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lunedì 31 dicembre 2012
SOYLENT GREEN (2022: I SOPRAVVISSUTI) VERSO L'ESTINZIONE
2013
Siamo sette miliardi e mezzo. Continuiamo a crescere al ritmo di 80-90 milioni ogni anno. Il film del 1973 Soylent Green ("2022: i Sopravvissuti") ci mostra quello che ci aspetta. Nessuno si preoccupa, gli ambientalisti pensano ad altro, Monti dice che ci vogliono più figli, il Vaticano si preoccupa dello "spopolamento" di un'Italia soffocata da 62 milioni di persone in continuo aumento. Il mondo che sta correndo verso una situazione invivibile e catastrofica è pieno di ciechi parlanti. Tutti parlano, tutti hanno la ricetta per un mondo più equo, solidale e...sovrappopolato. Nessuno però vuol vedere. Le altre specie muoiono giorno per giorno. Scompare il paesaggio, scompare l'aria, la campagna, le coste. L'acqua è sempre più inquinata. Il cemento ricopre sempre più suolo, in ogni parte del mondo. La terra grida in mille modi, si scatenano tifoni e tornado, inondazioni. Il clima sta sciogliendo le calotte polari, i mari crescono minacciando le città, isole, territori abitati. Ma tutti tacciono. Anzi peggio: invocano più figli, più bambini, più culle piene. Si va a predicare la natalità persino in zone dove manca il cibo e l'acqua. Dove non c'è economia, ma solo povertà e fame. Più bambini si, perché i bambini sono belli. Tutti vogliamo bene ai bambini. Ma troppi bambini sono una malattia. La Terra è malata. Se una sola specie invade in maniera massiccia tutte le terre, inquina fiumi e mari e l'aria del cielo, c'è un problema. Stiamo parassitando il pianeta, e in genere il parassita muore insieme all'organismo parassitato, in questo caso la Terra. Non sono solo belli i bambini, sono anche belli i cuccioli degli animali, i piccoli pesci, la ricchezza delle varietà della natura. Sono belle le piante, le foreste, le grandi praterie, le mandrie al pascolo, i cieli azzurri, le acque incontaminate, gli stormi di uccelli che volteggiano tra le nubi, i fiumi e i laghi celestini tra le colline verdi. Tutto questo sta per scomparire, come ci avverte il film Soylent green. Come ci ammoniscono le parole di Edwuard G. Robinson nella sua ultima apparizione. Buon 2013.
sabato 29 dicembre 2012
GUERRA DI SPIE TRA FRANCIA E CINA PER LA CORSA AL NUCLEARE
Nel
mentre in Italia ci si crogiola con i mulini a vento e gli specchietti solari
che dovrebbero essere l’ “energia del futuro”, e altre favolette simili, i
paesi che stanno effettivamente lavorando per il loro futuro si fanno la guerra
di spie per impossessarsi dei segreti del nucleare di terza generazione. I
cinesi sono sempre stati avidi dei segreti atomici francesi, e si sa negli
ambienti tecnici specializzati, che le numerose centrali nuclaeari
funzionanti in Cina sono basate soprattutto sulle tecnologie costruttive sviluppate dai francesi.
Della
nuova guerra di spionaggio si è saputo da un articolo del “Canard enchainé”, il
settimanale più informato sui fatti “non alla luce del sole” della classe dirigente
di Parigi.
“Il «Canard» mette il becco in casa
Edf, il gigante pubblico dell’elettricità (156 mila impiegati, 65,3 miliardi di
fatturato) e rivela che l’Ispettorato generale delle Finanze, formato da alti
funzionari del relativo ministero, sta indagando su un misterioso accordo
firmato nel novembre 2011 da Henri Proglio, boss di Edf, con la Cgnpc, la China
Guangdong Nuclear Power Company. Oggetto: la realizzazione in Cina di un nuovo
reattore nucleare di tipo Epr. Con due stranezze: non sono chiari i termini del
trasferimento di know-how ai cinesi e, misteriosamente, all’accordo non è
associato l’altro colosso del nucleare francese, Areva (47 mila dipendenti, 8,8
miliardi di fatturato), cosa tanto più strana perché è Areva che costruisce le
centrali: Edf si limita a sfruttarle. Fatto sta che l’11 aprile scorso il
Comitato strategico di Edf boccia l’accordo. Di più: interviene l’Agenzia delle
partecipazioni di Stato e di conseguenza il 18 aprile, pochi giorni prima delle
elezioni, il ministro sarkozysta dell’Economia, François Baroin, lo blocca.
Nel frattempo, Edf ridiscute con i cinesi includendo stavolta anche
Areva. Il risultato è un accordo a tre, i due francesi e la Cgnpc, firmato il
19 ottobre ad Avignone, per sviluppare insieme un nuovo reattore da mille
megawatt”
(Da un articolo de La Stampa dei giorni
scorsi).
L’accordo
è stato firmato in gran segreto, senza la presenza di alcun ministro francese,
e nessuno ha spiegato a quali tecnologie abbiano accesso i cinesi e in cambio
di cosa.
Una
sindacalista di Areva, Maureen Kearney, comincia a insistere per saperne di
più. Minaccia azioni legali, contatta ministri e deputati, allerta la stampa.
Il 17 dicembre, a casa sua, viene assalita, legata, minacciata e infine i
misteriosi aggressori se ne vanno disegnandole addosso una «A». Insomma la
vicenda assume tutti i caratteri di una vera guerra di spionaggio, al cui
centro sta la sospetta trasmissione di segreti nucleari francesi, riguardanti
le centrali di nuova generazione, sul cui sviluppo è in atto una corsa ad
accaparrarsi la tecnologia tra tutti i principali paesi del mondo sviluppato,
considerandola la nuova fonte di energia del futuro in presenza di una salita ormai
costante dei prezzi del petrolio (tutti gli indicatori dicono che il picco di produzione è ormai raggiunto) e di un probabile futuro stop all’energia basata sulla liberazione di carbonio in atmosfera.
“Finché
mercoledì il «Canard» fa esplodere la bomba. Di inchieste su Proglio ce ne
sarebbero addirittura due: una delle Finanze, che vogliono sapere se davvero,
nell’accordo originale, era previsto di consegnare ai cinesi «i codici di calcolo
francesi riservati», «gli strumenti di simulazione» e l’accesso al segreto
«centro di crisi di Edf» e alla sua non meno segreta «documentazione
operativa». L’altra dei servizi segreti, che indagherebbero «sulla natura dei
legami fra i dirigenti Edf e i loro partner cinesi».” (Da il quotidiano La Stampa).
Il
portavoce di Edf, Hervé Machenaud, ha negato che l’accordo sottoscritto metta
in pericolo i segreti atomici francesi e che vi siano passaggi di conoscenze
tecnologiche innovative e ancora riservate. Nel frattempo il ministero
dell’Economia francese sta esaminando tutta la questione per fare un bilancio
complessivo e sembra che Henri Proglio, non molto amato da Hollande, possa
rischiare il posto.
