Riporto un articolo
apparso sulla rivista “Ingenia” di Chris Warrick collaboratore del CCFE. Traduzione
personale.
La Fusione si avvia alla fase di realizzazione
La fusione nucleare è
stata fino ad ora una grande speranza, con la sua possibilità di energia illimitata,
sicura, libera da emissioni di carbonio, senza scorie radioattive se non
prodotti transitori in minima quantità e di breve durata. La ricerca per un uso
civile, iniziata nel 1950, sta facendo attualmente significativi progressi. Il
processo di fusione è oggi maggiormente compreso dai fisici, e finalmente si
sta arrivando alla ingegnerizzazione definitiva degli impianti fino ad oggi
sperimentali. E’ venuto il tempo per le aziende interessate di attivarsi e di
cogliere le opportunità per partecipare allo sviluppo definitivo e alla
realizzazione materiale dei vari componenti dei reattori.
Nel 1920 il fisico
inglese Sir Arthur Eddington avanzò per primo l’ipotesi che l’enorme energia
derivante dalla fusione di nuclei di elementi leggeri come l’idrogeno avrebbe
potuto essere alla base dell’energia prodotta dal sole e dalle stelle. Infatti si ipotizzava che nel centro
del sole alla temperatura di 15 milioni di gradi Celsius e alla pressione di
miliardi di atmosfere, circa 600 miliardi di chili di nuclei di idrogeno
venissero compressi ogni secondo fino a fondersi e formare nuclei di elio,
rilasciando al contempo enormi quantità di energia. Nel 1950 si iniziò a
studiare come riprodurre sulla Terra il processo di fusione in maniera
controllata per produrre elettricità. I problemi teorici e le sfide
ingegneristiche erano giganteschi ed infatti ci sono voluti ben 60 anni per
arrivare vicini alla soluzione. Oggi stiamo lavorando alla fusione utilizzando
gli isotopi dell’idrogeno Deuterio e Trizio, che nella reazione di fusione
producono per metro cubo più energia di quanta ne viene prodotta dal sole,
rilasciando elio e neutroni. Per avvenire la fusione richiede il confinamento
di un plasma mantenuto ad altissime temperature in cui i nuclei positivi siano separati dagli elettroni
negativi. La temperatura del plasma deve raggiungere i 100-200 milioni di gradi
Celsius per vincere la repulsione coulombiana dei nuclei. Questa è la
condizione per estrarre l’energia dai nuclei. Fino ad oggi il mondo ha
utilizzato (con l’eccezione della fissione nucleare) l’energia “periferica”
degli atomi, quella legata alle interazioni degli elettroni (energia chimica), come ad esempio
quella che si utilizza nella combustione degli idrocarburi. Questi non sono
altro che il deposito formato dalla materia vivente mediante la fotosintesi
dell’energia provenuta dal sole in milioni di anni. Purtroppo questo tipo di
energia, oltre alla bassa efficienza e alla dipendenza dalla disponibilità dei
depositi di idrocarburi, ha lo svantaggio di liberare carbonio nella biosfera e di essere altamente inquinante. Il carbonio è
il principale responsabile dell’effetto serra e del global warming. Il particolato prodotto dalle combustioni è fortemente dannoso alla salute. L’energia
nucleare da fusione è invece potenzialmente illimitata, molto efficiente,
completamente priva di emissioni di carbonio, priva di particolati. Rispetto alla fissione nucleare, non produce scorie radioattive. Tornando ai progetti sulla
fusione, la sfida degli scienziati è stata di costruire un impianto che
mantenesse il plasma caldissimo e instabile lontano dal contatto con le pareti
del reattore, per consentire ai processi di fusione di avvenire e mantenersi
nel tempo. Per confinare il plasma si sono utilizzati forti campi magnetici
prodotti da spire di superconduttori che avvolgono una camera di reazione. Il
primo tokamak fu sviluppato i Russia nel 1960: esso confina il plasma in una
camera ad anello sottoposta a vuoto, e circondata da spire di superconduttori
(rame raffreddato) che creano i campi magnetici necessari al confinamento del
plasma. Le condizioni idonee alla fusione sono state raggiunte per la prima
volta nel progetto denominato “
Joint European Torus” ( JET ) situato presso il Culham Centre for Fusion Energy
( CCFE ) nei pressi di Oxford. I problemi ingegneristici si sono concentrati
nella creazione di fortissimi campi magnetici richiesti dal confinamento e nei
materiali necessari a contenere il plasma e il processo di fusione. Gli studi necessari, in particolare
quelli per i superconduttori, sono stati molto utili e hanno avuto ricadute
importanti su altri progetti, come quello per la realizzazione del “Large
Hadron Collider” al CERN. Dopo molti studi teorici e tentativi sperimentali, è
stato finalmente possibile costruire un tokamak in grado di resistere agli
enormi stress meccanici indotti dalle correnti di plasma attivo e dai campi
magnetici.
