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sabato 28 marzo 2020

Le megalopoli all'origine della pandemia

C'è una immagine che dovrebbe farci riflettere: quella di una New York deserta. La piazza di Time Square ancora tutta illuminata dalle insegne luminose de dai cartelloni della pubblicità, ma a fronte di queste luci uno spettrale silenzio senza anima viva. Che cosa ci dice questa immagine?
La lezione che dobbiamo trarne è che il modello di crescita basato sulle megalopoli qui mostra un limite. E' il segnale del suo fallimento. Abbiamo sbagliato modello di sviluppo e modo di abitare il pianeta. Le megalopoli stanno invadendo la terra, alimentate dalla crescita esponenziale della popolazione umana e dal modello consumistico. La loro crescita corrisponde all'espansione antropica su tutte le superfici vergini rimaste, con lo sventramento e l'abbattimento delle foreste fluviali e di tutte le zone silvestri. La perdita degli ambienti silvestri equivale alla estinzione rapida di migliaia di specie animali e vegetali, alla riduzione di numero di esemplari, alla sostituzione di specie in bilico per la loro sussistenza, alla forzata coabitazione con specie per migliaia di anni aliene, quando non addirittura alla vendita di specie rare come carne da macello in raffazzonati mercati ai margini delle grandi città.
Molti si chiedono del perché oggi questa convivenza stretta tra Homo e specie silvestri dia origine ad epidemie letali, mentre nel passato questa convivenza, quando ci fu, come per esempio nell'Europa medioevale caratterizzata dai disboscamenti e dalla caccia, non diede origine ad epidemie parimenti letali?
In effetti in passato la domesticazione di alcuni animali, come i Bovini nel caso del morbillo, o come in tempi più recenti l'invasione dei centri urbani medioevali (in primis quelli forniti di porti) da parte di topi provenienti spesso via mare dall'oriente, furono causa di epidemie. Come lo fu l'arrivo e il transito di truppe straniere nel caso della peste di Milano del 1630 o della epidemia spagnola. In tutti i casi si trattava della rottura di un equilibrio e la fine di un isolamento. Ma nelle epidemie del passato notiamo due fenomeni che non si notano nelle epidemie attuali.
Il primo fenomeno è l'autolimitazione. Come fa notare la virologa Ilaria Capua nel passato antico e medioevale o ancora agli albori dell'era moderna, i virus e i batteri trovavano popolazioni limitate in cui espandersi. Nella peste del 1348 i borghi e le città avevano poche migliaia o nei casi di città più grandi qualche decina di migliaia di abitanti. Anche nel caso della peste che aveva una letalità molto alta (circa un quarto degli infettati morivano), i numeri assoluti rimanevano limitati anche se percentualmente rilevanti in rapporto alla popolazione complessiva. Infatti le epidemie trovavano il loro limite quando le zone abitate erano state tutte colpite (sviluppando immunità di gregge) e i patogeni esaurivano il loro potenziale diffusivo trovandosi di fronte zone selvagge, deserte o scarsamente abitate. Il confine tra borghi e foresta era spesso anche il confine delle epidemie che mai divenivano pandemie.
Il secondo fenomeno che caratterizza le epidemie del passato è la lentezza di diffusione rispetto alla velocità delle epidemie attuali. "Pensiamo all'influenza spagnola" - afferma Ilaria Capua- "che un secolo fa ci ha messo ben due anni per diffondersi. Questa volta invece sono bastate un paio di settimane. Un virus che stava in mezzo a una foresta, in Asia, è stato improvvisamente catapultato al centro della scena, passando da un mercato in cui venivano radunati animali provenienti da aree geografiche molto diverse. Siamo noi ad aver creato l'ecosistema perfetto per generare spontaneamente delle armi biologiche naturali". La dottoressa accenna ad ulteriori ipotesi che possano spiegare la rapidità di diffusione: ipotizza ad esempio i tubi e i sistemi di condizionamento degli ambienti nelle città, con l'umidità e la temperatura adatta a mantenere vitali gli agenti infettanti e a diffonderli. Ai mezzi di trasporto rapidi e caratterizzati dall'affollamento di molte persone in spazi ristretti, tipici delle grandi città moderne. All'intrattenimento negli spettacoli o agli affollamenti dei grandi stadi sportivi, tutti aspetti favoriti dalla tecnologia e facenti parte dell'ambiente megapolitano contemporaneo. Queste condizioni, conclude la dottoressa , le abbiamo create noi.
Così come noi siamo responsabili del fattore che più di tutti può spiegare l'accelerazione della diffusione epidemica, l'espansione rapida della pandemia a tutto il globo, la mancanza di autolimitazione che invece avevano le vecchie epidemie, gli elevati numeri assoluti della mortalità. Questo fattore è costituito dalla sovrappopolazione planetaria con otto miliardi di umani raccolti in maggioranza nelle megalopoli e in aree fortemente antropizzate. Le megalopoli sono grandi strutture antropiche che per sopravvivere necessitano di scambi continui e globali di merci e di persone, e che hanno bisogno di tecnologie che assicurino la convivenza stretta in spazi limitati di milioni di persone in archi temporali ristretti. Tutte condizioni che favoriscono le pandemie veloci e letali come quella attuale.
Gli epidemiologi esprimono la diffusività di un patogeno con R-0 (Erre - zero) o "Basic reprodution Number" o il numero atteso di casi direttamente generato da un caso in una popolazione in cui tutti gli individui sono sensibili alle infezioni. L'R-0 varia con la densità di popolazione in un rapporto diretto e crescente in modo esponenziale. Infatti la densità di popolazione (numero di individui all'interno di un determinato spazio o territorio) determina quante persone si incontrano, per quanto tempo e quanto a lungo, tutti fattori che vanno ad influire sul tasso di diffusività di un patogeno. E' evidente che la megalopoli è il principale moltiplicatore dell'indice di diffusività R-0. Questo fa la differenza tra una epidemia del passato ed una pandemia del XXI secolo. La convivenza di milioni di persone in spazi affollati all'estremo, come avviene nei grattacieli e nei centri commerciali, negli stadi e nelle strade delle megalopoli, a cui concorrono gli eventi, i consumi, lo svago e le fitte relazioni tra milioni di persone, possono spiegare la attuale dinamica delle pandemie con la diffisività rapida e globale e l'alto numero assoluto di contagiati e di vittime. Si può ben capire come le ultime epidemie come la Sars, l'H1N1, la Mers, la suina ecc. nascano nelle grandi megalopoli cinesi, o come l'Ebola o l'AIDS si siano sviluppate in Africa, in cui gli agenti virali usciti dalle zone silvestri si sono rapidamente diffusi nelle città e aree densamente popolate. Proprio la recente antropizzazione delle zone silvestri invase dalla massa umana, può spiegare la localizzazione dei focolai iniziali appena generati dallo "spillover" di specie.

