Dopo
Fukushima anche il nucleare europeo ha deciso di testare le proprie centrali
per verificarne la stabilità e la sicurezza in caso di eventi e catastrofi
naturali. Tutti gli stress-test sono stati positivi e tutte le centrali in
attività sono state confermate. Anche negli Stati Uniti, dove è stata
costituita una apposita commissione per i controlli sulla sicurezza, gli esiti
sono stati positivi per le centrali in attività, e si è deliberata la costruzione
di due nuovi reattori di terza generazione (con raffreddamento ad acqua
pressurizzata). Nella
tabella è riportata la situazione attuale nei principali paesi
IN
EUROPA:
Centrali attive
in costruzione
FRANCIA
|
58
|
0
|
GERMANIA
|
17
|
0
|
SVEZIA
|
10
|
0
|
REGNO
UNITO
|
19
|
0
|
SPAGNA
|
8
|
0
|
BELGIO
|
7
|
0
|
SVIZZERA
|
5
|
0
|
FINLANDIA
|
4
|
1
|
BULGARIA
|
2
|
2
|
ROMANIA
|
2
|
0
|
SLOVACCHIA
|
4
|
2
|
SLOVENIA
|
1
|
0
|
UNGHERIA
|
4
|
0
|
OLANDA
|
1
|
0
|
NEL
MONDO:
STATI
UNITI
|
104
|
2
|
RUSSIA
|
32
|
11
|
UCRAINA
|
15
|
2
|
GIAPPONE
|
54
|
2
|
CINA
|
13
|
27
|
INDIA
|
20
|
5
|
BRASILE
|
2
|
1
|
COREA
|
13
|
2
|
In
Germania, nonostante la verifica abbia dato esito rassicurante per la sicurezza
delle centrali tedesche, il governo ha annunciato –poco tempo dopo l’incidente
di Fukushima- una nuova strategia
energetica che prevede la graduale dismissione, nel giro di venti anni, delle
centrali attualmente attive e la transizione energetica verso un maggiore
utilizzo delle fonti rinnovabili,
in particolare fotovoltaico ed eolico (Energiewende). Appena un anno prima il
governo tedesco aveva fatto un annuncio opposto confermando la piena fiducia
nell’atomo ed estendendo la vita operativa delle centrali tedesche.
Evidentemente le esigenze della politica hanno fatto cambiare rapidamente
opinione, anche se le magagne della rinuncia (teorica) al nucleare si stanno
rivelando –al confronto della realtà-
più grandi del previsto. A complicare la situazione ci sono vari elementi. Prima di tutto
la mancanza di una strategia e l’assenza di un piano nazionale che indichi date
e modalità degli obiettivi. Poi il fatto che cinque grandi aziende del solare
tedesche hanno dichiarato fallimento, schiacciate dalla concorrenza cinese da
un lato, e dal taglio degli incentivi governativi dall’altro. Poi, dalle
discussioni degli esperti è venuto fuori che per sostituire il nucleare non
basta piantare pannelli solari e pale eoliche. Ci sono alcuni snodi energetici
fondamentali: la riorganizzazione della rete elettrica nazionale, lo stoccaggio
di energia, gli incentivi di mercato e le politiche per l’efficienza
energetica.
Riorganizzazione
della rete elettrica.
