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sabato 12 dicembre 2015

COP21. L'Affare della Green Economy

L'accordo alla conferenza Cop21 si dovrebbe concretizzare oggi. Si tratta di soldi: 100 miliardi di dollari l'anno a partire dal 2021 destinati ai paesi a scarsa industrializzazione per incentivare le tecnologie rinnovabili ed il risparmio energetico. Si attendono dagli investimenti in green tecnology ben 48 milioni di posti di lavoro in 5 anni.L'EU sovvenzionerà le rinnovabili con 73 miliardi di euro. La torta da spartirsi dunque è bella grossa e io credo che siano in gioco a Parigi più i miliardi di dollari di sovvenzioni, che la preoccupazione per il clima. Come sempre a muovere finanza, imprese e governi ci sono i miliardi di dollari. Quanto all'obiettivo che dovrebbe essere principale, cioè il mantenimento entro i due gradi dell'aumento di temperatura atmosferica, siamo al generico: si, forse, vedremo. Ci saranno conferenze che controlleranno i risultati step by step. Quanto dire "nulla di definito" se non i soldi da spartirsi. Non esiste nessuna restrizione vincolante sull'utilizzo di fossili, anzi vengono mantenuti 270 dollari per ogni cittadino del pianeta per incentivo sui fossili, bell'esempio di contraddizione nei termini stessi del problema. Verrebbe da dire che "E' l'economia, bellezza!". Le capacità di riconversione del capitalismo sono infinite. Fino ad oggi ha vinto tutte le sfide perché il sistema del libero mercato ha questa capacità darwiniana di adattarsi alle mutate circostanze e anzi di cavalcare i cambiamenti. Altro che crisi del capitalismo in seguito al collasso ambientale, come sperato da tanti verdi politically correct. La bestia è camaleontica e si trasforma rapidamente per cibarsi delle novità. L'affare delle rinnovabili e della green economy profuma di dollari e attrae investitori da tutto il mondo con vecchi apparati che si riciclano adeguatamente convertiti e sistemi finanziari che si riassettano su nuovi equilibri fossili-rinnovabili. I paesi industrializzati, fiutato l'affare, stanno riorganizzando la propria produzione per intercettare i nuovi mercati. La Cina ne ha fatto un obiettivo primario della propria economia, ma nel frattempo continua ad estrarre e bruciare carbone . I paesi in via di sviluppo si dedicano alla colpevolizzazione dei paesi ricchi sulle emissioni, onde ricavarne finanziamenti (che andranno in gran parte ai fossili). Molti boicottano, specie i produttori di greggio e carbone: Alcuni dell'EU, Venezuela, paesi arabi, Iran, Cina, Pakistan, sapendo che comunque la conferenza distribuirà miliardi ma non cambierà l'andazzo di fondo del mercato energetico. Poi ci sono i repubblicani americani che non credono al riscaldamento globale. Sono pochi a pensare che si possa arrivare ad un accordo sugli obiettivi climatici davvero vincolante per ben 195 paesi. Gli interessi sono troppo distanti, ad esempio non c'è solo la differenza tra i produttori di combustibili fossili e i non produttori, c'è anche quella tra i nuclearisti e i senza nucleare. Per alcuni il nucleare, a carbonio zero, è un'ottima risorsa per abbattere le emissioni, per altri è il demonio. Sui tempi di raggiungimento degli obiettivi c'è poi una vera babele di voci tra chi è pronto e tra coloro che non risultano aver messo in piedi alcun piano d'azione. In tutto questo, come dicevo, fiutato l'affare è il capitalismo che si muove. Stando ai report delle banche d'affari e soprattutto all'affollamento degli indici che fanno da termometro all'eco-sensibilità delle imprese, il mondo dell'industria si sta dando target concreti. Riconvertire la produzione con un impiego sempre più massiccio delle tecnologie cosidette low-carbon e liberare maggiori investimenti in efficienza e risparmio energetico è ormai un obiettivo di molte imprese. In particolare i mercati sostengono le quotazioni di quelle utility del settore oil & gas più attive nelle fonti di energia a basso impatto inquinante, come fotovoltaico, eolico, idroelettrico e nucleare. Ma non solo le utility, l'interesse va esteso per cominciare alle società di costruzioni e a quelle del settore dei trasporti, dai costruttori di aerei a quelli di automobili. Per gli areomobili, tra i maggiori consumatori di combustibile, si guarda alla realizzazione di velivoli sempre più leggeri in grado di volare con un minor consumo di jet fuel. Il focus è su Airbus per l'Europa, o sui costruttori di motori come Safran. Per la Iata, l'organizzazione internazionale del trasporto aereo, le emissioni di CO2 del settore areonautico scenderanno addirittura del 50% nel 2020 rispetto ai livelli del 2005.
Tra le società che vinceranno sul mercato, secondo gli analisti di Credit Suisse, per avvantaggiarsi nella lotta allo shock climatico ci sono ai primi posti la società tedesca Verbund che basa il 90 % della sua generazione energetica sulle fonti idroelettriche. Ben posizionata anche la spagnola Iberdrola, grazie al suo mix di idroelettrico e nucleare. Tra le altre quotate c'è Centrica, che pur includendo ancora il termoelettrico, ha adottato tecnologie in grado di abbattere le emissioni. Guardando alle big oil, Credit Suisse segnala in particolare Royal Dutch Shell e Total come le major meglio posizionate nel settore gas e quindi pronte a raccogliere i maggiori benefici da un eventuale successo (almeno riguardo ad un accordo formale) della Cop21. Svantaggiate invece la ceca Cez e la tedesca Rwe, due utility che utilizzano ancora molto il carbone. Il caso della Germania è piuttosto emblematico. Il Paese è tra i maggiori produttori di energia da rinnovabili, e per questo la cancelliera Merkel aveva deciso una uscita graduale dal nucleare da concretizzare verso il 2020; poi ci si è accorti che le