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sabato 20 maggio 2023

Peppone e Don Camillo svelano la bufala sul clima

Corre su tutti i media e sui social la narrazione che le alluvioni, sempre esistite in Italia, siano dovute al "Riscaldamento climatico" che tradotto significa: alla nostra economia, all'alta concentrazione della Co 2 in atmosfera conseguente all'uso di idrocarburi come fonte di energia. Posto che il consumo di idrocarburi dell'intera Europa influisce sull'8 % delle emissioni di carbonio, e quello della sola italia per meno dell'1 %, bisogna constatare che le alluvioni, meraviglia, esistono da molti secoli e che ,stando solo agli ultimi decenni, ne sono accadute tante in Italia, anche negli anni 40-50-60-70 in cui la concentrazione di carbonio in atmosfera era inferiore ad oggi. Una bella foto che riporto sotto il titolo,con Gino Cervi in barca nel piccolo comune del reggiano allagato, tratta dal film di Peppone e Don Camill0 (1953) -scena girata durante l'alluvione della bassa reggiana del '51- , ci fa vedere come le alluvioni in Emilia e Romagna fossero frequenti anche in anni lontani. Che questa narrazione del riscaldamento climatico sia tutta una bufala? Riporto un paio di articoli: il primo sull'alluvione del polesine (1951) in zone che hanno interessato in parte gli stessi luoghi della odierna alluvione, e il secondo, un articolo del foglio che fa la cronistoria delle alluvioni recenti in Emilia Romagna. Una foto a fine articolo ci ricorda la violenta alluvione in Toscana del 1966.
14 NOVEMBRE 1951: L’ALLUVIONE DEL POLESINE
Il 1951 fu un anno particolare. Da gennaio a ottobre su tutto il territorio nazionale si susseguirono piogge, inondazioni e frane che complessivamente causarono oltre 150 morti, 90 dei quali nel solo mese di ottobre in Calabria (72), Sicilia (12) e Sardegna (6). Nei primi giorni di novembre il nord Italia venne colpito da piogge intense e persistenti che in val Padana raggiunsero l’apice tra il 6 e il 12. In questi sei giorni sul bacino del Po vennero misurati mediamente circa 30 millimetri di pioggia al giorno, con picchi che superarono anche di quattordici volte la media mensile dei cinque anni precedenti. Una tale quantità di acqua, caduta su terreni già saturati dalle piogge del mese di ottobre, determinò la piena di tutti i corsi d’acqua del bacino. I primi fenomeni di dissesto geo-idrogeologico si verificarono in Piemonte e in Lombardia, dove si registrarono anche alcune vittime. Il Po crebbe velocemente, ingrossato dalle acque di tutti i suoi affluenti di destra e sinistra e col deflusso verso il mare ostacolato da venti di Scirocco. Tra l’11 e il 12 novembre il fiume ruppe nella zona del parmense, sommergendo migliaia di ettari di terreno. Due giorni dopo la piena raggiunse il Polesine. Con questo nome si identifica l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia. Questo territorio pianeggiante è caratterizzato da ampie depressioni, con molti ettari a quote inferiori al livello del mare. Per fronteggiare i ripetuti allagamenti nel tempo erano stati costruiti canali e argini che, danneggiati durante il periodo bellico e malridotti per la scarsa manutenzione, si trovavano in precarie condizioni. Particolarmente critica era la situazione nel tratto fra Santa Maria Maddalena e Occhiobello, e fu proprio in questa zona che il giorno 14 novembre l’argine cedette, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia. Le rotte furono tre, in rapida successione: la prima, che raggiunse i 220 metri di lunghezza, si verificò nel tardo pomeriggio nel territorio di Canaro, a Paviole; le altre due, lunghe rispettivamente 312 e 204 metri, si aprirono nel comune di Occhiobello, a Bosco e a Malcantone. In poche ore le acque dilagarono e raggiunsero, rimanendovi bloccate, l’argine della Fossa Polesella, un canale navigabile di comunicazione tra il fiume Po e il Canalbianco che produsse una sorta di effetto diga. Per favorire il deflusso verso il mare, sarebbe stato opportuno aprire dei varchi nell’argine, ma le autorità tergiversarono e così le acque iniziarono a risalire anche verso monte. L’enorme quantità di acqua proveniente dalle rotte ben presto superò la quota dell’argine della Fossa e si riversò anche nel Canalbianco, dove si aprirono alcune rotte in sinistra mettendo a rischio i due maggiori centri del Polesine, Adria e il capoluogo Rovigo. Adria venne completamente inondata. Oltre 20 mila persone rimasero bloccate in città e isolate per diverse ore, prima di essere tutte evacuate. A Rovigo, dove era stato organizzato il quartier generale dei soccorsi ed erano stati ospitati molti sfollati, le acque furono in parte trattenute dall’argine del canale Adigetto che, fungendo da diga, salvò il centro storico.
Area inondata (Mappa modificata da E. Migliorini, UTET, vol IV, 1962) area inondata
