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domenica 27 gennaio 2019
Il confine
(Un tratto del Muro al confine con il Messico)
Per molto tempo i confini hanno funzionato per proteggere le società' umane provviste di storia e tradizioni dalla distruzione ad opera di popolazioni interessate a depredarne risorse ed appropriarsi dei luoghi. Gli esempi storici sono numerosi, dalle mura delle citta' stato orientali, alle mura delle polis greche, dalla frontiera sul Reno nell'epoca Romana, alla grande muraglia cinese contro le popolazioni mongole che premevano sui confini imperiali. Poi i confini statali nazionali che nell'ottocento hanno creato le premesse della grande espansione economica e politica europea fino ai conflitti mondiali del novecento.Per decenni, nel dopoguerra, la cosiddetta cortina di ferro ha protetto le economie liberali dal comunismo statalista. Poi i confini sono stati rapidamente spazzati via, in pochi decenni, dal turbocapitalismo mercatista che politicamente ha assunto il nome di globalizzazione. Cio' che non era riuscito agli eserciti e alle orde di invasori e' riuscito alla travolgente espansione planetaria dell'antropizzazione accelerata sotto il dominio della tecnica.
Oggi c'e' un fatto nuovo: l'apparato mondialista scricchiola pericolosamente. A Davos si riunisce il gotha della finanza globalista e le elites governative che difendono la mondializzazione dell'economia. Tutti sono preoccupati dal ritorno di uno spettro : il confine. A Davos, persino a Davos, sta accadendo qualcosa di inaspettato, si notano alcune assenze clamorose: Trump e Teresa May non si presentano. Si aggiunge l'inaspettata assenza di Macron perché impegnato in patria dalla contestazione dei gilet gialli. Bolsonaro, con il peso del suo Brasile, andrà per osteggiare il pensiero dominante globalista. Nessuno come la grande finanza sovranazionale (a cui si aggiungono le stesse Banche centrali dei principali protagonisti mondiali del mercato) teme il ritorno delle frontiere. L'enorme macchina creata dalla tecnoscienza con l'obiettivo di globalizzare il pianeta sotto il dominio dell'ideologia antropocentrica produttivista trova una crescente resistenza da parte di oppositori (per lo più negli ex paesi avanzati ora in crisi) determinati a riportare la sovranità nazionale. Questi oppositori, stranamente, non provengono dalla parte da cui intellettuali e politici si aspettavano arrivassero. L'opposizione al gigantismo affaristico e al libero spostamento di merci e umani nell'ottica di una antropizzazione generalizzata del pianeta ci si aspettava venisse dai movimenti ambientalisti e di sinistra interessati alla salvaguardia dei paesaggi, delle aree verdi e dell' ambiente naturale. Anteporre ai valori ambientali la possibilita' di tutti i popoli di prolificare e di spostarsi senza limiti sulla superficie della Terra e la libertà' della industria e della finanza di agire su scala planetaria, ha poco di ecologico e molto di antropocentrico. Al contrario, l'opposizione che sta riscuotendo i maggiori successi popolari alla ideologia mondialista, viene da movimenti e da politici che rivalutano un archetipo delle società' umane e della storia: il confine. Il confine corcoscrive il "piccolo mondo" della propria terra e cultura rispetto al "grande mondo" globalizzato. Nel grande mondo le aziende possono crescere, massimizzare la produzione di serie, i commerci prosperare senza dazi e senza frontiere, le genti spostarsi per aumentare consumi e produzione: il grande mondo e' in linea con la prospettiva di un gigantismo produttivo e di una antropizzazione planetaria senza limiti. Il piccolo mondo circoscritto dai confini ha produzioni limitate, in parte artigianali, le importazioni possono essere gravate da dazi, limitazioni di cambio e di prezzi, l'agricoltura meno industrializzata, con un maggiore controllo paesaggistico, le genti non sono libere di spostarsi ma soggette a permessi temporanei,ad accordi tra nazioni, l'antropizzazione rimane locale soggetta a limiti ambientali di risorse e di economie. Di fronte al crollo ambientale procurato dal grande mondo della produzione totale, del libero mercato e e della sovrappopolazione, i sostenitori del ritorno del valore legale e materiale del confine sostengono che a difesa dell'ambiente e della dimensione umana delle città e dell'economia bisogna difendere il piccolo mondo del proprio popolo, della economia nazionale e della cultura locale. Ogni discorso di decrescita (compreso il ritorno ad una economia della produzione agricola locale) non può prescindere dal ritorno del confine come valore e come entità giuridica di un ordine statuale legato al territorio. In questo senso sono valorizzate e riscoperte le idee di un ecologista austriaco che per primo parlò di decrescita in un senso ben diverso rispetto agli ecologisti globalisti attuali: Friedensreich Hundertwasser (Vienna 1928-2000), che richiamava l'attenzione degli ecologisti sui pericoli di una ideologia mondialista totalizzante e indicava nel ritorno ai luoghi, alla terra intesa come piccola patria, luogo originario, e ai confini che proteggessero la diversità delle storie e delle culture, un modo per tutelare anche la natura, che non è mai un concetto generale e totalizzante, ma e'sempre una appartenenza, un luogo determinato, una identita'.
