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martedì 26 gennaio 2021

La società opulenta totalitaria

L' economia mondiale si basa su un modello sviluppato per primi dagli Usa negli anni 50 del secolo scorso: l'economia basata sulla produzione e sul suo costante aumento. Tale economia fu descritta lucidamente in quegli anni da un testo rimasto centrale per comprendere i cambiamenti dell'economia e della societa che avrebbe portato alla globalizzazione dei mercati.
Eravamo da pochi anni nel dopoguerra quando usci il libro di John Kenneth Galbraith su La Societa' opulenta (titolo originale The Affluent Society -1958). Quando nel finire 1954, fa notare Galbraith, i repubblicani dichiararono al Congresso americano, che quello era stato il secondo miglior anno della storia, essi non si riferivano ad un reale cambiamento della qualita della vita o ad un miglioramento spirituale: si riferivano invece alla produzione materiale dei beni, quello era infatti l'anno della seconda piu alta produzione nella storia americana. Il primo anno migliore della storia era stato il 1953 con un pil di 364 miliardi di dollari, il 1954 il secondo, con un pil di 360 miliardi. Sull'importanza della produzione industriale non c'erano divergenze tra democratici e repubblicani, di destra e di sinistra, bianchi o di colore, cattolici e protestanti.La produzione diveniva cosi il paradigma, la regola aurea del progresso della societa moderna intorno a cui tutto il resto gira, compresa la cultura e i valori etici.
Un concetto centrale introdotto dall'autore è quello di mentalità convenzionale. La mentalita' convenzionale da' piu' importanza alla produzione di beni di consumo (industria privata) e meno importanza ai servizi: strade, pubblica sicurezza, sanita', istruzione, difesa, ecc. Attraverso la mentalità convenzionale si crea uno degli elementi che assicurano l'implementazione costante della produzione: la produzione crea bisogni attivamente attraverso la pubblicita', e passivamente attraverso l'emulazione. Non e' possibile affermare che un piu' elevato livello di produzione assicuri il benessere meglio di quanto possa fare un livello di produzione piu' modesto: l'effetto della dipendenza e' il rapporto intercorrente fra i bisogni ed il processo di produzione destinato a soddisfarli. I bisogni, secondo Keynes, possono essere assoluti o relativi: i primi sono bisogni di sopravvivenza, possono essere soddisfatti e per essi il problema economico puo' essere risolto; i secondi, invece, sono insaziabili: piu' elevato e' il livello generale, piu' essi sono intensi. Ne deriva che i bisogni dell'uomo non cessano di essere urgenti; la capacita' di produzione dipende dalla capacita' di persuasione. L'istruzione e' un'arma a doppio taglio; la stimolazione della domanda con la pubblicita' e l'emulazione e' decrescente al crescere dell'istruzione, mentre e' crescente la stimolazione di desideri piu' esoterici: musica, arti figurative, interessi scientifici e letterari, in parte anche i viaggi.La manipolazione delle coscienze ai fini del mercato e la creazione della mentalità convenzionale non deve essere coercitiva secondo i vecchi canoni repressivi, in quanto la coercizione non può coesistere con la libertà di mercato. La manipolazione deve essere formativa, permeante, in questo senso la società opulenta deve controllare la scuola e i mezzi di informazione, il tempo libero, gli spettacoli, e, oggi, la rete.
Di fronte al nuovo totem della produzione, e al nuovo mito della merce come misura della società umana, finiscono tutti gli ismi della storia, le grandi idee sul progresso, la costruzione di nuove realtà spirituali o l'idea che una società di eguali avrebbe assicurato la pace e la prosperità. Banalmente il futuro sarebbe stato l'epoca in cui la produzione avrebbe toccato vette più elevate.
In un passaggio che ai tempi del libro poteva definirsi profetico, Galbraith dice che il nuovo indirizzo economico tende ad aumentare la disponibilita' di lavoro, grazie a natalita' ed immigrazioni. La sovrappopolazione è dunque un elemento essenziale al funzionamento della società moderna basata sulla produzione di beni. Funzionale alla società opulenta è lo sviluppo delle megalopoli come nuova forma di convivenza di grandi masse nel segno del consumo. Secondo la nuova economia nulla sta al di sopra della produzione, neanche la scienza. Gli scienziati godono di un discreto prestigio, dice l'autore di The Affluent society, ma per essere veramente utili noi pretendiamo che essi siano al servizio del miglioramento della produzione.La scienza non deve essere al servizio del progresso umano, ma al servizio della produzione dei beni. Sono gli anni in cui tutto diviene produzione in serie, come Ford aveva insegnato con la produzione nella catene di montaggio delle auto qualche decennio prima. "Ci si oppone con irragionevole avversione a ogni invenzione o principio che si crede interferisca o possa ostacolare una produzione quantitativamente migliore, proprio come la persona religiosa reagisce contro la bestemmia o il guerrafondaio contro il pacifismo". Chi si oppone alla produzione dei beni e al suo corollario: il mercato globale che assicura la crescita costante del prodotto, e' fuori del paradiso terrestre e subisce metaforicamente la condanna al rogo dell'eresia. C'erano le basi del pensiero unico mercatista che si sarebbe definitivamente imposto del XXI secolo, la mentalita' convenzionale come la definisce Galbraith. Gli anni in cui esce il libro sono anche gli anni in cui si comincia a comprendere che l'importanza della produzione supera il vecchio concetto dello stato nazionale: sentiamo continuamente dire che il livello di vita a cui sono giunti gli americani e' la "meraviglia del mondo", e nella mentalita convenzionale questa e' la giustificazione della nostra civilta' e anche della nostra esistenza. Comincia la globalizzazione dei mercati e della produzione.
