(Il testo di Marcuse è una delle denunce sulla massificazione moderna della persona umana)
Che cosa accomuna fenomeni storici tragici dell’ultimo secolo come i campi
di battaglia della prima guerra mondiale con le sue armi tecnologiche (tra cui
la mitraglia che massifica l’uccisione del nemico), i campi di sterminio
organizzati scientificamente durante il nazismo, le bombe atomiche sganciate su
Hiroshima e Nagasaki, le grandi pandemie come la spagnola e l’asiatica e quella
più lenta ma tutt’ora attiva
dell’Aids, fino alle migrazioni epocali che stanno interessando il
nostro continente al giorno d’oggi con le connesse stragi in mare?
Se vediamo i fenomeni assai meno tragici ma
ugualmente significativi dell’enorme movimento di popolazione dalle campagne
alle città che ha interessato nell’ultimo secolo l’intero pianeta, comprendiamo un altro aspetto della massificazione in atto. Questo fenomeno, collegato alla fine della civiltà contadina, ha determinato la crescita delle megalopoli, più o meno regolata, in grandi periferie
disorganizzate (bidonville) o nello scenografico cambiamento dello sky-line
dominato in tutte le grandi città da alti grattacieli di vetro e cemento contenitori massificati di milioni di persone-consumatori. I grattacieli e le strutture in cemento stanno uniformando il paesaggio urbano di tutto il pianeta, mentre i territori naturali si riducono sempre di più sotto la pressione della massiccia antropizzazione del territorio. Ci si chiede: qual
è il fattore che muove questa gigantesca trasformazione dell’abitare umano?
Ugualmente da interpretare sono i cambiamenti nello
stile di vita di sette miliardi di persone. La scomparsa delle tradizioni e
delle culture locali, ha accompagnato la trasformazione del mondo agricolo,
prima con la meccanizzazione, poi con la riduzione della percentuale di
popolazione che vi si dedica, fino a quote residuali molto minoritarie. La vita nelle città
con l’impiego nel terziario e nell’industria ha comportato la uniformizzazione
dell’organizzazione della esistenza di milioni di persone. I consumi si sono
strutturati in merci standard la cui vendita è stata assicurata dai modelli
pubblicitari. La scuola ha ottemperato alla sua funzione massificante con l'appiattimento della formazione e la stereotipia delle informazioni regolata dalla cibernetica. Oggi la virtualità dei mezzi di conoscenza e comunicazione ha
generato altre uniformità e modi standard di utilizzare il tempo del lavoro e
il tempo libero. Anche in questo caso si può parlare di un fenomeno sottostante
che ha determinato la necessità dei nuovi modelli di vita (quello che
generalmente definiamo con il termine onnicomprensivo di modernità, e che negli
aspetti di crisi e ripensamento hanno dato luogo al cosiddetto fenomeno del post-moderno).
La mia tesi è che dietro questi fenomeni e
trasformazioni non ci siano modelli sociali ed economici precostituiti, ad
esempio il capitalismo e il socialismo, come si era creduto per tutto il
novecento. O gli interessi di grandi nazioni o quelli di forti poteri
costituiti, i quali hanno solo fatto il lavoro “sporco” la cui necessità aveva
al contrario ben altre cause. Ritengo che queste profonde trasformazioni
siano state guidate dall’enorme sviluppo tecnologico che le nuove scienze
naturali avevano assicurato a partire dalla fine del settecento e interessato
tutto il XIX e XX secolo. Ma soprattutto siano state originate dall’impatto sul
pianeta della crescita esponenziale della popolazione umana generata dalla tecnologia, crescita che ha imposto una massificazione dell'organizzazione sociale e della cultura. Tale massificazione ha
interessato tutti gli aspetti delle società umane, dalla guerra, alla morte
pianificata, allo sviluppo urbano, al consumo delle risorse naturali, agli
stili di vita, al tempo libero, alla visione del mondo. La trasformazione della terra da parte
della tecnologia e la sua furiosa crescita di potenza nell’ultimo secolo è
stato l’elemento massificante per eccellenza agendo direttamente sul numero di
umani, fino a porre a rischio la vita di tutte le specie non umane dapprima,
poi dell’uomo stesso. Questa massificazione ha comportato uno
sradicamento dell’uomo dalla sua appartenenza ai luoghi e alla terra, alle
abitudini e alle tradizioni storiche.
