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martedì 31 dicembre 2019
Considerazioni sul fallimento della Cop25
Cosa ci dice il fallimento della conferenza internazionale Cop25 sul clima?
La grande mistificazione del cosiddetto protocollo di Kyoto e dell'accordo di Parigi, con la conferenza di Madrid sembra essere arrivata al capolinea. La maschera delle buone intenzioni green e' miseramente caduta mostrando il re nudo: i paesi ricchi e poveri hanno fatto, fanno e faranno quello che a loro conviene economicamente e politicamente e del riscaldamento globale se ne fregano e se ne fregheranno ampiamente, alla salute del pianeta, questo in sintesi il risultato della ennesima Cop.
Alla conferenza – durata inutilmente una decina di giorni, a Madrid – hanno partecipato i rappresentanti di più di 190 paesi del mondo, che tra le altre cose si erano dati l’obiettivo di trovare una soluzione su uno dei punti più importanti e discussi dell’Accordo di Parigi sul clima: il meccanismo previsto dall’articolo 6, che dovrebbe permettere ai paesi che inquinano meno di “cedere” la loro quota rimanente di gas serra a paesi che inquinano di più, per permettere loro una transizione più facile senza compromettere il raggiungimento degli obiettivi generali. Oltre a non avere concordato nulla sull’articolo 6, la COP25 non ha prodotto niente di vincolante sull’obbligo per i singoli paesi di presentare piani per ridurre ulteriormente le proprie emissioni di gas serra, necessari per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi nel 2015.
I motivi del fallimento sono sia contingenti che dovuti a cause di fondo. Quelli contingenti sono essenzialmente due: la contrarieta' di alcuni paesi come Usa, Australia, Brasile, i quali si sono opposti apertamente in quanto reputano le misure proposte troppo costose per le loro economie, e il disinteresse di molti altri paesi che non trovano conveniente intraprendere sacrifici in mancanza di certezze su risultati concreti. Infatti Cina, India e paesi asiatici hanno da sempre predicato bene (si dicono favorevoli agli obiettivi) ma di fatto razzolato male essendo tra i principali emettitori di carbonio al mondo per l'uso massiccio e continuamente in crescita di carbone. La Cina, ad esempio, pur essendo tra i maggiori produttori di tecnologie rinnovabili per la produzione di energia (eolico e solare), ritiene piu conveniente il ricorso al carbone, e sta costruendo ulteriori decine di centrali. In conclusione le emissioni di carbonio sono tornate a crescere (+ 1,6 %)nonostante tutte le dichiarate buone intenzioni, come certificato dall'IPCC (gli scienziati che per conto dell'Onu studiano i cambiamenti climatici e i livelli di carbonio).
Le cause di fondo del fallimento sono invece da ricondurre, secondo me, a tre questioni che le Cop da Kyoto a Parigi per arrivare a Madrid non hanno mai affrontato, anzi hanno colpevolmente silenziato. Le riassumo brevemente:
1) La questione demografica
2) L'insufficienza delle rinnovabili a sostituire gli idrocarburi
3) Il tipo di crescita strutturale delle megalopoli
(i tre aspetti, come diro' in seguito, sono collegati tra loro).
E' chiaro che se non si affrontano questi problemi di fondo, nessuna riconversione energetica carbon free avrà' la possibilità' di avere successo e le varie conferenze sul clima saranno una inutile successione di fallimenti. Infatti come dimostrano i dati le emissioni continuano ad aumentare.
Vi sono poi aspetti , ad esempio dell'accordo di Parigi, che hanno soltanto valenza ideologica e nessun impatto reale.