Il JET è, fino ad
oggi, il più grande tokamak mai costruito al mondo. Il CCFE gestisce l’impianto
per conto dell’Europa, fornendo i circa 400 ingegneri che mantengono e
migliorano la macchina. L’European Fusion Developmente Agreement fornisce
ulteriori competenze al JET quando è necessario. Il successo nella comprensione
del comportamento del plasma ha fatto sì che le questioni chiave di ingegneria
del progetto sono state definitivamente chiarite, come ad esempio la scelta dei materiali che si
interfacciano con il plasma, come la rimozione dell’elio prodotto dalle
reazioni, come il riscaldamento del plasma utilizzando le radiofrequenze e
fasci di particelle accelerate. Il programma JET è stato molto utile per la
risoluzione di questi problemi, ed anche la questione della radioattività dei
prodotti di reazione, di breve durata e in quantità limitata, si è dimostrata
risolvibile: essa può essere controllata e confinata nel reattore senza
problemi e senza alcun pericolo. La tecnologia che permette la gestione e la
manipolazione a distanza dei processi all’interno del reattore è stata un
elemento chiave del successo del programma JET. Lo strato interno (interfaccia)
della camera contenente il plasma è stato cambiato e migliorato più volte,
utilizzando piastrelle di carbonio e poi, recentemente, di berillio e
tungsteno. Il progetto JET ha ottenuto dal suo reattore 16 megawatts di potenza
da reazioni nucleari di fusione ed ha dimostrato in via definitiva la
fattibilità tecnica della fusione calda usando Deuterio e Trizio. Le tecnologie sviluppate al JET hanno
già portato benefici alle aziende inglesi partecipanti al progetto. Per esempio
la Oxford Technologies Ltd, una azienda privata indipendente, ha collaborato
con gli ingegneri del CCFE a sviluppare il sistema di gestione e manipolazione
remota dell’impianto e ha recentemente vinto un contratto da 3,5 milioni di
sterline per progettare la gestione del successore del JET, il reattore
internazionale ITER. Ormai il progetto sta avanzando rapidamente dagli studi di
fisica alla fase ingegneristica di
costruzione del reattore funzionante. Il problema delle piastrelle di rivestimento
della camera toroidale di confinamento del plasma è stato risolutivo: esse
debbono consentire ai neutroni accelerati il passaggio attraverso la parete,
senza danneggiarsi troppo. Allo stesso tempo le piastrelle debbono resistere
alla ritenzione indesiderata dei combustibili come il trizio, il che porterebbe
rapidamente ad una minore efficienza. La sostituzione delle piastrelle avviene
grazie a manipolatori a controllo remoto robotizzati. Nel 2015 il JET dovrebbe
concludere il ciclo di esperimenti previsti e nel frattempo è iniziata la
costruzione di ITER a Cadarache (nel sud della Francia) con la partecipazione
di Europa, Giappone, USA, Russia, India, Cina e Sud Corea. Il primo plasma
attivo di ITER dovrebbe essere prodotto nel 2020.
ITER avrà una camera toroidale di volume otto volte superiore a quella del reattore di JET, in maniera da ottimizzare la resa energetica del plasma e il
mantenimento delle condizioni per una attività del plasma molto più lunga nel
tempo. L’output di ITER sarà molto più alto del precedente reattore (dai 500 ai
700 MW). Il sistema di superconduttori di ITER utilizzerà spire di niobio al
posto del rame del JET; il niobio non richiede un raffreddamento spinto e
necessita di meno energia immessa per funzionare. Inoltre ha una resistenza
alla corrente di elettroni molto
minore. Una vota che i neutroni prodotti dal plasma hanno passato il primo
strato, ITER presenta un secondo strato composto da una copertura di litio
intorno alla camera del plasma, con il compito di assorbire l’energia cinetica
dei neutroni e convertirla in calore. Il calore produce vapore che attiva le
turbine. La reazione tra neutroni e litio, inoltre, produce trizio che viene utilizzato
per ricostituire il combustibile del plasma. Il tema dei materiali sta
emergendo: necessitano berillio, tungsteno (strato interno), litio per il
secondo rivestimento, niobio per il magnete. Un altro problema è quello degli
acciai che vanno a costituire il supporto esterno, che può essre danneggiato
dai neutroni e reso radioattivo (anche se per breve tempo). Una migliore scelta
dei materiali può minimizzare il problema. Il programma “International Fusion
Materials Irradiation Facility” (IFMIF) è stato studiato per generare neutroni
con energie equivalenti a quelle del reattore, per testare i materiali candidati
ad essere impiegati nel progetto ITER.
