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sabato 14 luglio 2012

SUL NUCLEARE TEDESCO SI GIOCA LA PARTITA DELL’EUROPA.




Dopo Fukushima anche il nucleare europeo ha deciso di testare le proprie centrali per verificarne la stabilità e la sicurezza in caso di eventi e catastrofi naturali. Tutti gli stress-test sono stati positivi e tutte le centrali in attività sono state confermate. Anche negli Stati Uniti, dove è stata costituita una apposita commissione per i controlli sulla sicurezza, gli esiti sono stati positivi per le centrali in attività, e si è deliberata la costruzione di due nuovi reattori di terza generazione (con raffreddamento ad acqua pressurizzata).   Nella tabella è riportata la situazione attuale nei principali paesi

IN EUROPA:
                                           Centrali attive              in costruzione

FRANCIA
    58
  0
GERMANIA
    17
  0
SVEZIA
    10
  0
REGNO UNITO
    19
  0
SPAGNA
      8
  0
BELGIO
      7
  0
SVIZZERA
      5
  0
FINLANDIA
      4
  1
BULGARIA
      2
  2
ROMANIA
      2
  0
SLOVACCHIA
      4
  2
SLOVENIA
      1
  0
UNGHERIA
      4
  0
OLANDA
      1
  0

NEL MONDO:

STATI UNITI
  104
  2
RUSSIA
    32
 11
UCRAINA
    15
  2
GIAPPONE
    54
  2
CINA
    13
 27
INDIA
    20
  5
BRASILE
      2
  1
COREA
    13
  2

In Germania, nonostante la verifica abbia dato esito rassicurante per la sicurezza delle centrali tedesche, il governo ha annunciato –poco tempo dopo l’incidente di Fukushima-  una nuova strategia energetica che prevede la graduale dismissione, nel giro di venti anni, delle centrali attualmente attive e la transizione energetica verso un maggiore utilizzo delle  fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico (Energiewende). Appena un anno prima il governo tedesco aveva fatto un annuncio opposto confermando la piena fiducia nell’atomo ed estendendo la vita operativa delle centrali tedesche. Evidentemente le esigenze della politica hanno fatto cambiare rapidamente opinione, anche se le magagne della rinuncia (teorica) al nucleare si stanno rivelando –al confronto della realtà-  più grandi del previsto. A complicare la situazione  ci sono vari elementi. Prima di tutto la mancanza di una strategia e l’assenza di un piano nazionale che indichi date e modalità degli obiettivi. Poi il fatto che cinque grandi aziende del solare tedesche hanno dichiarato fallimento, schiacciate dalla concorrenza cinese da un lato, e dal taglio degli incentivi governativi dall’altro. Poi, dalle discussioni degli esperti è venuto fuori che per sostituire il nucleare non basta piantare pannelli solari e pale eoliche. Ci sono alcuni snodi energetici fondamentali: la riorganizzazione della rete elettrica nazionale, lo stoccaggio di energia, gli incentivi di mercato e le politiche per l’efficienza energetica.

