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mercoledì 30 ottobre 2013
Istigazione alla natalità
Roma mercoledì 30 ottobre 2013 ore 12, mi trovo a passare in via della Conciliazione e la gente defluisce dopo aver assistito all'incontro settimanale con il Papa. Una locandina della associazione cattolica onlus "Sofia" di assistenza alle popolazione del terzo mondo mi colpisce per la sua assurdità. Di nuovo si tratta di una istigazione alla natalità, come se di bambini nel terzo mondo ne nascessero pochi. Anche le immagini contano, anzi a volte contano più le immagini che tutto il resto. L'Associazione cristiana dei Salvatoriani "Sofia" fa propaganda, cosciente e incosciente, per nuove nascite. Non si tratta solo di una pessima scelta dell'immagine: una donna gravida a cui un ostetrico sta auscultando il battito fetale. Una donna che tra l'altro sembra abbia già partorito in passato, vista la cicatrice da cesareo. Anche il sito dell'Associazione si caratterizza per una continua esaltazione del ruolo di donna-madre, con la richiesta di finanziare numerose iniziative volte alla tutela pre e post natale delle partorienti e dei nuovi nati. Non si fa cenno ad alcuna iniziativa di educazione sanitaria per evitare la procreazione indesiderata. Non si parla di alcuna iniziativa per l'istruzione sui metodi contraccettivi. Non solo, persino quando si tratta della cura e prevenzione dell'Aids non si fa cenno ai profilattici e su altri mezzi idonei ad evitare gravidanza ed trasmissione del virus. Una sola volta si condanna il sesso irresponsabile, ma si intende quello fuori del matrimonio e non volto alla procreazione.
Questo modo di portare aiuti alle popolazioni si risolve in un danno alle popolazioni stesse che vedono le poche risorse locali destinate a tamponare l'impatto della crescita demografica. Tutto finisce in cibo e assistenza di base alle famiglie, quando esiste. Parlare di sviluppo economico con tassi di natalità di sette-otto o più figli per donna è pressoché impossibile.
Se questa è la politica della Chiesa cattolica in Africa, non ci possiamo stupire dei continui arrivi di barconi stracarichi di disperati. Anzi, è solo l'inizio.
venerdì 25 ottobre 2013
La Crescita che spaventa i demografi
I demografi in genere sono dei moderati. Ritengono che si,
la popolazione mondiale cresce ( anzi esplode…) ormai da molti decenni, ma
aggiungono con una certa sufficienza che comunque, prima o poi, la crescita si stabilizzerà e il mondo
avrà una popolazione stazionaria. Lo dicono da un paio di decenni. Eppure da
molti decenni la popolazione continua a crescere, e cresce molto di più di
quello che prevedono i demografi. Ora finalmente cominciano a preoccuparsi
anche loro. Nel suo quinto rapporto l’IPCC dell’Onu (l’organo che studia il
cambiamento climatico per conto delle Nazioni Unite) ha rivisto la crescita
demografica mondiale, prospettando per il fine secolo addirittura i 13 miliardi
di umani. Per il 2050 si parla di 9-10 miliardi o, secondo alcuni pessimisti
anche di più. Quale sarà l’impatto
degli altri miliardi di abitanti sulla Terra previsti entro la fine del secolo?
Il demografo italiano Massimo Livi Bacci si preoccupa per l’impatto ambientale
e climatico di questa crescita impetuosa e fuori controllo. In un articolo su
Limes (dicembre 2012) esamina i problemi in campo. L'articolo è stato scritto quando gli ultimi dati dell' IPCC non erano ancora noti. Ancora una volta quindi le stime vanno riviste in senso peggiorativo. Riporto di seguito una
sintesi del suo intervento.
Gran parte della crescita futura si concentrerà nei paesi poveri, e quasi il 40% della
popolazione aggiuntiva spetterà all’Africa. Nei paesi poveri con le popolazioni
in rapida crescita e che perseguono uno sviluppo ancor più rapido del prodotto
pro capite (necessario per uscire dalla povertà e ridurre le distanze col mondo
ricco), ogni unità aggiuntiva di prodotto avrà un alto contenuto energetico.Là
dove si sopravvive con qualche euro al giorno, l’euro aggiuntivo sarà speso per
acquistare combustibile per riscaldarsi o spostarsi, cibo per nutrirsi,
utensili per lavorare, materiale da costruzione per alloggiare, fibre per
vestirsi. Tutti prodotti ad alto contenuto energetico e derivanti da materie
prime non rinnovabili, ad alto impatto ambientale. Come dimostra l’equazione di
Ehrlich (I = P x A x T) l’impatto ambientale (I) è pari al prodotto della
popolazione (P) per l’indice di affluenza (A) espresso dal flusso di beni
prodotti o consumati per persona e moltiplicato per l’indicatore di tecnologia
(T) che esprime il contenuto, in ciascuna unità prodotta, di materie prime,
energia e spazio utilizzato. Maggiore è la tecnologia , minore è T: un’ auto,
un telefono, un computer, un motore necessitano – per la loro
costruzione e funzionamento - di meno materie prime e meno energia di mezzo
secolo fa. Così stando le cose è ovvio che l’equazione di Ehrlich è la bestia
nera di molti ecologisti contrari alla tecnologia non solo perché valorizza il dato “popolazione” e quindi
natalità, ma anche per la rilevanza che da alla tecnologia nel ridurre
l’impatto ambientale (frenare la tecnologia non è una buona cosa per
l’ambiente). Che le popolazioni in rapida crescita non si accontentino delle
già scarse risorse disponibili, ma aspirino a maggiori risorse e consumi è una
evidenza, resa ancora più evidente dai fenomeni migratori alla cui base c’è la
richiesta di una vita migliore, dove per migliore si intende un miglior accesso
a beni e consumi e un maggior consumo di energia per produrre e utilizzare quei
beni. Il fatto che nessuna soluzione disponibile ad oggi riduca l’impatto
ambientale dell’antropizzazione si può dimostrare con un esempio che utilizza
l’equazione di Ehrlic. Facciamo l’ipotesi che si voglia mantenere l’indice
d’impatto I costante – per esempio tra oggi e il 2050, e compariamo due paesi
come l’Italia e l’India. Supponendo che il reddito pro capite in Italia cresca
al ritmo del 1,6 % e in India al 5 %, avremmo che –fatto pari ad 1 il livello
di A nel 2007, nel 2050 A sarebbe
pari a 2 (un raddoppio) in Italia e a 8,6 in India. Inoltre fatta uguale a 1 la
popolazione del 2007 e supponendo la popolazione italiana stazionaria pari a 1
nel 2050, sappiamo che quella dell’India avrà un aumento del 50 % e il suo
indice (P) nel 2050 sarà pari a 1,5. Ne segue che la componente P x A,
passerebbe per l’Italia da 1 a 2 nel 2050, mentre in India da 1 a circa 13 (1,5
x 8,6 = 12,9). Perché l’impatto ambientale rimanga costante occorrerebbero in
Italia adeguate iniezioni di tecnologia che permettessero di dimezzare nel 2050
il contenuto di energia e di materie prime di ogni unità di prodotto (T= 0,5).