A
commento della vicenda posso solo aggiungere alcune considerazioni: sebbene in
pubblico se ne parli poco, per evidenti ragioni di opportunità politica, nelle
principali economie del mondo dagli Usa, al Brasile, alla Francia, alla
Germania, alla Russia, alla Cina e India, fervono gli studi, i progetti e le
realizzazioni – alcune già operative, altre in parte ancora sperimentali- per
le centrali di terza e quarta generazione. Le ricerche, come risulta dai siti
dedicati, vanno avanti anche in Italia. Ma in Italia i politici non ne possono
parlare. Da noi impera la demagogia del politically correct. E ciò significa
che quando si parla in pubblico di futuro dell’energia si possa solo parlare di
fotovoltaico ed eolico. Energie cosiddette rinnovabili che nelle maggiori
economie mondiali sono considerati marginali e tutt’al più, di supporto. Quello che molti ambientalisti non comprendono è che non si tratta solo di banale strategia energetica. Sulle opzioni energetiche è in gioco tutto l'assetto geopolitico dei prossimi decenni. Chi avrà a disposizione energia in quantità elevata ad un prezzo basso sarà in grado di assumere la guida economica e politica in vaste aree del pianeta. In presenza di prezzi del petrolio crescenti (per il picco raggiunto e per i maggiori costi di estrazione del "tight oil") e in presenza di tassi di carbonio atmosferico crescenti anch'essi, i consumi di carbone, gas e petrolio andranno incontro ad un platou con lenta discesa. A quel punto chi avrà a disposizione energia a zero emissioni di carbonio e a costi compatibili con i vecchi idrocarburi, avrà il potere economico, politico (e militare) per dettare le politiche future, comprese quelle ambientali e demografiche. Ciò significa che c'è il rischio per l'Italia di rimanere indietro, e di dover ricorrere sempre di più in futuro a fonti energetiche tutt'altro che Carbon-free, anzi all'opposto Carbon-full, insieme alle economie più arretrate. La nave Italia continuerà a viaggiare a tutto vapore, anzi a tutto carbone, verso le coste dell'Africa. Il
futuro si giocherà sul nucleare di fissione di terza-quarta generazione e, tra
qualche decennio, sulle centrali a fusione (l’Unione Europea continua a
finanziare il progetto Iter). E’ solo da noi in Italia -questo disgraziato paese fatto di demagoghi ideologici e sognatori cialtroni- che ci si continua a illudere
con le favole stile “mulino bianco”.
mercoledì 26 dicembre 2012
KONRAD LORENZ: L'AMBIENTALISTA DIMENTICATO
Chi tra i cosidetti ambientalisti ricorda "Gli otto peccati capitali", un piccolo libro di Konrad Lorenz? E' stato scritto nel 1972 e costituisce un'opera rivoluzionaria per la presa di coscienza delle devastazioni che la sovrappopolazione e l'ideologia antropocentrica hanno apportato al pianeta. Per me la sua lettura fu fondamentale, da allora la mia visione del mondo è mutata radicalmente. Perché Lorenz non è più di moda, e forse non lo è mai stato, in certo ambientalismo nostrano? Forse perché parla chiaro, fuori dagli schemi ideologici prevalenti. Lorenz era un etologo, studiava gli animali. La prospettiva con cui guardava il pianeta era quella di tutte le specie viventi. E considerare l'uomo come una delle tante specie viventi offende quell'antropocentrico che è dentro ognuno di noi. "Ma come fino a ieri non eravamo fatti a somiglianza di dio, padroni dell'universo"? E questo Lorenz ci viene a dire che tra me e un gallo cedrone non c'è poi tanta differenza! Nel senso che apparteniamo al regno animale, con un corredo genetico confrontabile, e rispondiamo a sistemi biologici e ambientali complessi con cui sia noi che le altre specie interagiamo. Purtroppo il destino cui stiamo avviando il pianeta ci dice ancora di più: che si può essere anche peggio dei galli cedroni.
Riporto alcuni brani de "gli otto peccati capitali"che riguardano la devastazione dello spazio naturale e l'iperattività distruttiva della specie umana.
"I rapporti interattivi nel complesso delle molte specie di animali, piante o funghi che coabitano nello stesso spazio vitale, formando una comunità biotica o biocenosi, sono numerosi e molto complessi. L'adattamento delle diverse specie viventi ha richiesto tempi che rispondono all'ordine delle ere geologiche, non a quelle della storia dell'uomo, e ha raggiunto uno stadio di equilibrio tanto ammirevole quanto delicato. Molti meccanismi regolatori proteggono tale equilibrio contro le inevitabili perturbazioni dovute a ragioni climatiche e di altro genere. Tutte le modificazioni che si instaurano lentamente, come quelle provocate dalla evoluzione della specie o da graduali alterazioni del clima, non costituiscono un pericolo per l'equilibrio di uno spazio vitale. Una modificazione improvvisa, invece, per quanto possa sembrare di scarso rilievo, può produrre effetti sbalorditivi e anche catastrofici. L'introduzione di una specie animale apparentemente del tutto innocua può provocare la letterale devastazione di ampie zone di terra, come è avvenuto in Australia in seguito al diffondersi dei conigli. In questo caso l'intervento nell'equilibrio di un biotipo è avvenuto per opera dell'uomo; gli stessi effetti sono tuttavia teoricamente possibili anche senza il suo intervento, sebbene si tratti di una eventualità più rara. L'ecologia dell'uomo è soggetta a cambiamenti di gran lunga più rapidi di quella degli altri esseri viventi. I tempi ne sono dettati dal progresso della sua tecnologia, che è continuo e la cui accelerazione cresce in proporzione geometrica. L'uomo, quindi, non può non provocare alterazioni radicali e, troppo spesso, la rovina totale delle biocenosi nelle quali e delle quali vive. Fanno eccezione a questa regola soltanto pochissime tribù "selvagge", come ad esempio certi indios della foresta sudamericana, che vivono raccogliendo cibo o cacciando la selvaggina, oppure gli abitanti di alcune isole dell'Oceania che coltivano un poco la terra e vivono soprattutto di noci di cocco e di pesca. Tali culture influiscono sul biotipo in maniera non diversa dalle popolazioni di una specie animale. Questo è uno dei modi in cui l'uomo teoricamente dispone per vivere in armonia con il suo biotipo; l'altro consiste nel crearsi, servendosi dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame, una biocenosi completamente nuova che corrisponda in tutto e per tutto alle sue esigenze e che potrebbe anche, in linea di principio, dimostrarsi altrettanto duratura di quella che fosse sorta senza il suo intervento. Questo vale per alcune antiche civiltà contadine che abitano da molte generazioni sulla stessa terra, che amano, e alla quale, grazie alle conoscenze ecologiche acquistate attraverso la pratica, restituiscono ciò che da essa hanno ricevuto.
Il contadino, infatti, sa qualcosa che l'intera umanità civilizzata sembra aver dimenticato: cioè che le fonti di vita del nostro pianeta non sono inesauribili. Da quando in vaste zone dell'America l'erosione causata dallo sfruttamento insensato ha trasformato in deserto terreni un tempo fertili, da quando grandi territori si sono inariditi in seguito al disboscamento e innumerevoli specie animali utili si sono estinte, si è cominciato, a poco a poco, a far di nuovo conoscenza con questa realtà. E ciò soprattutto per il fatto che le grandi imprese industriali che agivano nell'ambito dell'agricoltura, della pesca e della caccia alla balena hanno risentito gravemente, sotto l'aspetto commerciale, di tali effetti. E tuttavia questi fatti non vengono generalmente riconosciuti e non sono ancora penetrati nella coscienza pubblica!
La fretta affannosa del nostro tempo non lascia il tempo agli uomini di vagliare le circostanze e di riflettere prima di agire. Ci si vanta anzi, da veri incoscienti, di essere dei "doers", della gente che agisce, mentre si agisce a danno della natura e di se stessi. Veri misfatti vengono oggi compiuti dovunque con l'uso di prodotti chimici, per esempio nell'agricoltura e nella frutticoltura dove servono a distruggere gli insetti; ma in modo quasi altrettanto irresponsabile si agisce con i farmaci. Gli immunologi manifestano serie preoccupazioni anche per quel che riguarda l'uso di farmaci molto diffusi. Il bisogno psicologico di avere tutto subito, fa sì che alcune branche dell'indistria chimica diffondano con delittuosa leggerezza dei medicamenti il cui effetto a lungo termine è assolutamente imprevedibile. Sia per quanto concerne il futuro ecologico dell'agricoltura, sia in campo medico, vige una quasi incredibile superficialità. Chi ha cercato di mettere in guardia contro l'uso indiscriminato di sostanze tossiche è stato screditato e messo a tacere nel modo più infame.
