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sabato 14 dicembre 2013

Il Secolo Inutile




 “Si vede bene com’è che brucia un villaggio, anche a venti chilometri. Era allegro. Un borgo da niente che non si notava nemmeno durante il giorno, in fondo a una campagna meschina, eh bè, si ha mica idea la notte, quando brucia, l’effetto che può fare! Potrebbe essere Notre-Dame! Ci mette anche tutta una notte a bruciare un villaggio, anche uno piccolo, alla fine si direbbe un enorme fiore, poi, nient’altro che un boccio, poi più niente. Fuma, allora è mattino.” 
(Celine: Viaggio al termine della notte)

1914 – 2014  E’ passato un secolo dallo scoppio della prima Guerra Mondale, un secolo in cui illusioni, speranze e disperazione si sono alternate a guerre e scontri ideologici, per finire poi in uno sfrenato consumismo all’arrembaggio di una nave ormai sovraccarica di umani e pericolosamente inclinata sul mare del nulla. Il romanzo di Celine sembra riassumere su di sé questa disperazione di un intero secolo, preveggente e sensibile a ciò che stava più o meno sotterraneamente accadendo e che avrebbe poi trasformato ogni cosa, compreso la vita stessa degli uomini. La Grande Guerra fu definita la “guerra dei materiali” la prima grande guerra tecnica. Per la prima volta artefice della guerra erano i mezzi, le nuove armi prodotte sulla scorta del progresso tecnico-scientifico degli anni precedenti: gli uomini erano quasi un contorno, un accessorio destinato ad essere sacrificato per una cosa più grande.
Era l’epoca del positivismo, c’era grande speranza nella scienza e si pensava che tutti i problemi dell’umanità sarebbero stati risolti dal progresso scientifico.
Sui campi di battaglia della Somme e di Verdun si sarebbero bruciate anche molte di quelle speranze. Lì la tecnica mostrò il suo volto peggiore, una belva rombante assetata di sangue umano. Per la prima volta furono  usati i gas –un mezzo invisibile ed infido, metafora di un avvelenamento generale delle coscienze- per annientare altri uomini. I cannoni a lunga gittata, i radiotelefoni, l’aviazione consentivano per la prima volta di uccidere uomini senza avere alcun rapporto con loro, neanche quello di vicinanza fisica. Tutte le leggi, scritte e non scritte,  delle guerre precedenti furono stravolte.
Era solo l’inizio, la trasformazione tecnica ed economica in atto stava cambiando profondamente non solo la società, ma l’uomo stesso. L’illusione della scienza di poter guidare la tecnicizzazione del mondo in modo da costruire una società a dimensione di un certo tipo di uomo, come il marxismo e i vari altri ismi hanno tentato di fare, è durata pochi decenni. Alla fine è emersa la verità che già dagli anni 20 e 30 del novecento molti avevano indicato: è la tecnica a gestire l’uomo e non viceversa. Marcuse parlerà dell’uomo ad una dimensione, altri di alienazione della vita moderna. La nascita delle megalopoli, la riduzione della vita umana ad una serie di atti ripetitivi all’interno di meccanismi stereotipi, i sistemi di controllo sempre più centralizzati e astratti, disumanizzati,  sono tutti fenomeni mai visti in precedenza. Certo il novecento è stato il secolo della comodità, delle auto, dei frigoriferi, della televisione, dei riscaldamenti, della cura di malattie sempre nuove e dell’allungamento della vita media. Ma il prezzo da pagare è stato altissimo. Dopo il 1945 si pensava che il mondo sarebbe stato distrutto dalla bomba atomica; nessuno aveva previsto che la bomba che oggi lo sta distruggendo sarebbe stata di altro tipo: la bomba demografica. Quello che Hosbawm ha definito il “secolo breve” è stato il periodo della più grande esplosione demografica che si sia mai vista. La scienza, la tecnologia, la medicina e l'economia avevano fatto un "miracolo". Dal 1900 il pianeta è passato da 1 a 7 miliardi di umani facendo impennare tutte le curve economiche oltre che demografiche: sono spaventosamente cresciuti i consumi, il prodotto interno lordo, la combustione di carbone,gas e petrolio, l’immissione di CO2 in atmosfera, l’uso e l’inquinamento delle acque. Soprattutto si è trasformato il concetto stesso di uomo. L’uomo è divenuto lui stesso merce come tutte le altre; da consumatore a prodotto e da prodotto a consumatore, il cerchio si chiude. Nel massimo delirio antropocentrico si è attuata  la più grande massificazione che svuota Homo di ogni significato. Hanna Arendt definisce con il termine risentimento la disposizione affettiva caratteristica dell’uomo moderno. Risentimento contro “tutto ciò che è dato, anche contro la propria esistenza”; risentimento contro “il fatto che egli non è il creatore dell’universo, né di sé stesso”. Spinto da questo risentimento fondamentale a “non scorgere alcun senso nel mondo quale gli si offre”, l’uomo moderno “proclama apertamente che tutto è permesso e crede segretamente che tutto sia possibile”. 
Tutto è possibile: questo assioma ha rivelato la sua forza devastatrice sia nei crimini perpretati in nome dell’umanità universale sia nel disinteresse verso l’ambiente, la natura e le altre specie viventi ridotte a magazzino dei propri appetiti di consumatore. Tutto è possibile è il motto dell’antropocentrismo egoistico dominante ormai su scala planetaria alla fine del secolo inutile. Con questa delirante visione di potere assoluto dell’uomo abbiamo dimenticato l’appartenenza, l’amicizia, la distinzione del vicino e del lontano. E’ l’epoca del turismo generalizzato, del fruire senza sentire, del parlare con tutti (anche con i cellulari) senza colloquio, senza uscire da campo limitato dei propri interessi. In tutto questo abbiamo dimenticato il mondo comune, l’idea vera di umanità come parte della natura, il rispetto per le altre specie, la gratitudine per ciò che da senso, in quanto natura, a noi stessi.