L’espansione delle fonti rinnovabili comporta una generazione di energia
elettrica da un elevato numero di unità produttive di piccole/medie dimensioni
– campi eolici, fotovoltaici, centrali a biomasse, cogeneratori, eccetera – a
fianco delle grandi centrali convenzionali, distribuite sul territorio e
collegate a reti a basso voltaggio o direttamente all’utente. Tramite le fonti
rinnovabili, gli utenti divengono sia “produttori” che “consumatori” e la rete
elettrica da “passiva”, in cui l’elettricità scorre unidirezionalmente dal
luogo di produzione a quello di consumo, deve diventare “attiva” o
“intelligente”. Altrimenti detto, la rete deve essere riorganizzata per essere
capace di assorbire l’energia da qualsiasi punto venga prodotta e trasferirla
ad altre aree in deficit, con flusso dal basso verso l’alto in tempo reale e in
modo dinamico. Se il raddoppio della quota di energie rinnovabili entro il 2020
è davvero un obiettivo di Berlino, la Germania avrà bisogno non solo di
approntare la rete intelligente ma anche di dispiegare circa 3.500 chilometri
di linee ad alta tensione. La priorità del governo è quella di portare
l’elettricità generata dall’eolico off-shore del Mar Baltico a nord alle industrie del sud. La spesa
prevista per il 2020 è di oltre 30 miliardi di euro. Oltre al problema dei
soldi, Berlino si troverà di fronte alle resistenze delle comunità locali dove
alloggerà l’infrastruttura per l’alta tensione (e son torri di 70 metri,
dall’impatto paesaggistico notevole). Le proposte in materia dovrebbero arrivare
in Parlamento in autunno e una decisione del governo, almeno sulle questioni
principali, è prevista entro la fine dell’anno. Vedremo.
Stoccaggio
dell’energia.
Eolico e fotovoltaico forniscono energia in modo intermittente. Lo sapete
tutti. Per mettere la rete elettrica al riparo da sbalzi di tensione e
black-out è indispensabile risolvere il problema dello stoccaggio dell’energia.
Solo quest’anno il governo tedesco ha stanziato oltre 200 milioni di euro per
lo studio del problema dello stoccaggio dell’energia. Il sistema ad oggi più
efficiente è l’utilizzo di enormi bacini di pompaggio. In pratica, quando la
produzione di energia rinnovabile eccede i consumi, l’energia in surplus è
utilizzata per pompare a monte l’acqua. Quando vento e sole sono assenti e la
produzione di energia rinnovabile non basta, l’elettricità necessaria alla rete
elettrica viene generata utilizzando i bacini idroelettrici di cui sopra. Il
problema dell’idroelettrico è quasi solamente quantitativo: semplicemente i
bacini adatti allo scopo in Germania sono già sfruttati e un aumento della
capacità attuale non appare orograficamente percorribile. Questo senza contare
che i bacini di pompaggio sono costosi, devastano il territorio e sono
pericolosi in caso di terremoto. Da sempre la costruzione è osteggiata dalle
comunità locali. Altre opzioni nei programmi di ricerca di Berlino sono
batterie, condensatori e l’uso coordinato di una moltitudine di centri di
stoccaggio minori, dislocati sul territorio. Poi c’è l’opzione idrogeno, tecnologia
dalle enormi speranze appena dietro l’angolo… da più di 20 anni. Al problema
dello stoccaggio dell’energia non v’è purtroppo oggi una risposta facile. Non è
un caso che la Germania non abbia puntato tutto su un’unica soluzione. Al
contrario, il programma di ricerca finanzia un ampio ventaglio di possibilità.
Il che dimostra quanto vasto sia il campo e, ahimè, quanto potrebbe rivelarsi
distante una soluzione commercialmente praticabile.
Efficienza
energetica. Il
miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici è ingrediente
fondamentale per il successo dell’Energiewende tedesco. Peccato che la diffusione delle
tecnologie in tal senso – isolamento, pompe di calore, tecnologie di
costruzione passive, sistemi di illuminazione efficienti – stia invece accumulando
ritardi sempre maggiori. I proprietari tedeschi, nonostante incentivi statali e
aspettative di ritorni monetari, si scoprono esitanti a investire decine di
migliaia di euro nel rinnovamento energetico dell’abitazione. La soluzione,
almeno secondo i sostenitori, è ricorrere a incentivi più generosi. Il problema
è che gran parte dei finanziamenti per l’efficienza viene dai proventi dei
certificati per le emissioni di anidride carbonica, i cui prezzi sono crollati nel 2012. Nel mese di marzo il Ministero delle
Finanze ha dovuto dirottare 452 milioni di euro sull’efficienza energetica.
Proposte di ulteriori detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie sono
attualmente discusse, anche se non è chiaro da dove verranno i fondi necessari
allo scopo.
