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domenica 24 febbraio 2013

UOMINI E ANIMALI




Ho sempre creduto che l’uomo fosse un animale e appartenesse completamente al mondo animale, anche prima di leggere Lorenz. La lettura delle opere del grande etologo mi confermarono in questa convinzione e mi aprirono allo stesso tempo tutto un mondo di riflessioni sul nostro sconfinato egoismo di specie. L’uomo è un animale e appartiene ai primati come il gorilla e le altre scimmie. Ma noi, soprattutto noi moderni, storditi dalla nostra civiltà tecnologica, lo abbiamo dimenticato.  Credo fermamente che il destino tragico cui stiamo avviando il pianeta derivi fondamentalmente, prima di tutto, da questa dimenticanza originaria. Tutti i nostri errori, tutta la distruttività del pensiero e dell’azione umana sulla Terra sono il portato di questa dimenticanza. L’arrogante, idealistica e ideologica distinzione tra uomo e natura, il pensiero antropocentrico, la visione religiosa dell’uomo come figlio di dio e padrone del mondo, tutta la metafisica incentrata  sull’uomo centro dell’universo , essere razionale in grado di controllare ogni cosa, derivano da questa dimenticanza di fondo.  E’ necessaria una rivoluzione copernicana che scalzi l’uomo dal centro dell’universo e riporti la concezione etica e culturale dell’uomo nei limiti naturali del nostro pianeta, evitando la sopraffazione della nostra specie su tutte le altre e la distruzione della biosfera. Ugualmente importante è fermare l'incredibile crudeltà dell'uomo verso gli animali, che giunge a vere e proprie torture senza senso, ad un comportamento che getta una luce sinistra su questa scimmia crudele e sanguinaria denominata Homo sapiens. Credo che, anche a livello legislativo, sia urgente una serie di misure volte a eliminare questa forma di specismo che raggiunge in molti casi il genocidio. 
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Su questi temi è uscito un bel libro a doppia firma: “L’uomo, i libri a altri animali” di Remo Ceresani (letterato filologo) e Danilo Mainardi (etologo) –Il Mulino 2013. E’ in forma di dialogo tra due vecchi compagni di scuola che si reincontrano dopo essere divenuti    un umanista e uno scienziato di grande fama. Discutono di letteratura e di etologia andando però al centro delle questioni attuali che riguardano l’ambiente e l’equilibrio e la pari dignità tra le specie viventi.  Riporto alcuni  passaggi:
Danilo: “Vedi, il problema è questo: io, fondamentalmente, sono uno zoologo fatto e finito, uno cioè che ancora la pensa come Linneo, che era un fissista ma che pure, nel suo Systema naturae, piazzò Homo sapiens tra gli altri primati: gorilla, scimpanzè, orango…Oppure più modernamente come Darwin, il più grande degli evoluzionisti, che, proprio perché convinto della parentela che tutti ci lega, ci mantenne dove ci aveva collocato Linneo. E dove, penso io, è corretto che noi umani si debba, in un’ottica evolutiva e sistematica, rimanere…Mi pare pertanto interessante chiederti perché tu, come del resto la maggior parte degli esseri umani, trovi corretto, normale, pensare e dire: “l’uomo e gli animali”, mentre per me, invece, è normale, perché connaturato al mio modo di rapportarmi col mondo dei viventi, pensare e dire : “ l’uomo e gli altri animali”…
M’è tornato in mente, un giorno lontano – ero allora all’università di Parma -, quando me ne andai a Pavia per sentire una conferenza del mio amico indiano, che purtroppo ora non c’è più, Suresh Jayakar e di Helen Spurway, sul comportamento delle pavoncelle indiane, Vanellus malabaricus. Non so se ti ricordi, Remo, ma quando eravamo ragazzi anche da noi esistevano – arrivavano a svernare nei nostri campi – uccelli simili, le nostre splendide Vanellus vanellus. E’ probabile che anch’esse presentino comportamenti simili alle loro cugine indiane di cui ti sto per dire. Ti introduco il dato, che poi ho riportato e commentato nella mia Etologia caso per caso. A primavera i maschi, provenienti dai quartieri invernali, competono tra loro per conquistarsi i territori. Questi sono, secondo una classica terminologia, “riproduttivi” e “trofici”. In essi cioè la coppia si riprodurrà e troverà alimento per sé e per la progenie. Se si considera che solo i possessori di territorio si riproducono, la suddivisione di tutto lo spazio utile in territori risulta essere un’abitudine efficace per proporzionare a priori alla produttività dell’habitat il numero complessivo degli individui generati. E’ anche un mezzo, però, e non può essere altrimenti, per tagliarne fuori altri dalla riproduzione, secondo le regole proprie della selezione sessuale. Non è infrequente infatti osservare tentativi di entrare in un’area già occupata da un’altra coppia. Ebbene, quando il possessore di un territorio si accorge che un altro maschio si sta avvicinando alla sua proprietà, si comporta come se simulasse la costruzione del nido, oppure di essere intento a nutrirsi. Allusivo, no? Dico così perché il territorio delle pavoncelle è, appunto, riproduttivo e trofico. E’ quasi, cioè, come se quel maschio dicesse: “Vedi, qui faccio il nido e mangio, dunque sono nel mio territorio; dunque ti è vietato entrare, altrimenti t’aggredisco”. Ed effettivamente di solito l’estraneo se ne va…”
