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martedì 28 aprile 2015

Sovrappopolazione e massificazione




(Il testo di Marcuse è una delle denunce sulla massificazione moderna della persona umana)

Che cosa accomuna fenomeni storici  tragici dell’ultimo secolo come i campi di battaglia della prima guerra mondiale con le sue armi tecnologiche (tra cui la mitraglia che massifica l’uccisione del nemico), i campi di sterminio organizzati scientificamente durante il nazismo, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, le grandi pandemie come la spagnola e l’asiatica e quella più lenta ma tutt’ora attiva  dell’Aids, fino alle migrazioni epocali che stanno interessando il nostro continente al giorno d’oggi con le connesse stragi in mare?
Se vediamo i fenomeni assai meno tragici ma ugualmente significativi dell’enorme movimento di popolazione dalle campagne alle città che ha interessato nell’ultimo secolo l’intero pianeta, comprendiamo un altro aspetto della massificazione in atto. Questo fenomeno, collegato alla fine della civiltà contadina, ha determinato la crescita delle megalopoli, più o meno regolata, in grandi periferie disorganizzate (bidonville) o nello scenografico cambiamento dello sky-line dominato in tutte le grandi città da alti grattacieli di vetro e cemento contenitori massificati di milioni di persone-consumatori. I grattacieli e le strutture in cemento  stanno uniformando il paesaggio urbano di tutto il pianeta, mentre i territori naturali si riducono sempre di più sotto la pressione della massiccia antropizzazione del territorio. Ci si chiede: qual è il fattore che muove questa gigantesca trasformazione dell’abitare umano?
Ugualmente da interpretare sono i cambiamenti nello stile di vita di sette miliardi di persone. La scomparsa delle tradizioni e delle culture locali, ha accompagnato la trasformazione del mondo agricolo, prima con la meccanizzazione, poi con la riduzione della percentuale di popolazione che vi si dedica, fino a quote residuali molto minoritarie. La vita nelle città con l’impiego nel terziario e nell’industria ha comportato la uniformizzazione dell’organizzazione della esistenza di milioni di persone. I consumi si sono strutturati in merci standard la cui vendita è stata assicurata dai modelli pubblicitari. La scuola ha ottemperato alla sua funzione massificante con l'appiattimento della formazione e la stereotipia delle informazioni regolata dalla cibernetica. Oggi la virtualità dei mezzi di conoscenza e comunicazione ha generato altre uniformità e modi standard di utilizzare il tempo del lavoro e il tempo libero. Anche in questo caso si può parlare di un fenomeno sottostante che ha determinato la necessità dei nuovi modelli di vita (quello che generalmente definiamo con il termine onnicomprensivo di modernità, e che negli aspetti di crisi e ripensamento hanno dato luogo al cosiddetto fenomeno del post-moderno).
La mia tesi è che dietro questi fenomeni e trasformazioni non ci siano modelli sociali ed economici precostituiti, ad esempio il capitalismo e il socialismo, come si era creduto per tutto il novecento. O gli interessi di grandi nazioni o quelli di forti poteri costituiti, i quali hanno solo fatto il lavoro “sporco” la cui necessità aveva al contrario ben altre cause. Ritengo che queste profonde trasformazioni siano state guidate dall’enorme sviluppo tecnologico che le nuove scienze naturali avevano assicurato a partire dalla fine del settecento e interessato tutto il XIX e XX secolo. Ma soprattutto siano state originate dall’impatto sul pianeta della crescita esponenziale della popolazione umana  generata dalla tecnologia, crescita che   ha imposto    una massificazione dell'organizzazione sociale e della cultura. Tale massificazione   ha interessato tutti gli aspetti delle società umane, dalla guerra, alla morte pianificata, allo sviluppo urbano, al consumo delle risorse naturali, agli stili di vita, al tempo libero, alla visione del mondo. La trasformazione della terra da parte della tecnologia e la sua furiosa crescita di potenza nell’ultimo secolo è stato l’elemento massificante per eccellenza agendo direttamente sul numero di umani, fino a porre a rischio la vita di tutte le specie non umane dapprima, poi dell’uomo stesso. Questa massificazione ha comportato uno sradicamento dell’uomo dalla sua appartenenza ai luoghi e alla terra, alle abitudini e alle tradizioni storiche. Che cosa si deve intendere con il termine massificazione? Essa consiste innanzi tutto in una perdita dell'uomo che viene privato della sua essenza per divenire numero, cosa, oggetto. La perdita di essenza è una perdita di senso. In questo modo l'uomo moderno, sottoposto all'agire tecnico, perde il suo mondo storico: l'uomo moderno è un uomo senza mondo, senza appartenenza. l'assenza diviene assenza di suolo, di fondo e fondamento; perdita di radici, l'impossibilità di fare corpo con la terra, l'espropriazione costitutiva, la spaesatezza, l'eteronomia, il non essere a casa, presso di sé, l'estraneità irriducibile, quella che Marcuse chiamava alienazione. La scomparsa del suolo, del paesaggio tradizionale è qualcosa cui la modernità ci ha assuefatto. La scienza con la sua razionalità senza fine, ripetitiva, numerica, ci ha dato una distanza dal mondo che ci appartiene sempre di