Ma tali iniezioni dovrebbero essere fortissime in India, perché tale contenuto
dovrebbe ridursi ad un tredicesimo
del livello attuale (T= 0,0769). E’ impossibile che questo avvenga
perché la crescita indiana nei prossimi decenni moltiplicherà soprattutto il
consumo di quei beni –cibo, manufatti- ad alto contenuto materiale ed
energetico, circostanza necessaria per uscire dalla povertà e non ci possono
essere risorse così ingenti da assicurare una ricerca che porti ad una
tecnologia assai meno inquinante. Quindi il mondo andrà incontro ad una
crescita “insostenibile” sospinta da un’ulteriore crescita demografica e dalla
soddisfazione di bisogni elementari oggi compressi a bassissimi livelli. Le
emissioni di anidride carbonica avranno un forte aumento e gli effetti
climatici saranno ancora più gravi di quelli a cui abbiamo assistito in questi
decenni.
La crescita avrà effetti devastanti in ambienti delicati,
quali sono le fasce costiere, la cui densità antropica è destinata a
moltiplicarsi nel prossimo mezzo secolo. Ovunque poi si combinano gli effetti
dell’urbanizzazione con quelli della concentrazione costiera. Questa
concentrazione si accentuerà in futuro, esponendo crescenti quote di
popolazione ai maggiori rischi delle catastrofi ambientali proprie delle aree
costiere a bassa elevazione (Acbe). I due terzi delle metropoli con oltre 5
milioni di abitanti si trovano nelle Acbe.
La crescita demografica riguarderà inoltre ambienti fragili
come le foreste e le aree di vegetazione pluviale. Il processo di
deforestazione è sospinto dalla pressione demografica che determina la
preparazione di nuovi terreni per la coltivazione: il ritrarsi della superficie
forestale è la diretta conseguenza della crescente domanda di cibo e di legname
dovuto alla crescita demografica. Indagini macro riscontrano una relazione
positiva tra tasso di crescita della popolazione e velocità della
deforestazione. Sono disponibili esempi in contesti diversi come quello delle
Filippine – dove la migrazione dalle terre basse, densamente insediate, verso l’interno
montagnoso scarsamente popolato ha prodotto una rapida perdita della foresta
pluviale- ai casi di Guatemala, Sudan, Thailandia.
La crescita demografica influendo pesantemente sulla
economia crea sacche di povertà e di estremo degrado ambientale, essendo il mix
crescita demografica-povertà economica all’origine delle spirali negative che
vanno ad incidere sull’ambiente determinando consumi energetici inquinanti, innalzamento di temperature,
meno risorse idriche, crisi dell’agricoltura, carestie, epidemie, migrazioni,
conflitti. Quello che stupisce è che evidenze empiriche e riflessioni logiche
di tanta chiarezza e incontestabilità, vengano sottaciute da governi,
istituzioni nazionali e sovranazionali, autorità politiche e religiose,
movimenti ed organizzazioni che si occupano di ambiente, associazioni verdi e
ambientaliste. Troppo forte, rispetto all’evidenza, è la volontà di non sentire
e di non vedere.
venerdì 18 ottobre 2013
Silenziare il problema demografico
Tim Murray, politico democratico americano, dello staff del
Governatore del Massachusetts ed ex sindaco di Worcester, avvocato, esperto di
temi ambientali, ha provato a pubblicare un libro riguardante la
sovrappopolazione del pianeta e l’esaurimento delle risorse naturali.
L’editoria americana che si occupa
di temi ambientalisti, come gran parte di quella europea, è in mano a liberal
che in italiano si potrebbero definire “democratici e progressisti” o “equosolidali”.
Agiscono in base a paraocchi ideologici. Purtroppo anche di ideologie del
secolo passato, inadeguate ad affrontare l’emergenza di un pianeta avviato al
collasso ambientale per la sovrappopolazione della specie umana. Murray ha
raccontato la vicenda del respingimento del suo manoscritto, da parte della
casa editrice “progressista”, nel suo blog personale. Riporto di seguito il suo
post. Traduzione personale. (Ringrazio della segnalazione Maria Luisa Cohen)
Coloro che scrivono del problema del boom demografico e di un disastro planetario
da sovrappopolazione trovano sempre una fredda accoglienza da parte degli
editori "progressisti" e dalla opinione pubblica illuminata e
“democratica” la cui missione autoproclamata è quella di creare una società
ecologicamente sostenibile e "giusta" , di mobilitare la "
fantasia verde " , incoraggiare l’azione democratica e in favore
dell’interculturalismo e promuovere un senso di ottimismo fra la mandria che
porta quel banner . Naturalmente , tutto ciò che sa di " controllo della
popolazione " , una sfida a "diritti riproduttivi" o il supporto
per contrastare l’arrivo
incontrollato di immigrati provoca
immediatamente una reazione di allarme nelle menti illuminate .
Ovviamente il manoscritto presentato agli editori politicamente corretti viene
immediatamente respinto con gli scudi della ideologia.
E’ evidente che per la maggior parte di questi crociati della
giustizia sociale , l'
“ambiente" è una cosa che hanno messo in vetrina per attirare i clienti .
Si tratta di un paravento per nascondere merce ideologica vecchia ed
avariata. Tutte le lotte per la
salvaguardia dell’ambiente da parte di costoro sono fatte non perché interessi
effettivamente salvare
l'ambiente , ma per salvare una ideologia che dovrebbe essere morta quando il
muro di Berlino è caduto . Ma, ahimè , la Fenice è risorta dalle ceneri sotto
una nuova veste: " La
giustizia ambientale " o il movimento " Giustizia climatica " .
"Giustizia" è la lama , l’ '"ambiente " è il fodero .
Recentemente un editore “progressista”, dopo aver esaminato un
manoscritto presentato il cui argomento era l'esaurimento delle risorse
naturali , ha chiesto all'autore (il sottoscritto) se poteva fornire
testimonianze concordi da parte di un credibile esperto nel campo . Quando
l’autore ha presentato una recensione positiva di William Catton , questo
editore di libri sulla" Giustizia ambientale " ha risposto che non
sapeva chi era Catton ! Ha chiesto la garanzia che Catton non fosse un membro del
"Population Institute " o " organizzazione di destra” (l’editore
in questione considera di destra tutti coloro che si occupano di
sovrappopolazione). In altre
parole , invece di curare la presentazione per i suoi meriti , sembrava più
interessato all'orientamento ideologico dell'autore . Nonostante abbia fornito
tale garanzia , l'autore (cioè io stesso)
non ha potuto convincere questo editore neanche a leggere il suo libro .