5 commenti:

  1. Caro Agobit, le megalopoli dominano ormai il nostro pianeta.
    La loro nascita ed il loro rapido sviluppo seguono un percorso che ha, indubbiamente, una sua logica.
    Se però tu mi chiedessi di trovargli un pregio, anche uno solo, non saprei proprio cosa risponderti.

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  2. I problemi aumentano con il grado di artificializzazione: da questo punto di vista le megalopoli, luoghi estremamente artificiali, sono il terreno di cultura di molti problemi, non solo di quelli epidemiologici. La hybris tecnoprogressista, l'insofferenza per i limiti, le patologie sinistre comela varia cacca LGBT, gli ugualismi, l'omologazione (si pensi all'abominio dell'aver mercificato la fabbricazione e la vendita di piccoli umani prodotti da subumane schiave per il baloccamento e i capricci di costellazioni bislacche di diversamenteincongruamentesessuali), l'apologia dello sradicamento, etc. sono anche peggio.
    Le persone vivono in modo viziato, marcio, con pseduo valori di merda in testa. Ovviamente la testa bacata e il corpo bacato vanno insieme, come si erano accorti i romani.
    In questa robaccia c'è anche le pandemieinduesettimane.
    Già.

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  3. Non sono sicura che il "modello padano" sia tanto meglio: centinaia di chilometri di villette, palazzine, centri commerciali, fabbriche, cantieri, parcheggi... non so in Cina, ma le megalopoli giapponesi e coreane, nonchè quelle africane, hanno natura selvaggia vicino. In Italia, spesso vicino alla tua squallida periferia c'è solo un'altra squallida periferia.

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  4. La sovrappopolazione abbinata alla tecnologia sono il tallone di Achille di questa specie di civiltà globale. Adesso si aggiunge anche il fattore pandemia. Possiamo dire quindi che è solo questione di tempo la comparsa di un patogeno più letale. Tanto più letale quanto più fitte sono le interconnessioni di questa civiltà globale. Del resto è un assunto comprovato che i sistemi via via più complessi, come questo carrozzone globale, diventino via via più vulnerabili alle perturbazioni esterne o interne.

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    1. Una combinazione di sovrappeso da complessità (legge di Tainter) e di nemesi per demenza da senilità (si pensi alla cacca no-border, al razzismo anti / autorazzismo, alle patologia del veganesimo, uteri di subumane in affitto, il fondamentalismo/ciarpame LGBTI_bRtuQkjKEN, etc.).
      Sistemi verso la necrosi iniziano con quella concettuale, spirituale.

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