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martedì 31 dicembre 2013
Esplosione demografica e picco alimentare
Nel suo libro “L’aumento della popolazione nell’era moderna” il demografo Mc Keown attribuisce un ruolo determinante nella crescita demografica alla quantità e al livello dell’alimentazione, riprendendo le tesi malthusiane sul rapporto tra popolazione e disponibilità di alimenti. Molti demografi contestano questa relazione diretta tra alimentazione e popolazione, tra cui l’italiano Livi Bacci che riconosce l’importanza del fattore alimentare solo sui brevi periodi, mentre sui tempi lunghi intervengono altri fattori come quello culturale, religioso o le aspettative economiche. E. Wrigley e R. Schofield studiando le dinamiche demografiche in Inghilterra mettono in relazione la crescita demografica più con il regime nuziale e riproduttivo connesso con le condizioni di vita dei lavoratori, piuttosto che con le risorse alimentari. Ma quale è la situazione e come si stanno modificando i rapporti tra demografia e nutrizione in un mondo di sette miliardi di abitanti, i quali richiedono sempre di più l’accesso a cibi abbondanti, di qualità, ricchi di proteine, raffinati nei gusti e nelle preparazioni? Oggi il pianeta si sta avviando ad una situazione in cui i suoli destinati all’agricoltura saranno sempre di meno per il cambiamento climatico, la modificazione della distribuzione delle piogge, la cementificazione, la desertificazione, la salinizzazione e l’inaridimento dei suoli, l’esaurimento delle risorse idriche; nuovo suolo disponibile potrà esserci, come sta avvenendo in Africa e in Asia, solo distruggendo le foreste fluviali e l’habitat silvestre di numerose specie animali. Un esempio di distruzione ambientale per esigenze alimentari è quello che avviene in Brasile, dove migliaia di ettari di foresta amazzonica vengono sacrificati ogni anno per riconvertirli a colture cerealicole o a pascolo per la produzione di carne. Soltanto ulteriore deforestazione, distruzione di ambienti naturali, uno sfruttamento più intensivo di suoli, un uso più massiccio di pesticidi e veleni chimici potrà assicurare il sostentamento per ulteriori masse di umani. Ci sono limiti all’uso di fertilizzanti sia per l’esaurimento dei suoli sia per problemi di costi e di produzione di prodotti azotati. L’azoto, principale componente dei prodotti chimici per aumentare la resa produttiva dei suoli, è presente in abbondanza nell’atmosfera in una forma libera molecolare (N2), una forma stabile che non è in grado di essere assorbita dal metabolismo degli esseri viventi. Per una sua utilizzabilità come nutrimento di piante e animali, l'azoto deve essere convertito nella forma fissata ad altri elementi, in particolare l’idrogeno. Per produrre fertilizzanti abbiamo a disposizione il processo Haber-Bosch che permette di combinare l’azoto con l’idrogeno per formare ammoniaca in presenza di un catalizzatore ferroso. Ogni anno si producono centinaia di milioni di tonnellate di ammoniaca, e la richiesta continuerà a crescere con l’aumento della popolazione mondiale per la necessità di fertilizzanti azotati. Per far combinare l’azoto libero con altre sostanze è necessario fornire al sistema irriducibili quantità di energia. C’è in pratica un limite termodinamico alla quantità di ammoniaca e altri prodotti azotati che possiamo produrre. Allo scopo di scindere il triplo legame che lega i due atomi di azoto nella molecola si richiede molta energia dall’esterno. Si deve inoltre fornire ulteriore energia per formare i composti azotati. Nel processo Haber l’energia libera deve essere fornita dall’idrogeno gassoso, la cui produzione è possibile industrialmente solo ricorrendo agli idrocarburi. La disponibilità di petrolio e gas per la produzione di composti azotati è sempre più limitata dal picco del petrolio e dai prezzi crescenti. Nuovi metodi basati sulla produzione con catalizzatori organo-metallici che cercano di riprodurre i sistemi enzimatici dei batteri, produttori naturali di composti azotati, è costosa e lenta, e non adatta per l’utilizzo su vasta scala. E’ prevedibile che in presenza di una maggiore richiesta di cibo da parte della popolazione mondiale in crescita (si parla di 10-11 miliardi di abitanti per la fine del secolo) assisteremo ad un picco alimentare che, secondo alcuni demografi, ci costringerà a mangiare le alghe e gli insetti. Senza contare che i prodotti azotati sono inquinanti delle acque e producono nitrificazione, eutrofizzazione, ipossia e tossicità per la vita marina.