Devastando in maniera cieca e vandalica la natura che la circonda e da cui trae il suo nutrimento, l'umanità civilizzata attira su di sé la minaccia della rovina ecologica. Forse riconoscerà i propri errori quando comincerà a sentirne le conseguenze sul piano economico, ma allora, molto probabilmente, sarà troppo tardi. Ciò che in questo barbaro processo l'uomo avverte di meno è tuttavia il danno che esso arreca alla sua anima. L'alienazione generale, e sempre più diffusa, dalla natura vivente è in larga misura responsabile dell'abbrutimento estetico e morale dell'uomo civilizzato.
Come può un individuo in fase di sviluppo imparare ad avere rispetto di qualche cosa, quando tutto ciò che lo circonda è opera, per giunta estremamente brutta e banale, dell'uomo? In una grande città i grattacieli e l'atmosfera inquinata dai prodotti chimici non permettono nemmeno più di vedere il cielo stellato. Non c'è perciò da stupirsi se il diffondersi della civilizzazione va di pari passo con un così deplorevole deturpamento delle città e delle campagne. Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro di una qualsiasi città con la sua periferia moderna, oppure quest'ultima, vera lebbra che rapidamente aggredisce le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti. Si confronti poi il quadro istologico di un tessuto organico normale con quello di un tumore maligno, e si troveranno sorprendenti analogie! Se consideriamo, obiettivamente queste differenze e le esprimiamo in forma numerica anziché estetica, constateremo che si tratta essenzialmente di una perdita di informazione. La cellula neoplastica si distingue da quella normale principalmente per aver perduto l'informazione genetica necessaria a fare di essa un membro utile alla comunità di interessi rappresentata dal corpo. Essa si comporta perciò come un animale unicellulare o, meglio ancora,come una giovane cellula embrionale: è priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e senza ritegni, con la conseguenza che il tessuto tumorale si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge. Tra l'immagine della periferia urbana e quella del tumore esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno spazio ancora sano in cui sono state realizzate una molteplicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente differenziate fra loro e reciprocamente complementari, il cui saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazioni raccolte nel corso di un lungo sviluppo storico; laddove nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moderna il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture estremamente semplificate. Il panorama istologico delle cellule cancerogene, uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza disperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate in concorsi lampo da architetti privi ormai di ogni cultura. Gli sviluppi di questa competizione dell'umanità con se stessa esercitano sull'edilizia un effetto distruttivo. Non soltanto il principio economico secondo il quale è più conveniente produrre in serie gli elementi costruttivi, ma anche il fattore livellatore della moda, fanno sì che ai margini dei centri urbani di tutti i paesi civilizzati sorgano centinaia di migliaia di abitazioni di massa che si distinguono tra loro solo per i loro numeri civici; esse infatti non meritano il nome di "case" dal momento che, tutt'al più, si tratta di batterie di stalle per "uomini da lavoro", chiamati così proprio per analogia con i cosiddetti "animali da lavoro". L'allevamento di galline livornesi in batterie viene giustamente considerato una tortura per gli animali e una vergogna della nostra civiltà. L'applicazione di metodi analoghi all'uomo è invece considerata del tutto lecita, anche se proprio l'uomo sopporta meno di tutti questo trattamento che è disumano nel vero senso della parola. La coscienza del proprio valore da parte dell'uomo normale favorisce a giusto titolo l'affermazione della sua personalità. L'uomo non è stato costruito nel corso della filogenesi per essere trattato come una formica o una termite, elementi anonimi e intercambiabili di una collettività di milioni di individui assolutamente uguali tra loro. Basta guardare un gruppo di orticelli di periferia per capire quali effetti può produrre l'impulso dell'uomo a esprimere la propria individualità. A chi abita nelle batterie degli "uomini da lavoro" resta una sola via per conservare la stima di sé: essa consiste nel rimuovere dalla coscienza l'esistenza dei molti compagni di sventura e nel rinchiudersi in assoluto isolamento. In molte abitazioni di massa i balconi dei singoli appartamenti sono separati da tramezzi che nascondono la vista del vicino. Non si può né si vuole stabilire con lui un contatto sociale "attraverso la grata" perché si ha troppa paura di vedere riflessa nel suo volto la propria immagine disperata. Anche per questa via gli agglomerati umani conducono alla solitudine e all'indifferenza verso il prossimo.
Il senso estetico e quello morale sono evidentemente strettamente collegati, e gli uomini che sono costretti a vivere nelle condizioni sopra descritte vanno chiaramente incontro all'atrofia di entrambi. Sia la bellezza della natura sia quella dell'ambiente culturale creato dall'uomo sono manifestamente necessarie per mantenere l'uomo psichicamente e spiritualmente sano. La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le sue forme, che oggi dilaga ovunque così rapidamente, costituisce una malattia mentale che non va sottovalutata, se non altro, perché va di pari passo con l'insensibilità verso tutto ciò che è moralmente condannabile.
Coloro cui spetta la decisione di costruire una strada, o una centrale elettrica o una fabbrica che deturperà per sempre la bellezza di una vasta zona sono del tutto insensibili alle istanze estetiche. Dal sindaco di un piccolo paese al ministro dell'economia di una grande nazione, tutti sono d'accordo nel ritenere che non valga la pena di fare sacrifici economici, e tanto meno politici, per difendere la bellezza del paesaggio. I pochi scienziati e difensori della natura che vedono lucidamente approssimarsi la tragedia sono totalmente impotenti. Avviene infatti che un comune che possiede piccoli appezzamenti di terreno sul limitare di un bosco scopra che questi aumenteranno di valore se saranno collegati da una strada; e ciò basta perché il grazioso ruscello che attraversa il paese venga deviato, incanalato e ricoperto di cemento, e perché un bel viottolo di campagna venga immediatamente trasformato in una orrenda strada di periferia.(.............). Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito moto drastico: "Dopo lo sbatter d'ali del fagiano argo, il ritmo di lavoro dell'umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica". Per l'argo, come per molti altri animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell'umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell'ambiente estranee alla sua specie, e tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme in balia delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica. "Homo homini lupus": anche questo detto, come la frase di Heinroth, è ormai divenuto un understatement. L'uomo, che è l'unico fattore selettivo a determinare l'ulteriore sviluppo della propria specie, è, ahimé, di gran lunga più pericoloso del più feroce predatore. La competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella "potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice" e così distrugge con fredda e diabolica brutalità tutti i valori che ha creato, mossa esclusivamente dalle più cieche considerazioni utilitaristiche...Ogni mezzo che serve a questo fine viene considerato, a torto, un valore in sé. L'errore dell'utilitarismo, gravido di conseguenze deleterie, sta proprio in questo: nel confondere il fine con i mezzi. Il denaro era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio di tutti i giorni si dice ancora:"è una persona con molti mezzi". Ma quanta gente è oggi in grado di capirci quando cerchiamo di spiegare che il denaro in sé non ha valore alcuno? Lo stesso si può dire del tempo: Time is money significa, per coloro i quali attribuiscono al denaro un valore assoluto, che essi apprezzano in egual misura ogni secondo risparmiato. Se è possibile costruire un aereo in grado di sorvolare l'Atlantico in un tempo leggermente inferiore a quello attuale, nessuno si chiede quale sia la contropartita nel necessario prolungamento delle piste degli aereoporti, nella maggiore velocità di atterraggio e di decollo che comporta rischi maggiori, nell'aumento del rumore, ecc. La mezz'ora guadagnata rappresenta agli occhi di tutti un valore intrinseco per il quale nessun sacrificio è troppo grande. Ogni fabbrica di automobili deve cercare di produrre un nuovo tipo di vettura che sia più veloce di quello precedente, tutte le strade vanno allargate, tutte le curve rettificate...Sorge spontaneo il quesito se all'anima dell'uomo odierno procuri maggiore danno l'accecante sete di denaro oppure la fretta logorante. Qualunque sia la risposta, coloro che detengono il potere, indipendentemente dall'orientamento politico, hanno interesse a favorire entrambi questi fattori e a ingigantire le motivazioni che spingono l'individuo alla competizione. Non mi risulta che esista finora una analisi psicologica profonda di queste motivazioni; ritengo tuttavia molto probabile che, oltre alla brama del possesso e all'ambizione, un ruolo molto importante sia svolto in entrambe dalla paura: paura di essere superati dai concorrenti, paura di diventare poveri, paura di prendere decisioni sbagliate e di non essere all'altezza di una situazione estenuante. L'angoscia in tutte le sue forme è certamente il fattore determinante nel minare la salute dell'uomo moderno, ed è causa di ipertensioni arteriose, di nefrosclerosi, di infarti cardiaci precoci e di altri malanni del genere. L'uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il possesso, poiché la meta più allettante non potrebbe indurlo ad essere tanto autolesionista: egli è spinto da qualcosa, e ciò che lo spinge è solamente l'angoscia. La fretta, l'angoscia, inscindibili come sono l'una dall'altra, contribuiscono a privare l'uomo delle sua qualità essenziali: Una di queste è la riflessione. Un essere che non riflette più corre il rischio di perdere tutte le qualità e attività specificamente umane."