Contro le demagogie prima cristiana e marxista, poi turbocapitalista dell'umanità' come comunità' globale, gli oppositori alla globalizzazione riscoprono la sovranità' dei popoli, delle comunità' locali, l'appartenenza storica, le tradizioni, la cultura della differenza. Il confine e' la barriera legale e materiale che ci restituisce una identità, protegge la differenza di ogni cultura locale contro la omogeinizzazione mondialista produttivista-consumista. In campo economico, dove il globalismo ha trionfato spinto dal mercato globale e dalla planetarizzazione del capitalismo, il confine e' l'unica difesa contro lo strapotere della grande macchina produttiva e del grande apparato mercatista.
I confini sono stati spazzati via negli ultimi decenni da due fenomeni che sembravano (e ancora sembrano) inarrestabili: la scomparsa della moneta e la libera migrazione di merci e popoli, sancita dai regolamenti del WTO. Con l'accordo di Bretton Wood che stabili'la convertibilità' fissa dollaro-oro fu dato il via al mercato globale, in cui la moneta locale era sostituita da una moneta virtuale convertibile in un valore equivalente in ogni parte del mondo, preparando così' i pagamenti reali con pagamenti virtuali on line (dematerializzati), facendo del mondo un grande mercato. Ma insieme alle merci, la globalizzazione ha imposto la libertà' di spostamento dei produttori-consumatori (l'apparato globalista si serve ipocritamente del termine persona come un velo di maya per nascondere l'estremo riduzionismo materiale in cui l'individuo umano e' ridotto a produttore-consumatore senza più alcuna mediazione culturale o storica).
La dimensione di questo apparato riguarda tutti gli aspetti del mondialismo: quello finanziario, quello industriale produttivo, quello del consumo, quello commerciale, quello strutturale, quello culturale. Al mondialismo appartiene la nuova ideologia dei diritti di homo globalis: in base a questa ideologia totalizzante ogni differenziazione culturale o identitaria locale e' potenzialmente criminale. Chi specifica e difende le appartenenze o le culture locali viene tacciato di razzismo tout court. La difesa della identità' locale e' apertamente condannata e punita da corti nazionali o internazionali (come il tribunale internazionale europeo per i diritti umani dell'Aja). Tipici del mondialismo sono il gigantismo e l'uniformizzazione. Gigantismo, piuttosto che monopolismo, in quanto ciò' che si ingrandisce e' la struttura piuttosto che la proprietà'. Le imprese si diffondono in tutto il globo, con miriadi di sedi sia virtuali che materiali, con una organizzazione verticistica ma un azionariato diffuso e mobile. Le città' si espandono verso la dimensione di megalopoli. La società' si organizza in alveari che consentono la stretta convivenza di milioni di consumatori-produttori, con servizi intercollegati, e strutture di servizio che antropizzano ogni territorio. Questa organizzazione avviene nella forma della uniformizzazione planetaria. La societa' umana assume le stesse strutture in ogni parte del mondo. L'individuo e' in teoria libero, ma in realtà' e' inserito in un formalismo comportamentale di estrema rigidita'. Le culture e gli stili di vita perdono ogni differenza. O meglio: l'unica differenza e' dettata dalla "moda" che e' un aspetto del mercato. I prodotti si standardizzato secondo i dettami della produzione di massa e del mercato globale. L'architettura, divenuta nel frattempo non più' scienza dell'abitare, ma scienza del vendere, , si omogeinizza in tutte le regioni del mondo, appiattendo il paesaggio urbano e delle periferie in una alienante uguaglianza di stili senza più differenze anche tra aree del pianeta molto distanti. Il grattacielo e' la dimensione unica dell'espansione megapolitana commerciale, in simbiosi con la periferia bidonville, in una specie di dualismo strutturale e sociale che contraddistingue la città' contemporanea, in cui l'unica dimensione rimasta e' il successo o l'insuccesso commerciale. L'ambiente e' la prima vittima dalla globalizzazione: la necessita' di trasporti rapidi estende le infrastrutture con autostrade, parcheggi, TAV, gallerie. Si traforano montagne distruggendo paesaggi, valli, fonti, boschi, declivi montani con cementificazioni, ponti, gallerie, tralicci, aree di servizi, parcheggi, centri commerciali, stazioni. Ogni città', anche piccola necessita di un aeroporto con le strutture di supporto, distruggendo ciò' che resta delle aree verdi e del paesaggio naturale intorno alle città'. Il cielo e' un proliferare di linee aeree sempre più fitte con motori al cherosene che riempiono l'atmosfera del pianeta di gas tossici, gas serra e particolati. Il commercio e i viaggiatori per via aerea sono in continua espansione: nuovi regolamenti moltiplicano linee e quote aeree, e giganti del cielo si sfiorano con dislivelli di pochi metri emettendo fumi tossici senza alcun limite e controllo. Nella globalizzazione il suolo non e' più' superficie naturale del pianeta, ma diviene superficie produttiva, commerciale. Intere regioni, spesso coperte di foreste, sono spianate e messe a produzione o divengono infrastrutture o edificate. Il naturale non rende, il cemento produce reddito e commercio. Solo i parchi turistici si salvano dalla desertificazione mercatista (e appena il caso di ricordare la devastazione dell'Africa in atto da parte di imprese commerciali cinesi).
