Ho sempre creduto che l’uomo fosse un
animale e appartenesse completamente al mondo animale, anche prima di leggere
Lorenz. La lettura delle opere del grande etologo mi confermarono in questa
convinzione e mi aprirono allo stesso tempo tutto un mondo di riflessioni sul
nostro sconfinato egoismo di specie. L’uomo è un animale e appartiene ai
primati come il gorilla e le altre scimmie. Ma noi, soprattutto noi moderni,
storditi dalla nostra civiltà tecnologica, lo abbiamo dimenticato. Credo fermamente che il destino tragico
cui stiamo avviando il pianeta derivi fondamentalmente, prima di tutto, da
questa dimenticanza originaria. Tutti i nostri errori, tutta la distruttività
del pensiero e dell’azione umana sulla Terra sono il portato di questa
dimenticanza. L’arrogante, idealistica e ideologica distinzione tra uomo e
natura, il pensiero antropocentrico, la visione religiosa dell’uomo come figlio
di dio e padrone del mondo, tutta la metafisica incentrata sull’uomo centro dell’universo , essere
razionale in grado di controllare ogni cosa, derivano da questa dimenticanza di
fondo. E’ necessaria una
rivoluzione copernicana che scalzi l’uomo dal centro dell’universo e riporti la
concezione etica e culturale dell’uomo nei limiti naturali del nostro pianeta,
evitando la sopraffazione della nostra specie su tutte le altre e la
distruzione della biosfera. Ugualmente importante è fermare l'incredibile crudeltà dell'uomo verso gli animali, che giunge a vere e proprie torture senza senso, ad un comportamento che getta una luce sinistra su questa scimmia crudele e sanguinaria denominata Homo sapiens. Credo che, anche a livello legislativo, sia urgente una serie di misure volte a eliminare questa forma di specismo che raggiunge in molti casi il genocidio.
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Su questi temi è
uscito un bel libro a doppia firma: “L’uomo, i libri a altri animali” di Remo
Ceresani (letterato filologo) e Danilo Mainardi (etologo) –Il Mulino 2013. E’
in forma di dialogo tra due vecchi compagni di scuola che si reincontrano dopo
essere divenuti un
umanista e uno scienziato di grande fama. Discutono di letteratura e di etologia andando però
al centro delle questioni attuali che riguardano l’ambiente e l’equilibrio e la
pari dignità tra le specie viventi.
Riporto alcuni passaggi:
Danilo: “Vedi, il
problema è questo: io, fondamentalmente, sono uno zoologo fatto e finito, uno
cioè che ancora la pensa come Linneo, che era un fissista ma che pure, nel suo
Systema naturae, piazzò Homo sapiens tra gli altri primati: gorilla, scimpanzè,
orango…Oppure più modernamente come Darwin, il più grande degli evoluzionisti,
che, proprio perché convinto della parentela che tutti ci lega, ci mantenne dove
ci aveva collocato Linneo. E dove, penso io, è corretto che noi umani si debba,
in un’ottica evolutiva e sistematica, rimanere…Mi pare pertanto interessante
chiederti perché tu, come del resto la maggior parte degli esseri umani, trovi
corretto, normale, pensare e dire: “l’uomo e gli animali”, mentre per me,
invece, è normale, perché connaturato al mio modo di rapportarmi col mondo dei
viventi, pensare e dire : “ l’uomo e gli altri animali”…
M’è tornato in mente,
un giorno lontano – ero allora all’università di Parma -, quando me ne andai a
Pavia per sentire una conferenza del mio amico indiano, che purtroppo ora non
c’è più, Suresh Jayakar e di Helen Spurway, sul comportamento delle pavoncelle
indiane, Vanellus malabaricus. Non so se ti ricordi, Remo, ma quando eravamo
ragazzi anche da noi esistevano – arrivavano a svernare nei nostri campi –
uccelli simili, le nostre splendide Vanellus vanellus. E’ probabile che
anch’esse presentino comportamenti simili alle loro cugine indiane di cui ti
sto per dire. Ti introduco il dato, che poi ho riportato e commentato nella mia
Etologia caso per caso. A primavera i maschi, provenienti dai quartieri
invernali, competono tra loro per conquistarsi i territori. Questi sono,
secondo una classica terminologia, “riproduttivi” e “trofici”. In essi cioè la
coppia si riprodurrà e troverà alimento per sé e per la progenie. Se si
considera che solo i possessori di territorio si riproducono, la suddivisione
di tutto lo spazio utile in territori risulta essere un’abitudine efficace per
proporzionare a priori alla produttività dell’habitat il numero complessivo
degli individui generati. E’ anche un mezzo, però, e non può essere altrimenti,
per tagliarne fuori altri dalla riproduzione, secondo le regole proprie della
selezione sessuale. Non è infrequente infatti osservare tentativi di entrare in
un’area già occupata da un’altra coppia. Ebbene, quando il possessore di un
territorio si accorge che un altro maschio si sta avvicinando alla sua
proprietà, si comporta come se simulasse la costruzione del nido, oppure di
essere intento a nutrirsi. Allusivo, no? Dico così perché il territorio delle
pavoncelle è, appunto, riproduttivo e trofico. E’ quasi, cioè, come se quel
maschio dicesse: “Vedi, qui faccio il nido e mangio, dunque sono nel mio
territorio; dunque ti è vietato entrare, altrimenti t’aggredisco”. Ed
effettivamente di solito l’estraneo se ne va…”
Remo: “Mi piace molto
questa scenetta. Penso a tutto il grande apparato di colori, simulazioni,
travestimenti, inganni che animali, piante, fiori mettono in atto per
esercitare fra loro seduzioni, aggressioni,depredazioni, difese e mi diverte
davvero pensare che questi nostri amici animali e vegetali condividano con noi
il gusto teatrale della simulazione.