rinnovabili non erano in grado di assicurare energia sufficiente all'economia tedesca e alla vita di più di ottanta milioni di abitanti -in rapida crescita, visto l'esplodere su scala gigante del fenomeno immigratorio- e che i costi dell'energia stavano salendo esponenzialmente. Ha dovuto così fare un maggior ricorso al carbone per contenere i costi e non far levitare improvvisamente i prezzi dell'energia. Rwe, ad esempio, ricava il 60% della sua energia da lignite e carbone. La auspicata chiusura delle centrali nucleari rischia di costare molto all'economia tedesca e di far mancare gli obiettivi sul riscaldamento climatico: molti ossrvatori ritengono che saranno da rivedere le scelte fatte. Al contrario la Gran Bretagna ha fatto una scelta opposta, arrivando ad annunciare la chiusura del suo intero parco centrali a carbone entro il 2025, al contempo autorizzando per ora la costruzione di due nuove centrali nucleari (fidandosi poco del solo apporto delle rinnovabili) e mantenendo ben avviato il programma nucleare già realizzato con le sue numerose centrali attive. Diverso la situazione delle imprese attive nel settore minerario che vengono incluse nella lista nera degli inquinatori. E' per questo che Enel ha già da tempo deciso di separare i suoi destini da quelli di Bayan Resources, maggior produttore indonesiano di carbone,cedendone per ora il 10%. Il gigante Rio Tinto sta riducendo rapidamente la sua esposizione verso il carbone, ma altri gruppi faticano a riconvertirsi e guardano con preoccupazione alle decisioni che potrebbero arrivare dalla Cop21. Anche Glencore, Bhp Billiton (alle prese con il disastro brasiliano del Rio Dolce) e Goldfields hanno appena annunciato nuovi progetti pilota per adeguarsi al nuovo contesto del mercato. Per James Magness della Investors research di Cdp (Carbon disclosure Projet) "Le maggiori società minerarie del mondo, che attualmente capitalizzano circa 329 miliardi di dollari, sono impreparate alla transizione verso la low-carbon economy". Il Cdp è una organizzazione che conta ben 822 investitori istituzionali che gestiscono un patrimonio di circa 95 mila miliardi di dollari, e tra le società che si basano sui suoi parametri per contrastare gli shock climatici ci sono colossi come Dell, PepsiCo e Walmart. La riconversione al low-carbon è visto da tutti questi investitori più come un affare che come una battaglia per salvare la terra . Goldman Sachs segnala come la capitalizzazione di mercato delle compagnie minerarie statunitensi sia andata a picco addirittura del 95% nel 2015, in gran parte a causa dei nuovi regolamenti anti-emissioni. Secondo la banca d'affari, anche se gli obiettivi intermedi della Cop21 si allungano al 2030 e al 2050, il vero cambiamento del mercato comincia da adesso e si realizzerà in gran parte entro il 2025. Entro il 2020, per esempio, si prevede che la Cina aggiungerà 193 GigaWatt di energia eolica e fotovoltaica al suo parco produttivo, fermandosi invece per quel che riguarda il carbone a 23 GigaWatt aggiuntivi in un settore produttivo che già si basa su molto carbone. Altro input forte arriverà per i produttori di lampadine a Led, che rimpiazzeranno quasi per il 70 % le tradizionali lampadine a bulbo. Avanzata anche per le auto ibride ed elettriche, che si prevede cresceranno di 25 milioni nell'arco dei prossimi 10 anni, con previsti ricavi nell'ordine di 600 miliardi di dollari per le aziende produttrici. Goldman Sachs ha stilato una propria classifica delle aziende meglio posizionate nell'era della low carbon economy. Si tratta di SolarEdge (pannelli fotovoltaici), Vestas, Nordex e Gamesa (eolico onshore), Continental, Tesla e Albemarle per i veicoli ibridi ed elettrici, Aculty Brands e Hella KgaA Hueck per le lampadine a basso consumo. Un gruppo di imprese interessate al mercato di energia come BP, Pemex, Reliance Ind., Repsol, Saudi Aramco,Shell, Statoil, Total e la nostra Eni hanno fatto cartello creando l'Ogci (Oil and gas climate initiative) dichiarando nella carta di intenti: "scendere sotto i 2 C° di riscaldamento atmosferico è una sfida e ci impegnamo a fare la nostra parte con misure e investimenti per ridurre il gas ad effetto serra nel mix energetico globale". Via quindi ad investimenti crescenti nel settore del gas naturale, nella cattura dell'anidride carbonica e il suo stoccaggio, nelle rinnovabili, e nelle tecnologie a basse emissioni. Nel settore dei trasporti sono previsti investimenti nell'idrogeno e nei bio-combustibili oltre alle vetture elettriche. Per le costruzioni i grandi produttori di cemento si stanno organizzando per studiare e realizzare edifici con fonti integrate di energia rinnovabile e bio-combustibili. L'Eni nel periodo 2010-2014 ha raggiunto una riduzione delle emissioni del 27 % e sta investendo nel gas naturale dove ha raggiunto una quota sulla produzione complessiva del 50%. Nelle strategie low carbon di Eni c'è un piano di riconversione del business downstream attraverso la trasformazione in green refinery di Venezia e Gela e l'avvio dei progetti di "chimica verde" a Porto Torres e Porto Marghera, e la ricerca sulle rinnovabili innovative. Ha inoltre deciso di operare in Artico solo in zone libere da ghiacci. Impegnata nel settore anche Snam, Fiat FCA, Cnh Industrial, Save. Dice il presidente di Cdp Paul Dickinson che "le grandi aziende hanno grande influenza in quanto le scelte di business possono rallentare e arrestare il cambiamento climatico. Hanno bisogno di una politica ambiziosa sia a livello nazionale che internazionale". In prima linea anche l'Enel che sta per assorbire la controllata Enel Green Power proprio per gestire più direttamente il business delle rinnovabili con l'acquisizione di una grossa parte dei finanziamenti di stato e con l'apertura di un mercato in crescita. Enel è impegnato a giocare un ruolo attivo nel percorso di decarbonizzazione attraverso le sue attività industriali ed entro il 2020 ridurrà l'intensità delle emissioni di CO2 del 25 % rispetto al 2007. Gli investimenti sulle rinnovabili saranno di 11 miliardi di euro nel periodo 2015-2019 con accelerazione della ricerca e apertura di nuove produzioni.