Mi riferisco al famigerato articolo 6 dell'accordo di Parigi che non e' mai decollato ed e' un esempio di pura demagogia: prevede trasferimenti di denaro ai paesi poveri in cambio di maggiori emissioni dei paesi ricchi. Si tratta di semplici trasferimenti di denaro che danneggiano i paesi sviluppati togliendo risorse alla ricerca e alla tecnologia e non avvantaggiano lo sviluppo dei paesi arretrati essendo risorse non vincolate a progetti specifici.Questi trasferimenti di risorse inoltre non inducono a cambiamenti in grado di influire sulle emissioni: consentono ai paesi sviluppati di emettere carbonio più' di prima e ai paesi arretrati di non fare nulla sul fronte del controllo demografico. I trasferimenti di risorse dai paesi ricchi ai paesi svantaggiati possono essere utili, ma per contribuire realmente alla lotta al cambiamento climatico debbono essere legati alla lotta agli alti tassi di natalità' da parte dei governi e delle classi dirigenti locali. Gli stessi paesi in via di sviluppo considerano questo mercato del carbonio insufficiente in quanto hanno bisogno per le loro popolazioni in forte crescita di industrie ed energia e i costi di quella da rinnovabili sono per loro insostenibili.
Veniamo alle singole questioni di fondo.
LA QUESTIONE DEMOGRAFICA
Come fa notare il rapporto WEO (World Energy Outlook) del 2018 ogni anno, in seguito alla crescita demografica mondiale, si aggiungono 90 milioni di potenziali consumatori agli oltre 7 miliardi e mezzo di emettitori di gas serra. Inoltre, poiché' tra i principali obiettivi delle Cop vi sono (articolo 2 dell'accordo di Parigi)"gli sforzi tesi a sradicare la povertà' su una base di equita' e nel contesto dello sviluppo sostenibile", fino a prova contraria sradicare la povertà significa aumentare i consumi e con essi l’uso di energia. A meno che gli esperti dell'Onu abbiano qualche bacchetta magica come la fata Turchina che consenta di aumentare il benessere senza aumentare i consumi.
Si legge, nel medesimo rapporto WEO un paragrafo dal titolo: “Il fabbisogno energetico mondiale continua a crescere, ma milioni di persone non hanno ancora accesso all’energia” (secondo alcune statistiche più' della meta' della popolazione africana -ad esempio- non ha accesso, o ha solo un accesso parziale, all'energia elettrica). In tale paragrafo si precisa che nel 2016 a 1,2 miliardi di persone non arrivava l’elettricità e che tale numero si auspica possa scendere a 500 milioni nel 2040 grazie a massicci interventi di aumento della produzione di energia. Si stima, nel rapporto, che le popolazioni africane in seguito allo sviluppo dell'agricoltura e dell'industria aumenteranno di molto le richieste e che solo per combattere il caldo necessiteranno di milioni di condizionatori. La crescita attesa della popolazione nelle regioni più calde dell’Africa implica che, "entro il 2040, quasi mezzo miliardo di persone in più potrebbe aver bisogno di sistemi di condizionamento dell’aria o di altri servizi per il raffreddamento degli ambienti.” Ma non solo l'Africa: " Al 2040 la domanda di elettricità per l’utilizzo di condizionatori in Cina superera' l’attuale consumo elettrico del Giappone”. In seguito alla continua inarrestabile crescita della popolazione (basti pensare anche all'India) ci sarà' bisogno di molta energia a basso prezzo. La diffusione mondiale dell'agricoltura intensiva necessitera' di forti approvvigionamenti di energia e l'uso estensivo della chimica.Le industrie nascenti in molti paesi africani o asiatici avranno bisogno di materiali, tecnologie ed energia facilmente disponibile e a prezzi bassi. Purtroppo l'energia più' economica, nonostante tutte le precedenti stime ottimistiche, continueranno ad essere i combustibili fossili: “Con gli Stati Uniti che rappresentano l’80% dell’aumento della produzione petrolifera mondiale da qui al 2025 e che mantengono una pressione al ribasso sui prezzi nel breve termine, il mondo non è ancora pronto per dire addio all’era del petrolio.” (rapporto WEO 2018).