mercoledì 25 dicembre 2013
L’Affare Immigrazione
Una notizia la possiamo dare. I fenomeni migratori nei
prossimi anni non si arresteranno, anzi aumenteranno. E insieme alle migrazioni
aumenterà la natalità delle zone di origine dei flussi. Il perché di queste
certezze si può capire da alcuni dati che mostrano gli enormi interessi
economici che sono alla base del fenomeno migratorio e le cifre gigantesche
in gioco. L’immigrazione economicamente conviene ai paesi di origine,
alle popolazioni locali, ai governi corrotti delle zone da cui partono i
“disperati”, ai trafficanti e alle potenti organizzazioni che vi sono dietro,
ma non solo; il flusso di migranti sta arricchendo anche molti speculatori dei
paesi di arrivo che hanno fatto del fenomeno migratorio e della demagogia che
lo sostiene una fonte diretta di guadagno, per non parlare dei palazzinari che
vedono nelle masse immigrate occasioni di sviluppo dell’edilizia, ai datori di
lavoro che si vedono rifornire di manodopera a basso prezzo, al grande capitale
che ci vede nuovi potenziali consumatori.
Come afferma Virginia Abernethy nel suo famoso saggio
“Ottimismo e sovrappopolazione”, l’emigrazione è uno dei fattori chiave che
influenzano la natalità:
“Anche l’immigrazione può influire sulla
popolazione mondiale complessiva. Studi relativi all’Inghilterra e al Galles
del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in
comunità già nel pieno di una rapida crescita della popolazione, la fecondità
rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina
rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza… Questo effetto
sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione
accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.
In sostanza, è vero, anche se scomodo, che gli sforzi per alleviare la povertà
spesso stimolano la crescita della popolazione, così come fa il lasciare aperte
le porte all’immigrazione. I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di
opportunità economiche rimuovono l’immediatezza del bisogno di preservare. I
mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico
innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della
popolazione e quindi rendendo più ripida una spirale ambientale ed economica
discendente.”
Le rimesse delle grandi masse di
emigrati –cioè il denaro che mandano a casa alle famiglie di origine- sono
quasi triplicate, tra il 2000 e il 2013, da 180 a 511 miliardi di dollari. Se
si considera la parte di denaro (il 77% contro il 60% del 2000) che va ai Paesi
a basso o medio reddito (la cui media pro-capite è sotto i 12.615 dollari
l’anno, secondo la definizione della Banca Mondiale), si tratta di tre volte quanto gli aiuti
internazionali destinano loro. Un motore essenziale per lo sviluppo di queste
economie se si considera che per i paesi a basso reddito le rimesse degli
emigrati rappresentano circa il 10 % del Prodotto lordo, per alcuni casi limite
persino il 20-30%. I dati, basati su statistiche della Banca mondiale, sono
stati elaborati in uno studio del centro di ricerche americano Pew Research. E’
interessante notare come siano i Paesi a reddito medio (come per esempio Cina,
India e Messico) a giocare una parte sempre più consistente nel fenomeno migratorio.
Su 232 milioni di migranti, il 58% è nato in Paesi oggi a medio reddito e una
percentuale minore in nazioni a basso reddito. Così gran parte delle rimesse
raggiungono i Paesi a reddito medio. Le rimesse degli immigrati dall’Italia
verso i paesi di provenienza , secondo una stima che riguarda il 2011,
sarebbero dell’ordine di 7 miliardi e mezzo. Viene da pensare che le rimesse
abbiano giocato un ruolo molto rilevante nella crescita economica ( e non solo,
anche demografica) dei paesi oggi
giudicati emergenti. In questo quadro i governi di molti paesi a basso e medio
reddito si sono già da tempo resi conto che non conviene incrementare il
controllo delle nascite, ma al contrario favorire la natalità per mantenere
alto il tasso di migranti e le conseguenti ricadute positive sul Prodotto
interno e sul commercio. Nei paesi in rapida crescita come Cina e India inoltre
mantenere alta la natalità significa aumentare i consumi interni oltre che le
rimesse dall’estero. I governi corrotti di molti paesi africani o asiatici
vedono nelle rimesse occasione di arricchimento personale e favoriscono il fenomeno anche
appoggiando organizzazioni religiose e fondamentaliste che propugnano famiglie
numerose e la conquista migratoria delle terre occidentali.
Ma come dicevo a guadagnarci sul fenomeno
migratorio non ci sono solo interessi locali.
Sulle speranze di miglioramento
economico e di cambiare la vita propria e dei propri familiari speculano i
trafficanti di carne umana.
Guardiamo ad esempio al ruolo della mafie negli sbarchi dei migranti nel
sud Italia. Secondo uno studio dell’Università di Messina (M. Centorrino e P.
David) il flusso di migranti e
profughi sulle coste italiane alimenta le organizzazioni mafiose di varia
nazionalità, consentendo profitti non lontani da quelli del narcotraffico. Continuano i due autori:
“Gli sbarchi sono la fase finale di un processo con diversi
passaggi. Non nascono da una imprenditoria della clandestinità improvvisata, ma
dal lavoro di una organizzazione complessa, che da questa attività ricava utili
consistenti, ripartiti nella filiera di tratta, dall’offerta del transito allo
sbarco. Si tratta spesso di una filiera lunga, anche dal punto di vista della
durata nel tempo e quindi richiede azioni ben concertate”.