Ora, fa notare Galbraith, i beni sono abbondanti. Negli stati Uniti sono piu le persone che muoiono per aver troppo cibo di quelle che muoiono per averne troppo poco. Mentre una volta si pensava che la popolazione premesse sulla disponibilita' delle risorse alimentari e di consumo, ora e' l'abbondanza di queste che pesa sulla popolazione. Tutti gli umani del pianeta debbono essere liberi di accedere al prodotto: la produzione non si puo interrompere per nessun motivo, il paradigma ne prevede la crescita costante insieme al numero dei consumatori. le persone stesse divengono così, da soggetti quale erano, oggetti della moltiplicazione produttiva in quanto funzionali all'aumento del prodotto complessivo. Il concetto di produzione perde il rapporto prevalente con quello di necessità. Il prodotto spesso è in se inutile o ha una utilità marginale. Il suo valore non è la sua effettiva utilità a coprire una esigenza. Il valore del prodotto è nel prodotto stesso. Nasce la società dell'opulenza in cui il lusso è uno status sociale. Dice Galbraith: "Nessuno puo' sostenere seriamente che l'acciaio che serve ad allungare di quattro o cinque piedi le carrozzerie delle nostre automobili a scopo esclusivamente estetico o per sfoggio di potenza, sia veramente necessario. Per molte donne e anche per qualche uomo, il vestiario ha cessato di avere una funzione protettiva, ed e' diventato, come il piumaggio di certi uccelli, un mezzo che serve solo ad attrarre persone dell'altro sesso ". Questi prodotti non sono necessari, ma rispondono ad una legge fondamentale: determinano dei bisogni indotti nella popolazione. Con l'aiuto della pubblicita e dei modelli diffusi dai media, si instilla nella popolazione la convinzione che il miglioramento della propria esistenza consista nell'aumento dei consumi e nella moltiplicazione del possesso di merci. Tutto questo contribuisce alla crescita della produzione, la produzione di merci diviene inarrestabile fornendo il benessere generale, che consiste ormai su un solo parametro: il consumo. Sono gli anni in cui nascono le grandi catene di supermercati e le multinazionali della produzione. "Tuttavia il problema della produzione continua ad essere al centro delle nostre preoccupazioni. Non si tende a considerare la produzione come una cosa naturale e scontata, come si fa per il sole e l'acqua: essa continua , invece, a costituire una misura dei pregi e del progresso della nostra civilta'".Il filosofo Umberto Galimberti vede in questa prevalenza del paradigma della produzione uno degli aspetti che sono alla base del nichilismo della societa contemporanea. La produzione in continua crescita presuppone che la merce prodotta sia presto buttata via, in un sistema unidirezionale che prevede l'annientamento della merce passando per il suo consumo. La nullificazione del prodotto e la sua trasformazione in rifiuto e' costitutivo della societa globale dei consumatori. Il riutilizzo del prodotto è una eresia per la società dell'abbondanza.
Lo stato perde i confini e alla vecchia sovranita' nazionale subentrano le nuove sovranita' sovranazionali, le grandi istituzioni finanziarie e le multinazionali della produzione. La produzione, perso ogni rapporto con i luoghi, si sposta come una merce tra le altre: le grandi fabbriche serializzate divengono globali. Gli organismi che regolano i commerci globali acquisiscono rilevanza strategica. Si importa crescita demografica dove manca, ricorrendo ai paesi con alta natalita', affinche il ciclo di produzione e consumo non si stabilizzi ma cresca continuamente, come richiedono gli interessi finanziari globali. Tutte le idee convenzionali sullo Stato e sulla nazionalita' vengono spazzate via dall'idea del consumatore unico. Soros subentra a Marx, Adam Smith e Keynes.
Robespierre, quando era a capo del tribunale di salute pubblica, aveva detto esplicitamente che bisognava eliminare le teste pensanti che si opponevano ai nuovi ideali morali dei rivoluzionari, basate sui diritti dell'uomo e l'uguaglianza. Era per i diritti degli uomini, diceva il capo dei giacobini, che migliaia di teste venivano mozzate. Oggi quei diritti, distrutte tutte le visioni spirituali dell'uomo, sono i diritti della produzione e dei consumatori. I nuovi giacobini sono i padroni della rete. Chi si oppone alla crescita della produzione e dei consumatori e al mercato glbale va silenziato ed eliminato dalla rete, magari nel nome dei diritti umani. Il nuovo autoritarismo è soft ma pervasivo: negli Stati uniti non e rappresentato tanto dalle grida di Trump e il suo decisionismo naif, che sembrano al contrario una semplice reazione sconclusionata all'imposizione del pensiero unico globale, quanto dall'establishment mediatico del politically correct. In europa ad esempio questo sistema di pensiero unico e' alla base delle istituzioni sovranazionali,dei media e dei social, del potere finanziario e produttivo internazionale. Una decisione a Bruxelles può decidere del futuro e del benessere di intere popolazioni in luoghi distanti. Mentre negli stati nazionali i poteri di controllo delle idee erano rappresentati dal governo locale, nel globalismo i poteri sono piu distanti e mediati. Le grandi istituzioni economiche, le banche centrali, le agenzie di rating e le concentrazioni finaziarie determinano le idee consentite e quelle non consentite favorendo la circolazione delle prime e proibendo le seconde con la demonizzazione mediatica. Chi e fuori del paradigma subisce la dannazione dei media e dei social. Andare contro il pensiero unico comporta l'esclusione da una serie di benefici e facilitazioni che nel mondo globalizzato sono irrinunciabili. L'esprimere idee non adeguate al pensiero unico da parte di dirigenti e governi significa bloccare l'economia di un paese, l'esclusione effettiva dalle decisioni internazionali, la bannerizzazione dai media, la condanna etica dell'apparato che controlla la formazione delle opinioni e la vita sociale. Poiche i vizi vanno sempre ammantati di virtu, al tempo della societa opulenta globalizzata le repressioni delle idee non uniformi vanno giustificate con la necessita di rispettare i diritti umani. Non i diritti del singolo individuo con una storia ed a una terra di origine, ma i diritti di una persona neutra, globale, senza identità: in una parola i diritti del consumatore globale. Al posto della storia individuale, ed in futuro anche del nome e del cognome, c'è un codice a barre, simbolo del consumatore globale.

