaggi, e come i dinosauri dell'era giurassica resistono all'estinzione, almeno fino all'arrivo della catastrofe ambientale planetaria. E’ interessante notare come nei dibattiti
televisivi si parli di crescita, di sviluppo, di natalità, e contemporaneamente -spesso persino dagli stessi individui- si usino termini quale limite, esaurimento, eccesso di consumi, eccesso demografico: assistiamo
in diretta ad un conflitto selettivo in senso darwiniano dei linguaggi. Un
cambiamento effettivo dei comportamenti non potrà che seguire ad una modifica
vincente del linguaggio e di nuovi schemi plastici dei neuroni (una speranza viene dal fatto che in passato cambiamenti importanti sono già accaduti, anche se non così radicali). Il
conflitto tra i due linguaggi, che sottendono due visioni del mondo in
contrasto tra loro, è quindi in atto.
Dipenderà dalle nuove generazioni avere l’elasticità mentale necessaria per
vincere la sfida, o perderla. Almeno fino a che non accadrà che a vincere il
test di Turing saranno le macchine.
(Molte delle
informazioni utilizzate in questo post sono tratte dal libro di Brian
Christian: “The Most Human Human.
What Talking with Computers Teaches Us About What It Means to Be Alive”, Random
House, NY 2011).
Lo hybris del superamento dei limiti è la fortuna e la condanna degli homo.
RispondiEliminaEì talmente antico che è passato dalla storia al mito. Sappiamo tutti del crollo della torre a Babele e anche dei limiti biogeofisici del pianeta ma ciò non ha certo permessa, in questa era degli idioti, di spegnere osservazione e pensiero e azione su come rientrare nella portanza sostenibile.
Il silenzio sulla decrescita è, in questi giorni nei quali l'assatlo alla scialuppa Europa è un po' più visibile, agghiacciante, assordante su Il Problema ovvero l'esplosione demogragica del Vicino e Medio Oriente e dell'Africa.
Abbiamo una massa di idioti moralisti che pensano di arginare il problema con accoglienza e tolleranza senza uno straccio di fondi, di idee, con un paese che ha hià 30K€ di debito (finanziario ma peggio di risorse , beni reali e riproducibili) a testa.
Non una parola una sull'esplosione demogragica in questi giorni.
Essi, i sacerdoti coglioni della crescita non capiscono. c'è qualcosa che non funziona hanno capito.
Chiudere la mente e continuare a ripetere le litanie sciocche che sono causa del male a mo di soluzione per esso.
<< Lo hybris del superamento dei limiti è la fortuna e la condanna degli homo >>
RispondiEliminaCondivido in pieno.
Senza la spinta a superarsi continuamente ed a ignorare i limiti apparentemente posti dalla natura, l'uomo non sarebbe arrivato dove è arrivato.
Ma nello stesso tempo, proprio per questa spinta, ha perso la capacità di capire quando è il momento di fermarsi.
Ce lo ricorderà la natura, con la sua cinica indifferenza.