E 'stata un'esperienza condivisa da molti di noi che cadono fuori dagli schemi
dell'ortodossia verde - sinistra . Sembra evidente che la maggioranza degli
editori costituiscono una rete che ha compilato una lista nera delle
organizzazioni proscritte e delle persone
da non pubblicare. L’ignoranza ecologica fa il resto .
Per sfogare la mia frustrazione , ho scritto la seguente risposta
. I nomi sono stati cambiati per proteggere il colpevole .
C. Noevil
Direttore Editoriale
“Paraocchi Press”
Gentile Signora C. Noevil ,
Come un ideologo ecologicamente analfabeta della politica
progressista , potrebbe fornirmi la lista degli autori e delle organizzazioni
proscritte che Betsy Hartmann , il Centro per la nuova comunità e Southern
Poverty Law Center hanno compilato in modo che io possa non sprecare il mio
tempo a presentare una manoscritto ?
Avevo intenzione di presentare un manoscritto che descrive la
natura della nostra crisi ambientale . Ma poi ho capito che avrei potuto
violare il codice della correttezza politica , così ho purgato il testo della
matematica e della logica , e di
ogni accenno a qualsiasi messaggio che potesse riferirsi alla crescita della
popolazione come un ingrediente
del problema. Si fidi di me, non si fa menzione della equazione IPAT in nessuna
parte nel mio testo . La crescita della popolazione implica che ci sono donne
il cui unico ruolo è dare alla luce bambini , e citare la sovrappopolazione come un problema ecologico
rilevante e fonte di legittima preoccupazione potrebbe sembrare che le culture che rendono la donna un
animale da concepimento siano da respingere per il nostro “etnocentrismo”,
cosa semplicemente inaccettabile
in questa età moderna e progressista .
Così ho rivisto quello che avevo
scritto e sono stato attento a non offendere le vacche sacre , come ad esempio
:
" I poveri"
" Le Donne"
"Le donne - di - colore"
" Le donne immigrate di colore
"
"Popoli indigeni "
o semplicemente : "The
People"
Nessuna di queste entità sacre dovrebbe essere ritenuta
responsabile per qualsiasi cosa , per qualsiasi parte del problema che affligge il mondo . Le persone non
sono mai il problema , sono sempre la soluzione . E più alto è il loro numero e
meglio è. L' unica occasione in cui
il livello di popolazione potrebbe
diminuire in maniera “democratica”
è nel caso le donne
scelgano di avere meno figli . Ma
deve essere una loro scelta . Se vogliono avere un numero insostenibile di
bambini e distruggere il rimanente habitat della fauna selvatica , causare
deforestazione e bracconaggio , la edificazione massiccia di più abitazioni su
terreni agricoli , più inquinamento e la polluzione di gas e particolati, e ridurre la quota pro capite di
preziose risorse non rinnovabili , allora questo è loro diritto, diritto assoluto in quanto diritto umano .
D'altra parte , secondo la logica “democratica e progressista” , questi diritti
umani non possono applicarsi ai paesi islamici , perché non abbiamo il diritto
morale di dare giudizi sulle altre culture . No , ero determinato a non fare
alcuna dichiarazione che implicherebbe anche la minima critica di qualsiasi
aspetto che riguardi la parte “oppressa” dell’ umanità . Tranne ovviamente i
bianchi maschi europei che vivono al di sotto della soglia di povertà . Essi
meritano compassione, solo dopo che si è esaurita la lista dei popoli
svantaggiati e si sono compatite le altre etnie in maniera equasolidale e
prioritaria.
Così, invece , ho cancellato ogni riferimento a quanto sopra e
ho sostituito i capri espiatori con i responsabili approvati dal pensiero
progressista politicamente corretto. Ad esempio:
"I ricchi "
"Ricchi uomini bianchi che danno la colpa ai poveri per i
loro eccessi "
" Le corporazioni "
"I banchieri di Wall Street "
" Il middle class man e quelli che cercano di migliorare la
propria posizione"
" Gli avidi ricchi uomini bianchi del Nord del mondo "
" I Sionisti " .
Se tutto il resto fallisce e non si trovano i capri espiatori
adeguati , ci sono sempre i sionisti . Ci sono loro dietro a tutto e ci sono
sempre stati.
Ho cercato in modo
particolare di evidenziare le colpe di Israele fino a livelli che non si debbano applicare agli
Stati islamici . Per esempio , ho detto quanto vengano trattati male i
palestinesi che vivono in Israele
, anche quelli che sono in grado di votare e sedersi nella Knesset israeliana ,
ma non ho fatto alcuna menzione di quanto orribilmente vengano trattati gli
ebrei d'Iran , d’Egitto o di qualsiasi altro stato arabo . Per non parlare dei
pogrom contro i cristiani, ma qui il papa tace e non gliene frega niente a
nessuno. Né ho citato i passi del Corano su come debbano essere trattate le
donne . In breve, sono stato attento a lasciar fuori da ogni giudizio le
eventuali sentenze della cultura musulmana che potrebbero dar luogo a
giudizi islamofobi e francamente
razzisti . Ma ho dato giù un sacco
di colpi contro Israele , perché questo è democratico e progressista . Tenete a
mente , io non sono antisemita , io sono solo contro gli ebrei .... Voglio dire
, i sionisti . C'è una grande differenza, sai…
Ho cercato di non confondere alcun argomento contro la politica di immigrazione di massa
con l'essere "anti -immigrati " , e ho fatto ogni sforzo per chiarire
che ogni ambientalista che afferma che l'immigrazione di massa sta danneggiando
l'ambiente degli Stati Uniti (come ha fatto il fondatore della Giornata della
Terra , senatore democratico Gaylord Nelson e tre volte candidato al Premio Nobel
per la Pace ) in realtà non è un ambientalista , ma un bruto nazionalista che
sta usando l'ambientalismo come un mantello per la sua razzista politica in
favore dei nativi. Tra costoro sono compresi i tipi come il socio- biologo
E.O.Wilson di Harvard . D'altra parte , io non ho detto nulla sugli enormi finanziamenti alle ONG ambientaliste
tradizionali perché questo avrebbe implicato che coloro che sono in favore
della libera immigrazione non erano reali ambientalisti, ma ambientalisti che tendono a favorire le grandi imprese del mercato che
vogliono un numero più alto di consumatori e datori di lavoro a basso costo che vedono negli immigrati
un affare.