Riorganizzazione della rete elettrica. L’espansione delle fonti rinnovabili comporta una generazione di energia elettrica da un elevato numero di unità produttive di piccole/medie dimensioni – campi eolici, fotovoltaici, centrali a biomasse, cogeneratori, eccetera – a fianco delle grandi centrali convenzionali, distribuite sul territorio e collegate a reti a basso voltaggio o direttamente all’utente. Tramite le fonti rinnovabili, gli utenti divengono sia “produttori” che “consumatori” e la rete elettrica da “passiva”, in cui l’elettricità scorre unidirezionalmente dal luogo di produzione a quello di consumo, deve diventare “attiva” o “intelligente”. Altrimenti detto, la rete deve essere riorganizzata per essere capace di assorbire l’energia da qualsiasi punto venga prodotta e trasferirla ad altre aree in deficit, con flusso dal basso verso l’alto in tempo reale e in modo dinamico. Se il raddoppio della quota di energie rinnovabili entro il 2020 è davvero un obiettivo di Berlino, la Germania avrà bisogno non solo di approntare la rete intelligente ma anche di dispiegare circa 3.500 chilometri di linee ad alta tensione. La priorità del governo è quella di portare l’elettricità generata dall’eolico off-shore del Mar Baltico a nord alle industrie del sud. La spesa prevista per il 2020 è di oltre 30 miliardi di euro. Oltre al problema dei soldi, Berlino si troverà di fronte alle resistenze delle comunità locali dove alloggerà l’infrastruttura per l’alta tensione (e son torri di 70 metri, dall’impatto paesaggistico notevole). Le proposte in materia dovrebbero arrivare in Parlamento in autunno e una decisione del governo, almeno sulle questioni principali, è prevista entro la fine dell’anno. Vedremo.
Stoccaggio dell’energia. Eolico e fotovoltaico forniscono energia in modo intermittente. Lo sapete tutti. Per mettere la rete elettrica al riparo da sbalzi di tensione e black-out è indispensabile risolvere il problema dello stoccaggio dell’energia. Solo quest’anno il governo tedesco ha stanziato oltre 200 milioni di euro per lo studio del problema dello stoccaggio dell’energia. Il sistema ad oggi più efficiente è l’utilizzo di enormi bacini di pompaggio. In pratica, quando la produzione di energia rinnovabile eccede i consumi, l’energia in surplus è utilizzata per pompare a monte l’acqua. Quando vento e sole sono assenti e la produzione di energia rinnovabile non basta, l’elettricità necessaria alla rete elettrica viene generata utilizzando i bacini idroelettrici di cui sopra. Il problema dell’idroelettrico è quasi solamente quantitativo: semplicemente i bacini adatti allo scopo in Germania sono già sfruttati e un aumento della capacità attuale non appare orograficamente percorribile. Questo senza contare che i bacini di pompaggio sono costosi, devastano il territorio e sono pericolosi in caso di terremoto. Da sempre la costruzione è osteggiata dalle comunità locali. Altre opzioni nei programmi di ricerca di Berlino sono batterie, condensatori e l’uso coordinato di una moltitudine di centri di stoccaggio minori, dislocati sul territorio. Poi c’è l’opzione idrogeno, tecnologia dalle enormi speranze appena dietro l’angolo… da più di 20 anni. Al problema dello stoccaggio dell’energia non v’è purtroppo oggi una risposta facile. Non è un caso che la Germania non abbia puntato tutto su un’unica soluzione. Al contrario, il programma di ricerca finanzia un ampio ventaglio di possibilità. Il che dimostra quanto vasto sia il campo e, ahimè, quanto potrebbe rivelarsi distante una soluzione commercialmente praticabile.
Efficienza energetica. Il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici è ingrediente fondamentale per il successo dell’Energiewende tedesco. Peccato che la diffusione delle tecnologie in tal senso – isolamento, pompe di calore, tecnologie di costruzione passive, sistemi di illuminazione efficienti – stia invece accumulando ritardi sempre maggiori. I proprietari tedeschi, nonostante incentivi statali e aspettative di ritorni monetari, si scoprono esitanti a investire decine di migliaia di euro nel rinnovamento energetico dell’abitazione. La soluzione, almeno secondo i sostenitori, è ricorrere a incentivi più generosi. Il problema è che gran parte dei finanziamenti per l’efficienza viene dai proventi dei certificati per le emissioni di anidride carbonica, i cui prezzi sono crollati nel 2012. Nel mese di marzo il Ministero delle Finanze ha dovuto dirottare 452 milioni di euro sull’efficienza energetica. Proposte di ulteriori detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie sono attualmente discusse, anche se non è chiaro da dove verranno i fondi necessari allo scopo.