(Konrad Lorenz : Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Adelphi, 1974, pagg. 34-47.)
domenica 23 dicembre 2012
ANCHE MONTI CADE NELLA BANALITA' DEL "FARE PIU' FIGLI"
Nel suo discorso alla conferenza stampa di fine anno, il premier Monti - sulle cui affermazioni politiche non esprimo commenti, non essendo questo un blog politico- ha dichiarato di essere preoccupato per la scarsa natalità delle donne italiane e per i risvolti demografici della scarsa natalità. Purtroppo ciò dimostra che anche ai massimi livelli del potere, la cultura ambientalista e di salvaguardia del pianeta fatica a farsi strada, rimanendo la visione politica nel campo del pensiero antropocentrico pro-natalista. Sembrava di sentir parlare Casini o gli altri leader natalisti (tutti, compreso Vendola, Bersani e Berlusconi). Compresi anche i verdi purtroppo, i quali però si vergognano a dirsi apertamente natalisti -c'è ancora un poco di pudore?- e preferiscono tacere e nascondere la testa sotto la sabbia. Eppure l'Italia è un paese che, per molti versi, costituisce un "modello" di come la sovrappopolazione abbia procurato danni ambientali ed ecologici irreparabili. La cementificazione delle campagne, delle coste, delle rive di fiumi e laghi italiani ha pochi esempi al mondo. Basta vedere come è stata ridotta la verde (una volta) campagna lombarda, le campagne venete intorno a Venezia, oppure la campagna romana. Per non parlare del Sud del paese, dove le ecomafie la fanno da padrone. La trasformazione della Campania, una delle più belle campagne d'Europa ancora ai primi del novecento, in una discarica immonda e deposito di materiali tossici, non ha altri esempi al mondo e in europa. Ma il catalogo sarebbero infinito. E non sono state solo la mancanza di regole e il non rispetto della legge a produrre tutto questo. Fondamentale è stata infatti la fortissima pressione antropica che ha visto crescere in 50 anni la popolazione italiana da trenta a sessanta milioni. E oggi Monti ci viene a piangere sulla poca natalità delle donne in Italia. Se si avvera quanto auspica Monti, in pochi anni l'Italia vedrà altre decine di milioni di abitanti aggiungersi alla attuale sovrappopolazione. Chissà se quando saremo 70 o 80 milioni l'Italia sarà un paese più verde, con meno cemento e meno inquinato? La domanda è ovviamente retorica. L'unica speranza perché ciò che resta del paesaggio italiano si conservi ancora per qualche generazione in futuro, è proprio che i tassi di natalità delle italiane (e delle donne immigrate) si assesti a quello che è oggi: 1,43 figli per donna. Ma assai meglio sarebbe 1 figlio per donna. Per fare questo bisogna lottare per cambiare la mentalità natalista che, come dimostrano le parole di Monti, è ancora forte e maggioritaria nel paese. La natalità non solo non deve crescere, ma deve scendere. Siamo ancora pochi ad affermarlo, e in politica specialmente non c'è nessuno ad affermarlo. Sarà anche per questo che l'Italia è stata ridotta allo stato in cui si trova da questa classe politica. Una classe politica inqualificabile e senza cultura verso l'ambiente, il paesaggio, le altre specie viventi.
venerdì 21 dicembre 2012
LA SOCIETA' ITALIANA DI FISICA: TORNARE AL NUCLEARE
(Nella foto: Centrale nucleare in Carinzia -Austria-)
Che il mondo non ne verrà fuori se continua così è ormai evidente a tutti. Non solo in termini di inquinamento ambientale, disastro ecologico e global warming. Anche in termini economici. Come ricordo in un post pubblicato qualche giorno fa in questo blog: "Le vere cause della crisi economica mondiale", la crisi che investe il sistema economico occidentale origina non nella speculazione finanziaria (che è solo un riflesso), ma nel vertiginoso aumento dei prezzi del petrolio degli ultimi anni. Gli uomini sono portati ai sogni, e spesso i sogni ci allontanano dalla realtà. Molti politici e molti sognatori incalliti ritengono che tutto si salverà con la decrescita economica e riempiendo le nostre residue campagne di pannelli fotovoltaici e torri eoliche. Ma purtroppo il mondo non è quello del mulino bianco e delle favole della nonna. Mentre in europa, ma soprattutto in Italia ci si culla nelle idee della decrescita - ed in effetti l'economia è in piena crisi di decrescita- in altre parti del mondo non si va tanto per il sottile, aumentando l'estrazione e l'utilizzo di petrolio e carbone, costruendo nuove centrali, differenziando le fonti energetiche e relegando le rinnovabili a quello che sono, un supporto alle altre energie. La società italiana di fisica, fortunatamente, non è composta da sognatori, ma in gran parte da seri scienziati e ricercatori. In un suo documento ufficiale riporta le proprie valutazioni sul documento di Strategia Energetica Nazionale recentemente pubblicato dal governo italiano. In queste valutazioni spicca il richiamo alla necessità di riaprire il discorso sull'energia nucleare, se vogliamo raggiungere due importanti obiettivi:
1) ridurre in Italia il costo dell'energia, più alto del trenta per cento rispetto al resto d'europa (senza parlare degli Usa), e
2) ridurre le immissioni di anidride carbonica e altri gas serra in atmosfera (oltre che di altri inquinanti come pm10 e particolato cancerogeno).
Speriamo che il documento della SIF contribuisca a riportare la politica energetica in Italia ad una strategia realistica e realmente ambientalista facendola uscire dal mondo dei sogni. Riporto un' ampia parte del documento della SIF:
"Tra le sue molte attività la SIF si è occupata
con continuità e grande interesse delle questioni energetiche.