Tuttavia molti osservatori si chiedono se gli accordi di Cop21 avranno un reale impatto. Le tempistiche sono diverse da paese a paese o addirittura da operatore a operatore. La copertura geografica degli impegni alla riduzione delle emissioni è a pelle di leopardo. Poi bisogna vedere il ruolo dei mercati e come l'economia di paesi spesso in carenza di fondi si tradurranno nel rispetto degli impegni. I costi delle riconversioni potrebbero riversarsi sulla gente a livello di bolletta energetica (come accaduto in Italia), oppure le pressioni e le resistenze dei produttori di petrolio e carbone (sia i privati sia gli stessi governi nazionali) potrebbero rivelarsi ancora forti. I grandi poteri finanziari e industriali insomma si sono messi in moto leccandosi i baffi per i miliardi in palio, ma le resistenze del BAU sono altrettanto forti.Nel frattempo il pianeta viaggia per un aumento delle temperature di oltre 4 gradi entro la fine del secolo e invertire la tendenza sarà molto complicato. Quanti dei partecipanti al Cop21 credono veramente che si riuscirà a ridurre il riscaldamento entro i due gradi? Qualcuno ha fatto notare che sono solo 55 le persone che hanno un ruolo rilevante nella stesura del documento finale del Cop21 a Parigi, e che questi pochi individui non avranno alcuna possibilità di influenzare seriamente i processi energetici in atto nelle grandi potenze economiche e anche nelle piccole realtà politiche locali. A questo scopo ci sarebbero ben altri argomenti da affrontare, anzi uno in particolare spicca su tutti gli altri per la completa assenza nei documenti e nelle discussioni in atto al Cop21: quello della sovrappopolazione del pianeta. Ho cercato nei vari argomenti in discussione e nelle bozze dei documenti anche solo un piccolo accenno al tema. Ma non ho trovato nulla di nulla al riguardo. L'argomento è un completo tabù. Ho letto in uno dei tanti documenti preparatori questo ragionamento: la Cina è il primo emettitore di carbonio del pianeta. Lo è nonostante che la produzione del carbonio sia di 74 tonnellate/anno ad abitante rispetto alle più di 200 tonnellate/anno di un abitante degli Stati Uniti. Ciò nonostante la Cina inquina di più degli Stati Uniti perché le 74 tonnellate vanno moltiplicate per un miliardo e mezzo di abitanti, mentre gli abitanti degli stati Uniti sono "solo" 360 milioni. Questo piccolo calcolo dovrebbe essere illuminante sul fatto che il numero di abitanti del pianeta ha un influsso diretto sull'effetto serra globale. Eppure nessuno ne parla, nessuno ha raccolto lo stimolo che deriva da quel calcolo matematico. La sovrappopolazione non influisce solo come moltiplicatore della quota individuale di emissioni. E' tutta l'organizzazione sociale, strutturale ed economica che viene trasformata dalla eccedenza demografica. Conseguenza della sovrappopolazione sono le megalopoli, la cementificazione massiccia delle superfici, l'organizzazione industriale della produzione, i consumi di massa, l'insufficienza delle risorse agricole e la necessità dell'uso massiccio della chimica, la carenza di acqua, la distruzione delle foreste (vero polmone verde che fissa il carbonio atmosferico), l'uniformizzazione produttiva e dei mercati di tutto il pianeta, la necessità di sempre maggiori quantità di energia per sostenere la popolazione sempre più numerosa e che richiede sempre più benessere (consumi). Non è un caso che coloro che chiedono deroghe alla low carbon economy, come Cina, India, Paesi Africani, Brasile , Indonesia ecc. siano anche i paesi con maggiore popolazione e in crescita demografica. Nessuno di questi paesi, in presenza di tassi di crescita demografica elevati, può fare a meno di carbone, gas e petrolio. Le rinnovabili non possono sostenere la maggiore richiesta di energia che deriva da un'alta crescita demografica. I verdi, per contestare questo argomento usano spesso esempi che sono invece la dimostrazione del contrario di quel che vogliono sostenere. Citano l'esempio della Danimarca che si è impegnata entro i prossimi dieci anni a non usare più i combustibili fossili come fonte di energia. Ma la Danimarca è un paese di soli cinque milioni di abitanti, con una popolazione stabile, e per di più con una economia fiorente (in grado di sostenere un 'energia molto costosa come le rinnovabili) e senza megalopoli. Questo obiettivo non può essere valido già per l'Italia che ha 62 milioni di abitanti, neanche riducendo di molto i consumi e riconvertendo molte industrie. Figurarsi se la cosa è possibile per paesi come l'India o la Nigeria con demografia in rapida crescita e una natalità che va dai 6 ai 9 figli in media per donna, con megalopoli in rapida espansione e consumi in forte aumento. La colpevole silenziazione e vera e propria censura posta in atto a Cop21 riguardo l'argomento della sovrappopolazione mi porta a concludere che questa incredibile ed inescusabile omissione renderà vano tutto il carrozzone messo su dall'Onu sull'argomento "Effetto Serra". Tutto si risolverà in quello di cui si tratta in realtà: un colossale affare per le multinazionali e la finanza che specula sulla green economy. Quanto a salvare il pianeta non si farà nessun passo avanti. Almeno fino a quando la popolazione planetaria continuerà a crescere ai ritmi attuali che ci porteranno sopra gli 11 miliardi entro pochi decenni.