Citando alcuni rapporti, gli autori dello
studio fanno emergere che il flusso di migranti e profughi
“si alimenta e alimenta organizzazioni
mafiose. Sono composte in prevalenza da soggetti di nazionalità straniera
(molti dei quali stabilmente residenti in Italia) con permesso di soggiorno o
cittadinanza italiana, con forte caratterizzazione etnica, poco propensi alla
collaborazione con cittadini italiani o di differente etnia”.
mercoledì 18 dicembre 2013
Bonus bebè
Il governo inserisce il bonus bebè nella Legge di Stabilità 2014
Il governo ha presentato un emendamento alla legge di stabilità che sblocca fondi per il bonus bebé, lo rendono noto fonti dell'esecutivo aggiungendo che la cifra sbloccata dovrebbe valere intorno ai 30 milioni di euro.
La deputata Binetti (Scelta Civica) parla in favore del Bonus (di cui lamenta la scarsità dei fondi) e della necessità di combattere l'"Inverno demografico" della penisola.
La popolazione italiana è passata da 40 a 62 milioni di abitanti in 50 anni. Se questo è l'inverno demografico cosa sarà l'estate demografica?
Ovviamente la maggior parte dei fondi andranno agli immigrati, che hanno tassi di natalità doppi o tripli rispetto agli italiani.
Le speranze di salvare il suolo verde e il paesaggio italiano dalla cementificazione sono inutili con questi politici. Tutto continuerà come prima, anzi peggio di prima.
Il governo ha presentato un emendamento alla legge di stabilità che sblocca fondi per il bonus bebé, lo rendono noto fonti dell'esecutivo aggiungendo che la cifra sbloccata dovrebbe valere intorno ai 30 milioni di euro.
La deputata Binetti (Scelta Civica) parla in favore del Bonus (di cui lamenta la scarsità dei fondi) e della necessità di combattere l'"Inverno demografico" della penisola.
La popolazione italiana è passata da 40 a 62 milioni di abitanti in 50 anni. Se questo è l'inverno demografico cosa sarà l'estate demografica?
Ovviamente la maggior parte dei fondi andranno agli immigrati, che hanno tassi di natalità doppi o tripli rispetto agli italiani.
Le speranze di salvare il suolo verde e il paesaggio italiano dalla cementificazione sono inutili con questi politici. Tutto continuerà come prima, anzi peggio di prima.
lunedì 16 dicembre 2013
sabato 14 dicembre 2013
Il Secolo Inutile
“Si vede
bene com’è che brucia un villaggio, anche a venti chilometri. Era allegro. Un
borgo da niente che non si notava nemmeno durante il giorno, in fondo a una
campagna meschina, eh bè, si ha mica idea la notte, quando brucia, l’effetto
che può fare! Potrebbe essere Notre-Dame! Ci mette anche tutta una notte a
bruciare un villaggio, anche uno piccolo, alla fine si direbbe un enorme fiore,
poi, nient’altro che un boccio, poi più niente. Fuma, allora è mattino.”
(Celine: Viaggio al termine della notte)
1914 – 2014
E’ passato un secolo dallo scoppio della prima Guerra Mondale, un secolo
in cui illusioni, speranze e disperazione si sono alternate a guerre e scontri
ideologici, per finire poi in uno sfrenato consumismo all’arrembaggio di una
nave ormai sovraccarica di umani e pericolosamente inclinata sul mare del
nulla. Il romanzo di Celine sembra riassumere su di sé questa disperazione di
un intero secolo, preveggente e sensibile a ciò che stava più o meno
sotterraneamente accadendo e che avrebbe poi trasformato ogni cosa, compreso la vita stessa degli uomini. La Grande Guerra fu definita la “guerra dei
materiali” la prima grande guerra tecnica. Per la prima volta
artefice della guerra erano i mezzi, le nuove armi prodotte sulla scorta del
progresso tecnico-scientifico degli anni precedenti: gli uomini erano quasi un
contorno, un accessorio destinato ad essere sacrificato per una cosa più
grande.
Era l’epoca del positivismo, c’era grande speranza nella
scienza e si pensava che tutti i problemi dell’umanità sarebbero stati risolti
dal progresso scientifico.
Sui campi di battaglia della Somme e di Verdun si
sarebbero bruciate anche molte di quelle speranze. Lì la tecnica mostrò il suo
volto peggiore, una belva rombante assetata di sangue umano. Per la prima volta
furono usati i gas –un mezzo
invisibile ed infido, metafora di un avvelenamento generale delle coscienze-
per annientare altri uomini. I cannoni a lunga gittata, i radiotelefoni,
l’aviazione consentivano per la prima volta di uccidere uomini senza avere alcun
rapporto con loro, neanche quello di vicinanza fisica. Tutte le leggi, scritte
e non scritte, delle guerre
precedenti furono stravolte.