In particolare, nel 1987 ha promosso e organizzato il primo Convegno nazionale
sul tema “Energia, Sviluppo e
Ambiente“, di notevole risonanza per gli argomenti discussi e la dichiarazione, firmata da un panel
significativamente rappresentativo e sottoscritta da mille fisici italiani, per un Piano Energetico
Nazionale aperto ad un mix di fonti per uno sviluppo sostenibile senza discriminazioni, che non
rinunciasse all’opzione nucleare.
Più
recentemente la SIF, all’inizio del 2008, ha pubblicato il Libro Bianco
“Energia in Italia;
problemi
e prospettive (1990-2020)”, che fotografa la situazione degli anni 90 e le
prospettive delle varie fonti di
energia nel nostro Paese, suggerendo alcune possibili linee guida. In esso
viene in primo luogo segnalata l’esigenza di un Piano Energetico Nazionale
redatto in armonia con il contesto
europeo e, soprattutto, con il coinvolgimento di un arco di forze politiche il
più ampio possibile, in modo da
rendere trascurabile il rischio di ripensamenti di parte o a livello locale.
Viene
poi presentato, come proposta percorribile nel decennio in corso, uno scenario
articolato in cui trovano spazio
un aumento consistente delle fonti energetiche rinnovabili e delle importazioni
di energia elettronucleare, un
utilizzo contenuto delle fonti fossili, intese soprattutto come carbone e gas, e una convinta riapertura
all’opzione nucleare. Si tratta di una ipotesi equilibrata e lungimirante, basata sullo sviluppo
delle tecnologie innovative che consentono all’industria italiana di recuperare posizioni a
livello internazionale. La SIF partecipa anche all’Energy Group dell’EPS per
discutere e promuovere strategie europee
atte
ad affrontare l’attuale sfida energetica ed ambientale, il futuro dell’energia
nucleare e delle energie
rinnovabili, il risparmio di energia e l’efficienza energetica".
Osservazioni
sul Documento di Strategia Energetica Nazionale del governo.
La
SIF ritiene il documento emanato dal Governo un significativo passo avanti
rispetto alla carenza, ormai pluridecennale, di un Piano Energetico Nazionale.
Una strategia energetica che contempli, da una parte, la necessità di un piano di sviluppo atto a
superare l’impasse tecnologico nell’innovazione
dei mezzi di produzione di energia e, dall’altra, il superamento delle cause
legate alla crisi economica che
impediscono un serio e corretto confronto delle varie opzioni energetiche, è quanto mai opportuna. La SIF sottolinea
l’esigenza di coniugare la sostenibilità ambientale con la necessità di un mix di fonti di energia
affidabili, non aleatorie, non sbilanciate economicamente e fondate su una
corretta valutazione tecnico-scientifica.
La
SIF ritiene che il documento in oggetto possa fornire una base di discussione
ampia e
documentata
che, tuttavia, a suo parere dovrebbe portare ad una più rigorosa e realistica
valutazione delle possibilità
offerte dalle varie opzioni, sia a breve che a medio e lungo termine.
La
SIF indica, pertanto, i punti salienti che, a suo avviso, in base alle
indicazioni del documento governativo
meritano un approfondimento.
1)
Giustamente il documento richiama gli aspetti peculiari e le criticità
dell’attuale assetto
energetico
del nostro Paese, rilevando, in particolare, la debolezza del sistema nazionale
legata alla forte dipendenza
energetica dall’estero, alla elevata incentivazione a certe fonti rinnovabili, che forse richiederebbero una più
attenta valutazione, e all’eccessivo costo della bolletta elettrica, la più elevata in sede
europea (cfr. “svantaggio rispetto a concorrenti internazionali”).
A
tale riguardo, il confronto con le realtà di altri Paesi dell’Unione Europea
rende esplicito un rilievo
sottinteso e, cioè, la mancanza di una politica energetica di ampio respiro che
avrebbe dovuto
considerare più attentamente la necessità di un più equilibrato mix energetico
che includa,
in modo sia pur oculato e con criteri programmatici chiari, anche l’opzione
nucleare.
2)
Delle priorità segnalate, l’efficienza energetica è certamente importante e da
migliorare rispetto agli standard
attuali (peraltro già significativi), così come lo sviluppo delle
infrastrutture e del mercato
elettrico. Più problematici appaiono, nel breve-medio termine, lo sviluppo
sostenibile delle energie
rinnovabili, da una parte, e la produzione sostenibile di idrocarburi
nazionali, dall’altra.
Per
il raggiungimento di obiettivi quali, nel primo caso, il superamento degli
obiettivi europei
20-20-20,
a parte l’apprezzamento per un miglior bilanciamento a favore delle rinnovabili
termiche,
una riduzione dei costi di incentivazione è sicuramente necessaria per una
sostenibilità
economica ragionevole, anche per evitare una forzatura costosa di una
concorrenza artificialmente
introdotta. Nel secondo caso, relativo alla produzione di idrocarburi
nazionali, i vincoli imposti da
ragioni di sicurezza e ambientali sembrano costituire una barriera difficilmente superabile nel nostro
Paese.
3) L’enfasi data alla ricerca, in
particolare per ciò che riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili innovative
e gli studi relativi ai materiali e all’efficienza energetica, dovrebbe
evidenziare l’importanza di una
maggiore attenzione e di un pianificato coinvolgimento delle risorse materiali ed umane dell’Univerità e
degli Enti di Ricerca. In questo contesto la ricerca, a livello accademico e industriale, relativa a
tutte le opzioni, inclusa l’energia nucleare (reattori a fissione di IV
generazione, tecnologie innovative della fissione nucleare, fusione nucleare) dovrebbe
essere considerata tra le priorità essenziali per una corretta impostazione
della strategia energetica anche a
lungo termine. Il rafforzamento delle risorse pubbliche ad accesso competitivo
atto a favorire il partenariato università-centri di ricerca-imprese, nonché la
razionalizzazione dell’attuale segmentazione delle iniziative dei vari Enti di
Ricerca, previsti nel
documento, sono certamente validi strumenti allo scopo.
4) Un punto essenziale, che in qualche
modo viene evidenziato nel documento, riguarda la
compartecipazione
dei vari elementi interessati (amministrazioni locali, stakeholder nazionali, istanze
istituzionali, coinvolgimento territoriale, ecc. ) nel sistema di governance,
che tuttavia dovrebbe
tener presente due fattori importanti: la ridefinizione del rapporto
Stato-Regioni (positivo
il disegno di riportare allo Stato le competenze in materia di energia), e il coinvolgimento
coordinato di Enti di ricerca e rappresentanze tecnico-scientifiche adeguate e non
condizionabili. E, parte non trascurabile, il fattore informazione non
disgiunto da una organica
operazione di acculturamento dell’opinione pubblica, cui istanze come quelle
della SIF
potrebbero dare un valido contributo.
(.........................)
Tali incontri avrebbero potuto
(potrebbero) essere utili rilevando e tenendo nel debito conto le analisi
e gli studi già effettuati (cfr. le pubblicazioni della SIF) in merito a
realistiche strategie energetiche
basate su possibili ed equilibrati mix delle varie fonti per le quali i criteri
di scelta siano
non soltanto di tipo economico-ambientale ma anche supportati da rigorose
valutazioni tecnico-scientifiche.
( Dal sito ufficiale della Società Italiana di Fisica).
martedì 18 dicembre 2012
COHERENCE 2012: IL PUNTO SULLA FUSIONE FREDDA
La prima cosa che colpisce in questa nuova edizione della conferenza Coherence sulle nuove tecnologie energetiche, in particolare le LENR, è la folta presenza di pubblico.