37 commenti:

  1. Caro Agobit, condivido, purtroppo, le tue tristi conclusioni.
    Il camaleonte del BAU sta superando se stesso e riuscirà a spremere ulteriori "guadagni" persino dal verde ecologico.
    Al di lè delle belle parole, non ci sarà nessuna reale inversione di tendenza sino a che non ci saremo materialmente costretti.
    Allora, e solo allora, anche il trend demografico comincerà a declinare, ma non prima di parecchie tragedie e sofferenze.

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  2. Mamma mia.
    La vedo molto dura, specialmente finche' le persone verranno tenute all'oscuro dei veri problemi,delle vere cause, e riempite con notizione del genere


    http://www.lastampa.it/2015/09/15/societa/la-ricetta-per-la-felicit-avere-almeno-figli-f3TFyrAtXTMVihOGcvwf5N/pagina.html


    Ps. Sapete rispondermi alla domanda che ho posto nel penultimo articolo?

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    1. Che ricerca del cazzo... nelle societa' stabili, ricche, con autodeterminazione della donna, come quella australiana o la nostra, 4 figli li ha solo chi sceglie di averli perche' e' sia molto ricco che caratterialmente ottimista: vorrei vedere che poi, dalla ricerca, non risultasse felice.

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    2. @Laura. Penso che questo post abbia risposto a quanto dicevi nell'altro. La green economy è un grande business e i grandi interessi ritengono che l'affare sia ancora più grande se si mantiene o addirittura si incrementa l'attuale crescita demografica. Tutto questo nel completo menefreghismo rispetto all'ambiente e alla salvezza del pianeta.