Remo:  “Mi piace molto questa scenetta. Penso a tutto il grande apparato di colori, simulazioni, travestimenti, inganni che animali, piante, fiori mettono in atto per esercitare fra loro seduzioni, aggressioni,depredazioni, difese e mi diverte davvero pensare che questi nostri amici animali e vegetali condividano con noi il gusto teatrale della simulazione.  Mi viene alla memoria la scena notturna dei fiori, delle farfalle, dell’ape tardiva, tutti in preda a una vitale forza di seduzione, nel Gelsomino Notturno di Giovanni Pascoli.”
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Danilo: “…Per tornare ai nostri maschi, questi dovevano necessariamente già sapere, tramite esperienze pregresse, che avvicinandosi a chi stava mangiando  o costruendo il nido sarebbero stati aggrediti. E’ su questa base esperienziale che la selezione naturale ha costruito geneticamente, mutazione dopo mutazione, il rito biologico, sostituendo così con l’esperienza della specie quella certo un po’ più consapevole, almeno in qualche caso, degli individui. E fu così che la “cosa in sé”, cioè l’atto di fare il nido oppure di raccogliere il cibo, si trasformò in un rito con funzione di messaggio, scritto nel Dna e perciò innato”.
“Passando ora dai segnali visivi a quelli acustici, ti propongo un esempio concreto. La metodologia, in questo caso, è quella del play-back. Un caso affascinante riguarda l’allocco, il fiero rapace notturno che popola i nostri boschi. Devi sapere che la sua espressione vocale più frequente è il canto territoriale maschile. Mi servo, per fartelo immaginare acusticamente, di due sole lettere dell’alfabeto, di cui una, tra l’altro,  muta. E’ un suono trisillabico che fa all’incirca così: “huuuh-hu-huuuuuuuuuh”. Ecco cosa scrivono al proposito di quest’esperimento Sandro Lovari e antonio Rolando nella loro Guida allo studio degli animali in natura:
Una delle specie più reattive è l’allocco Strix Aluco. Le prove di play back con questo aggressivo e coraggioso rapace sono quasi sempre coronate da successo, e sono spesso delle esperienze indimenticabili. Il ricercatore deve scegliere  il periodo di maggiore attività canora, che è quello invernale, uscire di notte nei boschi frequentati dove, senza troppe alchimie sperimentali, diffonderà nel silenzio notturno il lugubre canto registrato del rapace. Il maschio territoriale più vicino risponderà subito e, se particolarmente reattivo (ogni allocco, come ogni essere umano, ha il suo carattere), si avvicinerà rapidamente, fermandosi minaccioso a pochi metri dal registratore.
Pensa che spettacolo: spari un messaggio e il destinatario, ingannato dal tuo marchingegno, viene lì a pochi metri pronto a far baruffa. Con i suoi occhi rotondi e gialli. Con le sue penne arruffate. Un maschio d’allocco, d’altronde, non può tollerare che un estraneo si installi nel suo territorio riproduttivo. E pensa che sorpresa per lui, che invece d’un altro maschio rapace, incontra te, un mite professore letterato.  Così almeno t’immagino io, e così tu impari ad andar per boschi zufolando…Desidero infine accennarti qualcosa a proposito del rumore di fondo, che non consiste solo in una gran confusione acustica: può comprendere anche segnali, o “disturbi”, che coinvolgono altre sensibilità, per esempio chimiche oppure addirittura elettriche (in certi pesci). E’ un groviglio di segnali e non-segnali attraverso cui i vari messaggi devono necessariamente passare, e ciò produce talora affascinanti storie evolutive. Si conoscono casi di adattamento genetico al rumore di fondo. Per esempio certi pesci che vivono nei torrenti e che comunicano acusticamente (i pesci non sono muti) hanno evoluto messaggi che scavalcano il rumore di fondo dell’acqua che scorre tra i ciottoli. Ma c’è di più. Come fanno, per esempio, gli inquilini non umani delle città a risolvere il problema del sottofondo acustico urbano? Ebbene una prima risposta fa riferimento al cosiddetto “effetto Lombard”, secondo il quale gli esseri umani, tanto più c’è rumore di fondo, tanto più alzano, inconsapevolmente, il volume della voce. Ora sappiamo che l’effetto riguarda diverse specie di mammiferi e di uccelli, tra cui gli usignoli. Quelli urbani, è stato scoperto, “alzano il volume” dei loro melodiosi vocalizzi a misura che aumenta il rumore nel loro ambiente. Altra caratteristica del suono prodotto da animali che può venir modificata nell’ambiente urbano è la frequenza. Le cinciallegre, per esempio, producono suoni con frequenze più o meno alte a seconda che vivano in quartieri con alto o basso rumore di fondo.”
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Questi rituali biologici somigliano a riti culturali originari, poi verranno il riso, il sogno, il bacio, il senso della morte. Non c’è bisogno, è la conclusione di Mainardi e Ceserani, di essere fanatici animalisti per sentirsi coinvolti in una battaglia per il riconoscimento dei diritti di altre specie non umane, anche tenendo presente la disastrosa –per l’ambiente ed il pianeta- deriva cui la predominanza dell’uomo e del suo antropocentrismo sta avviando tutte le specie viventi. 
“La vita è un unico episodio, irripetibile. L’uomo non è protagonista assoluto, è specie giovanissima e a rischio estinzione, che sta facendo a processo evolutivo avanzatissimo la sua presumibilmente breve comparsata”. Dicono i paleontologi che nella storia della Terra si sono già verificati cinque periodi di grave crisi. Quella che stiamo vivendo “è la sesta estinzione e l’abbiamo fabbricata da noi. Solo salvando le altre specie e gli equilibri naturali potremo salvare noi stessi”.
(Remo Ceserani, Danilo Mainardi: L’uomo, i libri e altri animali. Dialogo di un etologo e un letterato. Il Mulino, 2013). 

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