Per
impegni di lavoro ho potuto partecipare solo ad una parte del convegno , organizzato dal professor Vincenzo Valenzi, tenutosi venerdì 14
dicembre alla sala dell’Aviatore di Roma.
Riporto le impressioni sugli interventi cui ho potuto assistere.
Interviene Bob Greenyer del MFMP,
un progetto nato in onore di Martin Fleishmann con l’intento di portare avanti
le ricerche sulle LENR e che attualmente in America sta sperimentando alcuni materiali per la produzione di energia tra cui il
reattore di Francesco Celani. Come fa giustamente notare Passerini sul suo
blog, Greenyer è venuto dall’India (dove si trovava per un congresso), mentre
dalla vicinissima università La Sapienza non è venuto nessuno. Prende la
parola poi l’ex ministro Mattioli
che sottolinea il comportamento “vergognoso” della scienza ufficiale sulle
LENR. Secondo Mattioli la soglia di instabilità del pianeta è ormai superata e
ci dobbiamo confrontare con due crisi che si stanno intersecando: la crescita
demografica che devasta l’ambiente e il problema energetico. E’ poi la volta di Bartolucci (INFN)
che pone alcuni punti fermi sulle LENR: c’è sicuramente eccesso di energia
rispetto a quella immessa. E’ dimostrata
la produzione di Trizio ed Elio. Il trizio è troppo per essere ignorato,
troppo poco per essere collegato al calore anomalo. Un’altra presenza
dimostrata è l’emissione di gamma, ma non costante, a lampi. Inoltre non in
tutti i sistemi Lenr si registrano raggi gamma. Infine si trovano elementi da
trasmutazioni nucleari, in particolare rame in isomeri non naturali. Un problema
è l’incostanza dei risultati: effettuando repliche -anche se si utilizza lo
stesso materiale e lo stesso identico apparecchio-, non si ottengono spesso gli
stessi risultati. Una critica che
Bartolucci rivolge a molti sperimentatori LENR è che non riportano i margini di
errore delle misurazioni, specie quelle calorimetriche. Bartolucci si spinge ad
ipotizzare una influenza ambientale: in certi siti la reazione avviene, in
altri no. Una maggiore costanza si
ha utilizzando i reticoli metallici e le nanoparticelle, ma non ancora
ottimale. Sui meccanismi in gioco Bartolucci ipotizza fenomeni come la
condensazione di Bose-Einstein, o fenomeni di superconduttività. Rapide
variazioni di resistenza potrebbero essere state scambiate per eccesso di
calore.
Interviene
Ubaldo Mastromatteo il quale
rivela che ST
Microelectronics, impresa a cui appartiene, si occupa di LENR dal 1994. Ricorda
una serie di esperimenti condotti dal 2003 in collaborazione con il professor
Nassisi dell’Università di Lecce, in cui si sono studiati i fenomeni di
assorbimento di idrogeno (e Deuterio) da parte dei metalli. Un sottile strato
di Palladio, alternato a strati di ossido di titanio, veniva messo in ambiente a pressione di idrogeno o Deuterio
e irradiato usando Laser al Neon o a eccimeri, a bassa potenza. Si
verificavano, con una certa costanza, trasmutazioni con produzione di tutti
materiali con peso atomico inferiore ai materiali di partenza (Na, Mg, K, Cl,
Ca, alluminio) secondo proporzioni diverse a seconda se si usa l’idrogeno o il
deuterio. Con l’idrogeno inoltre
ci sono materiali come cobalto e cromo che non si trovano quando si usa il
deuterio. Con quest’ultimo gas le reazioni avvengono anche in assenza di
stimolazione laser, forse per la presenza di radiazione cosmica di fondo.
Studiando le lastre di palladio si nota che le reazioni esotermiche (punti in
cui la lastra è fusa) avvengono solo in zone determinate, in altre no. Si è
ipotizzato che la zonalità avviene in quanto le reazioni esotermiche avvengono
solo in presenza di più particelle incastrate nel reticolo. In quei punti in
cui sono più particelle avverrebbe la reazione. L’Elio sarebbe un prodotto di
fissione del palladio. Si è studiato anche un sistema composto da uno strato di
nanoparticelle di Nichel immerse in atmosfera di idrogeno a 500 mbar e portato
a temperatura di 400 °C. Anche in questo caso avviene un eccesso di calore con
punti di fusione della superficie. Non si sono registrate emissioni gamma,
mentre si sono rilevati 5-6 neutroni l’ora. Evidentemente non c’è fusione tra H
e Ni. Recentemente ST Microelectronics ha iniziato a studiare reazioni con il
filo di Costantana di Celani: si è visto che il filo non ha iniziato subito a
produrre calore. Ma quando inizia
a produrre calore, lo fa
stabilmente, rimanendo attivo. Una volta attivato il filo aveva bisogno
di meno potenza di input per dare lo stesso output. Sul filo di Celani,
Mastromatteo ha riscontrato, oltre all’eccesso di potenza, anche le
trasmutazioni ormai viste in tanti esperimenti. Qualcuno dal pubblico contesta
che gli elementi trovati potrebbero essere inquinanti e non derivati da
trasmutazioni. Mastromatteo, richiamandosi ai grafici di analisi spettroscopica
mostrati, dice che avrebbe dovuto essere molto bravo ad inquinare sempre allo
stesso modo e con i medesimi rapporti quantitativi. Dopo un breve intervento
del professor Abundo, presente con alcuni studenti con cui ha sviluppato il suo
reattore sperimentale, inizia a parlare il professor Celani. Poco prima ho
dovuto abbandonare la sala per gli impegni di lavoro. Riporto pertanto
l’intervento di Celani riprendendolo dal sito 22passi:
13.00 Ha iniziato a parlare Francesco Celani. Ha premesso
che lavorando col Palladio si ottiene sempre qualche risultato, ma - ahimè -
quasi sempre rompendo e rendendo non più utilizzabile il campione. Inoltre il
prezzo del Palladio è ulteriormente salito a causa della grande richiesta
dell'industria automobilistica per le marmitte catalitiche. Ecco perché il
gruppo di ricerca di Celani ha cercato nuove strade. Preso atto che il
Nichel funzionava quanto il Palladio, se non meglio, hanno cercato altri
materiali, fino ad arrivare alla fine al filo di costantana (lega di Rame e
Nichel) con superficie elaborata a livello nanometrico. La costantana ha - è
ben documentato in letteratura - una resistenza quasi costante al variare della
temperatura ed era un ottimo candidato per assorbire l'idrogeno, ma non così
com'è. Portandola a temperatura superiore ai 600° si "danneggia" in
modo tale da riuscire a caricare idrogeno. Ha appena spiegato (pag. 29
dell'articolo di cui al link precedente) che una volta caricata di Idrogeno la
costantana perde la caratteristica della resistenza costante e acquista nuove
proprietà (pag. 30). Hanno trovato dunque correlazione tra caricamento
dell'Idrogeno, diminuzione della resistenza della costantana, aumento di
eccesso di calore nel sistema. Celani ribadisce che il fenomeno avviene
all'interno del reattore (e non dipende da condizionatori e stufette esterne
come sostengono certi critici!) e che una minima instabilità
ambientale favorisce solo l'innesco della reazione. Per caso (c'era una piccola
perdita nella cella) si sono poi accorti che al diminuire della pressione del
gas la reazione migliorava... Celani ritiene di aver compreso il meccanismo di
ciò, ma ne parlerà in altra occasione (oggi si è già abbondantemente sforato
nei tempi da parte di tutti) Tra tante prove hanno anche provato a scaricare
dall'Idrogeno la costantana (è complicato, ma ci si può riuscire) e a
ricaricarla una seconda volta, scoprendo che il processo è perfettamente
riversibile: nel filo s'innescava la reazione esattamente come dopo che era
stato caricato la prima volta. Hanno poi osservato che sostituendo il Deuterio
all'Idrogeno, si hanno deboli emissioni gamma (non pericolose), ma il filo si è
fuso. Sottolinea che i risultati ottenuti a Roma, sono stati riottenuti questa
estate ad Austin, in occasione del convegno della National Instruments,
utilizzando strumentazioni differenti (le migliori) e sotto la supervisione dei
migliori tecnici esperti in misurazioni del mondo. Portato in Corea subito
dopo, il reattore ha nuovamente prodotto eccessi di calore osservabili e
registrabili. Da qui l'idea di rendere disponibile il filo di costantana a più
ricercatori possibili, in modo che partisse una campagna di repliche. Degno di
noto è il lavoro "open source" e totalmente trasparente del MFMP che
coinvolge una ventina di ricercatori in tutto il mondo. Celani inizia a mostrare
un report avuto appunto dal MFMP. Celani spiega che il MFMP ha riscontrato
15-30W/g di eccesso di potenza una volta superata una certa soglia di
attivazione.
