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mercoledì 29 giugno 2016
La popolazione mondiale non si stabilizza
(Mappa delle Megalopoli)
La favola che la popolazione del pianeta si sarebbe stabilizzata a fine secolo si è pubblicamente rivelata quello che era: una bufala. Anche l’organizzazione delle Nazioni Unite che aveva contribuito a diffonderla ne ha preso atto e ha pubblicato nuovi dati che prevedono una popolazione ben superiore (da nove a undici miliardi) per la fine del secolo, come riporta l’articolo delle Scienze che riproduco qui sotto. Purtroppo la previsione di 11 miliardi è anch’essa ottimista, nel senso che ormai è dimostrato che quando aree con alti tassi di natalità si stabilizzano subentrano subito altre aree del pianeta che aumentano i propri tassi. Considerando l’alta mobilità della popolazione, queste aree di alta natalità, per lo più con risorse insufficienti, divengono aree di emigrazione verso quelle con tassi stabili. L’effetto complessivo è una crescita costante dell’antropizzazione di tutto il pianeta con effetti devastanti sull’ambiente, le risorse ambientali e la sostenibilità.
Quello che colpisce in questo quadro ormai riconosciuto dai maggiori esperti di demografia è l’assoluto silenzio della politica. Per i politici vige il politically correct per cui è assolutamente tabù parlare di tassi di natalità, di crescita di popolazione, di pressione antropica, di sostenibilità ambientale legata alla sovrappopolazione. Dai campioni del politically correct ci può al massimo essere un accenno alla eccessiva pressione dello sviluppo economico sull’ambiente, ma sul lato della popolazione vige la più completa cecità. L’equazione di Ehrlich che vede i consumi individuali medi moltiplicati per il numero complessivo degli abitanti è costantemente e volutamente dimenticata. Forse per timore di essere scambiati per razzisti o per non solidali (l’assoluto antropocentrismo che caratterizza la nostra epoca vieta ogni riferimento alla limitazione dei diritti umani, anche se riferita alla salvezza del pianeta) tutti tacciono nelle sedi istituzionali su questo tema. In primo luogo colpisce il silenzio tombale dei movimenti ambientalisti, la cui contraddizione è talmente evidente che questi movimenti cosiddetti verdi stanno ovunque declinando meritatamente nella insignificanza.
Eppure non sono mancati, anche nel secolo scorso, i richiami di molti intellettuali che hanno ricordato come l’enorme potere che viene all’uomo dall’uso della scienza e della tecnica deve essere accompagnato da una nuova responsabilità verso la natura, le piante e gli animali (tra tutti ricordo H. Jonas: il principio Responsabilità). Una nuova coscienza e una nuova morale più attenta all’ambiente e ai diritti delle altre specie deve essere assunta dall’uomo contemporaneo, altrimenti ci attende la rovina e la distruzione del pianeta e di tutte le specie viventi compresa la nostra.
Riporto l’articolo pubblicato sulle Scienze nel 2014 riguardanti le nuove stime Onu sulla sovrappopolazione mondiale.
“Nel 2100 la popolazione mondiale potrebbe arrivare a 11 miliardi di persone, con gravi ripercussioni per lo sfruttamento delle risorse del pianeta, lo sviluppo socioeconomico e la sostenibiltà ambientale. Lo afferma un nuovo studio delle Nazioni Unite e dell'Università di Washington, che aumenta di ben 2 miliardi di persone gli abitanti della Terra di fine secolo rispetto alle previsioni precedenti. Per cercare di mitigare il problema, le politiche globali dovrebbero puntare a una diminuzione del tasso di natalità dei paesi in via di sviluppo, puntando sull'incremento del livello di scolarità delle donne e sull'educazione alla contraccezione.
Undici miliardi di abitanti entro il 2100. È la previsione demografica elaborata in un nuovo studio dell'Università di Washington e delle Nazioni Unite pubblicato su “Science”. Si tratta di un valore medio: lo studio infatti stabilisce che c'è una probabilità dell'80 per cento che la popolazione sia compresa tra 9,6 e 12,3 miliardi. In ogni caso, la stima è di due miliardi di persone superiore rispetto alle previsioni precedenti, e quindi costringerà a rivedere molti altri parametri globali in termini di sviluppo socioeconomico e di sostenibilità ambientale delle attività umane.
“I modelli che negli ultimi vent'anni anni hanno ottenuto il più largo consenso prevedevano che la popolazione mondiale, oggi circa 7 miliardi di persone, dovesse raggiungere un massimo a 9 miliardi, oltre il quale sarebbe poi diminuita”, spiega Adrian Raftery, professore di statistica e sociologia della Università di Washington e coautore dello studio. “Abbiamo scoperto che c'è una probabilità del 70 per cento che la popolazione mondiale non si si stabilizzi entro questo secolo: questo significa che il problema demografico deve ritornare sull'agenda delle organizzazioni mondiali”.