mercoledì 6 gennaio 2021

Attenborough: L'ecologia degli ottimisti

Nel suo ultimo libro "La vita sul nostro pianeta" (Ed. Piemme) il grande naturalista e divulgatore David Attenborough passa in rassegna i gravi problemi ambientali ed ecologici che mettono in pericolo la vita sul pianeta terra. Sulla causa di tutte le distruzioni, da quella delle foreste pluviali,alla scomparsa della biodiversità e delle specie viventi, non ci possono essere dubbi. La causa è una sola: la presenza e la crescita spropositata di Homo sapiens. A Homo è ormai da tutti gli studiosi attribuita una nuova era planetaria: l'Antropocene, caratterizzata dal progressivo depauperamento delle risorse naturali e inquinamento ambientale, in particolare l'innalzamento del carbonio libero in atmosfera e il conseguente aumento delle temperature. Davanti ai nostri occhi, per lo più indifferenti, si consumano gli spaventosi disastri ambientali e biologici dovuti alla crescita del cancro umano: la scomparsa progressiva delle foreste e degli habitat selvaggi per specie avviate all'estinzione come gli Orango asiatici o i Gorilla Africani, l'abbattimento della vegetazione naturale in favore delle monoculture ad uso commerciale (cereali per umani o soia e altri vegetali per il bestiame da carne e allevamento) o del cemento metropolitano. Attenborough non si nasconde il problema principale: la spaventosa crescita demografica umana dell'ultimo secolo. Riporto parte di uno dei capitoli conclusivi:
"Quando sono nato, c'erano meno di due miliardi di persone sul pianeta: oggi ce ne sono quasi quattro volte di più. La popolazione mondiale continua a crescere, e secondo le attuali proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2100 sulla Terra ci saranno tra 9,4 e 12,7 miliardi di persone. In natura, le popolazioni di animali e piante in ogni habitat rimangono di dimensioni approssimativamente stabili nel tempo, in equilibrio con il resto della comunità. Se sono troppi, ogni individuo farà più fatica a ottenere ciò di cui ha bisogno, per cui alcuni moriranno o si sposteranno altrove. Se sono troppo pochi, le risorse saranno più che sufficienti per tutti.Così si riprodurranno bene e la specie raggiungerà ancora una volta il suo pieno potenziale.Aumentando o diminuendo leggermente, la popolazione di ogni specie oscilla intorno a un numero che l'habitat può sostenere. Questo numero - la capacità che un ambiente ha di sostentare una particolare specie- rappresenta l'essenza stessa dell'equilibrio della natura. Qual è la capacità portante della Terra verso noi umani? ...A quanto pare riusciamo sempre a inventare o scoprire nuovi modi di sfruttare l'ambiente e trarne sostentamento, almeno per quel che riguarda l'essenziale - cibo, alloggio, acqua-, per sempre più persone. Anzi, la verità è ancora più impressionante. Ci procuriamo senza sforzo molto più dell'essenziale - scuole, negozi, divertimenti, istituzioni pubbliche-, anche se la nostra popolazione continua a crescere a una velocità straordinaria. Non c'è niente che possa fermarci? La catastrofe che si staverificando intorno a noi suggerisce di si. La perdita di biodiversità, il cambiamento climatico, la pressione sui nove limiti planetari, tutto indica che ci stiamo avvicinando alla soglia...I demografi parlano di transizione demografica che, sul modello del Giappone, si spera possa avvenire anche per il resto del mondo. Tra i primi anni Cinquanta e i primi anni Settanta ci fu in Giappone un boom economico: le città si espansero rapidamente, i redditi aumentarono, l'istruzione migliorò e le aspirazioni crebbero. Tuttavia, durante quel periodo, il tasso di natalità diminuì improvvisamente. Nel 1975 la famiglia media giapponese aveva solo due figli. Molti aspetti della vita erano migliorati, ma erano anche più costosi. C'erano meno spazio, meno soldi e meno tempo per allevare i bambini, e meno incentivi per le famiglie numerose perché la mortalità infantile era calata con i miglioramenti nella dieta e nelle cure sanitarie. Nel 2000 la popolazione del Giappone era di 126 milioni, ed è così ancora oggi. Si è quindi stabilizzata. Il Giappone è nella quarta fase: sia il tasso di natalità sia quello di mortalità sono bassi, il che significa che si annullano a vicenda e la popolazione rimane stazionaria. E' possibile tracciare una simile transizione nella popolazione del mondo intero. Ma quando succederà alla popolazione mondiale ciò che è successo al Giappone? Sarà un momento storico, il giorno che gli studiosi delle popolazioni, i demografi, definiscono picco umano, quando la nostra popolazione smetterà di crescere per la prima volta dall'avvento dell'agricoltura, diecimila anni fa. Ma ci vorrà molto tempo: in primo luogo, la dimensione della famiglia deve scendere abbastanza da consentirci di raggiungere il picco infantile, il punto in cui il numero di bambini sulla Terra smette di aumentare. Dopodiché dovremo aspettare che la generazione di bambini più numerosa di sempre attraversi i venti e i trent'anni -quando avranno dei figli- perché la popolazione cominci a stabilizzarsi. In sostanza, soltanto quando avremo le famiglie meno numerose di sempre, la nostra popolazione smetterà di aumentare...Possiamo in qualche modo incoraggiare la popolazione a raggiungere il picco più in fretta? La Cina pensava di aver trovato la risposta nel 1980, quando mise in atto la politica del figlio unico. A parte le questioni morali, la difficoltà di metterla in pratica e le perturbazioni sociali e culturali a essa associate, ci sono poche prove che tale approccio funzioni più efficacemente dello sviluppo economico. Sembra che il modo migliore per stabilizzare la popolazione sia sostenere le nazioni che cercano di accelerare la loro transizione demografica. Sostenere quelli che vogliono risollevarsi dalla povertà, dotarsi di strutture sanitarie, sistemi educativi, trasporti migliori e sicurezza energetica, diventare attraenti per gli investitori. Tra tutti questi progressi sociali, uno in particolare contribuisce a ridurre in modo significativo le dimensioni medie delle famiglie: l'emancipazione femminile. Ovunque le donne abbiano diritto di voto, accesso ai gradi più alti dell'istruzione, ovunque siano indipendenti e non sottoposte al controllo degli uomini, ovunque possano disporre di una buona assistenza sanitaria e dei mezzi di contraccezione, ovunque siano libere di scegliere il proprio lavoro e di seguire le proprie aspirazioni, il tasso di natalità diminuisce. Il motivo è semplice: l'empowerment porta alla libertà di scelta e , quando la vita offre più opzioni alle donne, la loro scelta è spesso quella di avere meno figli. Le ricerche del Wittengenstein Centre, con sede in Austria, hanno dimostrato che uno sforzo internazionale per innalzare gli standard di istruzione mondiali cambierebbe il corso della crescita della popolazione umana. Politici e industriali sono però preoccupati di un calo delle nascite. L'odierna ossessione per la crescita costante del PIL induce i politici a chiedere più bambini per avere più lavoratori futuri e piu consumatori, o ai pensionati di tornare al lavoro per alleggerire il carico fiscale sulla classe media. Queste preoccupazioni hanno portato alcuni a suggerire, come per il Giappone, che si dovrebbe essere in grado di introdurre robot e intelligenza artificiale per aiutare l'economia. Se ci spostassimo verso una economia mondiale meno dipendente dalla crescita si potrebbe trovare un equilibrio sostenibile , con un minor numero di persone in una società più matura e sicura. L'inevitabile aumento della popolazione umana, che continuerà ancora per molti anni, rende ancora più critiche le decisioni di oggi, prima che sia troppo tardi. " (La vita sul nostro pianeta: pagg. 172-182).
Per quanto siano apprezzabili e condivisibili le denunce di Attenborough in questo suo ultimo libro , mi sembra che difettino di alcune analisi sul modello esplosivo assunto dalla crescita umana nell'ultimo secolo. Da ciò deriva un certo ottimismo, per cui se lasciamo andare le cose come stanno andando, magari correggendo un po' la disuguaglianza di ricchezza e puntando su una energia basata sempre di più sulle rinnovabili, la situazione si aggiusterà da sola. La crescita economica e sociale delle aree più sviluppate comporta in effetti una riduzione della natalità, ma il fenomeno rimane circoscritto a poche aree e il sistema antropico complessivo non sembra tornare indietro da una crescita numerica che ogni anno aggiunge circa 90 milioni di umani alla popolazione planetaria. Ancora vaste aree del pianeta sono soggette ad una crescita demografica eccessiva che innesca fenomeni di devastazione ambientale locale, deforestazione, cementificazione, inquinamento e, con l'emigrazione, aumento di popolazione in aree già sviluppate e cementificate in modo estremo.Il fallimento ormai pluridecennale delle varie conferenze internazionali di porre un freno all'aumento del carbonio atmosferico è una conferma che per ora ogni ottimismo è ingiustificato. Le megalopoli, che Attenborough considera utili per ottimizzare la convivenza di milioni di persone in spazi ristretti con economie di scala, sono anche megastrutture antropiche che tendono ad aumentare i consumi, ad espandersi con la cementificazione nel territorio circostante, ad inquinare con rifiuti e prodotti chimici. Fungono inoltre da attrattori consentendo alle aree meno sviluppate, che di per sé non avrebbero risorse, di sostenere alti tassi di natalità con la prospettiva dell'inurbamento con la migrazione verso megalopoli che sono anche poli di produzione e consumo. La redistribuzione solidale inoltre perde molto delle sue capacità di migliorare istruzione e sanità se viene impiegata per i bisogni primari dovuti ad alti tassi di crescita demografica, come fanno molti paesi cosiddetti arretrati che sperperano risorse in nazionalismi, guerre, crescita demografica e necessità elementari (oltre che in corruzione). Non basta dunque sedersi ed aspettare i magnifici effetti dello sviluppo come sottintendono gli ecologisti dell'ottimismo. Senza politiche attive mirate al calo della natalità, non ci saranno prospettive né del picco demografico di Homo, né di decrescite dei consumi, né di riduzione del riscaldamento planetario da carbonio. Incombe inoltre un conflitto irresolvibile con questi tassi di crescita di popolazione: le crescenti richieste di energia di una popolazione in forte espansione non si conciliano con la dinamica assai lenta e costosa della produzione energetica da rinnovabili. La sostenibilità dei due termini conflittuali è tutta da dimostrare.