Era solo l’inizio, la trasformazione tecnica ed
economica in atto stava cambiando profondamente non solo la società, ma l’uomo
stesso. L’illusione della scienza di poter guidare la tecnicizzazione del mondo
in modo da costruire una società a dimensione di un certo tipo di uomo, come il
marxismo e i vari altri ismi hanno tentato di fare, è durata pochi decenni.
Alla fine è emersa la verità che già dagli anni 20 e 30 del novecento molti
avevano indicato: è la tecnica a gestire l’uomo e non viceversa. Marcuse parlerà
dell’uomo ad una dimensione, altri di alienazione della vita moderna. La
nascita delle megalopoli, la riduzione della vita umana ad una serie di atti
ripetitivi all’interno di meccanismi stereotipi, i sistemi di controllo sempre
più centralizzati e astratti, disumanizzati, sono tutti fenomeni mai visti in
precedenza. Certo il novecento è stato il secolo della comodità, delle auto,
dei frigoriferi, della televisione, dei riscaldamenti, della cura di malattie
sempre nuove e dell’allungamento della vita media. Ma il prezzo da pagare è
stato altissimo. Dopo il 1945 si pensava che il mondo sarebbe stato distrutto dalla bomba atomica; nessuno aveva previsto che la bomba che oggi lo sta distruggendo sarebbe stata di altro tipo: la bomba demografica. Quello che Hosbawm ha definito il “secolo breve” è stato il
periodo della più grande esplosione demografica che si sia mai vista. La scienza, la tecnologia, la medicina e l'economia avevano fatto un "miracolo". Dal 1900
il pianeta è passato da 1 a 7 miliardi di umani facendo impennare tutte le
curve economiche oltre che demografiche: sono spaventosamente cresciuti i
consumi, il prodotto interno lordo, la combustione di carbone,gas e petrolio,
l’immissione di CO2 in atmosfera, l’uso e l’inquinamento delle acque. Soprattutto
si è trasformato il concetto stesso di uomo. L’uomo è divenuto lui stesso merce
come tutte le altre; da consumatore a prodotto e da prodotto a consumatore, il
cerchio si chiude. Nel massimo delirio antropocentrico si è attuata la più grande
massificazione che svuota Homo di ogni significato. Hanna Arendt definisce con
il termine risentimento la disposizione affettiva caratteristica dell’uomo
moderno. Risentimento contro “tutto ciò che è dato, anche contro la propria
esistenza”; risentimento contro “il fatto che egli non è il creatore
dell’universo, né di sé stesso”. Spinto da questo risentimento fondamentale a
“non scorgere alcun senso nel mondo quale gli si offre”, l’uomo moderno
“proclama apertamente che tutto è permesso e crede segretamente che tutto sia
possibile”.
Tutto è possibile: questo assioma ha rivelato la sua forza
devastatrice sia nei crimini perpretati in nome dell’umanità universale sia nel
disinteresse verso l’ambiente, la natura e le altre specie viventi ridotte a
magazzino dei propri appetiti di consumatore. Tutto è possibile è il motto
dell’antropocentrismo egoistico dominante ormai su scala planetaria alla fine
del secolo inutile. Con questa delirante visione di potere assoluto dell’uomo
abbiamo dimenticato l’appartenenza, l’amicizia, la distinzione del vicino e del
lontano. E’ l’epoca del turismo generalizzato, del fruire senza sentire, del
parlare con tutti (anche con i cellulari) senza colloquio, senza uscire da
campo limitato dei propri interessi. In tutto questo abbiamo dimenticato il
mondo comune, l’idea vera di umanità come parte della natura, il rispetto per
le altre specie, la gratitudine per ciò che da senso, in quanto natura, a noi
stessi.
"Il processo segue il suo corso. Gli eventi non hanno
fatto abbastanza da scuotere l’uomo moderno. Il regno del sentimento e la
disfatta –forse solo provvisoria- dell’ideologia non hanno messo fine al regno
del risentimento. Inutilità del XX secolo?"