Che cosa si deve intendere con il termine massificazione? Essa consiste innanzi tutto in una perdita dell'uomo che viene privato della sua essenza per divenire numero, cosa, oggetto. La perdita di essenza è una perdita di senso. In questo modo l'uomo moderno, sottoposto all'agire tecnico, perde il suo mondo storico: l'uomo moderno è un uomo senza mondo, senza appartenenza. l'assenza diviene assenza di suolo, di fondo e fondamento; perdita di radici, l'impossibilità di fare corpo con la terra, l'espropriazione costitutiva, la spaesatezza, l'eteronomia, il non essere a casa, presso di sé, l'estraneità irriducibile, quella che Marcuse chiamava alienazione. La scomparsa del suolo, del paesaggio tradizionale è qualcosa cui la modernità ci ha assuefatto. La scienza con la sua razionalità senza fine, ripetitiva, numerica, ci ha dato una distanza dal mondo che ci appartiene sempre di meno, serrato in una rete di strutture che lo rendono artificiale e non più naturale.Qui l'aumento numerico degli individui della specie non è che un aspetto di questa realtà artificiale che rende l'esistenza un puro ripetersi, un reiterare all'infinito l'individuo, privato della sua storia e della sua appartenenza per divenire soggetto virtuale e oggetto reale, sottoposto alle leggi di produzione e mercato come tutti gli altri oggetti. Spezzare questo circolo chiuso, questa coazione a ripetere, non può che passare per una interruzione di questa moltiplicazione senza senso cui la tecnica ha portato la nostra specie, a scapito di tutte le altre forme di vita e fuori da ogni rapporto equilibrato con la natura.
In particolare questo fenomeno di
massificazione ha cominciato ad agire e prodotto le sue conseguenze sull’europa, la cui identità si è avviata
verso l’annichilimento già nella prima metà del novecento (vedi il
“Tramonto dell’Occidente” di Spengler, 1923). Ancora bisogna chiedersi: quale è la
causa che ha visto l’illuminismo portare allo sradicamento dell’uomo
occidentale, alla globalizzazione dei diritti dell’uomo divinizzato a padrone
assoluto della natura, proprio nel momento in cui il significato del divino
veniva perso e svalorizzato? Le grandi migrazioni attuali non sono che un
aspetto di questo sradicamento. Milioni di uomini abbandonano i propri luoghi
di origine, le proprie tradizioni, la famiglia e la propria storia per raggiungere la terra promessa dei
prodotti stereotipi replicabili e abbondanti della modernità tecnologica.
Vogliono uniformare la propria vita a quella dei modelli dominanti. Spinti in parte dalla fame e dalle guerre, ma anche questi sono aspetti derivati da
un eccesso, dalle troppe nascite in luoghi che non hanno risorse. La tecnologia
che ha consentito l’eccedenza innaturale ne indica anche la soluzione
ugualmente artificiale: la migrazione verso i luoghi in cui la tecnologia e
l’economia da essa derivata ne assicura le risorse. In questo processo di espansione numerica eccessiva umana quello che perde è la natura,
l’ambiente naturale, le altre specie viventi, la salubrità e la bellezza del
pianeta. Quello che colpisce in questo sradicamento è questa ossessione moderna
della reiterazione, della replicazione, della moltiplicazione, ben
rappresentata dal Taylorismo della produzione meccanizzata, dalla catena di
montaggio della fabbrica moderna, portata sullo schermo da film come Metropolis
o da quelli umoristici di Chaplin. “E perciò si ripete, in un vortice che gira
su se stesso, in una eterna ripetizione di un uguale che, tuttavia, viene ogni
volta spacciato per nuovo. La ripetizione richiede così una accelerazione per ammantarsi
di progresso, per far apparire differente quel che è uguale, nuovo quel che è
vecchio, sul modello della cronaca giornalistica, paradigma di questo eterno
ritorno, che promuove la fase finale a stato permanente, e prolunga la fine in
una durata senza fine. Il
progresso, in tutti i suoi possibili travestimenti, è l’idolo. Nell’assenza
della decisione il progresso protrae il crepuscolo. Non c’è nulla di peggio di
questo protrarsi senza fine del crepuscolo. Perché come può venire il giorno,
se è preclusa la notte? “ (M. Heidegger - Schwarze Hefte).