Il convegno è poi proseguito nel pomeriggio, con le relazioni
sul piezonucleare su cui hanno riferito il ricercatore Amedeo Manuello e il
professor Yogendra Srivastava.
Dalla conferenza Coherence 2012 apprendiamo dunque che la
ricerca sulla cosiddetta fusione fredda va avanti in tutto il mondo. Negli
Stati Uniti è sorta una fondazione di ricerca, la Martin Fleischmenn Memorial
Project, che sta portando avanti le sperimentazioni tra cui quella sul reattore
messo a punto da Celani. Anche in Italia la ricerca sulle Lenr va
avanti e da anni sono in campo alcune università e imprese come la ST Microelectronics.
I risultati ci sono, le misurazioni concordano nel dimostrare eccesso di calore
e trasmutazioni. Siamo ancora lontani, a livello ufficiale, da una dimostrata
utilizzabilità della nuova energia, da un suo possibile sfruttamento. Siamo
lontanissimi da una accettabile spiegazione teorica dei fenomeni, e questo
condiziona tutto il resto, compreso il fatto che sebbene ci siano laboratori al
lavoro, si tratta ancora di piccoli laboratori, con pochi finanziamenti. Mentre
–vista l’importanza della posta in gioco- dovrebbero intervenire anche in
Italia i “grandi laboratori” con finanziamenti adeguati.
Intanto continuano gli annunci da parte di Rossi riguardo al
suo E-Cat. Gli annunci, fino ad ora, non sono stati seguiti da fatti concreti
che dimostrino l’efficienza e la reale commerciabilità del suo reattore. Le
notizie sono altalenanti e contrastanti. I tempi si allungano, senza adeguate spiegazioni. Ma la vicenda di
Rossi ormai rappresenta solo una parte, limitata, dell’interesse intorno alle
Lenr. Gli studi riguardano
istituti e ricercatori in ogni parte del mondo. Gli eccessi di energia ci sono,
le misurazioni sono state migliorate e certificate; manca ancora la costanza
della produzione e lo sviluppo di quantità tali di energia da renderla
commerciabile. E’ in movimento il
campo del piezonucleare, e molto interesse suscitano le trasmutazioni di
materiali, dimostrate in tanti laboratori. Dispiace che il mondo della scienza
ufficiale abbia sul fenomeno Lenr , posizioni di chiusura netta, a priori, e non
stupisce che questo avvenga soprattutto in Italia. Ma la ripetizione degli
esperimenti in tanti laboratori diversi
e la sempre più evidente riproducibilità, dimostra che non può trattarsi
banalmente di un abbaglio
collettivo, o di errori nelle misurazioni, nella taratura degli strumenti. Le
segnalazioni degli eccessi di energia si succedono ad un ritmo incalzante. Qualcosa c’è, e
Fleishman e Pons non si erano inventati nulla. Ci vuole ancora tempo per sapere se si tratta di una rivoluzione per il mondo o di una
semplice curiosità scientifica.
lunedì 17 dicembre 2012
STOP AL CONSUMO DI SUOLO: NON CONVINCE LA PROPOSTA CATANIA
"La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani. Significherebbe che lo stato intende vegliare affinché, dopo secoli di distruzione, si salvi quel poco che resta delle foreste e del suolo delle Alpi e degli Appennini e si ricostruisca parte di quel che fu distrutto".
(Luigi Einaudi, "Della servitù della gleba in Italia", 15 dicembre 1951)
Chissà cosa avrebbe detto Einaudi se avesse visto quel che venne dopo il 1951, l'anno in cui scrisse quelle parole. Non solo la devastazione non si arrestò, ma fu moltiplicata per cento. Una devastazione fatta di cemento e asfalto che ha inghiottito migliaia e migliaia di ettari di un paesaggio italiano che era...era purtroppo...tra i più belli del mondo. Una devastazione che ha interessato in maniera "scientifica" tutte le coste del bel paese, non solo quelle marine, ma anche le rive dei dei laghi e dei fiumi (con annessi disastri quando piove). Una cementificazione che ha reso triste e grigia la pianura padana, le pianure e le colline di tanta parte del centro e del sud italia. Ha distrutto peggio di una guerra le periferie delle nostre grandi, medie e piccole città. Roma, se appena si fuoriesce dal centro, è irriconoscibile e sembra di stare in una periferia del terzo mondo(ma spesso il terzo mondo ha avuto un piano regolatore, Roma no). Non parliamo di Napoli e della Campania, terra di camorra e di discariche (...una volta era il giardino d'Europa). Milano e l'interland hanno perso ogni traccia di verde fin quasi all'appennino. E' urgente fermare, subito, il consumo di suolo. Il tentativo del ministo Catania è abortito insieme al governo. Il primo, PRIMO, compito del nuovo governo deve essere lo STOP IMMEDIATO al consumo di suolo, e l'avvio del riutilizzo e miglioramento di quanto già mal-costruito. Purtroppo le varie forze politiche, di ogni tendenza (con la lodevole eccezione del programma di Renzi, ormai battuto) non fanno cenno alla salvaguardia del suolo verde. Anzi. Quasi tutti si lamentano della bassa natalità e del cosiddetto "calo demografico" che è una invenzione in quanto l'Italia è passata da 50 a 62 milioni di abitanti in dieci anni (complice l'immigrazione). Tutti chiedono, di fatto, più cemento, più edilizia, più infrastrutture. E gli speculatori e le varie mafie applaudono. Riporto qui di seguito l'articolo di Vezio de Lucia, ulteriore contributo al dibattito apertosi dopo il tentativo legislativo del ministro Catania di porre un argine alla cementificazione. Non c'è accordo, anche tra gli ambientalisti, sul meccanismo giuridico in grado di assicurare una reale salvaguardia di suolo verde, e de Lucia porta il suo contributo con questo articolo apparso sul sito www.salviamoilpaesaggio.it
Non convince la proposta del ministro Mario Catania.
Non convince per gli antiquati e storicamente inconcludenti procedimenti a cascata, per l’imprevedibile lunghezza dei tempi, non convince soprattutto perché, alla fine, a decidere sono le regioni. Che è come chiedere al gatto di Pinocchio di tenere a bada la volpe, o viceversa.