Quanto tempo ancora è
richiesto ffinché la fusione divenga una realtà energetica? I ricercatori
parlano del 2020 come una data plausibile per avere un prototipo di reattore
funzionante. Nel 2030 si ritiene che possa concludersi la fase sperimentale.
Nell’arco di tempo che va dal 2030 al 2050 saranno disponibili secondo le
previsioni i primi reattori commerciali. Ci sono stati tangibili benefici dal
lungo supporto alla ricerca sulla Fusione nucleare. Per mezzo secolo, la ricerca svolta a Culham e presso altri
impianti hanno migliorato i circuiti ad alto voltaggio, i campi magnetici, i
superconduttori. Le ricadute sono state importanti in vari campi, come ad
esempio nel campo della risonanza magnetica per quanto riguarda la diagnostica. I circuiti elettrici sono stati migliorati e adattati strutturalmente agli alti voltaggi. Nel 1990 Ansaldo Ricerche e Fiat Ivco hanno utilizzato nella produzione di Bus
ibridi (Altrobus ibrido) gli invertitori di potenza e i caricatori di batterie
che erano basati, nella progettazione,
su impianti sviluppati per i circuiti del JET. Un centinaio di bus
ibridi sono stati utilizzati dal 1999 a Genova. Più recentemente un’azienda
britannica, NNC, con la collaborazione e l’assistenza di ingegneri del CCFE, ha
sviluppato una nuova tecnologia per
l’ incollaggio a pressione isostatica, utilizzata nella produzione di
piastrelle di isolamento e altri
materiali per ITER. Un’altra
azienda a beneficare della ricerca sulla fusione è stata la Reaction Engines
che, utilizzando studi condotti con i ricercatori di CCFE, ha prodotto sistemi di propulsione aerea per navette
spaziali riutilizzabili (Skylon). La collaborazione con CCFE ha dato
l’opportunità ad aziende inglesi di usufruire di contratti per 180 milioni di
sterline. Di contratti milionari hanno usufruito anche aziende francesi ( come Altran)
e spagnole (Idom). Nel prossimo decennio ITER utilizzerà finanziamenti per 5
miliardi di euro per lo sviluppo e la costruzione di componenti e sistemi per
la messa a punto del reattore. Ma oltre al beneficio economico è forse di
maggiore importanza l’accrescimento delle conoscenze e delle esperienze che
accompagnano la realizzazione commerciale dei futuri reattori a fusione.
(Chris Warrick, c/o
Culham Centre for Fusion Energy.
“Ingenia” settembre 2012. ).
Per un breve commento
all’articolo posso solo aggiungere che il nostro disgraziato paese ha poco
beneficiato delle ricerche sulla Fusione nucleare, per i soliti motivi. Da noi
l’argomento è tabù per l’ottusità e la rigidità ideologica che sono alla base
della situazione attuale del paese, in pieno declino e quasi senza speranza.
Una classe politica corrotta e inetta, e una intellighentia ancora dedita
all’ortodossia neo-illuminista (per non dire neo-giacobina) e neo-positivista d’accatto, in realtà arretrata
culturalmente e senza una visione se non quella volta alle ideologie tramontate
da decenni, ci condannano a una posizione di retroguardia. Rari e poco
finanziati sono i ricercatori che in Italia portano avanti la ricerca sul campo
delle energie del futuro. Quelle vere, non quelle che per stare in piedi hanno bisogno del 55 % dei finanziamenti
a carico del popolo italiano.
Articolo molto interessante, ma i tempi mi sembrano troppo lunghi per poter dire d'aver risolto il problema energetico.