Gli USA con l’invenzione del fracking hanno trovato il modo di succhiare al pianeta anche le più recondite riserve di petrolio e di gas, in modo da protrarre il più a lungo possibile l’agonia della biosfera. Ma finche' ci saranno paesi in sviluppo con tassi di natalità' elevati ci sarà' sempre bisogno di energia a basso costo (le rinnovabili hanno tuttora una produzione di energia a costi insostenibili per i paesi emergenti con alta crescita demografica).
L’Outlook del 2017 ci informa inoltre che “il parco automobili mondiale raddoppia da qui al 2040, raggiungendo i 2 miliardi di veicoli”, e le popolazioni dei paesi in sviluppo chiedono sempre più' auto per la propria mobilita'. Faccio presente che l'auto elettrica non e' una risposta al problema visto che, secondo statistiche ufficiali, l'80% dell'energia elettrica viene tuttora prodotta da centrali a carbone. Conclude il rapporto WEO: “i redditi crescenti e l’incremento della popolazione mondiale di 1,7 miliardi di persone, le quali si insedieranno principalmente nelle aree urbane delle economie in via di sviluppo, determinano un aumento della domanda energetica mondiale di oltre un quarto da qui al 2040.” Un epitaffio sulla lapide delle speranze degli ecologisti della decrescita felice, che credono che basti bloccare lo sviluppo industriale e la produzione in occidente per arrestare l'aumento della polluzione di carbonio e il global warming.
L'INSUFFICIENZA DELLE RINNOVABILI
Come dimostrano le scelte energetiche di Cina ed India basate su carbone, gas e petrolio -oltre al nucleare- le rinnovabili non riescono ancora a produrre energia nella quantità' necessaria e a costi convenienti. Il fatto che la Cina sia il massimo produttore mondiale di pannelli solari ed eolico, non ha indotto il gigante asiatico ad adottare su larga scala le rinnovabili (in gran parte destinate all'esportazione). Affidabilità', quantità' tuttora bassa della produzione energetica e costi elevati sono le cause delle scelte del governo cinese. Riguardo alla svolta green della Germania il rapporto del WEO e' molto chiaro: “L’eolico e il solare tedesco costano il triplo del nucleare francese e dureranno la metà del tempo".
Anche qui l'impostazione ideologica pro-rinnovabili dei principali movimenti verdi non fa vedere la realtà'. La produzione di energia da fonti rinnovabili non e' sufficiente e a costi compatibili ad assicurare lo sviluppo e la sussistenza delle nuove economie dei paesi che stanno uscendo dall'arretratezza e dalla poverta', in presenza di una popolazione in continua crescita e con richieste di consumi e benessere crescenti. La transizione energetica da fonti fossili a fonti rinnovabili non potrà' che essere lenta e supportata da una vigorosa politica (e qui stiamo tutti a vedere quello che faranno i sapientoni dell'Onu...) di controllo delle nascite e di rientro demografico, senza il quale nessuna svolta carbon free sarà' possibile. Cruciale sarà', a mio modo di vedere, un supporto transitorio del nucleare sicuro, fino alla disponibilità' delle centrali a fusione, di cui pero' allo stato non e' possibile prevedere i tempi di realizzazione e la fattibilità'.
Che le rinnovabili non servano attualmente a rimpiazzare l'energia necessaria ce lo indicano i prezzi del petrolio ancora sostenuti (110 dollari a barile) e stabili ed anzi in lenta crescita. La produzione infatti ha raggiunto da qualche anno un plateau nonostante il fracking, e i prezzi ne risentono. Le compagnie sono alla continua frenetica ricerca di nuovi giacimenti. La richiesta mondiale e' in continua e forte crescita e alcuni politologi parlano di future guerre per le risorse. L'attivismo militare della Turchia di questi giorni volto ad avere il controllo delle piattaforme del mediterraneo orientale e dei giacimenti libici, oppure i movimenti delle flotte iraniana, americana e russa nel golfo persico per assicurarsi il controllo delle rotte del petrolio sono un esempio e un preoccupante preludio di quello che ci aspetta. Il ruolo delle rinnovabili, e' evidente, non sembra incidere significativamente sulla richiesta e sui consumi sempre crescenti di petrolio e gas.