meno, serrato in una rete di strutture che lo rendono artificiale e non più naturale.Qui l'aumento numerico degli individui della specie non è che un aspetto di questa realtà artificiale che rende l'esistenza un puro ripetersi, un reiterare all'infinito l'individuo, privato della sua storia e della sua appartenenza per divenire soggetto virtuale e oggetto reale, sottoposto alle leggi di produzione e mercato come tutti gli altri oggetti. Spezzare questo circolo chiuso, questa coazione a ripetere, non può che passare per una interruzione di questa moltiplicazione senza senso cui la tecnica ha portato la nostra specie, a scapito di tutte le altre forme di vita e fuori da ogni rapporto equilibrato con la natura. In particolare questo fenomeno di massificazione ha cominciato ad agire e prodotto le sue conseguenze  sull’europa, la cui identità si è avviata verso l’annichilimento già nella prima metà del novecento (vedi il “Tramonto dell’Occidente” di Spengler, 1923). Ancora bisogna chiedersi: quale è la causa che ha visto l’illuminismo portare allo sradicamento dell’uomo occidentale, alla globalizzazione dei diritti dell’uomo divinizzato a padrone assoluto della natura, proprio nel momento in cui il significato del divino veniva perso e svalorizzato? Le grandi migrazioni attuali non sono che un aspetto di questo sradicamento. Milioni di uomini abbandonano i propri luoghi di origine, le proprie tradizioni, la famiglia  e la propria storia per raggiungere la terra promessa dei prodotti stereotipi replicabili e abbondanti della modernità tecnologica. Vogliono uniformare la propria vita a quella dei modelli dominanti. Spinti in parte dalla fame e dalle guerre, ma anche questi sono aspetti derivati da un eccesso, dalle troppe nascite in luoghi che non hanno risorse. La tecnologia che ha consentito l’eccedenza innaturale ne indica anche la soluzione ugualmente artificiale: la migrazione verso i luoghi in cui la tecnologia e l’economia da essa derivata ne assicura le risorse.  In questo processo di espansione numerica eccessiva  umana quello che perde è la natura, l’ambiente naturale, le altre specie viventi, la salubrità e la bellezza del pianeta. Quello che colpisce in questo sradicamento è questa ossessione moderna della reiterazione, della replicazione, della moltiplicazione, ben rappresentata dal Taylorismo della produzione meccanizzata, dalla catena di montaggio della fabbrica moderna, portata sullo schermo da film come Metropolis o da quelli umoristici di Chaplin. “E perciò si ripete, in un vortice che gira su se stesso, in una eterna ripetizione di un uguale che, tuttavia, viene ogni volta spacciato per nuovo. La ripetizione richiede così una accelerazione per ammantarsi di progresso, per far apparire differente quel che è uguale, nuovo quel che è vecchio, sul modello della cronaca giornalistica, paradigma di questo eterno ritorno, che promuove la fase finale a stato permanente, e prolunga la fine in una durata senza fine.  Il progresso, in tutti i suoi possibili travestimenti, è l’idolo. Nell’assenza della decisione il progresso protrae il crepuscolo. Non c’è nulla di peggio di questo protrarsi senza fine del crepuscolo. Perché come può venire il giorno, se è preclusa la notte? “ (M. Heidegger - Schwarze Hefte).
Ora quello che Adorno chiamava la ragione astratta , Marcuse l’uomo ad una dimensione, Jonas l’asservimento tecnologico della natura, è in realtà lo stesso concetto di massificazione dell’uomo, della sua riduzione a numero, del suo completo annichilimento in quanto essenza umana (nel senso naturale del termine) alla grande macchina della società moderna della produzione e della ri-produzione stereotipa e massificata secondo procedure che, dietro l’apparenza di una libertà fittizia, sradicano l’uomo dalla sua appartenenza alla natura.
Questo processo di annichilimento dell’uomo ha la sua orrenda simbologia nella shoah del popolo ebraico degli anni 1940-1945. Come, ugualmente terribile nel suo significato simbolico, fu l’annientamento degli innocenti abitanti di Hiroshima e Nagasaki in un millesimo di secondo in seguito all’esplosione delle due prime bombe nucleari, altro simbolo dello strapotere tecnologico e della riduzione dell’uomo a uomo-massa, a simbolo e mezzo. Ciò che importava nella distruzione delle città giapponesi non erano ragioni strategiche o tattiche militari. Si trattava invece di dare la notizia della distruzione e della morte istantanea di centinaia di migliaia di persone, a scopo psicologico. Effetto che le due bombe atomiche ottennero con facilità. Anche la morte è tecnologizzata e può essere ottimizzata per grandi numeri, come qualsiasi altro prodotto. Ma l’aspetto più drammatico  di questo destino del pianeta terra è quel che è avvenuto dopo, dal ’45 ai giorni nostri. L’annichilimento dell’essenza dell’uomo è passato dalla simbolizzazione alla realizzazione sostanziale. Dal genocidio di milioni di ebrei, dalla carbonizzazione nucleare istantanea di centinaia di migliaia di persone,  e dallo strapotere della tecnica, la massificazione ha trovato la sua piena realizzazione nella spaventosa moltiplicazione del numero di umani, nella sovrappopolazione che ha portato alla devastazione ambientale e alla perdita di ogni senso della vita umana. Tutto è conchiuso nel ciclo produzione-consumo, la