E ho parlato bene di Bill McKibben per quanto ho potuto. Lui è un'icona del pragmatismo . La
politica è l' arte del possibile , e se non è possibile ottenere ciò che è
necessario da parte del Congresso per salvare la civiltà , quindi è meglio
accontentarsi di una mezza pagnotta . Moriremo , ma non abbastanza in fretta .
Bill è il modello per tutti noi che vogliono gestire la crescita , piuttosto
che fermarla. Devo mantenere l'economia in piena crescita (senza preoccuparmi
troppo delle esternalizzazioni di tossici) , altrimenti il governo non avrà il
gettito per finanziare tutti quei diritti che i poveri , i poveri immigrati, le
povere donne immigrate di colore , i popoli indigeni , e le persone meritano .
Michael Moore dice che questi diritti dovrebbero essere una garanzia
costituzionale. Del resto mica sta scritto in Costituzione che gli animali, le
piante, le acque e i paesaggi degli Stati Uniti debbano essere protetti. Gli
umani si: gli umani hanno solo diritti. Come dice Isaac Asimov bisogna scrivere
in costituzione che ognuno ha il diritto di fare quello che vuole e può
trattare il pianeta come la propria toelette. Anche se 20 persone condividono
un appartamento con una stanza da bagno , tutti possono avere lo stesso diritto
di usarlo ogni volta che vogliono semplicemente facendo passare una legge. Del
resto i progressisti non hanno sempre detto che bastano le buone leggi
“democratiche” per risolvere tutti i problemi?
Mi auguro che , come conseguenza dei miei sinceri sforzi per
igienizzare il mio manoscritto della verità , possa riuscire a
farlo pubblicare da Paraocchi Press ---- possibilmente con un
finanziamento da parte della Fondazione Carnegie , che manipola in genere la
stampa dietro le quinte . Spero che trattiate il mio libro con la vostra famosa
obiettività. Sarebbe un onore che il mio libro venga pubblicato dalla casa editrice del politicamente corretto, in modo che
possa prendere il suo posto accanto ad altri magnifici libri di veridicità
scientifica democraticamente
certificata.
Tim Murray
giovedì 17 ottobre 2013
Souvenir d'Italie
Dialogo con Angelo Antolino, fotogiornalista, che con il suo sito web da anni denuncia l’Italia degli scempi e del cemento. “Ho maturato la volontà di realizzare un reportage per mostrare il vero volto dell’Italia di oggi”, ci dice, “ben lontana dalla cartolina del Belpaese fortemente radicata nell’immaginario collettivo. Perché è proprio adagiandosi su questa immagine che vengono perpetrati i maggiori crimini ai danni del paesaggio”.
Un viaggio d’immagini attraverso ciò che di peggio l’Italia offre a se stessa e al mondo. Un’overdose di verità lontana dagli scorci da cartolina che ancora, a stento, sopravvivono nel mare di cemento che è diventata negli anni l’Italia. Un grido costituito dagli scatti di una macchina fotografica, quella di Angelo Antolino, laureato in storia dell’arte e fotogiornalista, innamorato come tanti di un’Italia che sta morendo, quella della natura che si fa cultura e dei paesaggi amati dagli artisti di ogni epoca, uccisa dall’ignoranza e dalla speculazione.
Per salvare l’Italia migliore, o quel che ne rimane, è necessario però dare corpo a quella peggiore e oscura, darle un volto e saperla guardare. Come un malato, che prima d’ogni cura, deve prendere coscienza del proprio male, per sconfiggerlo.
“Studiare Storia dell’Arte”, dice Antolino, “significa viaggiare per andare a vedere le opere dal vivo e capire il contesto in cui sono nate. E ad ogni viaggio in ogni regione d’Italia mi rendevo conto della spaventosa distanza che c’era tra le opere e il paesaggio circostante. Non solo la campagna veneta o quella senese dipinta da Bellini e Lorenzetti era sparita sotto il cemento, ma era venuta meno anche la cultura in cui queste opere erano nate. Parlo di quella cultura fondata sul principio, tramandato per secoli, per cui il paesaggio è l’habitat nel quale si vive e da cui la vita discende, attraverso l’agricoltura e la pastorizia, e che pertanto è un bene comune da salvaguardare e tutelare”.
“Inoltre”, prosegue, “con questo reportage ho cercato di inquadrare il problema della cementificazione in una prospettiva nazionale, poiché fino ad oggi le battaglie in difesa del Paesaggio – eccezion fatta per la Val di Susa – sono rimaste confinate nei singoli ambiti locali. Mentre, ad esempio, la costruzione di un albergo sulle colline ricoperte di ulivi a Portovenere, o la realizzazione di un centro commerciale su suolo agricolo in Campania, è un problema che riguarda l’intero Paese”.
Sono molteplici i luoghi comuni da sfatare per far sì che il paziente prenda coscienza della malattia: dalla bellezza dei territori italiani, intesa come una sorta di credito infinito ed inesauribile di cui godrebbe la penisola quasi per volontà divina, fino all’idea che la cementificazione sia un fenomeno legato esclusivamente al boom economico.
“Come in stato di ipnosi”, aggiunge il fotografo, “continuiamo a ripetere il mantra l’Italia è il Paese più bello del Mondo e contemporaneamente, con sistematicità, lo distruggiamo. A partire dal secondo dopo guerra, con raccapricciante metodo, si è deciso per un suicidio collettivo, e nell’arco di 60 anni si è riusciti a distruggere un paesaggio modificato costantemente per migliaia di anni ma che era rimasto sempre identico a se stesso nella sua magnificenza”.
“Un altro dei miti da sfatare”, sottolinea, “è quello legato alla cementificazione come fenomeno tipico del boom economico: in realtà i dati dimostrano che dal ’95 a oggi è sparito sotto il cemento l’equivalente di Umbria e Veneto messe insieme, un processo ancora più aggressivo di quello avvenuto tra gli anni ’50 e ’60. Il cortocircuito che oggi impedisce la difesa del territorio o lo derubrica a problema di serie b rispetto a temi come lavoro, salute, sicurezza, è determinato anche dal fatto che il concetto stesso di paesaggio viene troppo spesso confuso con quello di panorama. Salvaguardare il paesaggio come grande risorsa strategica significa porre le basi per un reale progresso sociale ed economico di questo Paese”.
Sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del consumo di suolo e del rispetto dell’ambiente come primo passo per convincere il malato a prendere le medicine. Per iniziare un dialogo con le persone tuttavia, è fondamentale prendere contatto con i territori. “La mia collaborazione con Salviamo Il Paesaggio, Italia Nostra, Wwf e tanti altri comitati locali”, dice ancora Antolino, “nasce dalla necessità di mettermi in ascolto con i singoli territori. Prima di recarmi in una determinata area, mi mettevo in contatto con le sedi locali delle associazioni raccogliendo segnalazioni relative ai casi più eclatanti di scempio del paesaggio. Gli attivisti di Salviamo il Paesaggio con cui ho collaborato, si sono rivelati tra i più competenti e disponibili durante il mio Grand Tour. Ho anche ricevuto molte offerte di ospitalità, ne cito una a titolo di ringraziamento, come ad esempio il favoloso agriturismo Il Cignale di Rita Rossi di Salviamo il Paesaggio di Penne (PE)”.
Fare squadra, quindi, con tutte le realtà quotidianamente impegnate per difendere quell’Italia migliore che ancora sopravvive al degrado. L’unico modo per raggiungere un obiettivo comune.
“Fare questo reportage mi è costato un’enorme fatica”, conclude il fotogiornalista, “soprattutto perché nei due mesi e mezzo di viaggio ad ogni chilometro percorso mi rendevo sempre più conto che le aree di paesaggio non stuprate dal cemento sono davvero esigue, e al termine di ogni giornata alla fatica fisica si aggiungeva un senso di sconforto. Tuttavia questo reportage mi ha dato la possibilità di conoscere, ad ogni tappa, alcune delle tantissime persone che tramite associazioni e comitati combattono, da anni e nel silenzio, una guerra quotidiana per la salvezza dell’Italia.Senza quelle donne e quegli uomini che gratuitamente mi hanno dedicato il loro tempo, non avrei potuto realizzare questo reportage”.
Ed è proprio di quel genere di donne e uomini che l’Italia migliore ha disperato bisogno per non soccombere alla demoralizzazione, prima ancora che alla devastazione fisica del proprio territorio. Su col morale, non è ancora detto.
Purtroppo la cementificazione continua e ogni giorno l'Italia perde 100 ettari di verde. La speculazione edilizia, la mafia che gestisce il cemento, la tratta degli extracomunitari che assicurano nuova richiesta di case, tutto contribuisce alla fine del Bel Paese. I politici pensano ad altro, i giudici chiudono gli occhi e lasciano correre: a nessuno interessa il paesaggio e il suolo verde italiano. Prima vengono i diritti i diritti i diritti. Delle leggi -quelle poche che ancora esistono- se ne fregano tutti. Tutti ci hanno famiglia e pensano prima di tutto a soddisfare i propri appetiti. Il degrado urbano e il cemento, nel frattempo, si mangiano il paese come un cancro inestirpabile. E all'Italia resta poco da vivere...
domenica 13 ottobre 2013
Il linguaggio del Limite
“Il
linguaggio è la casa dell’essere ed in essa abita l’uomo”.
(Martin Heidegger: Lettera sull’Umanesimo).
Il test di
Turing prevede che una giuria –attraverso un terminale- faccia delle domande
(su tutti gli argomenti possibili) a due interlocutori non visibili. Uno è un
essere umano, l’altro un programma per computer, e la giuria deve
indovinare quale dei due è l’umano
e quale il computer. Turing nel 1950 aveva predetto che nel 2000 i computer
sarebbero stati in grado di ingannare il 30 per cento dei giudici dopo 5 minuti
di conversazione. La previsione di Turing non si è ancora avverata.
Quale è il
motivo per cui il linguaggio dell’uomo è così diverso da quello delle macchine?
Quando ad uno dei partecipanti al test in qualità di risponditore fu chiesto
perché le sue risposte fossero state riconosciute quasi sempre come umane, la
sua risposta fu: “perché sono stato lunatico, irritante e odioso”.
A ben vedere il
test di Turing permette di misurare anche il nostro avanzamento nel modo di
pensare. “Per esempio –come sostiene il filosofo di Oxford John Lucas- se non
riusciremo ad impedire alle macchine di passare il test non sarà perché le
macchine sono molto intelligenti, ma perché gli esseri umani, o per lo meno
alcuni, sono di legno”.
Se l’evoluzione
tecnologica viaggia rapidamente, è altrettanto vero che il linguaggio umano
rischia di regredire, di uniformarsi ad un livello standard, di essere dominato
da frasi fatte o da modalità stereotipe come certi linguaggi tecnici. Come
spiega Garry Kasparov nel suo libro “Gli scacchi, la vita”: Negli scacchi un
giocatore giovane può fare parecchia strada imitando i grandi campioni, ma per
sfidarli deve inventare un suo modo di giocare”. Per giocare oltre un certo livello
è necessario cambiare le teorie esistenti. “La forma più alta della guerra è
l’attacco al concetto stesso di strategia”, dice Sun Tzu.
In presenza di
una situazione oggettiva mutata non
è facile modificare il linguaggio (il software) di un computer che lo
renda più adatto alla situazione. La programmazione di software è per la
maggior parte basata sulla ripetibilità delle risposte: come possono
testimoniare quasi tutti i programmatori, un difetto di programmazione
irripetibile è anche inaggiustabile. Questo è anche il motivo per cui i
computer funzionano meglio dopo un riavvio che non dopo giorni di continuo uso.
Questi stati zero sono quelli che i programmatori affrontano regolarmente e
quindi sono quelli i cui errori sono stati quasi totalmente corretti: più a
lungo un sistema informatico è in attività, più singolare e unico il suo stato
tende ad essere, inclusi i suoi errori. La stessa cosa si può dire delle
persone, se non che queste non possono riavviarsi da zero. Nessun computer
possiede la plasticità sinaptica, cioè la stupefacente capacità plastica dei
neuroni: ogni volta che un neurone si accende la struttura delle connessioni
con gli altri neuroni si modifica. In altre parole, un cervello che funziona è
un cervello che cambia. Ma il linguaggio può creare delle rigidità. Il proprio
linguaggio costituisce il mondo all’interno del quale si avverano i pensieri,
le ragioni e i sentimenti di ogni individuo. Se il linguaggio è stereotipo e
ricalcato su proposizioni precostituite, anche il pensiero sarà rigido e
scarsamente modificabile al variare delle condizioni esterne. Il
conformismo al pensiero
politicamente dominante (il politically correct), all’opinione media
prevalente, toglie la plasticità al pensare ed all’agire delle persone, fino a
portare a comportamenti che mettono a rischio la capacità di affrontare
situazioni critiche e addirittura la sopravvivenza. In presenza di una
martellante presenza di midia che ripetono concetti stereotipi è difficile, per
un individuo, elaborare un pensiero individuale che si basi –invece che su
concetti indotti- sulla propria esperienza personale e sulla propria storia. E
l’esperienza è fondamentale nel campo del pensiero per elaborare strategie in
grado di far fronte ai cambiamenti dell’ambiente esterno.