LE MEGALOPOLI
La crescita della popolazione si e' strutturata ormai da alcuni decenni sulle megalopoli. La crescita di queste enormi concentrazioni umane e' strutturale, basata su motivi economici e di ottimizzazione tecnologica, ed e' divenuta funzionalmente autonoma. La megalopoli e' un organismo che alimenta se stesso,con la continua espansione delle infrastrutture, del tessuto industriale, dei centri commerciali, dei servizi, delle funzionalita' volte ad assicurare e implementare la convivenza in spazi controllati di milioni di persone. Insieme ad una vita accettabile, regolamentata secondo ritmi stabiliti e facilitata da strutture tecnologiche di servizio per grandi masse concentrate, la megalopoli organizzata su modelli ormai uniformi su scala planetaria produce, anche in presenza di aspetti caotici e sregolati come le periferie degradate e le bidonville, i suoi modelli volti ad ottimizzare la produzione e il consumo di massa globalizzato. La pubblicità', le mode e le realtà' virtuali sono tutti aspetti finalizzati ad un forte aumento di consumi , di cui la produzione e lo scarto costituiscono fattori accessori. Non e' un caso che la produzione può essere indifferentemente spostata in luoghi diversi del pianeta rispetto al luogo di fruizione. E neppure è un caso che l'aspetto più evidente delle megalopoli moderne è l'enorme massa di rifiuti la cui collocazione e rimane un problema di difficile soluzione in molte realtà' megapolitane. Queste tecnostrutture umane finiscono così con il crescere circondate dalle proprie deiezioni. La megalopoli, per offerte economiche, di lavoro, e disponibilità' di servizi funziona come un attrattore sulla crescita umana, ed e' alla base delle migrazioni interne ed internazionali. Così masse di individui si spostano verso le opportunità offerte dalla grande città e l'organismo megapolitano cresce in maniera inarrestabile consumando territorio, cementificando, emanando tossici, inquinando con polluzioni chimiche aria, acque e suoli. Con il concetto di megalopoli si allude non solo alle grandi città', ma anche a quei concentrati urbani che vedono di fatto l'unione di città' medie disposte a distanze brevi, come avviene in Italia o in Germania. La stessa campagna con molte costruzioni e ad alta densità'antropica puo' rientrare in questo tessuto megapolitano. Il mostro cresce con propaggini tentacolari annientando paesaggi, verde , distruggendo boschi, fonti, ruscelli, tutto ricoprendo con la patina grigia del cemento. La megalopoli diviene un attrattore anche per motivi culturali: la vita nelle grandi città' moderne e' un modo di vivere, anzi "il modo di vivere", l'unico concepibile per miliardi di persone, con una straordinaria potenza uniformante sui costumi, sulla cultura, sui consumi, sulla occupazione del tempo, sull'immaginario collettivo. E' il modello che assicura la massimizzazione di produzione e consumi, il mercato e la produzione di massa, la globalizzazione dell'economia, delle imprese e dei poteri finanziari. C'e' un legame strutturale tra imprese multinazionali, la finanza internazionale e il mercato globale con le megalopoli del pianeta. Non c'e' globalizzazione senza megalopoli. Questi organismi di cui le persone divengono strumenti, sono intrinsecamente conformati per crescere e somigliano ad enormi buchi neri che assorbono energia e la richiedono in modo continuo e crescente. La concentrazione delle strutture edilizie, commerciali, produttive, di mobilita', assorbe energia con voracità'e con la propria espansione espande la richiesta. Accenno soltanto in questa sede al tema di quanto la civiltà' delle megalopoli e la conseguente produzione di massa influiscano sull'aspetto politico contemporaneo della crisi delle democrazie liberali e l'estendersi del modello dello Stato autoritario. Pensiamo ad esempio a quanto la brutale repressione di Hong Kong e' passata senza che l'Occidente abbia accennato ad una reazione ma nel silenzio quasi assoluto, tanto e' il timore che le imprese europee ed americane con i loro milioni