(Alain Finkielkraut: L’umanità perduta. Lindau editore).
venerdì 13 dicembre 2013
Il Corriere e la follia demografica
Il Corriere della Sera, il maggior quotidiano nazionale controllato dai poteri economici forti, continua ad assecondare la folle corsa alla devastazione demografica di questo nostro disgraziato paese. In una risposta della sua rubrica di lettere del 7 dicembre scorso, il giornalista ed ex ambasciatore Sergio Romano rappresenta questa posizione maggioritaria nella redazione del giornale (l'unico contrario è l'editorialista Giovanni Sartori). Riporto alcuni passi:
...Questa tendenza a combattere l'immigrazione coincide con una fase in cui l'incremento della popolazione di molti Paesi europei è garantita soltanto dai nuovi arrivati. Secondo studi recenti, promossi dall'Istituto Universitario Europeo di Firenze, l'Ue sembra condannata a perdere entro il 2025 un sesto della sua popolazione giovanile in età di lavoro. Accompagnato dall'emigrazione di giovani europei verso altri continenti, il blocco dell'immigrazione avrà l'effetto di rendere l'Europa sempre più vecchia. Sempre secondo lo stesso studio, l'Europa potrebbe conservare gli equilibri demografici del 2010 soltanto se accogliesse almeno 21 milioni e mezzo di nuovi immigrati...
Non ci sono parole. La posizione ricalca le stesse opinioni dei fautori della crescita economica perpetua e dell'aumento costante del Pil. Secondo Romano anche la popolazione ha bisogno di una vigorosa crescita costante (evidentemente per supportare i poteri economici assetati di nuovi consumatori). Sembra che la Terra (ed anche la nostra povera Italia...) sia -secondo la visione paranoide di costoro- ancora una terra vergine e sconfinata in cui l'arrivo di milioni di persone e la nascita di altri milioni di bambini porterebbe sviluppo e benessere. In Italia l'aumento demografico aggiunge ogni anno una città come Bologna ad un territorio devastato da cementificazione, periferie invivibili, terre dei fuochi, veleni chimici, acque inquinate, aria delle città irrespirabile, asfalto, fumi, amianto, particolati e tumori. Una terra che fino agli inizi del '900 era una delle più belle del mondo per paesaggi, campagna e piccoli borghi ed oggi è ridotta a cementificio sovrappopolato da 62 milioni di abitanti, con il suolo verde quasi completamente urbanizzato. Una terra che solo cento anni fa aveva 25 milioni di abitanti ed oggi si avvia ai 70 milioni, in presenza di future ancora più massicce immigrazioni. In questa situazione c'è chi piange per la ancora troppo scarsa crescita demografica...non ci sono parole.
martedì 10 dicembre 2013
Demografia e migrazioni: l’ombra di Darwin
E’ possibile che i fenomeni in atto nel mondo attuale come
l’esplosione della popolazione di Africa e Asia, la crescita economica di
Cina, America e India, i colossali processi migratori, il commercio
mondializzato, la multietnicità culturale ecc. possano essere letti in chiave
darwiniana?
Che i meccanismi della selezione naturale siano sempre in
atto nella società contemporanea è un argomento di cui gli antropologi sono
coscienti, ma che a livello politico e della cultura di massa si preferisce
evitare. Non è politicamente corretto. Oggi domina la visione dell’assolutismo
antropocentrico, in cui l’uomo è visto come depositario di diritti assoluti e “creatura
culturale” al di sopra di ogni appartenenza alla natura ed alle sue leggi. Un
antropologo dell’Università di Neww York, Gorge C. Williams, e un medico
psichiatra,Randolph M. Nesse, scrissero alcuni anni fa un libro importante: “Why
We Get Sick? The New Science of Darwinian Medicine” (Trad. italiana: Perché
ci ammaliamo? Einaudi) in cui spiegano come gran parte delle malattie della
odierna popolazione siano tentativi di adattamento all’impetuoso sviluppo
tecnologico e ai cambiamenti della vita materiale e immateriale succedutisi
rapidamente in pochi secoli.
“Il
nostro corpo si è formato durante milioni di anni trascorsi nelle savane
africane in piccoli gruppi dediti alla caccia e alla raccolta. La selezione
naturale non ha avuto il tempo di modificarlo per affrontare alimentazioni
ricche di grassi, automobili, droghe, luci artificiali e riscaldamento
centralizzato. La maggior parte delle malattie moderne, almeno quelle che è
possibile prevenire, derivano da questa imperfetta combinazione tra l’ambiente
e la nostra struttura. L’attuale diffusione di malattie cardiache e di tumori
alla mammella ne è un tragico esempio” ("Perché ci ammaliamo", pag.14. Einaudi
1999).
Non c’è solo la biologia, anche a livello culturale agiscono meccanismi
selettivi. In passato la diffidenza per le persone di culture ed etnie diverse
ha rivestito un ruolo centrale nella difesa delle comunità locali e delle
tradizioni culturali. Eliminare questa difesa avrebbe potuto avere in certi
periodi conseguenze catastrofiche; oggi con i moderni mezzi di
spostamento e con la possibilità di avere a disposizione grandi quantità di
risorse locali mediante commercio e tecnologia, questo meccanismo innato di
difesa delle popolazioni locali di cultura omogenea, ha perso gran parte della
sua funzione. Ma esso, se pur depotenziato, è sempre presente nel
sottofondo culturale di molte popolazioni e sopravvive come sentimento di
ostilità verso culture ed appartenenze estranee, che spesso viene sfruttato da
forze politiche nazionaliste per i propri scopi. Gli stress di una convivenza
ad alta densità demografica e con molta tecnologia, come quella presente nella
grandi megalopoli contemporanee, è una situazione che si è venuta a sviluppare
negli ultimi secoli e mai sperimentata in passato dalle popolazioni di
Homo. Anche in questa nuova situazione stanno agendo meccanismi selettivi che
sui tempi brevi hanno effetti a livello culturale e delle tradizioni sociali e,
almeno in via teorica, potrebbero agire in senso biologico nei tempi lunghi,
anche se non è possibile prevedere come.