lunedì 7 dicembre 2020

Uno spettro s'aggira per l'Europa

Uno spettro s'aggira per l'Europa: e' il fantasma dello spopolamento. Sui giornali, da parte dei governi, nei media, dagli scienziati ai demografi è tutto un gridare al grave pericolo del deserto europeo. Capofila dello spopolamento planetario, complice il Covid e il suo aumento della mortalità, è l'Italia. "Covid e crisi demografica: popolazione italiana presto sotto quota 60 milioni" sbatte il titolo in prima pagina il Messaggero. "Il calo delle nascite mette in pericolo il diritto alla maternità" grida su La Stampa Laura Sabbadini. A riferire il punto di vista delle istituzioni è Giancarlo Bangiardo, presidente dell’Istat: «Siamo di fronte ad un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un secolo fa, un’epoca segnata dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell’epidemia di `spagnola». Il Foglio lancia l'allarme: entro il 2050 l'Italia si trasformerà in un "ospizio a cielo aperto". L'Istat addirittura si spinge fino alla previsione di un dato che, a opinione generale, sarebbe drammatico, catastrofico: in Italia 53,8 milioni di abitanti al 2065. Come sarà possibile, frignano tutti, sostenere un così tragico dato demografico per il nostro povero paese? Non più 60 ma solo 54 milioni di abitanti in Italia tra mezzo secolo! Tutti siamo depressi e preoccupati dal dato drammatico e inaspettato. Che ne sarà del nostro povero paese, delle sue bellezze naturali private di cemento, discariche, edifici e capannoni, che ne sarà delle coste private di quel magnifico tappeto grigio-cemento di abitazioni costruite sulla spiaggia, che ne sarà dei laghi e dei fiumi senza più barche, senza scarichi miasmatici, e con i ponti e moli deserti. Che ne sarà dei monti innevati deprivati dei milioni di sciatori, degli impianti di risalita arrugginiti, dei tunnel montani derelitti, dei casermoni per turisti sulle cime e al posto degli squallidi boschi. Che ci stanno a fare, in fondo, quelle inutili valli verdi? Dei bei condomini per famiglie numerose ad alta -come si dice- densità abitativa è il loro destino ottimale. E che dire delle città ridotte a ricoveri per vecchi? Quelle periferie, una volta, magnificamente sovrappopolate da umani accatastati in alveari, grigi palazzi di cemento o squallide casupole da bidonville? Ambienti perfetti per l'opera di preti e cooperatori solidali da centri sociali. Con la decrescita demografica potrebbero perdere il loro allure umanoide da allevamento di polli.
6 milioni di abitanti in meno tra 50 anni è un dato da gettare nello sconforto...i produttori di auto, i costruttori, i cementificatori, e da spingere al suicidio i padroni delle fabbriche di pannolini e biberon. A chi venderemo i barattoli Nestlè? E poi il diritto alla maternità! Come faranno le povere mamme senza pargoli attaccati al seno, o i papà e i nonni privi delle compagnia di bimbi paffuti e ben nutriti da latti in polvere ed omogeneizzati? Non è etico uno spreco di tanti futuri consumatori e inquinatori. In quale mondo orribile e denatalizzato vivremo? E i parchi giochi con i cavallini di legno abbandonati? E poi, su tutto, il rischio che aumentino animali selvatici e bestie nei luoghi derelitti dall'uomo: imperverseranno cinghiali e orsi, daini e gazzelle e altre simili belve in territori restituiti al verde e alle cristalline acque di ruscelli privati di tossici e prodotti chimici non più scaricati da fabbriche ahimé senza produzione: un disastro inenarrabile! E le bronchiti croniche? Che fine faranno le bronchiti croniche? Senza più i fumi di particolato P 2,5 e P 10, inesorabilmente ridotto per tanta diminuzione di popolazione e di consumi? Già abbiamo visto gli effetti drammatici del Covid sull'aria delle città e delle campagne. Perfino in Val Padana l'aria è divenuta respirabile, per lo stop al traffico e alle produzioni industriali. E il minor traffico aereo con le tonnellate di cherosene non bruciato? Così la gente, nonostante il covid, tossisce di meno e forse alla lunga potrebbe diminuire la morbilità e la mortalità. Le case farmaceutiche sono comprensibilmente preoccupate.
La preoccupazione sconfina poi nella disperazione quando si pensa agli immigrati. Da Repubblica al Corriere, dai politici buonisti ai dirigenti delle cooperative di accoglienza, dai trafficanti alle Ong, è tutto un gridare allarmi, un avvertire del pericolo di desertificazione per mancanza di immigrati. "Si sta esaurendo anche l’effetto positivo determinato in questi anni dall'arrivo in massa dagli stranieri" scrive costernata La Stampa. Anche duecentomila arrivi all'anno sembrano pochi. "Il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%)" si lamenta il Sole 24 ore. Neanche più il richiamo degli appelli del Papa bastano a smuovere i pigri africani e gli asiatici. Gli arrivi diminuiscono! disperano i preti per mancanza di futuri fedeli e industriali, burocrati europei e Lagarde in persona a nome delle istituzioni finanziarie per il livello dei consumi che potrebbe scendere. Ma c'è un altro problema, un altro disastro dietro l'indebolirsi della immigrazione massiva: "gli immigrati, una volta che diventino avvezzi alle nostre consuetudini, riducono anch’essi la natalità", scrive costernato il Corriere come fosse l'annuncio di una nuova Sars. Se così stanno le cose, come faranno le degradate periferie delle grandi città italiane, a trasformarsi nelle nuove Brazzaville o Kinshasa? Il disegno di avere pezzi d'Africa o di Bangla Desh alla periferia di Roma e di Milano sembra compromesso. Potrà quel che resta della campagna romana (assai poco in verità...) sopportare la mancata trasformazione in bidonville? La più grande discarica d'Europa, quella di Malagrotta, rischia di perdere milioni di tonnellate di rifiuti riversate ogni anno da una così vasta e variegata popolazione. I miasmi da essa prodotti, un misto di sterco e acido solforico, che appestano l'aria di interi quartieri di Roma, potrebbero ridursi insieme all'avanzare del deserto.
Il coro degli asini è univoco. Tra tanti ragli non una sola voce si è alzata per affermare che forse la lenta,troppo lenta, lentissima diminuzione della popolazione e della pressione antropica sul territorio e sulla natura del nostro paese, potrebbe essere un fatto positivo per l'ambiente, per il suolo verde, per gli animali, e persino per la popolazione degli Homo restituiti ad un senso. Prevale ancora il conformismo dell'uomo al centro dell'universo e del crescete e moltiplicatevi. Le teste bianche degli anziani fanno paura. Gli anziani comprano poche merci, consumano meno, cambiano meno l'auto, hanno meno esigenze di spesa rispetto ad una popolazione in crescita. E poi non lavorano. Richiedono meno energia, producono meno inquinanti. Sono troppo saggi, hanno troppo buon senso. I vecchi spesso amano gli animali, si accompagnano ad un cane. Magari si dilettano ad ammirare un paesaggio, a passeggiare in montagna. E non a costruirci un condominio di 12 piani.