"Il processo segue il suo corso. Gli eventi non hanno fatto abbastanza da scuotere l’uomo moderno. Il regno del sentimento e la disfatta –forse solo provvisoria- dell’ideologia non hanno messo fine al regno del risentimento. Inutilità del XX secolo?"
(Alain Finkielkraut: L’umanità perduta. Lindau editore).

9 commenti:

  1. << Inutilità del XX secolo? >>

    Forse dire inutilità è dire poco.
    Certo per tante cose è stato un secolo come tutti i precedenti, in cui l'umanità si scannava allegramente in nome di qualsiasi cosa gli sembrasse importante o adeguata a tal fine.
    Però il XX secolo è stato anche quello del trionfo della tecnologia, il che non ha voluto solo dire una altissima efficienza nello scannamento di cui sopra, ma anche una altissima efficienza nel (non voluto) obbiettivo di distruggere l'ecosistema della terra.
    Ecco, visto in quest'ottica, il secolo XX non è stato certamente inutile: è stato dannoso al massimo grado.
    E il secolo XXI sarà quello del redde rationem.

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  2. "E il secolo XXI sarà quello del redde rationem."
    Hai perfettamente ragione. Le cambiali con cui abbiamovissuto il boom demografico ed economico della seconda parte del secolo stanno arrivando a scadenza. Ma nessuno se ne preoccupa, a parte noi soliti quattro gatti.

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  3. Continuo i miei studi sui problemi energetici e ambientali, in modo da includere quante più funzioni nei miei software, in modo che, anche persone inesperte possano capire la situazione attuale e futura.
    Gli ultimi studi mi hanno parecchio demoralizzato!
    Uno riguarda la Fusione nucleare e l'altro riguarda le radiazioni emesse durante gli incidenti alle centrali nucleari.

    Per quanto riguarda la "Fusione nucleare" stanno solo perdendo tempo! Nel senso che, già adesso si sà che l'energia prodotta sarà inferiore a quella consumata! (Vedere: Criterio di Lawson).

    Per quanto riguarda la radioattività: il Cesio 137 rilasciato dagli incidenti nucleari, farà tantissime vittime in futuro, soprattutto in Giappone, ma non solo, dato che, il pesce pescato nell'oceano Pacifico viene venduto in tutto il mondo.

    Solo qualche mese fa, c'è stato in Italia un allarme per aver trovato dei Cinghiali contaminati da Cesio 137; le radiazioni arrivavano a 2700 Bq/kg.
    Ricordo che già soltanto 50 Bq/kg stabili nel corpo di un bambino, portano a gravi patologie cardiovascolari e tante altre malattie, tra cui anche i tumori.

    Alla fine penso che è vero:
    L'ignoranza fa vivere felici, mentre la conoscenza ci rende più infelici!


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    1. "L'ignoranza fa vivere felici, mentre la conoscenza ci rende più infelici!"

      Be', che gli ignoranti siano felici è da vedere, diciamo che sono spensierati e perciò magari un po' più allegri di "color che sanno". Ma che la conoscenza possa rivelarsi amara e deprimere è un'osservazione già fatta tanto tempo fa, addirittura migliaia d'anni fa:

      Grande sapienza è grande tormento
      Più intelligenza avrai
      più soffrirai.