Se prendiamo come esempio l’Europa contemporanea vediamo
che i fenomeni antropici in atto la stanno profondamente trasformando in
qualcosa che , alcuni decenni fa, non avremmo mai potuto prevedere. Se pensiamo
che questi cambiamenti sono intervenuti in pochi decenni possiamo immaginare
gli effetti sui tempi lunghi. La crescita delle grandi città europee sta
trasformando irreversibilmente la vita, l’organizzazione sociale, la cultura,
la politica, la tecnologia, il paesaggio, la percezione stessa della città e
con essa aspetti materiali e psicologici che fanno di un cittadino europeo
attuale un soggetto umano molto diverso da quello di un secolo fa.
Possiamo vedere che analoghi cambiamenti stanno interessando il
continente
nordamericano. La giornalista Chiqui Cartagena, immigrata naturalizzata
americana, ha descritto la profonda trasformazione che gli Stati Uniti stanno
subendo da alcuni decenni sotto l’influsso della massiccia immigrazione
dei Latinos. Oggi gli immigrati ispanici rappresentano il 17% della popolazione
totale nordamericana e presto si avviano a diventare il 20%. Tutto sta
cambiando in america: aspetti materiali come le merci in vendita, il lavoro,
l’intrattenimento, il marketing, la pubblicità, ma anche aspetti culturali come
l’arte, la lingua, il modo di fare dibattiti, la politica stessa. Romney ha
perso le ultime elezioni anche perché ha ignorato il peso rappresentato dalla
parte ispanica degli elettori. Gli industriali ad esempio, che all’inizio
avevano ignorato il problema, si sono accorti che se vogliono continuare a
vendere i prodotti debbono adattarsi alle esigenze e alle richieste della nuova
popolazione. Gli ispanici, racconta la giornalista, stanno creando un nuovo
Baby Boom negli Stati Uniti: ogni 30 secondi per ogni non ispanico che entra in
pensione, c'è un ragazzo ispanico che compie 18 anni. Il boom demografico e
l'immigrazione hanno aumentato in pochi anni di cento milioni la popolazione
americana; si stanno modificando i paesaggi, le città si espandono, la
cementificazione e l'inquinamento aumentano, le tensioni sociali anche. Sebbene
non se ne parli molto da parte degli intellettuali e degli scienziati,
questi fenomeni che interessano comunque, in modi e condizioni variabili,
tutte le aree del pianeta, fanno parte di processi della selezione
naturale e della evoluzione darwiniana almeno a livello delle culture, delle
organizzazioni sociali e su aspetti antropologici non marginali.
Forse l’effetto principale, percepibile nei tempi brevi della nostra
esistenza individuale, sarà a livello della cultura occidentale che si
sta velocemente adattando ai nuovi cambiamenti. Già abbiamo assistito nel '900
all'abbandono pressoché definitivo della cultura contadina e delle tradizioni
collegate: basta guardare qualsiasi foto che ritrae gruppi di persone delle
nostre campagne dedite all'agricoltura della prima metà del secolo scorso
per accorgersi dei profondi cambiamenti dei tipi umani rispetto ad oggi. I
cambiamenti culturali e del modo di vedere la vita sono stati anche maggiori di
quelli fisici e antropologici. Molti fenomeni contemporanei come la perdita del sentimento religioso, l’accettazione dei matrimoni gay, l’eutanasia, la svalutazione della
nazionalità e dell’appartenenza, il trionfo dei diritti umani su tutti gli
altri valori come il rispetto della natura, del paesaggio, dei luoghi e delle
memorie locali, sono aspetti di questa visione del mondo come “campo aperto”
all’espansione infinita dell’uomo e delle sue esigenze. In fondo è come se a
livello politico e culturale la visione universalistica di Kant avesse prevalso
su quella della cultura locale e delle appartenenze storiche tradizionali,
aspetti su cui richiamavano l'attenzione pensatori importanti come Helder,
Taine, Burke e il nostro Vico. Solo che l’evoluzione darwinistica è
imprevedibile: il nuovo tipo umano che sta definendosi dalla scomparsa del
vecchio cittadino europeo e dall’emergere del nuovo cittadino globale, frutto
di sradicamento, immigrazioni, caduta di vecchie barriere, crollo e scomparsa
di culture, commercio internazionale, nuovi boom demografici ed espansioni
economiche in aree prima depresse, sembra essere un mostruoso mix di qualità
non esaltanti. Kant non avrebbe forse gradito gli effetti pratici delle sue
ricette basate su una ragione universale e sull’esaltazione esasperata dei
diritti dell’uomo rispetto al resto della natura. L’uomo nuovo prodotto dalla
società tecnologica e antropocentrica contemporanea è molto diverso dai modelli
teorizzati dagli illuministi: un egoista centrato sui propri interessi, assetato
di guadagni e di consumi, sprezzante dell’ambiente, cementificatore,
disinteressato alla sorte delle altre specie viventi. Un tipo umano
completamente privo di senso estetico, abituato a vivere in suburbi e
bidonville sovraffollati, a produrre rifiuti ed emissioni senza limiti, a
soggiornare in mezzo a terre devastate da tossici e inquinanti, tra acque
mortifere di colore giallognolo, fumi soffocanti e cancerogeni e in un clima
caratterizzato da eventi estremi e riscaldamento globale. Perfino Darwin ne
avrebbe avuto ribrezzo.