di occupati perdano l'accesso al mercato cinese. La dimensione stessa delle economie ne fanno, al tempo delle megalopoli, armi geopolitiche, attribuendo allo Stato un ruolo interventista su settori strategici della produzione e a favore di uno sfacciato protezionismo. Si richiedono quindi governi forti che impongono protezionismi e mantengano il controllo delle tecnologie e delle loro trasformazioni e guidino i processi che influenzano i mercati. Non solo la Cina, ma persino gli Stati Uniti, con la vittoria di Trump (o il Brasile di Bolsonaro o, per certi aspetti l'India) sono esempi di questa deriva autoritaria. Sperare in un depotenziamento delle megalopoli nello strutturare la crescita umana, tornando a modelli pre-industriali o peggio tipici di società' a bassi consumi come quella contadina-agreste e a basse richieste energetiche (per cui siano sufficienti le produzioni da rinnovabili), e' una pia illusione cui solo cappuccetto-rosso Greta o i verdi delle fate turchine possono indursi a credere. Il mondo non e' naif come pensano Latouche e gli ecologisti della decrescita, tutt'altro, e forse un viaggio in Cina -dove vive un quinto della popolazione mondiale- o nella Russia di Putin alla continua ricerca di nuovi giacimenti , o anche nelle bidonville africane in piena crescita demografica, potrebbe chiarire loro le idee sul tipo di mondo che si avvia al cambiamento climatico nonostante le riunioni infruttuose e inutili delle Cop. Quando vedo personaggi di cultura come scienziati o politici di un certo livello ipotizzare soluzioni che richiamano al passato preindustriale o presuppongono un mondo arcadico che funzioni con i pannelli solari, e allo stesso tempo tacere sul problema demografico come fosse un tabù' impronunciabile, perdo ogni speranza che si possa fare ancora qualcosa per la salvezza di questo pianeta.
Le conferenze sul clima, gestite dall'Onu, e da ambientalisti che non hanno affrontato il tema centrale alla base del collasso ambientale, quello della eccessiva crescita della popolazione umana sulla terra, e interessati solo alla affermazione ideologica di un antioccidentalismo di moda, non hanno portato così' a soluzioni concrete e sono miseramente fallite. Senza una lotta a fondo contro la eccessiva natalità' della specie Homo non ci sarà' alcuna possibilità' di fermare il riscaldamento climatico e le polluzioni di carbonio, ne' sarà' possibile ridurre l'inquinamento ambientale.
domenica 8 dicembre 2019
L'Europa: finanza e culle piene
Gli organismi internazionali Fmi, Commissione Ue, Ocse e i vari burocrati del potere finanziario europeo e internazionale esprimono i dubbi sul futuro del nostro paese. Questi dubbi, che condizionano negativamente i giudizi delle società' di rating e dei mercati , con le note conseguenze sullo spread, si basano su criteri elaborati dal Working Group on Ageing (Wga), di cui si avvale l'Unione Europea per formulare le raccomandazioni ai singoli paesi. Il Wga ha sul nostro paese una visione negativa di fondo: produttività', crescita e occupazione sono stimate al di sotto delle medie europee perche' subiamo tutti gli effetti negativi dell'invecchiamento e l'arresto delle curve di crescita demografica. Cio' fa capire in modo chiaro che cosa i burocrati europei auspicano per l'Italia e il continente europeo: una crescita continua basata principalmente sulla crescita demografica, cioè'l'aumento continuo dei consumatori e dei produttori che assicurino una crescita economica basata sulle curve in salita di produzione e vendite. Talmente gli organi di Bruxells vedono le soluzioni su sviluppo e mercato del lavoro legate alla demografia, che apertamente chiedono l'inversione delle politiche demografiche con incentivi alle nascite e proposte che portino all'aumento della densità' demografica su aree già' densamente popolate come quelle della nostra penisola o del continente europeo. Per chiarire meglio la loro visione pongono poi la solita domanda: con queste poche nascite in Italia la spesa pensionistica sarà' sostenibile in futuro?