Premio di mercato. L’iniziativa probabilmente più importante del governo Merkel è stata l’introduzione del premio di mercato per i produttori di energia da fonti rinnovabili. Il premio di mercato viene pagato in sostituzione della tariffa fissa a quei produttori di energia rinnovabile che commercializzano loro stessi l’energia prodotta, in base a domanda e offerta di mercato. Come premio (e incentivo) per l’esposizione diretta, in aggiunta alle entrate ottenute dalla vendita dell’energia elettrica, ai produttori di cui sopra viene garantito un extra, il premio di mercato appunto. Lo scopo di questa legge è quello di trasformare i produttori di energia rinnovabile in operatori del mercato, dando il via ad un nuovo modello di mercato di piccoli e diffusi produttori di energia, in contrapposizione al modello attuale in cui investimenti e utili sono spartiti da pochi ex-monopolisti e grandi aziende. Il premio di mercato, infatti, assegna un maggior valore alla produzione di chi soddisfa le reali richieste di energia del sistema. Anche se molti operatori hanno optato per il premio di mercato, l’effettivo successo di questa iniziativa non è stato ancora chiarito. I critici osservano come l’introduzione del premio di mercato non ha diminuito il prezzo dell’energia elettrica in Germania. Tuttavia, anche a parità di costo, una divisione più socialmente equa degli utili non è certo da buttare, anzi.   (Dal sito www.ilpost.it di Filippo Zuliani).

Gli enormi costi della conversione alle rinnovabili  che stanno emergendo in Germania aprono un campo di  discussione che riguarda tutti,  anche il nostro paese (nella malaugurata ipotesi si portasse avanti anche in Italia l’utopia delle rinnovabili come asse portante del piano energetico e non semplice supporto). I problemi incontrati dai tedeschi, in Italia si presentano ancora più grandi. Si pensi solo  alla sostituzione delle vecchie centrali elettriche ENEL  che dovrebbero essere dimesse e ricostruite secondo nuovi criteri, con costi la cui copertura è difficile immaginare nei prossimi dieci-quindici anni. Si pensi al rifacimento di tutte le linee elettriche tradizionali inadeguate alle nuove esigenze, alla necessità di centraline di smistamento intelligenti informatizzate, alla   costruzione  dei bacini di pompaggio dell’acqua e annesse macchine per lo stoccaggio dell’energia prodotta  dalle rinnovabili ( e al loro impatto ambientale compreso il consumo di territorio), ecc.   Per quanto riguarda le pale eoliche si pensi all’impatto sul nostro paesaggio, ben diverso dalle pianure del nord Europa, senza contare che mentre la Germania ha il mare del nord con bassi fondali sabbiosi e forti venti, in Italia i fondali del Tirreno sono ripidi, rocciosi, con ventilazione assai più scarsa.  In Germania stanno nascendo movimenti, alcuni nel seno stesso dei verdi, che contestano le rinnovabili proprio sul piano della sostenibilità ambientale.  Le preoccupazioni riguardano non solo la sostituzione del territorio con pannelli, pale eoliche, elettrodotti ecc. ma anche  le linee ad alta tensione   necessarie per trasferire l’energia prodotta dalle rinnovabili, con le conseguenze per la salute umana che sempre più emergono riguardo alle onde elettromagnetiche emanate dagli elettrodotti. In Italia è notizia di questi giorni della riunione in Calabria della prima conferenza delle organizzazioni che si oppongono all’impatto ambientale e sulla salute delle  tecnologie e impianti legati alle  rinnovabili. Non minore è il problema economico: le rinnovabili reggono solo se finanziate con denaro pubblico. Le bollette già caricano sul nostro portafoglio parte dei costi.  Per devastare le zone verdi del nostro paese con pannelli, elettrodotti e pale eoliche dobbiamo pure tassarci.

