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mercoledì 25 luglio 2018
La privacy: un mondo di automi
La grande maggioranza degli otto miliardi di umani vive già nelle megalopoli. Questi mostruosi agglomerati umani rendono la vita dell'uomo simile a quella di un automa. Le incombenze giornaliere sono standardizzate, le occupazioni ripetitive, il tempo già organizzato per gran parte del futuro che resta da vivere a questi uomini-macchina. Questi mostri di cemento, le moderne megalopoli, non sono che agglomerati di consumatori. L'uomo nella megalopoli raggiunge il massimo della sua massificazione: l'individuo perde la sua individualità per divenire consumatore medio, un prodotto della tecnicizzazione del mondo in cui ogni momento della vita è organizzato da un gigantesco meccanismo che si basa su due requisiti. Il primo è la densità demografica, cioè per reggersi il meccanismo ha bisogno di un numero gigantesco di consumatori concentrati in aree che consentano al meccanismo produzione-consumi di dare il massimo rendimento. Il secondo requisito è una ideologia massificante che renda totalitaria l'organizzazione politica mantenendo l'apparenza della libertà. Questa ideologia ha un nome preciso: la privacy, che è il fondamento del mercato in quanto il consumatore non deve avere identità ed essere completamente manipolabile.Il consumatore medio per essere manipolabile deve essere una monade, una singolarità chiusa nella sua cella virtuale fatta di consumi indotti e rapporti virtuali (ad esempio i social di internet). A questo scopo è necessario togliere la storia personale e consegnare l'individuo, privato dei suoi dati identitari, al potere senza limiti del mercato. La privacy viene presentata al cittadino come un diritto. Nella società massificata si parla di altisonanti diritti dell'uomo, diritti inalienabili ecc. Banalmente si tratta di diritti del consumatore medio che in realtà sono i diritti dei grandi produttori e gestori dei consumi.
L'azzeramento della storia personale e la creazione del consumatore medio è funzionale ad una produzione dei grandi numeri e a consumi standardizzati gestiti dalle grandi organizzazioni del mercato. In questo contesto lo Stato diviene un ente banalmente neutro, di pura regolazione del flusso dei consumi e deve perdere ogni carattere di nazionalità o di sovranismo localizzato. Appartenenza ad un determinato territorio e confini perdono di significato. La storia rielaborata dai media scade a cronaca, cronaca dei consumi e dei gusti. Nella privacy ogni individuo è uguale all'altro, e nello stesso tempo isolato nel suo mondo virtuale di bisogni indotti. Lo Stato è sempre più una tecnocrazia mentre il potere vero, dove si dettano le regole politiche generali, è sovranazionale e globalizzato. La libertà personale è tollerata se relegata al privato e mantenuta fuori dal circuito mediatico tramite la privacy.Si tratta di un'apparenza di libertà in quanto il privato è anch'esso massificato dal gigantesco meccanismo della produzione-consumo. L'interesse per l'arte e la musica sono definiti hobby e divengono mercificati nei grandi eventi, dove migliaia di cittadini consumatori fruiscono del bene culturale divenuto anche esso una merce come le altre (un simile modello vale anche per gli eventi sportivi). L'individuo consumatore crede così di vivere una sua storia culturale fatta di gusti e approfondimenti personali che nella realtà gli sono stati preconfezionati e somministrati dall'industria culturale e del tempo libero. I social del web che rappresentano un mezzo per indirizzare i gusti del "pubblico" sono discretamente ma rigidamente eterodiretti. Con la privacy la morte e la malattia divengono eventi neutri da nominare con giri di parole e circonlocuzioni. La morte e le malattie deprimono gli acquisti, ed è necessaria una gestione asettica del problema per non incidere sul mercato. Nella privacy persino il nome diviene segreto e sconveniente. Nelle strutture pubbliche e private di servizi si danno disposizioni per non chiamare più le persone con il loro nome: si designano con un numero o con l'orario di accesso.Formalmente per proteggere la riservatezza del cittadino (la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni), in realtà per togliere alla persona il potere evocativo del nome rispetto alla propria storia e libertà individuale. Chiamando qualcuno con il suo nome si rischia di ridare una identità all'individuo-massa. L'automa delle megalopoli rischierebbe di ricordarsi di essere potenzialmente un uomo libero.
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<< Nella privacy persino il nome diviene segreto e sconveniente. Nelle strutture pubbliche e private di servizi si danno disposizioni per non chiamare più le persone con il loro nome: si designano con un numero o con l'orario di accesso (...), in realtà per togliere alla persona il potere evocativo del nome rispetto alla propria storia e libertà individuale. >>
RispondiEliminaCaro Agobit, ti confesso che a questo aspetto del problema privacy non avevo mai pensato.
In effetti è possibile che nella perdita dei nomi ci sia anche questa componente, ma forse la motivazione principale risiede nei grandi numeri.
Se il gruppo in cui vivo ha una dimensione modesta (il famoso numero di Dumbar) l'utilizzo del nome è certamente il sistema ottimale per interagire con le altre persone.
Ma se le persone con cui interagisco sono tantissime, l'utilizzo dei numeri diventa una scelta obbligata.
Purtroppo siamo diventati troppi e da questa premessa derivano quasi tutti i guai in cui ci troviamo.