Nel mondo della tecnica privo di ogni senso del "divino" è considerato normale morire in un centro di Rianimazione o attaccato a tubi e sondini in un letto monitorizzato. Chi muore in queste condizioni muore disperatamente solo. Non ci sono né coniuge né figli a tenere le mani, o a sollevare pietosamente la testa del morente; i parenti sono visti come un ostacolo alla potenza tecnologica e tenuti in stanze separate o addirittura a casa ad attendere una telefonata. Se ne è concessa la presenza, è una presenza priva di pudore, aperta al pubblico o separata da una tendina in un ambiente freddo e distaccato. Non ci sono i muri della propria stanza, le cose care intorno dove l'affetto della famiglia è vivo e sentito. Questo è il prezzo che la morte paga alla modernità. Certo la tecnica ha permesso di protrarre il nostro tempo, di prolungare la vita anche se malati e a volte con un certo sollievo dal dolore. Ma è legittimo chiedersi se non era più felice l'uomo che moriva in casa propria, nel calore della propria famiglia riunita intorno al suo capezzale, spesso confortato dal medico di casa e, se credente, dal prete. Non è più sereno il morire di quest'uomo pre-tecnologico, piuttosto che quello del moderno paziente intubato e monitorizzato in un letto fornito di ogni presidio elettronico? Esperito tutto ciò che la scienza medica ragionevolmente prevede, si deve riconsegnare il paziente agli affetti della famiglia e alle mura della casa in cui ha vissuto e in cui è giusto che muoia.
Quando la vita umana ha compiuto il suo corso, l'accanimento non ha un senso e non ridona senso alla vita. Rimane solo l'ostinato ed arrogante uso della tecnologia. Siamo le cavie sacrificate all'altare della tecnica, la quale ha un solo obiettivo: esplicarsi in tutta la sua potenza per affermare sulla terra i suoi effetti illimitati. Ma la moltiplicazione numerica della popolazione e della quantità di vita di ciascuno toglie allo stesso tempo ogni significato alla vita vera, sempre più vuota di affetti e di scopo.
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