Premio di mercato. L’iniziativa probabilmente più
importante del governo Merkel è stata l’introduzione del premio di mercato per
i produttori di energia da fonti rinnovabili. Il premio di mercato viene pagato
in sostituzione della tariffa fissa a quei produttori di energia rinnovabile
che commercializzano loro stessi l’energia prodotta, in base a domanda e
offerta di mercato. Come premio (e incentivo) per l’esposizione diretta, in
aggiunta alle entrate ottenute dalla vendita dell’energia elettrica, ai
produttori di cui sopra viene garantito un extra, il premio di mercato appunto.
Lo scopo di questa legge è quello di trasformare i produttori di energia
rinnovabile in operatori del mercato, dando il via ad un nuovo modello di mercato di piccoli e diffusi
produttori di energia, in contrapposizione al modello attuale in cui
investimenti e utili sono spartiti da pochi ex-monopolisti e grandi aziende. Il
premio di mercato, infatti, assegna un maggior valore alla produzione di chi
soddisfa le reali richieste di energia del sistema. Anche se molti operatori
hanno optato per il premio di mercato, l’effettivo successo di questa
iniziativa non è stato ancora chiarito. I critici osservano come l’introduzione
del premio di mercato non ha diminuito il prezzo dell’energia elettrica in
Germania. Tuttavia, anche a parità di costo, una divisione più socialmente equa
degli utili non è certo da buttare, anzi.
(Dal sito www.ilpost.it di Filippo
Zuliani).
Gli
enormi costi della conversione alle rinnovabili che stanno emergendo in Germania aprono un campo di discussione che riguarda tutti, anche il nostro paese (nella
malaugurata ipotesi si portasse avanti anche in Italia l’utopia delle
rinnovabili come asse portante del piano energetico e non semplice supporto). I problemi incontrati dai tedeschi, in Italia si presentano
ancora più grandi. Si pensi solo
alla sostituzione delle vecchie centrali elettriche ENEL che dovrebbero essere dimesse e
ricostruite secondo nuovi criteri, con costi la cui copertura è difficile
immaginare nei prossimi dieci-quindici anni. Si pensi al rifacimento di tutte
le linee elettriche tradizionali inadeguate alle nuove esigenze, alla necessità
di centraline di smistamento intelligenti informatizzate, alla costruzione dei bacini di pompaggio dell’acqua e
annesse macchine per lo stoccaggio dell’energia prodotta dalle rinnovabili ( e al loro impatto
ambientale compreso il consumo di territorio), ecc. Per quanto riguarda le pale eoliche si pensi all’impatto
sul nostro paesaggio, ben diverso dalle pianure del nord Europa, senza contare
che mentre la Germania ha il mare del nord con bassi fondali sabbiosi e forti
venti, in Italia i fondali del Tirreno sono ripidi, rocciosi, con ventilazione
assai più scarsa. In Germania
stanno nascendo movimenti, alcuni nel seno stesso dei verdi, che contestano le
rinnovabili proprio sul piano della sostenibilità ambientale. Le preoccupazioni riguardano non solo
la sostituzione del territorio con pannelli, pale eoliche, elettrodotti ecc. ma
anche le linee ad alta
tensione necessarie per
trasferire l’energia prodotta dalle rinnovabili, con le conseguenze per la
salute umana che sempre più emergono riguardo alle onde elettromagnetiche
emanate dagli elettrodotti. In Italia è notizia di questi giorni della riunione
in Calabria della prima conferenza delle organizzazioni che si oppongono
all’impatto ambientale e sulla salute delle tecnologie e impianti legati alle rinnovabili. Non minore è il problema economico: le rinnovabili reggono solo se finanziate con denaro pubblico. Le bollette già caricano sul nostro portafoglio parte dei costi. Per devastare le zone verdi del nostro paese con pannelli, elettrodotti e pale eoliche dobbiamo pure tassarci.
Che
le rinnovabili non siano così convenienti se ne sono accorti anche in Cina.