Veniamo ai singoli punti del documento della Wga a margine del bilancio italiano. Sulla base delle previsioni dell'Istat, la Ue e gli organismi internazionali ci penalizzano nei giudizi per la riduzione della popolazione, che dagli attuali 60,5 milioni scenderà' nel 2045 a 59 milioni (sic) a causa del basso tasso di fecondità' (che pure aumenta da 1,34 a 1,53 figli per donna - soprattutto per i tassi di fecondità' dei figli degli immigrati). Ma, e qui si viene al succo della visione che gli euroburocrati hanno del futuro dell'Italia e del continente, dicono i documenti Wga, la causa principale del giudizio negativo e' la riduzione della immigrazione da 340 mila ingressi netti l'anno (2014) a 191 mila (2017) e anche molti meno negli anni successivi, fino alle poche decine di migliaia dell'anno scorso. Questa, dicono alla Ue, e' la vera disgrazia dell'Italia che si ritrova così' con una popolazione in decrescita (anche se lentissima) e in progressivo invecchiamento e manca la sostituzione della popolazione invecchiata da parte di nuove generazioni straniere. E si sa che i vecchi spendono meno, acquistano meno, viaggiano meno, insomma consumano meno di una popolazione più' giovane e con numerosi figli.I vecchi inoltre non lavorano e non fanno massa di lavoro, e quindi non contribuiscono a ridurre il costo della mano d'opera. Tutto questo, ricordo, viene pubblicato e affermato dai poteri finanziari e burocratici europei proprio mentre a Madrid si discute alla Cop 25 di come ridurre i consumi impattanti sulle emissioni di carbonio per fermare il riscaldamento climatico. Una contraddizione in termini, una assurda aporia che fa cadere la maschera verde dei cosiddetti ecologisti europei che sarebbe meglio rinominare ego-logisti. Ecco allora che le grandi menti green dell'Ue propongono adeguate politiche familiari e di conciliazione vita-lavoro allo scopo di favorire nei prossimi anni l'aumento della natalità' con riflessi positivi di cui potremo godere nel 2045-50 (se il pianeta ancora esisterà' o non sarà' invece ridotto, come Venere, ad una palla circondata da gas incandescente). Ma le proposte degli euroburocrati non si fermano qui: si potrebbe incentivare l'arrivo e la regolarizzazione di milioni di immigrati per riportare le curve demografiche e la produzione in crescita. Per la sola Italia si potrebbero, ad esempio, regolarizzare 500 mila immigrati che sono attualmente irregolari favorendo magari quelli che già' lavorano. Di colpo aumenteremmo il tasso di occupazione e la popolazione, diminuiremmo l'eta' media italiana e migliorerebbe il rapporto attivi-pensionati. Ma non basta, si auspicano bandi di apertura delle frontiere a migliaia di potenziali lavoratori stranieri ( quali lavoratori se in Italia già' non c'e' lavoro?) auspicando l'arrivo di specialisti: di fatto e' arcinoto a tutti che i barconi in arrivo abbondano di tecnici specializzati.
Quello che in conclusione si deve notare e' che manca in Europa una vera cultura ecologista, che guardi alla riduzione della pressione antropica sul territorio e sull'ambiente naturale come unica strada verso il contenimento del riscaldamento del clima e del disastro ambientale. Quello che e' una benedizione, la riduzione della crescita demografica, viene visto come un ostacolo allo sviluppo e al Pil, alla faccia della riduzione delle emissioni di carbonio e della salvezza planetaria. Proliferano invece gli ego-elogisti che puntano ai profitti della grande finanza e delle banche e alle vendite di massa delle imprese capaci di resistere ai mercati globalizzati. Magari dietro la retorica delle rinnovabili, delle Cop e delle Grete di turno.
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