Difficile quantificare il volume delle acque che per undici giorni sommersero almeno 1.170 chilometri quadrati di terreno, raggiungendo in alcuni punti la profondità di sei metri, le stime oscillano fra i tre e gli otto miliardi di metri cubi. Dopo circa una settimana dalle rotte del Po le acque raggiunsero finalmente l’Adriatico e il livello dell’esondazione iniziò a scendere. Tuttavia gli argini della Fossa Polesella costituivano ancora un ostacolo al deflusso e si decise di farli saltare. L’operazione venne portata a termine tra il 24 e il 26 novembre, dopo alcuni tentativi e con oltre 70 quintali di tritolo. I tre varchi di Canaro e Occhiobello furono chiusi poco più di un mese dopo le rotte, mentre le strutture arginali vennero ricostruite nel corso del 1952. Il numero totale delle persone coinvolte fu molto alto: 101 morti, sette dispersi e circa 180.000 tra sfollati e senzatetto. La maggior parte delle vittime si registrò a Frassinelle, nella notte fra il 14 e il 15 novembre. La dinamica dell’accaduto è ancora oggi non del tutto chiara. Di sicuro si sa che un camion adibito al trasporto degli sfollati, inadeguato ad accogliere il gran numero di persone che vi erano salite, finì per impantanarsi e venne completamente sommerso dalle acque. Alla fine persero la vita 84 persone, molti annegati, altri per sfinimento e per il freddo.
ALLUVIONI IN EMILIA ROMAGNA DAL 1949:
La solidarietà con i romagnoli è rafforzata dal lavoro sulla memoria. Il lavoro sulla memoria non si esercita nel fluire continuo del presente sulle piattaforme social; il suo strumento si sofferma invece sulla carta indelebile su cui gli studiosi del passato posavano i fatti. Ecco che cos’è accaduto dal 1945 al 1990 in Romagna durante le due classiche stagioni delle piogge, cioè primavera e autunno, secondo le “Memorie descrittive della carta geologica d’Italia”, di Vincenzo Catenacci, Servizio geologico nazionale, stampato dall’Istituto poligrafico e zecca dello stato 31 anni fa. Tutti i verbi sono al tempo presente, modo indicativo: come se fosse oggi. Il 27 novembre 1949 in provincia di Ravenna il Senio rompe l’argine e allaga 2.200 ettari. Il 5 dicembre 1959 a Sant’Agata in provincia di Ravenna il Santerno sommerge 3.300 ettari. Il 27 dicembre 1961 il Marecchia in piena sbriciola il ponte di Santarcangelo di Romagna mentre vi passava un’auto; annegano le tre persone che vi erano dentro. Autunno 1963. Frane e allagamenti in Romagna e in Emilia per le piogge torrenziali. In provincia di Forlì crolli a Bagno di Romagna, a Civitella Romagna (2 frane), a Predappio (5), a Premilcuore, Santa Sofia, Sarsina, Torriana, Verghereto. In provincia di Ravenna crollano terreni a Brisighella, con 11 frane tra le quali quella di Monticello che travolge anche la chiesa e la canonica di Monticino e lambisce il centro di Brisighella; ma anche a Casola (7 frane) e a Riolo Terme (4 frane). In Romagna le frane di quei giorni coprono in tutto circa 1.700 ettari. Il 4 novembre 1966, mentre vanno sott’acqua Firenze e Venezia, il Senio tracima a Passo Donegallia e inonda 2.200 ettari. L’anno 1973 è devastante. Dal 1° gennaio al 1° ottobre ci sono decine e decine di alluvioni in tutta la regione. Il 7 e l’8 marzo 1973 a Ravenna la rete di fossi non riesce più a smaltire l’acqua e sono allagati 20 chilometri quadri fra città e campagna. Il 27 settembre 1973 a Cesena il torrente Pisciarello allaga le campagne fra Ponte Pietra e Casone e interrompe la statale 304. Il 19 agosto 1977 un nubifragio (non è ancora stata inventata la locuzione corriva “bomba d’acqua”) allaga Cattolica e San Giovanni in Marignano. Nel 1978 crolla ancora la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno (Forlì). Il paese si affaccia su uno sperone alto su un’ansa del torrente Borello; la parete verticale di roccia continua a cedere da secoli. Una parte dell’abitato fu sbriciolata nel 1819, poi attorno al 1955. Accadrà ancora. Nella primavera del 1978 a Brisighella (Ravenna) in località Zattaglia la frana sul torrente Sintra si rimette in movimento e sprofonda nel letto del fiume; danneggia due case abitate e distrugge un capannone. Nel marzo 1985 le piogge primaverili rimettono in movimento la frana di Case Gamberini a Bagno di Romagna, vicino al corso del Savio. I geologi classificano il fenomeno come “franamento di tipo rotazionale con colamento al piede”. Danni alle abitazioni, a un’osteria e alla provinciale 26. Nel 1986 si risveglia la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno. La pioggia battente sbriciola altre parti della parete di roccia; si sgretola e precipita la porzione di un cortile; parti di edifici restano sospese nel vuoto. A Pescaglia, in comune di Sarsina, il terreno smotta e danneggia diverse costruzioni; a rischio la statale 71 umbro-casentinese e la provinciale fra Sarsina e Ranchio. La rupe che sovrasta Torriana minaccia di cadere sulle case lungo la provinciale per Montebello. Nel dicembre 1988 viene rinnovato secondo i nuovi criteri il censimento regionale del rischio idrogeologico. Sono 152 in 80 comuni i centri abitati da consolidare o addirittura da trasferire subito senza-se-e-senza-ma. In provincia di Forlì sono 22 gli abitati a rischio all’interno dei comuni di Bagno di Romagna, Cesena, Civitella, Coriano, Meldola, Mercato Saraceno, Montefiore Conca, Montegridolfo, Portico San Benedetto, Predappio, Santarcangelo, Santa Sofia, Sogliano al Rubicone, Torriana, Verghereto e Verucchio. In provincia di Ravenna sono a rischio 4 paesi nei comuni di Brisighella e Casola Valsenio. Il 2 settembre 1989 un nubifragio allaga diverse zone del Ravennate e inonda la riviera fra Porto Corsini e Cervia. PS: Fino agli anni 90-2000 quelle che oggi si chiamano bombe d'acqua (perché il termine si adatta alla narrazione del cambiamento climatico), venivano chiamate nubifragi, temporale, forte pioggia e altre locuzioni simili. Erano la stessa cosa, con o senza riscaldamento climatico. (Da "Il Foglio" 19 maggio 2023).
Firenze alluvionata, 1966