mercoledì 4 dicembre 2013
Il pericolo dell’Ecologia di Stato
Hegel fa capolino anche tra i moderni ecologisti.
L’impianto dirigista e costruttivista del pensiero “verde” è evidente nella
pretesa di regolare i processi economici e sociali in funzione della
salvaguardia dell’ambiente, ricorrendo a programmi razionali di “ingegneria”
sociale.
Il ritorno massiccio alle filosofie politiche stataliste
non riguarda solo gli Hegeliani di destra e di sinistra. Molti paesi che in
passato avevano accarezzato l’idea liberista stanno facendo marcia indietro. E
le economie in via di sviluppo seguono spesso modelli basati su di una sorta di
socialismo appoggiato alle vecchie aristocrazie (di casta, di partito o
militari, quando non addirittura familiari).
Anche il liberalismo non se la passa bene. Lasciamo
stare quello classico di provenienza ottocentesca di ascendenza whig, in cui un
governo illuminato esercita la propria funzione limitato da norme di legge con valore generale, nonché da
severe restrizioni dei poteri dell’esecutivo e da bilanciamenti tra poteri
diversi. E’ la dottrina tipica del liberalismo inglese, che ha assicurato al
suo tempo un grande sviluppo sociale
ma si basava su una classe, la borghesia ottocentesca, e su un sistema
economico e industriale che non esiste più. Anche il neo-liberalismo così come
teorizzato da Mises e Hayek e attuato da Tatcher e Reagan sembra aver esaurito
la sua spinta. Di fronte al disastro ambientale dovuto alla pressione antopica
sull’ecosistema e all’esaurimento delle risorse ambientali ed energetiche, il
liberismo mostra tutti i suoi limiti non solo interni al modello economico
ma soprattutto in relazione
al mantenimento degli ecosistemi del pianeta. Il libero mercato è infatti un
sistema di capitalismo basato sulla libertà di produrre e vendere merci, sulla
libertà di commercio, su una minore pressione fiscale e su una presenza
limitata dello stato, relegato ad un ruolo di regolatore dei processi economici
senza il potere e l’illusione di poterli dirigere secondo obiettivi
prestabiliti (ad esempio la giustizia sociale o un minor impatto ambientale). I
problemi rivelati dal liberismo sono numerosi, a cominciare dalla necessità di
mantenere una moneta stabile. Affinché il meccanismo autoregolante del libero
mercato funzioni non è necessario infatti solo una legislazione antitrust e
assicurare le condizioni di una libera concorrenza. Ci vuole il mantenimento di
un sistema monetario stabile. Sebbene il liberalismo classico ritenesse il gold
standard capace di fornire un meccanismo automatico di regolazione dell’offerta
monetaria e creditizia, tale da garantire un funzionamento soddisfacente del
sistema di mercato, nel corso della storia è di fatto emersa una struttura
creditizia in gran parte dipendente dalla regolazione attuata da un’autorità
centrale. In epoca recente, queste
facoltà di controllo, che per qualche tempo erano state poste nelle mani di
banche centrali indipendenti, sono state di fatto trasferite ai governi,
soprattutto perché la politica di bilancio è diventata uno dei principali
strumenti di controllo monetario. Purtroppo in questa maniera è di nuovo “ricicciato” lo stato
dirigista nel pieno dell’economia liberista di mercato. Con l’aumentare della
frequenza e della durata delle crisi economiche all’interno del sistema di
mercato, l’esigenza di un maggiore
intervento del governo ha messo definitivamente in crisi il modello minimalista
liberista. E, ad aggiungere un aspetto paradossale, vi è l’esempio del “mostro”
cinese in cui una politica economica ultraliberista (almeno nel senso empirico
del termine) si associa ad un molok statale che controlla la vita dei cinesi
fin nei minimi particolari con aspetti autoritari tipici del comunismo. Il
liberismo è dunque andato in crisi, ma non a causa di politiche di tipo diverso
che accontentassero meglio i cittadini, ma proprio perché per poter funzionare
il sistema doveva assicurare una crescita perenne, o al massimo intervallata da
temporanei periodi di stagnazione. La crisi del 2008 si è rivelata invece
strutturale, in quanto dovuta ad una insostenibilità di sistema. Basata
ufficialmente sulle bolle del debito e sui titoli tossici, la causa strutturale
