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venerdì 11 maggio 2012

CARESTIE, POPOLAZIONE E MODERNITA'



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Somalia, un popolo in fuga dalla carestia



Nel libro "Storia delle carestie" di Cormac O' Grada (ed. il Mulino) l'autore racconta le grandi carestie dell'umanità, da quelle di cinquemila anni fa a cui accenna la leggenda babilonese di Gilgamesh a quelle riferite nell'Antico Testamento (libro di Neemia), poi a quelle storiche della Grecia, quella di Antiochia (363 dc), a quelle europee del XIV-XVII secolo, fino a quella irlandese del 1845-49 e quelle dell'Ucraina del 1932-33. Tra le più gravi per numero di morti furono le carestie della Cina e dell'India. O' Grada ricorda che  nel 1798 Malthus definì la carestia "l'ultima e più spaventosa risorsa della natura, il modo più atroce con cui la natura reprime una popolazione in esubero". Oltre alla fame, nella carestia agivano altri elementi che l'autore individua, come il fatto che la mancanza di cibo spinge grandi quantità di persone dalle campagne verso la città, dando luogo a sovraffollamento, epidemie e stragi di popolazione. Poi ci sono i danni provocati dalla politica: Adam Smith sosteneva che le carestie che avevano colpito l'Europa all'inizio dell'epoca moderna erano state provocate per lo più dai tentativi impropri di rimediare ai disagi causati dalla scarsità di cibo. I danni causati dai magri raccolti in Unione sovietica nel 1932-33 e in Cina nel 1959-61 furono molto aggravati dall'azione politica. Marx riferisce che nella grande carestia irlandese erano stati colpiti solo i poveri diavoli e di regola venivano incolpati gli uomini di potere per la mancanza di cibo. Ma le dinamiche reali delle carestie mostrano che a i benestanti erano esposti al rischio come gli altri, specie per le malattie. Tuttavia i tentativi di prevenire le carestie ebbero successo soprattutto a partire dal 1700 insieme allo svilupparsi dello stato moderno. Vennero istituiti "chambre d'abondance" ossia magazzini di stoccaggio del grano per sopperire nei periodi di crisi, si introdussero misure di sostegno che anticipavano il welfare state moderno e misure per ridurre l'oscillazione dei prezzi. Ma allo stesso tempo l'accentuarsi del ruolo dello stato portava alla corruzione. Con il libero mercato, ad iniziare dal XIX secolo, si accentuarono da una parte i rischi per le popolazioni arretrate economicamente e con alti tassi di natalità, ma allo stesso tempo la concorrenza spingeva alla operosità e al mutamento rapido delle condizioni sociali e delle strutture produttive, con un saldo alla fine positivo per le popolazioni. La questione della solidarietà si pose in modo definitivo nell'Ottocento. La cultura liberal malthusiana fece barriera contro il solidarismo. Thomas Wilson (direttore dell'appena nato "Economist") sosteneva che l'assistenza ai poveri non avrebbe fatto altro che "spostare le risorse dai più meritevoli ai meno meritevoli". Quello spostamento di risorse era un "azzardo morale", dal momento che per fronteggiare una crisi aiutando i più deboli, si creava un terreno fertile per ulteriori e più gravi carestie.  "In una versione provvidenzialista del malthusianesimo", scrive O' Grada, "la carestia veniva vista come un piano divino per attenuare il problema della sovrappopolazione". Oggi la modernità, l'industrializzazione, l'informatizzazione, i rapidi spostamenti, le migrazioni e tutti gli altri fenomeni collegati allo sviluppo tecnologico hanno relegato le carestie ad aree sempre più limitate del pianeta, ma gli effetti devastanti della sovrappopolazione hanno condotto a porre in pericolo la sopravvivenza complessiva della specie umana e della Terra. Se da un lato le carestie malthusiane sono per fortuna relegate al passato,  il controllo della popolazione è divenuto un compito dell'uomo, il primo e il più urgente.

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