L'analisi si basa sui dati demografici pubblicati dalle Nazioni Unite a luglio scorso. Le proiezioni indicano che la maggiore crescita sarà concentrata in Africa, dove la popolazione quadruplicherà, passando da circa un miliardo a circa 4 miliardi alla fine del secolo; più precisamente, la stima è data all'interno di un intervallo di valori: c'è una probabilità dell'80 per cento che nel 2100 la popolazione africana che sia compresa tra 3,5 e 5,1 miliardi di persone.
L'elemento fondamentale di questa previsione è che nelle nazioni
dell'Africa sub-sahariana il tasso di natalità non scenderà rapidamente come invece ipotizzato. In Africa, anche a causa dello scarso accesso ai metodi contraccettivi, le famiglie continuano a essere numerose, con una media di 4,6 figli per coppia. Allo stesso tempo la mortalità per malattie, come per esempio quella dovuta all'infezione da HIV, sta costantemente diminuendo, contribuendo alla crescita della popolazione. In Asia, dove oggi abitano circa 4,4 miliardi di persone, la crescita della popolazione dovrebbe toccare un picco nel 2050 per poi diminuire. Complessivamente la popolazione di Nord America, Europa e America Latina e Caraibi dovrebbe rimanere al di sotto di un miliardo di abitanti.
Le proiezioni contenute nello studio destano allarme soprattutto perché sulle stime dei livelli demografici sono basati altri parametri globali, che riguardano l'accesso alle risorse naturali e il loro sfruttamento, lo sviluppo socioeconomico e non ultima la sostenibilità ambientale.
Questi rapporti, tuttavia, servono anche per mettere in atto adeguate politiche che consentano di contenere l'esplosione demografica, essenzialmente mirate al contenimento della natalità nei paesi in via di sviluppo. Secondo, gli autori, sono due sono i fattori che consentono di diminuire il numero di figli per donna: un maggiore accesso ai contraccettivi e l'incremento del livello di scolarità delle donne. “
(Da Le Scienze n.346 ottobre 2014).
domenica 26 giugno 2016
L'illusione europeista
Il Brexit ha messo a nudo la profonda crisi di identità dell'Europa. Finiti i nazionalismi con le due grendi guerre mondiali del 900, ci si era illusi di poter fondare una unità politica del continente. Ma già nel dopoguerra ci si chiedeva su quali valori fondare l'auspicata unità delle nazioni pochi anni prima in guerra tra loro. Ciò che si è realizzato negli anni successivi è stato di creare un enorme apparato burocratico senza alcuna consistenza politica. Gli unici elementi unificanti sono stati una unione dei mercati (che è andata di pari passo con la globalizzazione), una moneta e una banca comune. La caduta delle frontiere, la inconsistenza politica, l'assoluta prevalenza degli interessi di mercato ha creato le condizioni per un afflusso migratorio senza precedenti, favorito dlla esplosione dei tassi di natalità in vaste aree del terzo mondo. La crisi economica, la sovrappopolazione del territorio, la cementificazione, la distruzione ambientale, la crecita delle megalopoli e delle periferie degradate è stata la conseguenza della confusione mentale e della mancanza di un disegno unitario nella creazione della cosidetta Unione Europea. Senza contare gli errori della aggregazione di nazioni tanto diverse e in situazioni economiche differenti che ha portato nel calderone europeo un numero spropositato di paesi di difficile o impossibile integrazione, rispetto ai sei paesi fondatori.
La crisi greca e ora l'uscita della Gran Bretagna sono l'annuncio della prossima fine dell'UE come è stata concepita fino ad oggi. E' finito il tempo delle illusioni e dei regolamenti parcellari sulla lunghezza delle zucchine e sulla curvatura delle banane. Suona la campana a morto anche per l'enorme apparato burocratico fatto di carrozzoni, doppioni e di incarichi inutili profumatamente pagati. Si tratta di creare una visione politica sul futuro europeo, una visione che non puo non essere legata alla storia e alla natura della terra europea (una volta magnifica ed oggi ridotta a una distesa di cemento). Senza questa visione, non ci sara' più alcuna europa unita. Meglio allora tornare alle vecchie nazioni, alle frontiere difese e controllate, alle identità nazionali, a mercati più ristretti ma efficienti, agli interessi delle singole zone europee. Si e voluto creare un cittadino artificiale di una unione artificiale i cui unici valori erano nel mercato e nella finanza. Come sempre accade quando non si da valore alla cittadinanza, i cittadini si sono moltiplicati fino ad arrivare a settecento milioni con la prospettiva di crescere rapidamente per ancora più massiccie migrazioni. La perdita di identità e di benessere è senza ritorno. O ci si ferma ora, o la disintegrazione europea esploderà in pochi anni.
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