Infatti non c’è solo la catena di fallimenti delle aziende del fotovoltaico
americane, tedesche e italiane. Ora giunge la notizia che anche le imprese
cinesi del settore falliscono. La notizia è stata diffusa alla conferenza
Intersolar che si è recentemente svolta a San Francisco. Secondo John Lafebvre,
di Suntec Power, già 50 produttori cinesi di celle e moduli fotovoltaici hanno
dichiarato fallimento. Pare che la causa sia l’ “over capacity” ossia l’eccesso
di capacità produttiva rispetto alla richiesta mondiale di fotovoltaico
(produzione di pannelli per una potenza di 59 GW, rispetto ad una richiesta di 30 GW). Il problema è che la
richiesta non è reale ma gonfiata dal politically correct. I governi spesso
puntano sulle rinnovabili perché conviene politicamente (come ha fatto la
Germania), vanno avanti con gli incentivi, partono le ordinazioni di enti
pubblici e dei privati, ma poi
quando si accorgono che il giocattolo non funziona, che l’energia prodotta è
poco fruibile, difficilmente stoccabile, costosa in termini di infrastrutture e
riorganizzazione delle reti elettriche, la domanda ristagna. Non si tratta
quindi solo di concorrenza cinese (gli Usa hanno persino imposto, inutilmente i
dazi), ma di vero e proprio flop strutturale, e infatti ora anche i cinesi
piangono. Anche se loro se la vedono brutta solo come costruttori ed esportatori di pannelli e pale, in quanto a impiantarle in Cina non ci pensano proprio.
Il
problema delle scelte tedesche non riguarda quindi solo la Germania, la partita che si sta giocando è molto
più grande. Il flop delle rinnovabili innescherebbe una serie di reazioni a
catena. E’ vero che i tedeschi sono pragmatici e meno affetti dalla rigidità
ideologica, ad esempio, degli italiani. Tira aria che l’abbandono del nucleare
da parte dei tedeschi è e rimarrà un annuncio. La dismissione lunga (20 anni)
darà tutto il tempo di cambiare la rotta o di invertirla del tutto. Del resto i
tedeschi sono ai primi posti nella ricerca sul nucleare di quarta generazione.
Molti scienziati in Germania rimangono convinti che l’energia nucleare è di gran lunga l’energia più sicura,
la più economica, la più “verde” con 0 emissioni di CO2. Insieme a Stati Uniti,
Cina, Francia, Russia, India e Brasile, la Germania sta portando avanti con
forza la ricerca sulle centrali di quarta generazione al sodio liquido o quelle
ancora più sicure ai sali fusi di torio. Il passo sulle
dismissioni (lente) delle centrali attuali è quindi più una sospensione
temporanea della costruzione di centrali di vecchia generazione, in attesa
delle nuove tecnologie, che una rinuncia tout court. Il problema innescato
dalla Energiewende rimane però
rischioso e la partita è aperta. Qualora le rinnovabili, come appare evidente
già ora, non fossero in grado di sostituire la quota del nucleare tedesco,
anche in via temporanea, le
conseguenze sarebbero pesanti e non solo per l’economia europea. La prima
conseguenza riguarderebbe l’ambiente. Si tratterebbe di accentuare l’uso del
petrolio, del gas e del carbone
con ulteriore aggravamento delle emissioni di gas serra e delle malattie
connesse alle combustioni dei fossili. Il protocollo di Kyoto, già morente,
esalerebbe l’ultimo respiro. Conseguenze gravi si avrebbero per l’economia, in
quanto la perdita della quota di
energia prodotta dal nucleare porterebbe ad una aumento dei costi energetici,
ad una minore competitività delle aziende e delle merci tedesche, a
ripercussioni sul mercato europeo e internazionale, ad un ulteriore problema
per la già fragile stabilità dell’euro.
Se all’annuncio tedesco dovesse seguire l’effettiva fine del nucleare in
Germania, si prospettano tempi duri per l’Europa. Anche perché le economie
emergenti non scherzano: tra Cina, India e Russia e Corea sono in costruzione
45 nuove centrali.
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