sabato 5 dicembre 2020

L'era delle catastrofi

Eravamo tutti in attesa della catastrofe climatica dovuta al riscaldamento globale, e invece la catastrofe è arrivata dalla biologia. Un virus aggressivo e mortale ha saltato dalla sua specie ospite al più vasto serbatoio biologico disponibile: gli otto miliardi di umani. Sono passati cento anni dalla precedente catastrofe biologica della spagnola. Nell'ultimo secolo c'erano state anche altri eventi catastrofici: due conflitti mondiali avevano devastato l'umanità producendo milioni di morti e la distruzione di intere nazioni. Nel dopoguerra seguì un periodo di ottimismo e di speranza: sembrava che guerre, epidemie e carestie potessero essere controllate dallo sviluppo economico. Ma si trattava di speranze basate su un modello sbagliato: il modello antropocentrico che vedeva nell'uomo e nella sua riproduzione illimitata il fine ultimo dello sviluppo. L'assurdità del modello antropocentrico è sempre più evidente nella cronaca contemporanea. Sempre nuovi pericoli si affacciano con il generale inquinamento chimico, la modificazione fisica dell'atmosfera, l'accumulo dei rifiuti, l'esaurimento delle risorse, la distruzione delle riserve naturali. Quest'ultimo fenomeno comporta il prodursi di sempre più frequenti pericoli biologici dovuti alla devastazione degli ambienti originari di vita di altre specie e alla antropizzazione di territori vergini in passato riservato a tante varietà di specie animali e vegetali. L'esaurirsi delle risorse tra cui l'acqua e quelle energetiche sono rischi sempre più concreti.
Con il crescere della popolazione e del livello tecnico-industriale si assiste inoltre ad una distorsione della presenza antropica che non ha precedenti. In passato le popolazioni umane occupavano diffusamente il territorio, con campagne coltivate e aree destinate al pascolo, piccoli borghi abitati e con centri cittadini medio-piccoli. Oggi la crescita della popolazione umana si struttura su megacentri fortemente antropizzati, le megalopoli, che si estendono sui territori come un cancro consumando suolo verde e producendo tossici, fumi, inquinamemto chimico e rifiuti. Questi megacentri sono anche sistemi di consumo massificato e di produzione che distorcono la crescita economica imponendo una continua crescita del PIL, pena il collasso dell'intero sistema. Nessuna decrescita è possibile in presenza di uno sviluppo basato sulle megalopoli. L'epoca che si apre, anzi che si è aperta da più di un secolo, è dunque un'era di catastrofi annunciate e realizzate e destinate ad aumentare di frequenza e gravità se non si riuscirà a fermare la crescita esplosiva della popolazione degli Homo. Questa, anziché essere controllata come auspicavano alcuni timidi tentativi del passato (vedi Cina e India), non è ancora percepita come merita e il pericolo è tuttora generalmente sottovalutato. Al contrario il processo di antropizzazione del pianeta è favorito dai processi migratori incontrollati che hanno rotto quell'equilibrio prima rappresentato dalla pressione tra crescita demografica e disponibilità limitata delle risorse locali. Anche questo sistema di controllo con il feedback tra popolazione e risorse è crollato con la diffusione antropica globalizzata.Le migrazioni di massa hanno contribuito a mantenere alti i tassi di natalità rompendo il rapporto tra popolazione e luogo di residenza. L'alta natalità è semplicemente bilanciata dalla forte migrazione, come era avvenuto nel nostro paese nella prima metà del '900.
Le epidemie hanno sempre costituito un sistema di controllo delle popolazioni locali: ad una crescita eccessiva di una specie in un determinato territorio seguiva infatti il diffondersi di malattie diffusive che tendevano a ridurre la natalità e ad aumentare la mortalità. Come esempi possiamo ricordare la peste che si diffuse in Europa intorno alla metà del XIV secolo, conseguenza della forte crescita demografica dei due secoli precedenti e dell'aumento degli scambi commerciali e umani. O le gravi epidemie di vaiolo che afflissero l'Europa nel XVII e XVIII secolo in coincidenza con la crescita demografica e il crescente fenomeno dell'inurbamento. Lo sviluppo tecnologico, il miglioramento dei trasporti, della produzione agricola e industriale, hanno tuttavia rotto ogni schema di omeostasi delle popolazione in rapporto ai luoghi e alle risorse. Così i tre pilasti dell'omeostasi biologica ambientale: la fame, le guerre e le epidemie, sono venuti meno negli ultimi due secoli con il diffondersi della industrializzazione e della tecnica.
Il meccanismo di autocorrezione e omeostatasi terrestre che tende ad assicurare la presenza della diversità biologica e il funzionamento dei sistemi naturali, non è venuto meno, ma si è semplicemente trasformato producendo effetti riequilibranti su scala globale. Il riscaldamento climatico e il Covid 19 sono due esempi di questa nuova era che è cominciata un secolo fa e che si prepara ad agire con altri eventi catastrofici su scala globale. Ciò che colpisce è la sordità e la cecità degli esperti e delle organizzazioni sia statali che internazionali. Nessuno sembra rendersi conto dell'origine del pericolo. Tutti vanno a proporre rimedi agli effetti finali: riduzione del consumo di idrocarburi, sistema di smaltimento differenziato dei rifiuti, minore utilizzo di plastiche ed altri inquinanti ecc. Ma nessuno si pone il problema di come tutti i fenomeni cui assistiamo abbiano origine dalla crescita mostruosa della popolazione umana e dal sistema di vita centrato sul prodotto di quella crescita: il sistema delle megalopoli e dei consumi di massa.