Il nostro
linguaggio cambia ogni giorno, e il linguaggio che si utilizzava alcuni decenni
fa, ad esempio dai giovani degli anni ‘60, è profondamente mutato rispetto a
quello usato dai giovani di oggi. Negli anni 60 non esisteva il concetto di
limite, di riduzione dei consumi e di emissioni, di riserva naturale
esauribile, di rispetto per i limiti della natura. All’interno del linguaggio
degli anni ’60 le strategie erano esclusivamente di crescita, di sviluppo
illimitato, di consumi sempre crescenti, di progresso nel numero e nella
qualità dei prodotti. Gli effetti ambientali di queste strategie erano del
tutto ignorati o sottovalutati ed al massimo si prendevano in
considerazione solo i riflessi
sulla giustizia sociale (sempre all’interno del modo di vedere antropocentrico)
quali la redistribuzione della ricchezza e di uguaglianza. Assolutamente fuori
da ogni considerazione erano gli aspetti legati alle altre specie viventi e
alla biodiversità. (Anche gli animali –come esseri senzienti- hanno un linguaggio, anche se
incomparabilmente diverso dal nostro e meno plastico. Tuttavia, visti i danni
compiuti dall’uomo, è bene non esprimere giudizi di valore sui rispettivi
linguaggi). Il linguaggio prevalente di quegli anni, all’interno del quale
si sono sviluppate le strategie del mondo occidentale nei decenni successivi,
ha portato a comportamenti che hanno avuto un esito tragico per il pianeta.
Oggi il
cervello umano sta elaborando nuovi schemi di pensiero all’interno di un nuovo
linguaggio che faticosamente tenta di farsi strada di fronte alle rigidità e
agli stereotipi dei linguaggi del passato. L’infelicità e la preoccupazione per
le sorti della Terra sono sempre più diffuse, ma i comportamenti tardano ad
adeguarsi alla presa d’atto della crisi ambientale globale. Tra i nuovi
concetti su cui si converge la
parola “limite” è una delle più rilevanti. Limitare i consumi, limitare le
emissioni di gas serra, limitare la crescita indiscriminata del cemento, delle
città, delle strutture tecnologiche inquinanti, limitare le nascite e
l’eccessiva pressione antropica, sono concetti e schemi linguistici sempre più
diffusi. Il concetto di limite si applica alle risorse del pianeta, all’acqua,
al suolo, all’energia, al petrolio, al gas ecc. ed ormai tutte le elaborazioni
di programmi riguardanti il futuro debbono essere incentrate su di esso. Le auto hanno tutte limiti di emissione di CO2, i vari protocolli internazionali prevedono limiti di emissione, uno dei libri più importanti dell'ultimo secolo ha per titolo : i Limiti dello sviluppo. Tuttavia la nascita e la diffusione di questo nuovo linguaggio è contrastato dai vecchi modi
di pensare, dalle ripetitività, dalle rigidità, dall’uso di terminologie basate
sull’ idea di uomo come principe del creato, come proprietario e utilizzatore
senza limiti delle risorse naturali. La religione e le ideologie antropocentriche sono mondi ancora impermeabili ai nuovi linguaggi, e come i dinosauri dell'era giurassica resistono all'estinzione, almeno fino all'arrivo della catastrofe ambientale planetaria. E’ interessante notare come nei dibattiti
televisivi si parli di crescita, di sviluppo, di natalità, e contemporaneamente -spesso persino dagli stessi individui- si usino termini quale limite, esaurimento, eccesso di consumi, eccesso demografico: assistiamo
in diretta ad un conflitto selettivo in senso darwiniano dei linguaggi. Un
cambiamento effettivo dei comportamenti non potrà che seguire ad una modifica
vincente del linguaggio e di nuovi schemi plastici dei neuroni (una speranza viene dal fatto che in passato cambiamenti importanti sono già accaduti, anche se non così radicali). Il
conflitto tra i due linguaggi, che sottendono due visioni del mondo in
contrasto tra loro, è quindi in atto.
Dipenderà dalle nuove generazioni avere l’elasticità mentale necessaria per
vincere la sfida, o perderla. Almeno fino a che non accadrà che a vincere il
test di Turing saranno le macchine.
(Molte delle
informazioni utilizzate in questo post sono tratte dal libro di Brian
Christian: “The Most Human Human.
What Talking with Computers Teaches Us About What It Means to Be Alive”, Random
House, NY 2011).
venerdì 11 ottobre 2013
Mente tribale e crisi globale
Jonathan Haidt è uno psicologo e
filosofo che nel suo libro “Menti tribali” (Edizioni Le Scienze, 2013) si chiede come si formano e si
strutturano i sistemi morali. Haidt rifiuta l’idea cara ai progressisti che le
idee morali siano derivate dal razionalismo critico, frutto di una visione superiore e intellettualmente illuminata della realtà. Al contrario riconosce nella
molteplicità dei sistemi morali, nel loro variare a seconda della società di
appartenenza, delle aree geografiche e storiche di origine, un sistema assai più “antico” basato sulla intuizione che precede
il ragionamento e sulla formazione della coscienza morale durante il periodo
infantile, sulla trasmissione dei valori da parte degli anziani ai giovani. In
pratica si tratta del vecchio modello “tribale” il quale rende le società umane
spesso impermeabili tra loro e schierate su fronti contrapposti e in conflitto.
Un esempio di sistemi tribali è quello delle religioni, che prevedono
divinità-totem e obblighi morali
diversi e inconciliabili. Qualunque critica, all'interno di questi sistemi totemici, è irricevibile in quanto mina alle fondamenta tutto l'edificio di credenze. Persino all’interno delle nostre società contemporanee, negli
schieramenti politici, si rispecchiano valori morali diversi che si basano su
convincimenti pre-razionali e
riproducono le caratteristiche delle antiche divisioni tribali. Gli odii
e i conflitti tra progressisti e conservatori vengono così a perdere quella
valenza di posizioni razionali che si confrontano dialetticamente, per
rispecchiare invece appartenenze tribali basate su sistemi etici incompatibili
tra loro che portano a vedere in chi appartiene all’altro schieramento un
nemico mortale. La storia dei conflitti religiosi, spesso all’interno di una
stessa appartenenza etnica, o peggio tra gruppi etnici diversi, sono esempi di
queste appartenenze pre-razionali a sistemi tribali. La storia dell’Europa nel
900 è un esempio di questi schieramenti in conflitto alla cui base vi sono
visioni del mondo e dell’uomo incompatibili, in quanto radicati in diversi
sistemi morali, diversi miti di riferimento, diversi "totem e tabù" come erano in
origine quelli che appartenevano a tribù umane diverse tra loro.