Mi viene alla memoria la scena notturna dei fiori, delle farfalle,
dell’ape tardiva, tutti in preda a una vitale forza di seduzione, nel Gelsomino
Notturno di Giovanni Pascoli.”
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Danilo: “…Per tornare
ai nostri maschi, questi dovevano necessariamente già sapere, tramite esperienze
pregresse, che avvicinandosi a chi stava mangiando o costruendo il nido sarebbero stati
aggrediti. E’ su questa base esperienziale che la selezione naturale ha
costruito geneticamente, mutazione dopo mutazione, il rito biologico,
sostituendo così con l’esperienza della specie quella certo un po’ più
consapevole, almeno in qualche caso, degli individui. E fu così che la “cosa in
sé”, cioè l’atto di fare il nido oppure di raccogliere il cibo, si trasformò in
un rito con funzione di messaggio, scritto nel Dna e perciò innato”.
“Passando ora dai
segnali visivi a quelli acustici, ti propongo un esempio concreto. La
metodologia, in questo caso, è quella del play-back. Un caso affascinante
riguarda l’allocco, il fiero rapace notturno che popola i nostri boschi. Devi sapere
che la sua espressione vocale più frequente è il canto territoriale maschile.
Mi servo, per fartelo immaginare acusticamente, di due sole lettere
dell’alfabeto, di cui una, tra l’altro,
muta. E’ un suono trisillabico che fa all’incirca così: “huuuh-hu-huuuuuuuuuh”.
Ecco cosa scrivono al proposito di quest’esperimento Sandro Lovari e antonio
Rolando nella loro Guida allo studio degli animali in natura:
Una delle specie più
reattive è l’allocco Strix Aluco. Le prove di play back con questo aggressivo e
coraggioso rapace sono quasi sempre coronate da successo, e sono spesso delle
esperienze indimenticabili. Il ricercatore deve scegliere il periodo di maggiore attività canora,
che è quello invernale, uscire di notte nei boschi frequentati dove, senza troppe
alchimie sperimentali, diffonderà nel silenzio notturno il lugubre canto
registrato del rapace. Il maschio territoriale più vicino risponderà subito e,
se particolarmente reattivo (ogni allocco, come ogni essere umano, ha il suo
carattere), si avvicinerà rapidamente, fermandosi minaccioso a pochi metri dal
registratore.
Pensa che spettacolo:
spari un messaggio e il destinatario, ingannato dal tuo marchingegno, viene lì
a pochi metri pronto a far baruffa. Con i suoi occhi rotondi e gialli. Con le
sue penne arruffate. Un maschio d’allocco, d’altronde, non può tollerare che un
estraneo si installi nel suo territorio riproduttivo. E pensa che sorpresa per
lui, che invece d’un altro maschio rapace, incontra te, un mite professore
letterato. Così almeno t’immagino
io, e così tu impari ad andar per boschi zufolando…Desidero infine accennarti
qualcosa a proposito del rumore di fondo, che non consiste solo in una gran
confusione acustica: può comprendere anche segnali, o “disturbi”, che
coinvolgono altre sensibilità, per esempio chimiche oppure addirittura
elettriche (in certi pesci). E’ un groviglio di segnali e non-segnali
attraverso cui i vari messaggi devono necessariamente passare, e ciò produce
talora affascinanti storie evolutive. Si conoscono casi di adattamento genetico
al rumore di fondo. Per esempio certi pesci che vivono nei torrenti e che
comunicano acusticamente (i pesci non sono muti) hanno evoluto messaggi che
scavalcano il rumore di fondo dell’acqua che scorre tra i ciottoli. Ma c’è di
più. Come fanno, per esempio, gli inquilini non umani delle città a risolvere
il problema del sottofondo acustico urbano? Ebbene una prima risposta fa
riferimento al cosiddetto “effetto Lombard”, secondo il quale gli esseri umani,
tanto più c’è rumore di fondo, tanto più alzano, inconsapevolmente, il volume
della voce. Ora sappiamo che l’effetto riguarda diverse specie di mammiferi e
di uccelli, tra cui gli usignoli. Quelli urbani, è stato scoperto, “alzano il
volume” dei loro melodiosi vocalizzi a misura che aumenta il rumore nel loro
ambiente. Altra caratteristica del suono prodotto da animali che può venir
modificata nell’ambiente urbano è la frequenza. Le cinciallegre, per esempio,
producono suoni con frequenze più o meno alte a seconda che vivano in quartieri
con alto o basso rumore di fondo.”
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Questi rituali
biologici somigliano a riti culturali originari, poi verranno il riso, il
sogno, il bacio, il senso della morte. Non c’è bisogno, è la conclusione di
Mainardi e Ceserani, di essere fanatici animalisti per sentirsi coinvolti in
una battaglia per il riconoscimento dei diritti di altre specie non umane,
anche tenendo presente la disastrosa –per l’ambiente ed il pianeta- deriva cui
la predominanza dell’uomo e del suo antropocentrismo sta avviando tutte le
specie viventi.
“La vita è un unico
episodio, irripetibile. L’uomo non è protagonista assoluto, è specie
giovanissima e a rischio estinzione, che sta facendo a processo evolutivo
avanzatissimo la sua presumibilmente breve comparsata”. Dicono i paleontologi
che nella storia della Terra si sono già verificati cinque periodi di grave
crisi. Quella che stiamo vivendo “è la sesta estinzione e l’abbiamo fabbricata
da noi. Solo salvando le altre specie e gli equilibri naturali potremo salvare
noi stessi”.
(Remo Ceserani,
Danilo Mainardi: L’uomo, i libri e altri animali. Dialogo di un etologo e un
letterato. Il Mulino, 2013).
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