martedì 13 ottobre 2020

Una questione di anima e di numeri

Mi chiedo spesso il motivo del fallimento del movimento dei verdi, fallimento a livello mondiale e non solo in italia, pur in presenza di un inquinamento inarrestabile del pianeta con i suoi effetti sulla salute e sul clima. Potrebbe essere il loro momento, invece stanno quasi scomparendo dall'agone politico. Uno dei motivi di fondo è l'incomprensione, da parte gegli ecologisti dell'ultima ora, del problema demografico. La trasformazione dei popoli e delle nazioni in una informe ed uniforme massa umana basata sul numero. Al posto dei vari popoli della terra, radicati ciascuno in un suo luogo e in una storia, vi e' un uomo globale , sradicato, senza luogo e senza storia, senza patria e senza confini, il cui unico valore è il consumo fine a se stesso e la continua crescita numerica senza ideali e senza scopo. Come tutto questo sia coerente e finalizzato al mantenimento di un potere finanziario e tecnocratico e' motivo di discussione e approfondimento da parte della filosofia contemporanea. Il discorso è invece completamente assente e l'argomento completamente ignorato in campo politico. In primo luogo proprio dai movimenti ecologisti, concentrati sulle conseguenze del fenomeno (il riscaldamento globale, l'inquinamento) senza averne mai compreso le origini.
Un libro scritto dal giovane filosofo Diego Fusaro, aiuta a dare una risposta.Il pensiero unico globalista che ha uniformato il mondo sotto il dominio del mercato, delle merci e dell'uomo ridotto a un neutro consumatore, un numero tra i numeri dell'economia globale, non ammette differenze, distanze, confini, separazioni, culture diversificate: l'uomo globale e' un consumatore neutro sradicato dal luoghi e dalla storia. La furia egualizzante del pensiero unico ha negato nell'uomo ogni distinzione, persino il sesso è visto come un problema. "La rappresentazione politicamente corretta dei bambini con il colore diverso della pelle, provenienti da differenti aree del pianeta, e poi vestiti tutti immancabilmente con gli united colors della medesima marca e dei medesimi capi di abbigliamento, esprime in maniera paradigmatica la cancellazione di ogni storia e di ogni appartenenza in favore dell'egualitarismo identitario. il falso multiculturalismo coesiste con il monocromatico assoluto del mercato. Esso finge di valorizzare la pluralita' delle identita' nell'atto stesso con cui procede per inclusione neutralizzante: ossia, appunto, neutralizzando le identita' e insieme includendo i neutralizzati nella nuova identita' gadgettizzata di consumo, prodotta artatamente dall'ordine dominante" (Diego Fusaro: Difendere chi siamo, Rizzoli pag. 27).
La moltiplicazione numerica della popolazione ha sostituito la diversificazione delle qualità. Il popolo perde le sue caratteristiche che rendono i popoli uno diverso dall'altro, per divenire massa, un insieme di elementi neutri volti al consumo. I luoghi non hanno più anima. L'anima era ciò che dava una identità agli abitanti di quel determinato luogo. Ma la terra oggi è un indistinto globale destinato allo sfruttamento delle risorse e all'utilizzo del mercato. Il borgo medioevale circondato dai suoi campi coltivati o dai boschi, che ancora oggi ci da il senso della bellezza e dell'umanità intesa come appartenenza, è ovunque sotituito dalle periferie urbane, di monocromo cemento, in cui il degrado ambientale sostituisce il territorio con l'uniforme tecnostruttura dell'homo novus dell'età della tecnica e del mercato. Dai caseggiati alle baraccopoli e le bidonville è tutto un trionfare del numero sulla qualità: non c'è più l'anima del mondo. Ucciso il passato, muore anche il futuro. La crescita umana è solo numerica, i giovani non sanno cosa sperare perché non c'è un'idea o un valore se non quello del denaro. Secondo il politicamente corretto il nuovo valore è l'uguaglianza assoluta, la distruzione di ogni differenza: di etnia, di cultura, di storia, di nazione. L'uomo diviene come la merce, interscambiabile, sostituibile, trasportabile, con tutti i diritti propri del mercato: la libertà di scambio, di commercio, di spostamento. Se la produzione e il consumo lo richiedono, un popolo può essere sostituito con un altro. E' solo questione di numero. L'invariante è il numero di ordinazioni, il fatturato, la produzione, il Pil in crescita. In questa maniera i luoghi scompaiono, se non ci sono differenze non c'e neanche identita'. Difendere un luogo verde, un paesaggio, un borgo storico medioevale e' impossibile, ed i tentativi degli ecologisti si risolvono in inutili e temporanei opere di giardinaggio. Dare una pennellata di verde a luoghi che hanno perso i loro abitanti, trasformati in consumatori globali sradicati dai loro luoghi di provenienza, non ha senso ed e inutile. Tutto e' fruibile o non e'. Se c'è un appezzamento di terreno verde si comincia con l'abbattere gli alberi, poi si spiana per eliminare i dislivelli, infine ci si impianta il cemento armato e l'asfalto. Tutto puo essere trasformato, sterrato come terreno da capannonare o cementificare. Se questo non è possibile, si scava, si trafora, si sbanca, oppure ci si costruisce un viadotto che magari non serve a nessuno: ma non importa qualcosa bisogna farci. Se proprio c'è una zona verde che non si può toccare ci si fa turismo, si circonda di alberghi ed attività commerciali, se ne fa una specie di parco giochi, di zoo cittadino. Nel migliore dei casi se ne fa un parco nazionale, difeso da leggi e guardiaparco, senza neanche rendersi conto dell'assurdo di dover difendere e recintare una natura che sta li da migliaia di anni. Qualunque luogo naturale assume l'aspetto di una fiction, e tale è in realtà.
Contro questa deriva del mondo non c'e' finora alcuna opposizione politica. Gli stessi sovranisti non guardano ad alcuna difesa del territorio ma solo ad una protezione degli interessi commerciali ed economici, o all'imposizione di dazi e tariffe. Ritrovare l'anima significa tornare nei luoghi, ritrovare le differenze, le culture diverse, le radici, le appartenenze. Senza l'anima dei luoghi, il mondo diviene dominio del numero, il popolo scompare insieme alla sua storia e l'uomo diventa massa. E' del tutto evidente come il livello politico di tutto questo comporti un pericolo alla sopravvivenza della democrazia verso autoritarismi di massa.
Anni fa esisteva un movimento definito no logo, per coloro che si opponevano alla globalizzazione del mercato. Poi si sono convertiti al politicamente corretto della fine di ogni differenza, del falso multiculturalismo egualizzante. Sono passati dal no logo al non luogo. Scambiavano l'effetto con la causa: combattevano le multinazionali del marchio mentre la popolazione cresceva, nel giro di pochi anni, di due miliardi. Il mostro della sovrappopolazione con le sue due braccia, il denaro e la tecnica, sta fagocitando la varietà del mondo sostituendo tutto con un codice numerico. Al posto delle idee c'è un futuro fatto di numeri: il numero che indica i gradi di crescita del riscaldamento atmosferico, o quello, in miliardi, della popolazione umana sulla Terra devastata.