Ma nei momenti critici, di fronte a
situazioni che portano a minacciare la sopravvivenza stessa della civiltà,
l’uomo è stato in grado –almeno nel passato- di riorganizzare le proprie
società, di cambiare le visioni del mondo e i sistemi morali, per approdare rapidamente a società in grado di affrontare le crisi. In fondo il
successo evolutivo di Homo si è basato molto su questa possibilità di
cambiamento dei propri sistemi morali e delle visioni del mondo di fronte a situazioni estreme. Questi cambiamenti epocali
dovettero ad esempio accompagnare il passaggio dalle società umane di
cacciatori-raccoglitori a quelle stanziali basate sull’agricoltura e la
pastorizia, circa 10000 anni fa. L’estinzione di Neanderthal fu probabilmente
dovuta ad eccessiva rigidità mentale, ad una chiusura affettiva nella propria tribu’. Cambiamenti
altrettanto importanti si sono avuti con la creazione dello Stato moderno e con
lo sviluppo della tecnologia negli ultimi 4-5 secoli. Questi cambiamenti sono
stati il portato di situazioni di crisi generale della vecchia organizzazione
economica e sociale, in cui condizioni esterne venivano a mettere in tensione e
a rompere le precedenti visioni morali e i valori su cui si basava la società
tradizionale. La natura ancestrale e tribale alla base della rigidità della
mente degli individui è
stato un fattore decisivo nel progresso per “crisi” delle società umane e nel procedere per rotture traumatiche.
Elemento costante delle situazioni di crisi è la necessità di fondare rapidamente nuovi valori condivisi
per uscire dalla situazione critica. Spesso il cambiamento necessario è troppo
rapido per poter conservare i precedenti valori di riferimento, e può avvenire
solo con un distacco netto.
E’ innegabile che oggi ci troviamo in
un momento di crisi generale delle società umane tradizionali, nessuna delle
quali –pur nella loro molteplicità di valori e visioni morali- è in grado di
affrontare in maniera adeguata la situazione che abbiamo di fronte. Il mondo,
dopo quattro secoli di sviluppo tecnologico illimitato, è sull’orlo di una
catastrofe climatica, di un esaurimento delle risorse ambientali, di una devastazione ambientale irreversibile . L’ esplosione demografica umana che è
alla base della crisi ambientale
si è sviluppata in un lasso di tempo brevissimo, ed è stata così dirompente da
passare in poco più di cento anni da uno a sette miliardi di individui. Haidt
afferma che siamo in un momento cruciale, in cui è necessario un cambiamento
radicale dei nostri valori, fino ad oggi basati su credenze e sistemi morali
che vedono l’uomo al centro di tutto e considerano la natura al nostro
servizio. Un cambiamento epocale come quelli che in passato hanno portato a
superare momenti difficili è oggi ancor più necessario di fronte alla
prospettiva di un collasso globale del pianeta. La possibilità di effettuare
rapidi cambiamenti nelle nostre condotte riguardo la sessualità, la natalità,
il concetto di famiglia, il modo di produrre e di consumare, implicano la necessità di uscire dagli
schemi troppo rigidi delle appartenenze tribali. È necessario un cambiamento
profondo delle nostre menti ancora legate a schemi del passato. Le nostre profonde divisioni religiose,
ideologiche e politiche hanno ancora un senso in un mondo sovrappopolato e
teleconnesso? In un mondo di
migrazioni di massa e convivenze
forzate, la mente dell’uomo è chiamata ad una presa di coscienza sui nuovi
valori e su una nuova morale che veda al centro non la propria tribù, ma la
natura e tutte le specie viventi.
venerdì 4 ottobre 2013
Vergogna
Un uomo anziano vestito di bianco, di fronte all'immane tragedia del mare di Lampedusa, ha pronunciato una parola: vergogna. Il papa ha ragione, perché quei 300 morti sono un'infamia per il genere umano. Ma quella parola non riguarda solo governi ed istituzioni civili. Riguarda anche il pensiero e l'azione di quella istituzione di cui il papa è il capo assoluto: la Chiesa.
Chi negli ultimi decenni ha predicato in quelle terre, da cui provengono i disperati morti nel mediterraneo, che avere figli è bello, e averne tanti è ancora più bello, e che una famiglia numerosa è una benedizione di dio?
Chi, attraverso le missioni, ha sistematicamente favorito la natalità senza limiti, la diffusione di messaggi
devastanti dal punto di vista ambientale, come quello del "crescete e moltiplicatevi" e quello che il mondo la natura e gli animali, come dice il vangelo (un testo scritto duemila anni fa), sono a disposizione dell'uomo e per il suo illimitato dominio? Il risultato di questa visione delirante del mondo sono i trecento cadaveri restituiti ieri dal mare, cioè dalla natura, come un terribile monito.
Chi ha insediato in città e campagne scuole per l'alfabetizzazione (cosa buona e meritevole) ma in cui si insegna il ripudio di ogni mezzo contraccettivo e si esalta la natalità come mezzo per attuare il disegno divino del trionfo dell'uomo su tutto il creato? Chi in queste scuole cristiane insegna in maniera irresponsabile che l'ambiente non è un problema, che la terra può nutrire altre decine di miliardi di persone, che il mondo è a nostra disposizione per volontà divina?
Chi, attraverso l'indottrinamento e la colpevolizzazione ha da sempre contrastato il controllo demografico, l'uso della pillola e del preservativo, ha condannato come colpa grave la contraccezione, ha contrastato con ogni mezzo la procreazione consapevole e l'aborto, ha contribuito all'idea della donna come sottomessa alla volontà del maschio, ha incentivato la mentalità tribale che la vede relegata nella famiglia come fattrice di figli quale suo essenziale significato nella creazione?
Chi ha sistematicamente ostacolato la diffusione di mezzi contraccettivi, persino di quelli usati nella prevenzione della diffusione dell'Aids? Chi ha in maniera organizzata sabotato e distrutto persino i distributori dei preservativi che alcune organizzazioni umanitarie laiche avevano istallato in tante città o villaggi africani?