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    3. " e i grandi interessi ritengono che l'affare sia ancora più grande se si mantiene o addirittura si incrementa l'attuale crescita demografica"

      non sono solo i grandi affari... sono anche i piccoli, come credete che possa stare in piedi un sistema dove la parte della popolazione attiva e non parassitaria che sta fra i 25 e i 60 anni possa mantenere quella fra gli 0 e i 25-30, e fra i 60 e gli 85? Praticamente la fascia di eta' di mezzo, di 30-35 anni di durata, di cui peraltro e' produttiva solo una frazione, dovrebbe mantenere le due ai lati, di 50 anni di durata, piu' se stessa. E' oggettivamente massacrante sul breve periodo, e probabilmente missione impossibile sul lungo periodo. Probabilmente chi dice che ogni persona che produce ne ha sulle spalle 10 da mantenere e sostentare, non esagera.
      E' sballato tutto il sistema, semplicemente non puo' stare in piedi. Attualmente teniamo malamente botta, almeno qui in italia, perche' stiamo consumando il patrimonio accantonato negli anni buoni, ogni vecchio costa in badanti e assistenza l'equivalente di almeno una unita' immobiliare... pagata direttamente dal suo patrimonio e/o dalle patrimoniali condivise che sempre piu' funestano il nostro apparato di esazione fiscale, ulteriormente massacrando le attivita' produttive. Ai posteri non resta nulla, solo debiti e fatica.

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    4. Non dimentichiamo però che la fascia attiva è stata mantenuta - e a lungo, anche fino ai trent'anni - dagli anziani di oggi. Questo non lo si mette mai in rilievo, si ripete sempre e solo che i lavoratori attivi, poveretti, devono mantenere i vecchi. Certo non si sa esattamente chi ci guadagna e quanto e chi ci perde. E se ognuno badasse a se stesso come ai tempi di Kant? E si mantenesse i suoi quattro o cinque figli da solo? Lo Stato deve fornire solo le cose assolutamente essenziali (su quali siano si può discutere).

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    6. Resta il problema che gli anziani di oggi non sono mai stati cosi' tanti e cosi' costosi! Se non erro costano di gran lunga la maggior parte delle spese mediche.
      D'altra parte, tornando al discorso generale, provate a mettervi al posto di un dipendente comunale o regionale, diretto o della enorme pletora dell'indotto (meno gli statali diretti ma solo perche' il loro reddito e posto di lavoro e' collegato meno direttamente alla spremitura fiscale del loro territorio): sono alla DISPERATA ricerca di gettito fiscale, per continuare a ricevere uno stipendio congruo e, in prospettiva, mantenere il posto di lavoro: TUTTO cio' che serve per ottenerlo va bene, quindi servono piu' case, piu' automobili, piu' strade, piu' scuole, piu' sicurezza, piu' ecologia, piu' salute, piu' lunghezza della vita, piu' bambini, piu' clima assolutamente stabile secondo non si sa nemmeno bene quale prototipo ideale, piu' perfettismo nazistoide. Ma una popolazione attiva che cala ma deve mantenere alto, sempre piu' alto il suo valore aggiunto fiscale e' uno spauracchio spaventoso per gli enti pubblici (cioe' chi comanda veramente), anche perche' la "base impositiva" sempre piu' ristretta causa malesseri e, in prospettiva, ribollimenti rivoltosi da estenuazione sempre piu' evidenti, che per adesso si sono perlopiu' tradotti solo in suicidi.

      Provate ad immaginarvi un piccolo comune con 1000 dipendenti (il mio che pur essendo capoluogo e' relativamente piccolo come numero di abitanti, ha piu' di 10.000 dipendenti, oltre il 10 per cento dei contribuenti che li devono mantenere!): provate ad immaginare il ragioniere contabile che vede la base imponibile e dunque il gettito fiscale restringersi, con i colleghi che lo guardano tutti preoccupati... finche' si puo' si aumenta le tariffe, poi le aliquote, poi si passa alle patrimoniali... ma alla fine? La caccia all'"evasore", detto anche parassita (ce ne vuole di faccia di tolla!) sono sicuro che e' nata da questa situazione.

      Secondo me basta da sola questa considerazione per spiegare l'atteggiamento del potere nei confronti del problema. Poi ce ne altre cause, molte altre, ma questa da sola sarebbe, anzi e', sufficiente. Banalmente sufficiente, per problemi non sociologici o filosofici o religiosi, ma di banalissima ragioneria contabile e pagamento degli stipendi a fine mese, e delle fatture a fine anno o decennio (quelle possono aspettare, mentre provate voi a pagare in ritardo di un minuto una tassa... ;)

      Il sistema, anzi il formicaio, e' al collasso (parola esagerata e abusata, anzi che rende ormai ridicolo chi la usa, e a cui nessuno, salvo qualche "instabile" gia' di suo, bada neppure piu'). Non che questo implichi chissacche', dato che il malessere esistenziale e' gia' alle stelle, nonostante lo tsunami di beni materiali e di servizi dispensato, se non che dovra' necessariamente riformarsi.

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    7. Secondo me fare una critica al formicaio senza tenere conto della sua banale struttura di funzionamento pratico, con le sue branche, le sue gerarchie, le dinamiche umane, troppo umane, interne alla sua struttura di potere, e' sterile, e' solo un piagnisteo inutile, oltre che non molto commendevole.

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    8. L'antropocene e' superato, siamo ormai nell'era dell'ecocene, dove, attenzione, eco sta per economia non solo per ecologia (la radice e' la stessa, e il termine e' quasi uguale nel concetto).

      E' un'era di perfettismo, antropologicamente valutato, giudicato, e indotto.