vita del singolo è divenuta stereotipo ripetibile all’infinito secondo uno schema che tende ad abolire ogni differenza e a pianificare tutta l’esistenza all’interno del ciclo suddetto. Quello che in passato era il fascino della differenza e della scoperta oggi non ha più senso. Dietro una assurda metafisica dei diritti assoluti di Homo si assiste ad un pareggiamento livellante di ogni esistenza che deve essere simile ai prodotti industriali: replicabile, priva di difetti (differenze), delocalizzata (sradicata da ogni appartenenza), intercambiabile, inserita nel mercato cioè nel nuovo assoluto orizzonte di significato per ogni oggetto naturale, sia esso un paesaggio, una casa, un animale, un automobile, un viaggio, e infine l’uomo stesso. Questa massificazione svuota l’essenza stessa dell’uomo. Paradossalmente, uno dei paradossi cui la modernità ci ha abituato, questo annientamento di umanità ha il nome di “umanismo” o –con termine attuale- “antropocentrismo”.
Jonas si richiama al principio di Responsabilità verso la natura per porre un freno alla visione antropocentrica di possesso umano del cosmo. L’umanismo, dietro l’apparenza della difesa dei diritti assoluti di Homo nasconde il pericolo mortale della perdita dell’uomo stesso   nella massa umana priva di senso. Nel nostro mondo di sette miliardi di umani ci avviamo ad un trionfo della uniformizzazione degli stili e dei prodotti, pur nella loro apparente varietà, in quanto il ciclo produzione e vendita deve essere ottimizzato per un mercato di massa composto da sette miliardi di consumatori-fruitori. In questa massificazione le megalopoli assumono il ruolo di macchina di realizzazione pratica e di retroterra culturale e idelogico di questo umanismo tecnologizzato. I luoghi si trasformano in “mondo artificiale” dove gli umani sono irrigimentati in vite stereotipe simili dalla nascita alla bara. La nascita e la morte divengono prodotti commerciali, la pietas umana ancora viva nei piccoli paesi, diviene fredda assistenza tecnologica nelle sale parto e nelle sale di rianimazione dove i numeri sostituiscono i nomi delle persone. Si abita in spaventosi agglomerati di cemento, ci si muove su nastri di asfalto, si consuma tutti le stesse cose prodotte da sistemi automatizzati e inculcati nelle coscienze come necessità con stereotipie pubblicitarie simili in tutto il pianeta. L’offerta uniforme è mascherata dalla varietà delle apparenze esteriori. A questo scopo si veda il prodotto auto: sempre più la struttura base e la motorizzazione è uniformata da produttori centralizzati che lavorano per vari marchi; alla struttura base, uguale per tutti a seconda dei modelli, viene sovrapposta la carrozzeria provvista di varianti esteriori che assicurano la multiformità apparente contrapposta ad una sostanziale uniformità di struttura. Questo vale per molti prodotti e addirittura per la vita umana stessa, sempre più uniforme nella sua organizzazione di base, su cui poi si inseriscono le varianti come hobby, tempo libero, appartenenza sportiva, politica ecc.  Più aumenta il numero di umani più la vita individuale perde senso e diviene pura replica. La virtualità delle comunicazioni lasciano le apparenze di una libertà e di una ricchezza di esperienze che in realtà è una ripetitiva procedura tecnologica. I viaggi, una volta sinonimo di scoperta di nuove culture  e possibilità, quando la terra aveva ancora aspetti inesplorati o poco conosciuti,  divengono oggi prodotto di consumo di massa, turismo commerciale. Ogni angolo del pianeta è esplorato e trasformato in prodotto di consumo. Le differenze tra i vari luoghi e le varie culture tendono ad appiattirsi e a scomparire man mano che avanzano le megalopoli e i processi di urbanizzazione massiccia delle popolazioni. Le foreste, le montagne, i laghi, i parchi naturali sono prodotti preconfezionati e venduti a pacchetti commerciali. Gli animali in via di estinzione vengono mantenuti in vita al solo scopo di sfruttamento commerciale (quando mancherà la convenienza economica, si lasceranno estinguere). Ogni aspetto della realtà diviene fruizione, e siccome la realtà non basta si crea una iper-realtà virtuale che consenta di moltiplicare la fruizione e il consumo per la massa di sette miliardi di consumatori. Tutto questo sta corrodendo dall’interno la cultura occidentale e ne sta decretando il tramonto. Insieme alla fine dell’occidente si assiste alla massificazione della cultura mondiale, all’emergere di nuove potenze che cavalcano la modernità meglio della vecchia Europa. Lo sfrenato processo di massificazione non è più, come nel dopoguerra, prerogativa delle potenze emerse dal conflitto, Usa e Russia sovietica. Oggi lo stesso schema lo stanno applicando, in maniera ancora più “violenta” la Cina e l’India o il Brasile in sud america,  in via di forte sviluppo, come è già accaduto con l’asia e il Giappone. L’espansione cinese in Africa con l’edificazione di città fatte di grattacieli pronti ad essere riempiti di nuove famiglie in crescita numerica, di strade e infrastrutture e la conseguente  distruzione delle foreste e delle savane, degli ambienti naturali e l’estinzione di animali selvaggi, per essere sostituiti da megalopoli e umani che reiterano se stessi, è un esempio di questo processo massificante ormai planetario.