Che le rinnovabili non siano così convenienti se ne sono accorti anche in Cina. Infatti non c’è solo la catena di fallimenti delle aziende del fotovoltaico americane, tedesche e italiane. Ora giunge la notizia che anche le imprese cinesi del settore falliscono. La notizia è stata diffusa alla conferenza Intersolar che si è recentemente svolta a San Francisco. Secondo John Lafebvre, di Suntec Power, già 50 produttori cinesi di celle e moduli fotovoltaici hanno dichiarato fallimento. Pare che la causa sia l’ “over capacity” ossia l’eccesso di capacità produttiva rispetto alla richiesta mondiale di fotovoltaico (produzione di pannelli per una potenza di 59 GW,  rispetto ad una richiesta di 30 GW). Il problema è che la richiesta non è reale ma gonfiata dal politically correct. I governi spesso puntano sulle rinnovabili perché conviene politicamente (come ha fatto la Germania), vanno avanti con gli incentivi, partono le ordinazioni di enti pubblici e dei privati,  ma poi quando si accorgono che il giocattolo non funziona, che l’energia prodotta è poco fruibile, difficilmente stoccabile, costosa in termini di infrastrutture e riorganizzazione delle reti elettriche, la domanda ristagna. Non si tratta quindi solo di concorrenza cinese (gli Usa hanno persino imposto, inutilmente i dazi), ma di vero e proprio flop strutturale, e infatti ora anche i cinesi piangono. Anche se loro se la vedono brutta solo come costruttori ed esportatori di pannelli e pale, in quanto a impiantarle in Cina non ci pensano proprio.

Il problema delle scelte tedesche non riguarda quindi solo la Germania,  la partita che si sta giocando è molto più grande. Il flop delle rinnovabili innescherebbe una serie di reazioni a catena. E’ vero che i tedeschi sono pragmatici e meno affetti dalla rigidità ideologica, ad esempio, degli italiani. Tira aria che l’abbandono del nucleare da parte dei tedeschi è e rimarrà un annuncio. La dismissione lunga (20 anni) darà tutto il tempo di cambiare la rotta o di invertirla del tutto. Del resto i tedeschi sono ai primi posti nella ricerca sul nucleare di quarta generazione. Molti scienziati in Germania rimangono convinti  che l’energia nucleare è di gran lunga l’energia più sicura, la più economica, la più “verde” con 0 emissioni di CO2. Insieme a Stati Uniti, Cina, Francia, Russia, India e Brasile, la Germania sta portando avanti con forza la ricerca sulle centrali di quarta generazione al sodio liquido o quelle ancora più sicure  ai sali  fusi di torio. Il passo sulle dismissioni (lente) delle centrali attuali è quindi più una sospensione temporanea della costruzione di centrali di vecchia generazione, in attesa delle nuove tecnologie, che una rinuncia tout court. Il problema innescato dalla  Energiewende rimane però rischioso e la partita è aperta. Qualora le rinnovabili, come appare evidente già ora, non fossero in grado di sostituire la quota del nucleare tedesco, anche in via temporanea,  le conseguenze sarebbero pesanti e non solo per l’economia europea. La prima conseguenza riguarderebbe l’ambiente. Si tratterebbe di accentuare l’uso del petrolio, del gas  e del carbone con ulteriore aggravamento delle emissioni di gas serra e delle malattie connesse alle combustioni dei fossili. Il protocollo di Kyoto, già morente, esalerebbe l’ultimo respiro. Conseguenze gravi si avrebbero per l’economia, in quanto  la perdita della quota di energia prodotta dal nucleare porterebbe ad una aumento dei costi energetici, ad una minore competitività delle aziende e delle merci tedesche, a ripercussioni sul mercato europeo e internazionale, ad un ulteriore problema per la già fragile stabilità dell’euro.  Se all’annuncio tedesco dovesse seguire l’effettiva fine del nucleare in Germania, si prospettano tempi duri per l’Europa. Anche perché le economie emergenti non scherzano: tra Cina, India e Russia e Corea sono in costruzione 45 nuove centrali.

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