RispondiEliminaITER avrà una potenza di 700 MW, praticamente la metà di una normale centrale termoelettrica.
Finirà la fase sperimentale nel 2030 (tra 17 anni), quando già saranno completate le 1200 centrali a Carbone già previste,
che rischiano di rendere invivibile questo pianeta già prima del 2030.
Anche se ci arrivassimo, con una potenza così minima, la Terra avrebbe bisogno di almeno 20.000 centrali a Fusione Nucleare per poter sostituire completamente gli idrocarburi fossili; che quindi ci vorranno tanti anni ed energia per costruirle.
Mi sembra che la situazione non sia delle migliori. :-(
Hai ragione, è in media la metà della produzione di centrali termoelettriche classiche. Ma devi tener presente che stiamo parlando di un prototipo. Sai a che velocità massima viaggiava uno dei primi prototipi di auto con motore a scoppio? 15 chilometri l'ora. Sono convinto che tra 50 anni basteranno poche centrali a fusione (meno di una decina) per soddisfare gran parte della potenza richiesta da un paese come l'Italia (se poi saremo riusciti a ridurre la pressione demografica sarà ancora meglio). La qualità dell'aria sarà migliorata, le emissioni di carbonio azzerate, il particolato ridotto al minimo. Forse, si potrebbe riuscire a salvare il pianeta.
RispondiEliminaTra 50 anni, se continua così, resteranno in piedi solo le Piramidi e degli uomini ci sarà solo qualche mummia sparsa per il pianeta.
EliminaNon abbiamo tutto questo tempo!
a meno che riusciamo a risolvere prima questi 3 problemi:
1) inquinamento ambientale;
2) carenza di risorse energetiche non troppo inquinanti;
3) Guerre: sia per l'approvvigionamento dell poche risorse rimaste, che per confermare il dollaro moneta internazionale (se no il debito USA salta!)
Se si pensa che solo fino a pochi anni fa andavamo avanti con la lampadina a incandescenza che sprecava quasi tutta l'energia con cui veniva alimentata,mentre ora abbiamo quelle a led/Alogene/Fluorescenti,che hanno una maggiore efficenza,possiamo ben capire come mano a mano che si mangeggia una nuova tecnologia,vengono nuove idee per ottimizzarne l'efficenza.
RispondiEliminaQuindi non sarà di sicuro di 700MW la produzione di ITER.
In ogni modo ,per il futuro la strada obbligata è il mix di approvigionamento energetico.Non si scappa.
Non ci libereremo dunque dei combustibili fossili,o almeno non credo nel medio termine.
@Alessandro @Kio nella fase intermedia tra le energie carbon full e la fusione, saremo obbligati -ripeto "obbligati"- a ricorrere al nucleare terza-quarta generazione. Si tratta di un periodo di 40 anni circa. Non credo che ci sara' in caso contrario il Gran Collasso del pianeta. La fine arrivera' per "piccoli" collassi successivi. Ci sara' il tempo, spero, per cambiare opinione nella maggioranza degli attuali "ciechi" e intraprendere le nuove politiche energetiche e demografiche.
RispondiEliminaper @agobit
EliminaLa mia App sull'energia ha un grande vantaggio, quello di poter trasformare in numeri (analisi quantitativa) quello che invece sono sensazioni/intuito (analisi qualitativa).
Oggi (ai consumi attuali) il nucleare soddisfa intorno al 12% del fabbisogno totale mondiale.
Se prendiamo tutte le risorse di uranio conosciute e le utilizziamo per soddisfare il totale del fabbisogno mondiale, esse finiranno in soli 6 anni!!! (La mia App qualche calcolo interessante lo fa).
Per arrivare a 40 anni, il consumo di Uranio non potrà superare quello attuale, che sarebbe in percentuale decrescente (partendo dal 12%) perché i consumi tendono ad aumentare (se non fosse altro per l’aumento demografico e del benessere diffuso).
Quindi < l’Asso nella manica del nucleare > in realtà serve a ben poco!
Calcoli alla mano, non c’è niente che possa colmare l’eventuale esaurimento dei combustibili fossili, a meno che non si scoprano nuovi giacimenti, magari di gas/carbone che sembrano più diffusi, ma in quel caso, prima dei 40 o 50 anni, sarà l’ambiente a sfrattarci da questo pianeta per l’elevato inquinamento.
Ma infatti quando dico "mix energetico" intendo anche il nucleare.
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