Funzionale a tutti questi aspetti della globalizzazione e' la sovrappopolazione e l'esplosione demografica, che assicurano il carburante al motore della grande macchina. Tutte le terre del pianeta sono state esplorate e sfruttate, oggi non resta che aumentare la popolazione di umani per aumentare consumi, mercato e produzione.
Poiche' tutto e' gigante, uniforme e senza limiti, l'unica opposizione a tutto questo e' la reinvenzione del limite. La rinascita del limite e' stato un movimento che è nato dal basso, cresciuto spontaneamente in seguito al crollare dei modelli tradizionali, al sempre più evidente collasso ambientale, all'esplodere del problema dei rifiuti e delle discariche, dei tossici, delle polluzioni di anidride e altri gas dannosi, a cui il modello globalista produttivista stava conducendo. È stato un movimento di opinione cresciuto fuori delle accademie,tra lo stupore attonito degli intellettuali politically correct, tutti schierati sul fronte dei diritti di Homo (Homo globalis) e della globalizzazione . L'aspetto più' chiaro e definito di questo limite e' la necessita' di ristabilire il confine. Non a caso questi movimenti sono definiti dagli intellettuali mainstream, "populisti". La perdita di identità' e la trasformazione del cittadino da persona con una sua storia e appartenenza in consumatore-produttore senza storia e senza appartenenza ha prodotto alienazione e spaesamento soprattutto tra le classi popolari. Finche' il consumismo ha funzionato, il globalismo e' stato incontrastato. Ma quando la crisi finanziaria ha prodotto crisi economica sulla massa di consumatori, gli ingranaggi del meccanismo gigantesco si sono inceppati. Di fronte alla disoccupazione, alla fuga delle fabbriche, alla invasione di merci straniere a basso costo e alla immigrazione libera, la gente ha guardato al confine come unica difesa. I lavoratori delle imprese americane in crisi hanno votato per il ritorno del controllo dello spostamento delle merci e per l'imposizione di dazi,per la difesa delle produzioni locali, eleggendo Trump. In Europa, dove i burocrati di Bruxelles erano arrivati all'assurdo di accusare di razzismo i governi che nelle proprie leggi richiamavano il concetto di nazionalità' (si e' arrivati all'assurdo di vietare ad esempio in Italia di offrire case di proprietà' pubblica a cittadini "italiani"), i movimenti che prevedono la reintroduzione dei confini sono in continuo aumento: In Inghilterra hanno determinato la Brexit, In Polonia, Ungheria, Italia e Francia l'avanzata di forze politiche sovraniste.
Il confine e' l'unico argine al globalismo e alla dittatura del mercato. La diversificazione delle culture e la formazione e conservazione di tradizioni locali non possono prescindere dal confine.
La globalizzazione, con la libera circolazione dei consumatori produttori, e' uno dei meccanismi di fondo della crescita sproporzionata della popolazione umana sul pianeta. Uno dei meccanismi fisiologici che controllano la popolazione e' infatti il rapporto tra tasso di natalità' e risorse locali. La disponibilità' di risorse (cibo, acqua, abitazione ecc.) e di opportunita'(lavoro, istruzione, sanità' ecc.) condizionano i tassi locali di natalita'assicurando un rapporto equilibrato. La mobilita' globale ha rotto questo sistema naturale di controllo, permettendo la sussistenza economica in ogni area del pianeta mediante emigrazioni e rimesse, e mantenendo l'esplosione demografica degli ultimi decenni (nata in origine in seguito allo sviluppo della tecnologia moderna) . Il modo per ripristinare il controllo demografico locale e' la reintroduzione dei confini. Come aveva previsto Asimov l'ideologia mondialista ha prodotto una umanità' fatta di numeri senza radici, in cui la vita umana ha un valore semplificato e relativo alla produzione e al consumo. Rinunciare ai confini ci ha privato della nostra storia e ci ha ridotti ad otto miliardi di replicanti.
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