Ora quello che Adorno chiamava la ragione astratta , Marcuse
l’uomo ad una dimensione, Jonas l’asservimento tecnologico della natura, è in
realtà lo stesso concetto di massificazione dell’uomo, della sua riduzione a
numero, del suo completo annichilimento in quanto essenza umana (nel senso
naturale del termine) alla grande macchina della società moderna della
produzione e della ri-produzione stereotipa e massificata secondo procedure
che, dietro l’apparenza di una libertà fittizia, sradicano l’uomo dalla sua
appartenenza alla natura.
Questo processo di annichilimento dell’uomo ha la sua
orrenda simbologia nella shoah del popolo ebraico degli anni 1940-1945. Come,
ugualmente terribile nel suo significato simbolico, fu l’annientamento degli
innocenti abitanti di Hiroshima e Nagasaki in un millesimo di secondo in
seguito all’esplosione delle due prime bombe nucleari, altro simbolo dello
strapotere tecnologico e della riduzione dell’uomo a uomo-massa, a simbolo e mezzo. Ciò che importava nella distruzione delle città giapponesi non erano ragioni strategiche o tattiche militari. Si trattava invece di dare la notizia della distruzione e della morte istantanea di centinaia di migliaia di persone, a scopo psicologico. Effetto che le due bombe atomiche ottennero con facilità. Anche la morte
è tecnologizzata e può essere ottimizzata per grandi numeri, come qualsiasi
altro prodotto. Ma l’aspetto più drammatico di questo destino del pianeta terra è quel che è avvenuto
dopo, dal ’45 ai giorni nostri. L’annichilimento dell’essenza dell’uomo è
passato dalla simbolizzazione alla realizzazione sostanziale. Dal genocidio di
milioni di ebrei, dalla carbonizzazione nucleare istantanea di centinaia di
migliaia di persone, e dallo
strapotere della tecnica, la massificazione ha trovato la sua piena realizzazione
nella spaventosa moltiplicazione del numero di umani, nella sovrappopolazione
che ha portato alla devastazione ambientale e alla perdita di ogni senso della
vita umana. Tutto è conchiuso nel ciclo produzione-consumo, la vita del singolo
è divenuta stereotipo ripetibile all’infinito secondo uno schema che tende ad
abolire ogni differenza e a pianificare tutta l’esistenza all’interno del ciclo
suddetto. Quello che in passato era il fascino della differenza e della
scoperta oggi non ha più senso. Dietro una assurda metafisica dei diritti
assoluti di Homo si assiste ad un pareggiamento livellante di ogni esistenza
che deve essere simile ai prodotti industriali: replicabile, priva di difetti
(differenze), delocalizzata (sradicata da ogni appartenenza), intercambiabile,
inserita nel mercato cioè nel nuovo assoluto orizzonte di significato per ogni
oggetto naturale, sia esso un paesaggio, una casa, un animale, un automobile,
un viaggio, e infine l’uomo stesso. Questa massificazione svuota l’essenza
stessa dell’uomo. Paradossalmente, uno dei paradossi cui la modernità ci ha
abituato, questo annientamento di umanità ha il nome di “umanismo” o –con
termine attuale- “antropocentrismo”.
Jonas si richiama al principio di Responsabilità verso
la natura per porre un freno alla visione antropocentrica di possesso umano del
cosmo. L’umanismo, dietro l’apparenza della difesa dei diritti assoluti di Homo
nasconde il pericolo mortale della perdita dell’uomo stesso nella massa umana priva di senso.