La tragedia di Lampedusa desta giustamente orrore in tutti gli uomini. Ma nessun governante, nessun ministro, nessun giornale, nessuna televisione, nessuna organizzazione civile o religiosa va oltre la deplorazione e i soliti richiami all'accoglienza. Nessuno va all'origine della tragedia di ieri e a quelle del passato e di quelle che purtroppo seguiranno. Nessuno parla della incontrollata esplosione demografica della specie Homo che genera squilibri tra popolazione e risorse dei territori, povertà, conflitti, fame e disperazione, e che è alla base dell'imponente fenomeno migratorio che non ha precedenti nella storia di milioni di anni del pianeta e che sta caratterizzando la breve e catastrofica epoca dell'antropocene. Quando il papa ha pronunciato quel "Vergogna!" ha avuto subito prima un attimo di esitazione, come un retropensiero. Mi piace credere e sperare che quel pensiero e quella esitazione derivassero dalla consapevolezza, finalmente dalla consapevolezza anche del capo della Chiesa, che molta vergogna per quello che è accaduto debba ricadere anche sulla Chiesa e le sue deplorevoli azioni e messaggi diffusi nelle terre della disperazione.
mercoledì 2 ottobre 2013
Uomini e Elefanti
Gli ominidi hanno vissuto insieme con gli elefanti per
milioni di anni, senza darsi fastidio, in un equilibrio naturale. Poi sono
arrivati gli Homo sapiens, i killer.
Per gli elefanti sono cominciati i guai. Oggi gli elefanti sono in via di
estinzione, perché Homo s. non rispetta gli equilibri naturali e utilizza la tecnologia facendone un’arma per il
proprio egoismo e per il disprezzo
e la distruzione di tutte le altre specie. L’estinzione degli elefanti è
un’altra dimostrazione, l’ennesima, dell’efferatezza di Homo s. e del suo
antropocentrismo nichilistico. L’elefante è un antico animale dal punto di
vista filogenetico, rappresenta la storia di milioni di anni del nostro
pianeta: quando guardiamo questo grande animale buono, guardiamo alla essenza antica
della Terra. Ma la stupidità di Homo s. lo vede o come un intralcio allo
sfruttamento del territorio o come
fonte di avorio, come un magazzino di merce che rende molto denaro. L’esplosione demografica di Homo s. sta distruggendo l’ambiente
della savana dove gli elefanti hanno pascolato da sempre; la presenza umana sta alterando i
terreni, estendendo la deforestazione e la cementificazione, modificando gli spazi di transumanza,
avvelenando le acque, sradicando le piante di cui si cibano gli animali, allo
scopo di impiantarci le monocolture ad uso antropico. Ma non è solo questo. C’è
anche un aspetto che riguarda l’innata malvagità di Homo s. e un’assurda
ferocia, una ybris speculativa che porta alla uccisione in massa degli elefanti per utilizzarne le zanne e farne orpelli e insulsi oggettini da
smerciare nei mercati mondiali. Presto l’elefante, come specie, scomparirà dal
pianeta Terra, insieme a tante altre specie; e nessun altro fatto esprime con
più evidenza il destino che ci attende tutti. Come stiamo trattando gli elefanti, questo genocidio, ci
marchia indelebilmente come specie, ci condanna senza scampo davanti al
tribunale della natura.
“I bracconieri li hanno uccisi versando
nelle pozze d’acqua del cianuro, quello che si usa nelle miniere d’oro: sono
oltre ottanta le carcasse di elefanti trovate nei remoti abbeveratoi del Hwange
National Park, nello Zimbabwe; una strage, perché con loro sono morti molti
altri animali che si erano abbeverati con l’acqua contaminata e avvoltoi e
altri predatori che si cono cibati delle carcasse dei pachidermi.
Ora nove bracconieri sono stati
arrestati e il nuovo ministro dell’Ambiente Saviour Kasukuwere ha promesso pene
più severe; ma il disastro è compiuto e purtroppo non sarà l’ultimo. Bisogna
tener presente che i bracconieri sono gli abitanti più poveri di terre sempre
più affamate (…e sovrappopolate, ndr), disperati e disoccupati pronti a
delinquere come avviene ad ogni latitudine, compresa l’Italia, dove si brucia
una macchina, si ammazza o si vende l’anima a chi paga meglio. Abbattono gli
animali con i kalashnikov, ne segano le zanne, lasciano i corpi nella savana.
Sradicano la ricchezza dalla loro terra.
Povertà, ignoranza, delinquenza: è
tutto collegato. I mercati chiedono avorio per trasformare una delle creature
più grandi della Terra in bacchette da riso o insulse statuine che prendono
polvere in salotto, mentre la carcassa dell’animale marcisce…Il simbolo
d’Africa viene così ammazzato dai poveri, per fame. E per lui il rischio di
estinzione è sempre in agguato: la responsabilità è dei cinesi, ma anche dei
turisti europei, nordamericani, orientali, di faccendieri. I principali
trafficanti sono Cina e Hong Kong: lo lavorano e lo rivendono su internet.
L’avorio può giungere in Egitto dagli Stati confinanti, dal Sudan, che ha pochi
controlli. A lungo anche l’Egitto è stato un mercato di scambio.”
“Ogni anno – denuncia il fotografo Nick
Brandt specializzato in foto di animali africani- i bracconieri in cerca di
avorio uccidono il 10 % dell’intera popolazione mondiale di elefanti. Di questo
passo, senza qualche intervento forte per fermarli, tra un decennio non
esisterà più nemmeno un esemplare”.
“Ora in Africa è in corso una
distruzione che non possiamo più ignorare. I nostri insediamenti si allargano,
gli spazi per gli animali diminuiscono, e i mezzi per uccidere diventano più
sofisticati. La classe media cinese è aumentata, e vuole questo materiale come
simbolo del proprio status. Di conseguenza è salito il prezzo, da 200 dollari
per libbra nel 2004, ai 2000 dollari di oggi. Ciò ha reso il contrabbando molto
più redditizio, e ormai l’avorio viene usato anche per finanziare le guerre in
Africa. Gli elefanti vengono uccisi in vari modi, dalle fucilate ai mitra.
Alcuni bracconieri lasciano in terra angurie avvelenate, condannando gli
animali che le mangiano a una morte lenta e orribile…gli elefanti sono animali buoni che tendono ad avvicinarsi senza sospetto agli umani, è spesso la loro bontà che
li espone alla ferocia dei bracconieri. I bracconieri uccidono le matriarche,
le femmine con molti cuccioli, perché sanno che gli altri membri della famiglia
tornano a cercarle, e così li attirano in trappola. Il 27 febbraio del 2012
fotografai Qumquat con le figlie Quantina e Quaye, e i nipoti: 24 ore dopo
erano tutti morti. Per fermare la strage bisogna convincere i governi ad
applicare le leggi contro la caccia. La chiave è coinvolgere le comunità
locali, dimostrando che la conservazione della natura è un affare migliore del
bracconaggio”.
( Da un articolo de La Stampa del 28
settembre 2013).
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