11 commenti:

  1. Un po' come i femminicidi : ci fanno credere che sono aumentati oggi ma in realtà c'erano anche prima , magari anche di più .
    Da ignorante in materia clima, comunque, non so dire se oggi le catastrofi ambientali siano aumentate rispetto a prima o no, e se questo sia dovuto o meno all'influenza umana .
    Quello che dico è che sembra che l'unico impatto umano siano le emissioni che influenzano il clima: non si parla primariamente di cementificazione/ riduzione del suolo /inquinamento/ devastazione ambientale/ perdita della biodiversità/ eccetera dovuti alla crescita spropositata della popolazione umana .
    Non sono contenti che aumentiamo di 80 milioni l'anno: ci fanno campare fino a cent'anni e vogliono allungare ancora di più la vita ,
    ma non vogliono frenare le nascite .
    Una settantina di lupi sono troppi, un centinaio di orsi troppi .
    Noi aumentiamo di 200.000 al giorno e non va bene ,
    dobbiamo aumentare ancora di più e vivere di più .
    Quando si dirà che il nostro impatto è anche ben altro ? A Milano continuano a segare alberi però arrivano gli esperti che dicono che per evitare isole di calore bisogna piantare alberi (!).
    Sala piangeva che eravamo scesi sotto i 2 milioni e adesso è contento che ci siamo tornati.
    Ma insomma quand'è che la si smetterà di voler far aumentare le nascite ?
    Bisogna educare la gente affinché faccia un figlio SOLO SE lo desidera ardentemente, e chi lo fa non di più uno due massimo .
    Ovviamente ciò deve avvenire specialmente nei paesi con tante nascite , ma in Italia la devono smettere di fare gli Stati Generali sulla natalità e di permettere alla gente comune di portare avanti queste idee malsane che il figlio deve procreare per avere un ruolo nella vita . Ma basta.

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  2. Comunque agobit dicono che i cambiamenti climatici sono iniziati dal 1800 con l'alta industrializzazione ( ovviamente il nostro numero non impatta ), quindi anche queste alluvioni che tu riporti rientrerebbero in questi cambiamenti climatici, dei quali oggi indubbiamente si parla di più.