domenica 26 luglio 2020

Il prefetto del suolo

Come un cancro si estende ogni giorno la cementificazione del suolo verde. Le attività di otto miliardi di umani trasformano in cemento e strutture artificiali porzioni di territorio naturale in ogni parte del globo. Solo in Italia con edifici, strutture industriali e di servizio, strade, aeroporti, porti e tutte le altre artificialità, vengono cancellati circa 16 ettari di prezioso suolo verde ogni giorno (dati ISPRA). Uno dei danni principali della cementificazione e' costituito dalla impermeabilizzazione dei suoli, con gravi ripercussioni sulle falde e sulla salubrita' dei luoghi. Anche le azioni di ripristino non restituiscono, il più' delle volte, l'originaria permeabilità dei suoli. In maniera stupida e, spesso antieconomica, ma in modo da produrre forti speculazioni e persino affari illeciti, non si ristruttura il già costruito, ma si lascia il vecchio alla rovina e si distrugge altro suolo vergine per sempre nuova cementificazione. Le nuove periferie si caratterizzano così per la coesistenza di squallidi casermoni di cemento e miseri tuguri dove popolazioni eterogenee vivono una vita di stenti e senza prospettive. Ogni aspetto gradevole dell’esistenza è cancellato , anche nell’estetica e nel paesaggio, con un imperante e diffuso squallore, spesso origine di degrado morale oltre che estetico.
La perdita dei valori tradizionali di una società è, più di quanto comunemente si creda, una perdita dell’aspetto esteriore, una perdita di bellezza. Se vediamo i vecchi centri storici di città medioevali in Europa, non possiamo che apprezzare la presenza di una misura e un equilibrio tra necessità ed arte, tra utilità e bellezza. Con le contemporanee periferie sovrappopolate tutto questo si è perso, insieme ai valori di spiritualità ed etica a cui quelle antiche perle di architettura davano espressione. Il degrado urbano delle megalopoli è anche degrado di cultura e incapacità di produrre arte da parte di un popolo senza più appartenenza e sradicato. Una società in cui contano i grandi numeri, la massa e non le individualità, ed in cui è rimasto come unico valore la quantità di consumi non può che sfociare nella realtà attuale: il disastro ecologico.
È urgente oggi salvare il suolo verde. Questa è l’ultima possibilità di conservare ancora un rapporto tra uomo e natura, tra homo e tutte le altre specie. È necessaria una legislazione rigorosa che impedisca la crescita cancerosa del cemento. Per questo bisogna ricorrere ad un ruolo nuovo dello stato, ad un ritorno dello stato. Insieme alle leggi di protezione del suolo e del paesaggio è di importanza fondamentale dare poteri allo stato, ad esempio con la creazione della figura del prefetto del suolo. Su base regionale o provinciale questo magistrato in rappresentanza dello stato ( con poteri più estesi dell’attuale prefetto) dovrebbe valutare ogni progetto edilizio, ogni nuova costruzione, ogni licenza da parte dei poteri locali, impedendo nuovo consumo di suolo e subordinando alla propria approvazione ogni nuova iniziativa che abbia impatto sul territorio di competenza.
La possibilità di una corruzione non dovrebbe ostacolare la nuova magistratura. A parte i consueti controlli da parte dei magistrati ordinari, potrebbe essere di aiuto una legislazione del regime dei suoli che introduca alcune novità: la non proprietà del suolo da parte dei privati, e la transizione attraverso lo stato delle compravendite. Al posto della proprietà del suolo andrebbe introdotta la concessione a termine, come avviene in Inghilterra, con la possibilità da parte dello stato di rientrare nel pieno possesso ogni volta che l’interesse della comunità lo richiede. Ogni soggetto che detiene un diritto sul suolo può, secondo la nuova legislazione, vendere il proprio diritto e non il suolo , allo stato che, nel caso può rivenderlo al nuovo soggetto interessato, assicurando l’interesse pubblico e impedendo speculazioni private. Il prefetto del suolo avrebbe anche il potere di ripristino immediato del verde con l'abbattimento dei fabbricati, contribuendo a por fine all'abusivismo.
Nel frattempo, ogni ora, ogni minuto viene cancellato suolo verde. Nuove leggi e nuovi poteri dello stato sono necessari ma non sufficienti. Ogni nuova legislazione e ogni ruolo innovativo dello stato è comunque subordinato allo stop della crescita demografica esplosiva. Senza questa, il risparmio di ciò che resta del suolo verde è destinata a fallire.