è invece centrata sui prezzi dell’energia per il raggiunto picco del petrolio e
l’aumento dei prezzi di estrazione degli idrocarburi. Anche in presenza di una
futura probabile ripresa, l’economia si dovrà ristabilizzare a livelli di
funzionamento inferiori, in quanto si è modificata irreversibilmente la
costellazione dei prezzi e le dinamiche dei salari e dei mercati delle merci e
del lavoro, oltre che il quadro internazionale che ha visto lo spostamento in
altre aree delle produzioni e delle risorse monetarie strategiche. I problemi
generali di tenuta del sistema sono poi emersi da parte di una evidente
devastazione ambientale, da un aumento degli inquinanti e dal fenomeno del
global warming, potenzialmente letale per tutto l’ecosistema. Queste evidenze
hanno mostrato che le esigenze di una produzione teoricamente in continua
crescita, come teorizzata dai modelli neo-liberisti, è incompatibile con i
limiti ambientali e delle risorse naturali. Le devastazioni dei suoli, le
cementificazioni massiccie, l’esplosione delle megalopoli con le montagne di
spazzatura che si accumulano intorno, le nubi di smog che sovrastano le aree
del pianeta dove si concentrano le emissioni di gas e particolati , e le isole
di materiale plastico che inquinano gli oceani inaciditi dal carbonio e
intossicati dai veleni chimici e depredati della fauna marina, fanno da corollario agli scricchiolii
di tutto l’edificio basato sull’economia di mercato e gli alti consumi.
Pur a fronte
di questi scenari, teorizzare un ritorno all’economia di stato
pianificata non è tuttavia sostenibile, né dal punto di vista politico né da
quello ambientale. Non dimentichiamo quanto affermava Von Hayek: “Senza
detenzione privata delle risorse, non ci può essere libertà di scelta”. La
facilità con cui viene criticato, da parte dei neo-hegeliani, il sistema di
libero mercato è infatti basata sulla sottovalutazione che il sistema riveste
per il mantenimento della libertà. Finora, storicamente, il sistema di libero
mercato è l’unico compatibile con un sistema politico che assicuri la libertà
dei cittadini. Un libero cittadino può infatti avere ciò di cui necessita
acquistandolo al libero mercato regolato da leggi contro i trust e con prezzi
fissati dalla libera concorrenza; senza di esso un cittadino deve chiedere ciò
di cui necessita o al Principe o al Funzionario del Partito, in un mercato non
libero spesso monopolizzato dallo stato con prezzi artificiali. O è addirittura
lo Stato stesso, nella figura del Burocrate, che stabilisce ciò di cui il
cittadino ha bisogno. Ma è evidente che a questo punto ogni libertà è perduta.
Né si può dimenticare che la libertà è dell’individuo o non è. Non esiste una libertà
“del popolo” o una libertà di classe (come quella teorizzata dai marxisti)
o una libertà di razza o di
nazione (come teorizzata dalla destra nazionalista). Questi sono tutti sinonimi
di sistemi in cui la libertà del cittadino viene repressa da burocrati e
funzionari di stato che decidono sulla vita delle persone in base alla propria
ideologia e alle proprie opinioni, e poi infine provvedono al benessere
personale e della propria famiglia con interventi autoritari a scapito del bene
degli altri, come mostrato dalle vicende storiche del ‘900. Tutti i sistemi politici che prevedono l'uso di controllori delle libertà altrui, come sono in fondo quelli teorizzati da tanti difensori dell'ambiente in buona fede, non possono sfuggire alla domanda famosa di Popper: "Chi controlla i controllori?".
Il dramma della vicenda politica ecologista sta dunque
nel fatto che i movimenti politici basati sulle priorità ambientali si trovano
di fronte al dilemma di quale strada intraprendere nel momento in cui il liberismo ha mostrato i suoi limiti
di sistema con la crisi di crescita dell’economia mondiale e la devastazione ambientale, e un ritorno alle strade della pianificazione statalista è
impraticabile per la concreta possibilità di far perdere la libertà ai
cittadini, di creare nuovi tipi di burocrazie che per quanto si ammantino dei
termini “green” o “ecosostenibili”, sarebbero pericolosamente simili alle
burocrazie che hanno dominato negli stati autoritari del ‘900.
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