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  3. Cara Laura nel 1800 e anche nella prima metà del '900 la concentrazione di carbonio in atmosfera era più bassa di oggi in modo significativo (intorno a 200 ppm in meno). Eppure esistevano già da secoli sia alluvioni, forti precipitazioni, alternate a siccità, eventi estremi. L'unica differenza è che non esistevano i verdi e i pallonari del clima...

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  4. Certo, immagino anch'io che anche prima c'erano alluvioni eccetera.
    Ma come ti ho già scritto non essendo un' esperta non so se questi fenomeni sono aumentati E se questo aumento è dovuto all'uomo . Ti ho scritto quello che loro scrivono , Cioè che i cambiamenti climatici che provocano un maggior numero di disastri sono iniziati principalmente con il 1800 con l'industrializzazione.

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  5. Come ho scritto a casa le alluvioni sono un percepito umano.
    In una pianura padana nella quale i fiumi avessero ampi letti boscati, semplicemente non esisterebbero alluvioni.
    Le piane alluvionali sono fertili anche economicamente, questo produce aumenti folli della popolazione che costringe i fiumi in canali patologicamente alti e stretti che si rompono regolarmente => alluvioni.

    UUiC

    P.S.
    Qui, a casa mia, non riesco più a commentare con la mia identità: avviene solo in alcuni diari, quelli che organizzano i commenti in questo modo.

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  6. Ecco cosa dicono alla gente:

    https://www.ildolomiti.it/economia/2023/se-non-invertiamo-rapidamente-la-curva-ci-troveremo-di-fronte-a-uno-scenario-apocalittico-in-15-anni-mancheranno-67mila-lavoratori-tra-belluno-e-treviso

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    1. Andare ai portatori di interesse: la popolazione decresce, il falegname va in pensione, lavorerà l'altro del paese.
      La popolazione decresce, il padrone delle fabbriche non trova operai, dovrebbe chiudere uno stabilimento dei sei di quel settore/parte della filiera, calo del fatturato e utili dello x.y%.
      Giammai!
      Avanti tutta colla immigrazione di massa (che porta, oltretutto, consumistici famelici già pronti e assai prolifici).
      Ecco perché non si riesce ad organizzare alcunché contro la guerra migratoria.
      Nei salotti bene è voluta.

      UUiC

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  7. Avete notato che i cosiddetti fautori del riscaldamento climatico non parlano mai, dicesi mai, dell'eccesso della popolazione umana sul pianeta? Riportare tutto al consumo di idrocarburi evita di discutere dell'antropocentrismo ideologico di cui sono portatori. Per estremo paradosso attaccano come forsennati persino il transito di un gasdotto in Italia, o persino di un elettrodotto se bisogna abbattere un albero, ma tacciono come mummie egizie sulle centrali a carbone e sull'aumento dei consumi di petrolio e carbone di Cina e India. E che dire sul silenzio dei rossoverdi sulla costruzione di nuove centrali nucleari di vecchio tipo in Asia e in medio-oriente? Ma c'è un argomento che li fa infuriare al di la di tutto: appena si accenna all'eccesso di nascite e alla sproporzione tra risorse e popolazione. Se fosse vero quello che affermano sulle emissioni antropiche di carbonio non dovrebbero pensare ad altro che ha ridurre l'impatto dell'eccesso di natalità di Homo. E accusano di razzismo chi lo fa, non accorgendosi che così cadono nella forma peggiore di razzismo: lo specismo antropocentrico distruttore della natura e degli animali. Gente così è in malafede e i loro obiettivi sono ben altri che la salute del pianeta. Agobit

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    1. Rossi e cocomeri consideravano fasciofassista la riproduzione. Ora gli europei hanno smesso, la riproduzione folle e irresponsabile è da tempo degli islamici africani e asiatici, non solo è diventata un tabù ma chiunque accenni a questo tumore è un fasciofassista fascioleghista.
      Il vento cambia pure le bandieruole rosse e verdi, il fanatismo coglione rimane.

      UUiC

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    2. Gli europei non hanno smesso di riprodursi ( Cioè zero figli ) , non capisco perché continuate a dire questa cosa.

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    3. Molte nazioni europee hanno tassi di fertilità MOLTO sotto il 2.1 figli per donna necessari per la stasi demografica.
      Sarebbero in forte ed esponenziale decrescita demografica se non avessero apologizzato e sostenuto, attuato la Immigrazione di massa da Africa e Asia.

      Zero figli per donna sarebbe una sorta di suicidio collettivo a tempo.

      UUiC

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