      Se accendete o sfogliate un qualsiasi mezzo di comunicazione non sentite parlare di altro che di problemi economici (quelli dello zero virgola e dell'aritmetica contabile) ed ecologici (tutti gli altri): il tutto condito col consueto vomitevole corollario di recriminazioni e giustizialismi che inevitabilmente ne sfociano.

      A dire il vero a volte si ha l'impressione che le recriminazioni e i giustizialismi siano il vero obiettivo da raggiungere, la pulsione da sfogare, e che l'"eco" eccetera sia solo il pretesto per dargli sfogo.

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    9. @sergio

      Se non erro costano di gran lunga la maggior parte delle spese mediche.
      E, dimenticavo, la spesa pensionistica, la piu' grossa fetta della spesa pubblica!
      Nel nostro paese, l'Espressione Geografica, il grosso della spesa dello Stato e' in istruzione, sanita' e pensioni, con costi rispettivamente di 100, 200 e 300.

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    11. Pensa che nel paese in cui vivo il bilancio dello Stato è di ca. 57 miliardi di franchi, mentre la spesa sanitaria è di ben 60 miliardi, supera cioè il budget dello Stato! Il fatto è che la spesa sanitaria si basa sui premi assicurativi individuali (altissimi), le tasse cantonali e in parte anche statali.
      Ed è vero quello che dici: sono i vecchiacci che pesano di più sulla spesa sanitaria (li possino!).

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    13. @sergio

      Se non erro l'italia (del nord) e' il posto al mondo col miglior rapporto costi/benefici in campo sanitario, nonostante la burocrazia demenziale e massacrante, e la "particolare attenzione" verso le lobby medievali (farmacisti e medici col conflitto di interessi pubblico/privato).
      Non oso immaginare quale sarebbe il livello senza questa burocrazia illogica.

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  3. L'armonizzazione di ecologia ed economia costituisce probabilmente la più importante e (contemporaneamente) la più complessa sfida globale contemporanea; tra le poche certezze al riguardo, il fatto che essa NON possa in alcun modo prescindere dal problema demografico, opportunamente ricordato nella parte finale dell'articolo...

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    1. Ecologia ed economia... c'e' solo una piccola aporia: entrambe stanno servendo a creare subito un mondo detestabile e invivibile, per evitare che in futuro il mondo diventi detestabile e invivibile. Fatica stupida ed inutile, direi.

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  4. "tra le poche certezze al riguardo, il fatto che essa NON possa in alcun modo prescindere dal problema demografico."

    Sembrerebbe, cioè a me pare che davvero non si possa prescindere. Però vallo a dire al papa, ai politici, agli economisti: negheranno, diranno che l'uomo ha trovato sempre un'adeguata risposta a tutti i problemi che ha incontrato. E non vogliono sentire parlare di cifre, di tetti. Allora si potrebbe anche chiedere se pure mille miliardi ci possono stare, con l'aiuto della scienza e della tecnologia. Ma mille sono un'enormità, risponderanno che non sei una persona seria. Caliamo allora, chiediamo se cento miliardi non sono troppi (cento sono anche un'enormità, l'orrore pure - almeno per noi del XXI secolo). Ma di nuovo svicoleranno perché loro non vogliono sentire parlare di cifre, è da contabili. Eppure ci sono dei limiti, almeno per me. Nemmeno io so dire con precisione quanti ne può nutrire la terra, ma noto che già ora siamo nel pantano, centinaia di milioni di disoccupati, l'acqua che scarseggia ecc.

    O forse no. Forse l'evoluzione va proprio verso il termitaio umano, per noi odierni un orrore, ma per le generazioni che cresceranno nel termitaio e non hanno conosciuto la "dolcezza del vivere" (di prima della Rivoluzione, anche se solo per pochi allora) non ci staranno troppo male, anzi il terminaio sarà superorganizzato e quindi vivibile. Non si accorgeranno nemmeno di stare un po' stretti.
    Sartori diceva una quindicina d'anni fa che sei miliardi sono troppi, la terra non ce la può fare a lungo. Probabilmente è una cifra opinabile. Io però un mondo di "appena" quindici miliardi non riesco a immaginarlo e non me lo auguro.
    Ma le anime belle e di nobile animo aborrono le cifre (che meschinità). Quanti rifugiati possiamo accogliere? Domanda gretta, anzi persino fascista e razzista. Non dice il papa (e ripetono i buoni, le boldrine): "Accoglieteli tutti, accogliamoli tutti!" ? Ma in Vaticano o in casa loro (o nelle vicinanze: i prezzi degli immobili crollano) non li vogliono nemmeno loro, i buoni.

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  5. Ho letto tutti i commenti (grazie agobit oer la risposta).
    Pare che dai vostri ragionamenti non ci sia soluzione?
    Ridurre la popolazione umana porterebbe al collasso del sistema (le beneamate cifre...); non ridurla,anzi il fatto che aumenti porterebbe comunque al collasso della vita,direi.
    Dunque?