2 commenti:

  1. Benvenuti nella distopia dei sistemi 5, del postmodernismo liquido, nel culto accrescitivo e tecnoteistico, intenazionalista, panmixista, nell'ecocidio dell'Antropocene.
    In fin dei conti la peggiore hybris antropocentrica di sempre, potenziata dalla tecnologia e dalla crescita quantitativa esponenziale degli homo.

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  2. "La scomparsa delle tradizioni e delle culture locali, ha accompagnato la trasformazione del mondo agricolo"

    Il processo di cui vi lamentate pare che cominci proprio con l'agricoltura, e' da quel momento che l'uomo comincia a costruire il proprio ambiente, sia come ambiente materiale, sia come ambiente sociale, entrambi strutturandoli pesantemente: se l'agricoltura e' la causa dell'effetto che oggi da' fastidio (in primo luogo la sovrappopolazione che intitola il blog), rimpiangerla mi pare fuori luogo.
    Oppure, se va bene l'una, deve andare bene anche l'altro.

    Inoltre, mi pare che col pensiero che si esprime sopra sia molto piu' a tono questo epitaffio di Veneziani su Marcuse, che il sopracitato Marcuse stesso, tanto per aggiungere contraddizione a contraddizione:

    "Achtung, achtung. I cattivi maestri tornano in cattedra grazie alla cattiva memoria e ai cattivi allievi.
    Caso Primo. Herbert Marcuse, il cattivo maestro della Contestazione, l’anello debole della Scuola di Francoforte, il filosofo della rivolta giovanile, della liberazione sessuale e della droga libera, torna in patria da eroe del pensiero: le sue ceneri, dopo 25 anni lasciano gli Stati Uniti, dove insegno' a non imparare, per tornare in Europa, nella Germania natìa, dove sono state tumulate ieri, accanto alle spoglie di Fichte e di Hegel, per volontà del governo Schröder. E l’intellettualità sinistrese europea, perturbata e commossa, gli dedica riverenti peana, dimenticando che la sua filosofia ebbe un ruolo fondamentale nella distruzione della cultura e della tradizione, nel primato della vita estetica sulla vita etica, della vita erotica sul pensiero, nel progetto di una umanità giocosa, irresponsabile ed eternamente infantile.
    Il pensiero di Marcuse allevò generazioni all’egocentrismo eversivo e ludico, alla trasgressione di massa come segno di creatività, al primato del Rifiuto e del Negativo sull’impegno faticoso di costruire e di generare. Marcuse fu padre di una generazione che divento degenerazione perché svezzata dal pensiero negativo. Complimenti."

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