      (Qohélet o Ecclesiaste 1, 18)

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  4. << "L'ignoranza fa vivere felici, mentre la conoscenza ci rende più infelici!" >>

    Questo assioma l'ho sentito spesso, ma mi sembra un po' sopravvalutato.
    Anzitutto "sapere" ci rende più pronti ad affrontare le crisi che prima o poi si verificano.
    Poi non è detto che chi "non sa" viva così felice come sembra: certo non avrà le preoccupazioni legate alle cose che non conosce, ma ne avrà altre legate alle sciocchezze quotidiane che a lui, magari, sembreranno importantissime. E se deve rovinarsi il fegato lo farà ugualmente.
    Chi "sa", invece, riuscirà facilmente a dare alle cose sciocche l'infima importanza che meritano, e non se ne farà angustiare.
    Insomma, alla fin fine, mi sembra che ciascuno, nella vita, finisca per avere la sua fetta di infelicità, anche se diversa, e che sia impossibile evitarlo.

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    1. Concordo; la felicità tende ad essere dimenticata, mentre l'infelicità si deposita sul fondo e lascia un umore corrosivo permanente; magari però chi sà, in mezzo a tutte queste tendenze emozionali che ci accomunano tutti, riesce a vedere e ricordare anche tanta bellezza che è preclusa ai rozzi.

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  5. ...Un saluto all'autore di questo blog ed ai suoi lettori ed eventualmente commentatori ; si parla della tecnica che ha dominato l'uomo spersonalizzandolo..Verissimo, e questo è ormai un liet motiv nella saggistica ormai da quasi un secolo; Junger per primo ravvisò i pericoli della tecnica per l'uomo , nel suo der arbeiter; il punto però è, e non è la mia posizione, sia ben chiaro, solo una posizione che voglio evidenziare, quale uomo si lascia dominare dalla tecnica ? L'uomo borghese, l'uomo la cui felicità ed orizzonte culurale si esaurisce col benessere materiale, che come evidenzia De Benoist in comunità e decrescita è lo stesso uomo morale di Marx...Forse serve una morale di comunità e di specie fra le specie, dove il destino del singolo è privo di senso quando è in pericolo la sopravvivvenza di molte specie e della dignità della nostra....Coi combusitibili fossili l'uomo ha acceso un fuoco cui non era pronto, avvelenato com'era dal resantissament cristiano, alla Nietsche, e dalla caduta di ogni ideale di miglioramento del proprio spirito e conservazione della dignità.Poi però vedo che il post arriva all'antropocentrismo e quindi si avvicina parecchio ad un suggerimento di morale sostenibile che oggi serve a preservare dalla follia ma che comunque deve prescindere dalla salvezza temporanea e materiale dei singoli individui...Anche il nostro vederci come individui, e non come trama cosciente, legata fra le generazioni e le altre specie, la coscienza di Gaia, è patognomonico e patogeno insieme.

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  6. Caro Francesco poni temi e problemi enormi in un'epoca come la nostra che vede una crisi di tutti i sistemi (compreso quelli del pensiero) precedenti. E' chiaro che siamo di fronte al tema della natura e della sopravvivenza che è la "cosa" in questione oggi. Il fuoco di Prometeo dei combustibili fossili è purtroppo stato acceso, e tornare indietro non è possibile. Il problema di una nuova morale ci si pone anch'esso dinanzi, così come quello di riconoscere una "trama cosciente" che intesse tutto ciò che esiste. Il nostro vederci come individui è forse patogeno, come sostieni, ma è anche il luogo in cui avviene la libertà, quella vera che attiene alla coscienza individuale. Sta a noi riconoscere la trama nascosta e, attraverso di essa, giungere ad un pensiero in grado di portarci fuori dal buio attuale.

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  7. Un conoscente milanese nel gruppo con cui facciamo uscite di trekking e alpinismo mi faceva ridere con un "Beati voi che non capite un cazzo!".
    Cammini e filosofeggi (goliardicamente). :)

    Bella pagina anche questa!
    Qui arriviamo all'hybris di homo. Problema così antico che travalica la storia, è entrata nel mito. Il crollo della torre a Babele è proprio lì, a ricordare che homo non vuole accettare i limiti, si ingegna a volerli superare fino a far arrivare "il tutto" al collasso, al crollo.
    Sartori, giustamente, epiteta con Stupidus Stupidus la specie che si sta applicando con fantasmagorico ingegno, impegno e forza nella distruzione progressiva di ciò che la ospita.

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