Nel nostro mondo di sette miliardi di umani ci avviamo ad un trionfo della
uniformizzazione degli stili e dei prodotti, pur nella loro apparente varietà,
in quanto il ciclo produzione e vendita deve essere ottimizzato per un mercato di
massa composto da sette miliardi di consumatori-fruitori. In questa
massificazione le megalopoli assumono il ruolo di macchina di realizzazione
pratica e di retroterra culturale e idelogico di questo umanismo
tecnologizzato. I luoghi si trasformano in “mondo artificiale” dove gli umani
sono irrigimentati in vite stereotipe simili dalla nascita alla bara. La
nascita e la morte divengono prodotti commerciali, la pietas umana ancora viva
nei piccoli paesi, diviene fredda assistenza tecnologica nelle sale parto e
nelle sale di rianimazione dove i numeri sostituiscono i nomi delle persone. Si
abita in spaventosi agglomerati di cemento, ci si muove su nastri di asfalto,
si consuma tutti le stesse cose prodotte da sistemi automatizzati e inculcati
nelle coscienze come necessità con stereotipie pubblicitarie simili in tutto il
pianeta. L’offerta uniforme è mascherata dalla varietà delle apparenze
esteriori. A questo scopo si veda il prodotto auto: sempre più la struttura
base e la motorizzazione è uniformata da produttori centralizzati che lavorano
per vari marchi; alla struttura base, uguale per tutti a seconda dei modelli,
viene sovrapposta la carrozzeria provvista di varianti esteriori che assicurano
la multiformità apparente contrapposta ad una sostanziale uniformità di struttura. Questo
vale per molti prodotti e addirittura per la vita umana stessa, sempre più
uniforme nella sua organizzazione di base, su cui poi si inseriscono le
varianti come hobby, tempo libero, appartenenza sportiva, politica ecc. Più aumenta il numero di umani più la
vita individuale perde senso e diviene pura replica. La virtualità delle
comunicazioni lasciano le apparenze di una libertà e di una ricchezza di
esperienze che in realtà è una ripetitiva procedura tecnologica. I viaggi, una
volta sinonimo di scoperta di nuove culture e possibilità, quando la terra aveva ancora aspetti
inesplorati o poco conosciuti,
divengono oggi prodotto di consumo di massa, turismo commerciale. Ogni
angolo del pianeta è esplorato e trasformato in prodotto di consumo. Le differenze
tra i vari luoghi e le varie culture tendono ad appiattirsi e a scomparire man
mano che avanzano le megalopoli e i processi di urbanizzazione massiccia delle
popolazioni. Le foreste, le montagne, i laghi, i parchi naturali sono prodotti
preconfezionati e venduti a pacchetti commerciali. Gli animali in via di
estinzione vengono mantenuti in vita al solo scopo di sfruttamento commerciale
(quando mancherà la convenienza economica, si lasceranno estinguere). Ogni
aspetto della realtà diviene fruizione, e siccome la realtà non basta si crea
una iper-realtà virtuale che consenta di moltiplicare la fruizione e il consumo
per la massa di sette miliardi di consumatori. Tutto questo sta corrodendo
dall’interno la cultura occidentale e ne sta decretando il tramonto. Insieme
alla fine dell’occidente si assiste alla massificazione della cultura mondiale,
all’emergere di nuove potenze che cavalcano la modernità meglio della vecchia
Europa. Lo sfrenato processo di massificazione non è più, come nel dopoguerra,
prerogativa delle potenze emerse dal conflitto, Usa e Russia sovietica. Oggi lo
stesso schema lo stanno applicando, in maniera ancora più “violenta” la Cina e
l’India o il Brasile in sud america,
in via di forte sviluppo, come è già accaduto con l’asia e il Giappone.
L’espansione cinese in Africa con l’edificazione di città fatte di grattacieli
pronti ad essere riempiti di nuove famiglie in crescita numerica, di strade e
infrastrutture e la conseguente
distruzione delle foreste e delle savane, degli ambienti naturali e
l’estinzione di animali selvaggi, per essere sostituiti da megalopoli e umani
che reiterano se stessi, è un esempio di questo processo massificante ormai
planetario.