Intendiamoci, non tutte le regioni sono uguali. So bene che in certi posti gli spazi aperti sono in qualche misura tutelati, soprattutto nel centro Nord. Viceversa, nel Mezzogiorno, dal Lazio in giù (Lazio e Roma da questo punto di vista sono profondo Sud) lo spazio aperto è considerato sempre e comunque edificabile, farsi la casa in campagna un diritto inalienabile, e chi ha provato a metterlo in discussione è stato rapidamente emarginato.
Insomma, con la proposta Catania, l’obiettivo logicamente prioritario, che dovrebbe essere di imporre le misure più severe laddove maggiore è sregolatezza, diventa francamente velleitario: ve le immaginate la Campania, il Lazio prime della classe che bloccano le espansioni e reprimono l’abusivismo? Servono perciò soluzioni radicalmente diverse. E urgenti.
Continuare con l’attuale ritmo di dissipazione del territorio, anche per pochi anni, in attesa che le regioni si convertano al buogoverno, significherebbe toccare il fondo, annientare materialmente l’unità d’Italia, un disastro non confrontabile con crisi come quelle economiche e finanziarie, più o meno lunghe, più o meno gravi, più o meno dolorose, ma dalle quali infine si viene fuori.
Il saccheggio del territorio è irreversibile.
E allora? Andando subito al merito, secondo me, e scusandomi del carattere anche molto tecnico dell’esposizione, dovrebbero essere praticabili due percorsi che provo a illustrare.
Il primo percorso fa capo al Codice dei Beni culturali che, com’è noto, sottopone a tutela (art. 131, c. 2) il paesaggio dotato di “quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”: parole che riprendono quelle scritte da Benedetto Croce in occasione della legge 778 del 1922, da lui voluta (“Il paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della Patria con le sue campagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo”).
Il paesaggio come identità nazionale non può essere evidentemente tutelato in autonomia da 20 regioni, e perciò il Codice dispone (art. 135, c. 1) che i piani paesaggistici siano elaborati “congiuntamente” tra ministero dei Beni culturali e regioni: mentre prima, al tempo della legge Galasso, i piani paesistici erano di esclusiva competenza regionale.
Che lo Stato non debba partecipare solo nominalmente o in via subordinata alle iniziative regionali, ma debba essere invece il motore della pianificazione è previsto dalla seguente norma che secondo me è la più importante del Codice (art. 145, c.1): “La individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali” (una norma d’importanza capitale di cui va anche apprezzato il ritorno al lessico del noto e colpevolmente disatteso art. 81 del Dpr 616 del 1977, che prevedeva la funzione centrale di indirizzo e coordinamento in materia di urbanistica).
Ma quest’aspetto davvero innovativo del Codice, è totalmente disatteso. Delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione” non c’è traccia. Non è stata possibile neanche l’individuazione dell’ufficio che dovrebbe occuparsene. Il ministero dei Beni culturali, più volte sollecitato in proposito (per esempio da Italia Nostra, nell’ambito del primo – e ahimè unico – Rapporto sulla pianificazione paesaggistica dell’ottobre 2010, e dall’associazione “Salviamo il paesaggio” con una nota al ministro del febbraio di quest’anno) non ha dato segni di vita.
Riguardo al contenuto delle linee fondamentali, non mi pare che possano esistere dubbi sul fatto che al primo posto debba essere collocato lo stop al consumo del suolo, riconoscendo in esso il male assoluto, quello che distrugge il paesaggio come identità nazionale e perciò da fermare con inflessibile determinazione.
Se necessario, individuando formalmente nello spazio aperto una specifica categoria del territorio (ex legge Galasso) meritevole di tutela assoluta. Esiste forse un’emergenza più avvertita? (Allo stop al consumo del suolo possono certo affiancarsi altri obiettivi, per esempio Italia Nostra propone anche un vincolo di tutela generalizzato per tutti i centri storici).
Si può qui osservare che anche il percorso che sto proponendo alla fine fa capo alle regioni. È vero. Ma è anche vero che in questo caso le regioni sarebbero ingabbiate in un’unica procedura nazionale, con precise scadenze e poteri sostitutivi ope legis (art. 143, c. 2), e il perseguimento della tutela del territorio attraverso i meccanismi di una pianificazione immediatamente cogente e direttamente riferita alla complessità del reale appare più convincente delle contorte modalità della proposta Catania.
Ma più ancora delle procedure dovrebbero contare l’impegno politico-culturale del governo e la sua azione sull’opinione pubblica per obbligare le regioni a fare la loro parte: da questo punto di vista mi pare decisivo lo spostamento del comando dal ministero dell’Agricoltura a quello dei Beni culturali con il conseguente spostamento dell’oggetto della tutela dalla produzione agricola, importante quanto si vuole ma non come il paesaggio, connotato costitutivo e costituzionale del nostro Paese. Ovviamente, adesso è inutile sperare in una resipiscenza dell’attuale compagine governativa. Con Lorenzo Ornaghi forse è peggio che con Sandro Bondi, ma non si può dare ragione a chi sostiene che il ministero del Collegio Romano sia ormai destinato all’estinzione.
Dobbiamo invece sperare che al più presto un nuovo governo, con un prestigioso ministro dei Beni culturali, affronti con risoluta autorevolezza la questione del consumo del suolo. Magari come occasione per la riforma e il rilancio del ministero. O addirittura con la responsabilità diretta del presidente del Consiglio come garante dell’impegno collegiale del governo nella tutela del paesaggio.
E se, sognando a occhi aperti, il nuovo governo fosse davvero sensibile, si potrebbe anche pensare – è il secondo percorso che propongo – a una spietata decisione statale – un decreto legge o una legge di principi in attuazione dell’art. 9 della Costituzione – che azzeri subito tutte le previsioni di sviluppo edilizio nello spazio aperto e obblighi a ridisegnare gli strumenti urbanistici indirizzandoli alla riqualificazione degli spazi degradati, dismessi o sottoutilizzati attraverso interventi di riconversione, ristrutturazione, riorganizzazione, rinnovamento, restauro, risanamento, recupero (ovvero di riedificazione, riparazione, risistemazione, riutilizzo, rifacimento: la disponibilità di tanti sinonimi aiuta a cogliere la molteplicità delle circostanze e delle operazioni cui si può mettere mano). Non si possono escludere situazioni eccezionali, irrisolvibili senza occupare lo spazio aperto (come impianti produttivi connessi a particolari caratteri dei suoli). In queste circostanze si deve fare ricorso a norme altrettanto eccezionali, per esempio provvedimenti legislativi regionali ad hoc.
Questo secondo percorso è molto meno feroce di quello che sembra. Chi conosce le condizioni attuali delle città italiane sa che la strategia di una grande e insormontabile linea rossa da tracciare intorno allo spazio urbanizzato non è un’utopia.
Sa che le possibilità di riuso e simili sono sconfinate. Sa che stop al consumo del suolo non significa sviluppo zero, perché i bisogni da soddisfare – in misura diversa al variare delle circostanze – sono comunque sconfinati (a cominciare dalle residenze per gli strati sociali sfavoriti). Sa che in una logica di riuso e simili ogni investimento volto al soddisfacimento di bisogni è al tempo stesso un’azione di recupero ambientale.
D’altra parte non sono poche le recenti esperienze di pianificazione senza consumo di suolo. Non è solo Cassinetta di Lugagnano. Ci sono anche, che io sappia, a zero consumo di suolo, il piano regolatore di Napoli del 2004, il piano territoriale della provincia di Torino del 2010 e il piano territoriale della provincia di Caserta approvato nel luglio di quest’anno. Non mi pare poco (ma sarebbe bene disporre di un quadro aggiornato delle altre analoghe situazioni).
Vezio De Lucia
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