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  6. @Laura
    Secondo me ridurre gradualmente la popolazione con Il controllo della natalità non porta ad alcun collasso. Anzi consentirebbe di liberare risorse per l'ambiente e per una maggiore giustizia sociale.

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    1. Sarebbe interessante uno studio storico. Esistono esempi nella storia di diminuzione volontaria o involontaria della popolazione con conseguente incremento di ricchezza e benessere? Involontaria credo di si', con le pestilenze medievali. Ci saranno pure degli studi storici su questo argomento!

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    2. Da qualche parte avevo letto (non so se sul Cipolla, "Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell'Italia del Rinascimento, Il Mulino, Bologna, 1986", ma non credo) che le pestilenze, dopo la drastica riduzione della popolazione (anche della meta') lasciavano la felice popolazione sopravvissuta sia in possesso di un sacco di beni, sia in una situazione di relativa felice liberta' e anarchia. Ma le pestilenze, a differenza delle guerre e delle imposizioni legislative, hanno la caratteristica di non essere "democratiche" (perche' la maggioranza democratica infine si comporta in modo poco diverso da una dittatura vendicativa), cioe' di far fuori piu' o meno tutti allo stesso modo, il modo della "roulette russa".

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    3. (Per quel che può valere) sono d'accordo: con buona pace dei natalisti di ogni fede politica e religiosa, una riduzione graduale e "soft" del tasso di natalità in quelle aree che nonostante tutto continuano ad averlo galoppante, accompagnata ad una riduzione/riconversione dei consumi in quelle aree che hanno i tassi medi di emissioni-serra pro capite più elevati, appare la via maestra, forse l'unica davvero efficace, per "limitare i danni (ambientali e sociali)" e favorire una transizione il più possibile indolore a quella che alcuni analisti hanno definito 'steady state economy'...

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    4. "appare la via maestra"...

      Eccerto, basta "fare una legge", "compagni". Tutto estremamente semplice, in teoria. Non c'e' dubbio che non potranno che essere tutti d'accordo, e non si capisce come mai non l'abbiano gia' capito finora.

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    5. Onestamente, comincio a pensare che non ci possa essere migliore definizione migliore di "sega mentale" di quella che si esemplifica nei vari blog catastrofisti.

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  7. Il problema è quello dell'Inverno Demografico, cioè l'alto numero di vecchi con un numero minore di giovani. A me sembra un falso problema creato ad arte per portare avanti politiche pro-nataliste da parte di preti , banche, finanzieri, costruttori, commercianti e capitalisti che vedono nell'esplosione demografica occasione di affari e di lavoro a basso costo (fregandosene del collasso del pianeta). La tecnologia e una politica fiscale adatta possono facilmente superare il problema. Oggi la tecnologia sopperisce all'assistenza degli anziani riducendo le incombenze per l'assistenza. Un ritorno ad una famiglia più tradizionale, con cui abbiamo convissuto per secoli, sarebbe un ulteriore aiuto. Una maggiore tassazione sulle eredità potrebbe dare le risorse finanziarie per una adeguata assistenza che riduca l'impatto della bassa demografia.

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    1. Non e' un falso problema, e' un problema serissimo. L'innalzamento artificioso dell'eta' media ha prodotto una quantita' enorme di "handicappati" per causa di invecchiamento di durata procrastinabile all'infinito, tenuti in vita con equilibrismi tecnologici precari e costosissimi.

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    2. La diagnosi prenatale per evitare la nascita di bambini malformati, cui siamo tanto attenti e sensibili, non compensa neanche lontanamente il problema che si manifesta dall'"altra parte". Da questo punto di vista la tecnologia si e' manifestata una maledizione, dato che nel momento in cui esiste e da' certe possibilita', e' impossibile non sentirsi dei criminali se non la si usa per esprimerne le potenzialita' "positive" (in senso isaiahberliniano).

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  8. << Il problema è quello dell'Inverno Demografico, cioè l'alto numero di vecchi con un numero minore di giovani. A me sembra un falso problema creato ad arte per portare avanti politiche pro-nataliste >>

    Sono d'accordo.
    Purtroppo si tratta di un "falso allarme" che fa sempre il suo effetto nelle discussioni.

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    1. Pero' non direi che e' un falso allarme... un gran numero di giovani serve ad assistere il sempre maggior numero di vecchie mummie nei nostri "ricoveri per anziani". Ma siete mai stati in un ospedale geriatrico, o "casa di ricovero per anziani" come e' chiamata dalle mie parti? Andate, stateci un po', e poi ne riparliamo... TUTTO il personale professionale e' extracomunitario, perche' i nostri connazionali che "hanno studiato" e fanno burocrazia non si sporcano le mani con l'assistenza ai vecchi, preferiscono consumare il patrimonio da loro accumulato nel pagare l'assistenza prezzolata. Alla fine, non e' cambiato proprio nulla rispetto alle societa' cosiddette "arretrate".