domenica 19 luglio 2020

L'impatto dell'uomo dipende dal numero

Antico borgo contadino in cui un numero limitato di persone insiste su un territorio in parte agricolo in parte a verde naturale. Il rapporto tra uomo e natura e' sostanzialmente conservato.
L'eccesso numerico della popolazione crea le condizioni per mostruosità' di cemento che implicano allevamenti intensivi di umani non umani.
La antropizzazione massiccia del pianeta ha oggi un nome: megalopoli. Le megalopoli sono un coacervo di tecnologia e di sovraffollamento da allevamento intensivo, in cui si manifesta una alienazione della condizione umana che in passato e' stata individuata con nomi diversi come civiltà' industriale, società' moderna, capitalismo, ma che oggi puo' essere definita tout court "società' della sovrappopolazione". La sovrappopolazione si organizza in megastrutture che consentono di ottimizzare la vita e i consumi in spazi limitati con economie di scala. In questi luoghi di massima antropizzazione si realizzano le condizioni per assicurare l'esistenza materiale e culturale di milioni di umani con produzione e consumi di massa, ed energia ottimizzata per numeri giganteschi che non hanno precedenti nella storia planetaria. Tutto ciò che resta dell'ambiente naturale , delle campagne e delle aree montane non urbanizzate, si configura come servizio e supporto delle zone di antropizzazione intensiva. Sono anch’esse aree urbane a bassa densità, pure appendici delle megalopoli. Le stesse coste marine, sulla spinta del turismo di massa, hanno perso ogni significato naturalistico per trasformarsi in parco giochi tipo Walt Disney.
Che cosa ha determinato questa trasformazione del mondo? Perché ancora qualche secolo fa le città erano più’ piccole, le campagne conservavano un rapporto naturale tra presenza umana e paesaggio, i borghi agricoli avevano una funzione, mentre in poco più di due secoli tutto è finito , dando luogo a una crescita cancerosa della cementificazione e delle strutture artificiali in cui vivono stipati e in modo innaturale milioni di homo? Tutto è cambiato con l’esplosione demografica della specie H.Sapiens che ha portato ad una violenta antropizzazione e alla concentrazione di grandi masse umane nelle nuove aree urbane. La tecnica ha consentito lo sviluppo dell’organizzazione artificiale e l’energia necessaria all'urbanizzazione. La produzione industriale di massa e il petrolio hanno guidato il processo soprattutto nell’ultimo secolo, portando al superamento di tutti i limiti e al letterale soffocamento della biosfera. Tecnica e sovrappopolazione si sono rafforzate a vicenda accelerando il processo in modo esponenziale. La scomparsa delle grandi foreste, l'estinzione delle specie diverse da homo, l'esaurimento delle risorse, la plastificazione dei mari, la carbonizzazione atmosferica e il riscaldamento globale sono gli effetti finali di un mondo in cui cemento e homo non hanno più' limiti. Insieme al nuovo tipo di agglomerati umani si è venuta estraniando la vecchia civiltà contadina basata su popolazioni assai meno numerose e su economie pre industriali prevalentemente agricole, in cui l'inquinamento dovuto all'attivita' umana rimaneva limitata e la situazione reversibile.
L'urbanizzazione di grandi masse sta portando anche cambiamenti politici. Lo stato nazionale scompare, i confini perdono di significato, il motore economico divengono le megalopoli che portano ad una nuova organizzazione del potere politico. I governi divengono sopranazionali, la finanza e l'industria si globalizza, le masse umane e le merci si spostano in modo globale portando alla crescita delle aree urbanizzate (dalle bidonville nei paesi arretrati alle periferie delle grandi città' occidentali)e a nuove forme di potere, in cui la democrazia assume nuovi significati e nuove forme centralizzate e autoritarie.
Senza un eccesso di natalità' e una libera circolazione di merci e popolazione non e' possibile l'esistenza e lo sviluppo delle megalopoli. La civiltà' megapolitana non sarebbe possibile se, ad esempio, il numero delle nascite dovesse calare e portare ad una riduzione stabile della popolazione mondiale sotto dei livelli di soglia, che molti individuano in due miliardi. E' chiaro che una decrescita della popolazione tocca interessi profondi, da quelli politici, a quelli della grande finanza e delle imprese.
La cittadinanza mondiale e i nuovi diritti del consumatore sono la risposta dei poteri globalizzati al pericolo del calo demografico. L'arma ideologica della nuova finanza è lo spettro del deserto demografico: lo spettro delle culle vuote. Un mondo con meno consumatori, meno spostamenti e meno traffici e' il principale pericolo per il grande capitale. Le grandi potenze politiche premono per un mercato globale. La finanza e l'industria acquisiscono il controllo dei mezzi di informazione e dei social network che possono influenzare la pubblica opinione. I poteri globali premono sia a livello politico che di informazione con messaggi più' o meno espliciti e forme di pubblicità' per mantenere alta la natalita' e liberi gli spostamenti globali.
Secondo il potere non esiste un problema demografico. La sovrappopolazione sarebbe una Fake news. I messaggi tranquillizzanti abbondano. Persino da parte di esponenti dell'area ecologista. Ad esempio uno scienziato norvegese, Jørgen Randers, autore tra l’altro di un libro intitolato The Limits to Growth, afferma che la popolazione mondiale non raggiungerà nemmeno i 9 miliardi di persone ma si assesterà sugli 8 miliardi o poco più nel 2040 per poi cominciare a diminuire. Lo scienziato è certo che a rallentare la popolazione sarà anche l’urbanizzazione selvaggia nei paesi in via di sviluppo e un aumento mai visto prima dei bassifondi urbani: “In una baraccopoli urbana, non ha senso avere una famiglia numerosa”. Sulla stessa onda sono i messaggi degli esperti OMS. Ma quale e' la realtà'?
Il rientro demografico e' stato annunciato già' molte volte negli ultimi decenni. Ma non si e' mai realizzato. Nelle grandi megalopoli e nei loro periferie sovrappopolate, come avviene ad esempio al Cairo In Egitto o a Mumbai (India) o a Kinshasha in Congo, i tassi di aumento della popolazione non solo non sono diminuiti, ma sono aumentati rispetto alle aree rurali dei rispettivi paesi. Le megalopoli sono strutture che funzionano da attrattori, la natalità delle campagne e’ mantenuta alta dalla presenza dei grandi centri urbani che con redditi medi più elevati e le facility tecnologiche, condizionano le aspettative che sono alla base della scelta delle famiglie di figliare. Così come da attrattori, questa volta a livello globale, funzionano le nazioni con redditi elevati e con sistemi politici basati sui cosiddetti diritti umani (in realtà' diritti del consumatore), che contribuiscono ad incentivare le nascite in paesi poveri senza risorse adeguate. Per ogni milione di umani che migrano vi sono 80 milioni di nuovi nati sul pianeta ogni anno. Questo contribuisce a mantenere la situazione di arretratezza economica dei paesi di origine e porta al degrado ambientale globale.
Invertire la rotta.
E' possibile modificare le condizioni che hanno portato al disastro attuale? Tornare ad un rapporto equilibrato tra presenza di homo con le altre specie e con l'ambiente naturale? E, al tempo stesso, salvaguardare un livello di tecnologia che consenta economie poco inquinanti e una esistenza umana inserita nel contesto naturale?
A differenza di quel che affermano alcuni movimenti ecologici attuali, come l'ecologia profonda o i fautori della decrescita felice, non ritengo possibile un regresso o anche solo uno stop tecnologico. Quello su cui è necessario intervenire e' il fattore P, cioè' il numero della popolazione. Fermare la popolazione ferma la crescita megapolitana. Ogni intervento sulla tecnologia, senza un adeguata riduzione del numero della popolazione, rischia di portare indietro l'orologio della storia portando a situazioni di crisi sociale e ambientale senza precedenti: una società' sovrappopolata con un basso livello di innovazione tecnologica.
Se ad esempio vogliamo fermare l'immissione di carbonio in atmosfera, e' chiaro che ciò' sara' possibile solo con lo sviluppo tecnologico di nuove forme di energia (compresa quella da rinnovabili che richiede importanti progressi nella tecnologia e nella ricerca, con investimenti adeguati). Ogni transizione, sia essa economica o demografica, presuppone l'utilizzo di tecnologie che, in gran parte, sono ancora da sviluppare.
Il discorso politico e quello sulle nuove energie qui rimane aperto.Nuove organizzazioni dello stato e nuove decisioni politiche si impongono. Così' come nuove energie con basso impatto sull'ambiente. Ma ogni risposta non puo' che partire dalla demografia. Senza la riduzione della popolazione nulla e' possibile.