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    2. Vedo quasi ogni giorno le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione. Le case sono piene di anziani spesso malati. Tuttavia l'assistenza domiciliare funziona e potrebbe funzionare meglio con maggiori risorse. Non bisogna ingigantire un problema. Tutta la retorica sulle culle vuote è ipocrita e interessata. Il capitalismo che si basa sul Pil ha bisogno di alti tassi di natalità. Gli anziani consumano meno, non producono, sottraggono soldi al mercato e alla finanza speculativa vivendo di pensioni e di risparmi in bot. L'assistenza agli anziani, se organizzata dallo Stato, può aprire prospettive di lavoro a molti giovani. Già oggi molte cooperative (infermieri, assistenti sociali) si finanziano con l'assistenza agli anziani. Una società con più anziani è una società più stabile, più pacifica, meno inquinante, con minor necessità di cementificare e di produrre mezzi industriali, minori emissioni di CO2.

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    3. Vero, ma resta comunque il problema che una societa' in cui il 95 per cento della popolazione produce e consuma servizi, oppure li consuma solo, deve necessariamente basarsi sul restante 5 per cento che lavora nel settore primario e secondario e produce la "ciccia" con cui pagare e rendere possibili quei servizi, cioe' priduce energia, cibo, materia prima e sua lavorazione e distribuzione. Quel 5 per cento oggi e' schiavizzato dal suddetto 95, da cui il malcontento cui abbiamo assistito negli ultimi 25-30 anni. QUesto andazzo non puo' continuare per sempre, capitalismo o non capitalismo, euro o non euro, clima o non clima, risorse o non risorse, che al confronto sono solo distrazioni dal problema di fondo, sufficiente da solo ad affondare, comunque, una societa', dato che quel 5 per cento ad un certo punto si rifiuta di lavorare alle condizioni tali da rendere possibile la sopravvivenza della societa' nel suo insieme: dopo questi due - tre decenni di distruzione socio-economica accelerata, sta succedendo l'inevitabile, e i nodi vengono al pettine tutti assieme.
      Io ho a che fare con i pochi che operano quotidianamente nella produzione, sono esasperati dal continuo taglieggiamento cui devono sottostare da parte di chi gli fornisce i "servizi", e non ce la fanno proprio piu', stanno gettando tutti la spugna, molti scappano proprio dall'italia e si rifanno una vita altrove, foss'anche ripartendo da zero. Il tracollo qui state assistendo ha li' la sua causa primaria, il resto e' solo contorno che contribuisce ad aggravare la situazione comunque irrimediabilmente compromessa. Se non altro il tracollo fara' piazza pulita di tutto, e le chiacchere torneranno a zero.

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  9. D'accordo con Agobit, il c.d. inverno demografico è un problema abbastanza facilmente governabile, viene ingigantito ad arte per interessi economico-politico-religiosi "di bottega" e cmq. costituisce il 'male minore' rispetto ai disastri ecologici e alle tragedie socio-economiche prodotti "a valanga" dal crescente squilibrio tra popolazione e risorse (ragionevolmente) disponibili nel presente e nel prox futuro...
    Chi semina vento, presto o tardi raccoglie tempesta (e tutti noi con lui/lei)!

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    1. Alla fine bisogna ammettere che tutti questi problemi sono stati creati e poi continuamente ingigantiti dalla stessa tecnologia che abbiamo usato per risolverli.
      Ma questo in sostanza e' intrinseco al ciclo della vita, non e' un accidente eliminabile, pensare di separare i problemi dalla loro soluzione che genera altri problemi, e' come pensare di poter avere una moneta con una sola faccia.

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  10. Anche per me quello dell'inverno demografico e' un falso problema. Quando ne accenno dovete vedere certe persone come mi rispondono acide!! Stile "beh allora ammazziamo un po" di gente!"
    Le persone non ci credono. Ascoltano i mass media. E purtroppo le cose non cambiano. Vedo irresponsabili e strafottenti pronti a fare figli. Educandoli al consumismo sfrenato ,fatto di moda,shopping,funo, sprechi alimentari il piu' delle volte. E se penso che per colpa loro poi tutti ne dobbiamo pagare le conseguenze, e avere limiti a non finire (tipo blocco auto ) che non risolvono il problema,mi da' fastidio.
    Non e' giusto.

    A proposito: oggi blocco auto a Roma e Milano. Sarebbe stato piu' utile,accanto a mezzi alternativi indubbiamente (comunque con tutte queste auto non si puo' continuare) bloccare le nascite e,perche' no, gli ingressi!!

    E invece no.
    Siamo pochi,fate piu' figli.
    Ah meno male che arrivano i giovani migranti con prole,cosi' rimpinguano le nostre culle vuote.
    Ops! Stiamo affogando nell'inquinamento e distruzione ambientale! Bene,blocco auto.

    Ha senso??

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    1. Guarda che anche per le automobili e' la stessa cosa: ne devi comprare piu' che puoi per fare PIL e gettito fiscale ma poi le devi tenere ferme in garage perche' cosi' non inquinano.

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    2. Dimenticavo: devi fargli la revisione ogni anno senno' i meccanici restano senza lavoro.

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