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lunedì 18 novembre 2013

Dallas 1963




Il prossimo 22 novembre sarà il 50° anniversario dell’assassinio a Dallas del Presidente John F.  Kennedy.
A Dallas (Texas) quel 22 novembre del 1963 , alle ore 12,30 tre colpi risuonarono lungo la Main street, sparati dal Depositery (magazzino dei libri scolastici) da un dipendente a contratto del magazzino, un uomo folle dall’aspetto stranulato, metafora di una follia collettiva, Lee Oswald. Ex tiratore scelto del marines, ne era stato poi cacciato per aver aderito al comunismo. Prima dell'omicidio era stato esule in Unione Sovietica e poi filo-castrista. Secondo alcuni aveva collegamenti con ambienti della mafia americana. Fu ucciso due giorni dopo l'assassinio di JFK da un gestore di Night-club intrufolatosi tra i giornalisti, mentre veniva trasferito dalla sede della polizia al carcere. Dopo gli spari contro il Presidente, la macchina nera scoperta su cui era anche la moglie Jacquelin e il governatore Connally, si avviò di corsa verso il sottopasso, diretta al Parkland Hospital. John F. Kennedy era ormai morente con il cranio trapassato da uno dei colpi di Oswald (sparati da un fucile Mannlicher Carcano di fabbricazione italiana). Alle 13,30 l’annuncio ufficiale della morte di Kennedy.  Il giovane Presidente aveva assunto la carica il 20 gennaio del 1961, era visto con simpatia non solo dagli americani, ma dal mondo intero, per la sua età, per le parole di fiducia su un futuro di progresso non solo degli Usa ma dell’intera umanità. Con la presidenza Kennedy, dopo  la vittoria del mondo libero sui totalitarismi, era nata una nuova speranza, una fiducia nell’avvenire supportata dal rapido sviluppo  della tecnologia che proprio in quegli anni con le scoperte sull’atomo, nel campo della chimica  e della medicina,  tornava a brillare come mito dell’occidente e non solo. Si accendeva in quegli anni la competizione tra America e Unione Sovietica per la conquista del cosmo e per il predominio tecnologico ( e degli armamenti). Sembrava che  la vita fosse facilitata dalle grandi scoperte, gli antibiotici, il DNA, la vittoria possibile sulle malattie, l’energia dalla fissione dell’atomo, e che fosse alle porte un nuovo rinascimento sull’onda del sogno  americano: la felicità sulla Terra era possibile.  Kennedy aveva saputo incarnare questa voglia di vivere  dopo la fine della guerra che aveva devastato l’Europa, che aveva visto la deportazione e la gasificazione di milioni di ebrei, e reso l’America colpevole del primo bombardamento nucleare della storia su due città abitate da popolazioni civili. Con JFK l’America aveva cambiato registro rispetto agli uomini che avevano partecipato al conflitto dai posti di comando, come Truman ed Eisenhower.  Kennedy era stato un soldato coraggioso, un ufficiale  che non aveva visto la guerra da lontano ma  da eroe sul campo, come  quando aveva salvato in mezzo alla battaglia  i suoi marinai dall’affondamento del suo mezzo da sbarco. Il Presidente era un forte comunicatore e sapeva parlare alla gente risvegliando la speranza nel futuro:  i suoi discorsi erano tutti animati da una grande  energia interiore, da una carica e uno spirito che da allora si definirà “kennediano”.  I suoi progetti di viaggi nello spazio con la promessa di  raggiungere la luna e poi gli altri pianeti ( i viaggi sulla luna sarebbero venuti negli anni seguenti secondo le volontà del presidente ma presto abbandonati), la sua contrapposizione al comunismo e il primo forte incitamento ad abbattere il muro di Berlino( Ich bin ein berliner…) sono ricordati con ammirazione da tutti . Così come i lati oscuri della tentata invasione di Cuba, la cosiddetta “Baia dei Porci”, e l’origine del conflitto in Vietnam. Col suo richiamo alla nuova frontiera, con il suo celebre invito ai cittadini di darsi da fare senza aspettare lo stato, e la sua politica di riduzione delle tasse, JFK  è anche all’origine dell’idea liberista poi ripresa da Reagan, pur essendo Kennedy un democratico. Fu uno di primi a parlare di sovrappopolazione e della necessità di destinare più risorse allo sviluppo e meno alla natalità.
Erano gli anni della vita che tornava dopo le stragi di tanti giovani nel conflitto mondiale, della voglia di divertirsi; c’era la volontà di migliorare, era l’ora dei balli scatenati, del Rock, la nuova musica con  i ritmi mai visti, del nuovo credo nei mezzi dell’uomo per affrontare i problemi, dei motori sempre più potenti, delle auto che si allungano e sfrecciano veloci, della corsa al benessere, alla ricchezza che sembrava a portata di mano.  L’uomo va nello spazio carico di fiducia nel futuro. I nuovi media accelerano la sensazione di una nuova vita che rinasce, la radio, la televisione, il cinema in casa con il mondo che entra dentro l’intimità, il quotidiano delle persone. I dischi, le canzoni, le gonne di mille colori, la pubblicità a farci sognare una vita diversa dal passato…Quella figura di giovane Presidente con la sua bella moglie sorridente, il linguaggio diretto, una sensazione di novità, di nuovi possibili sviluppi… Tutto destinato a finire quel 22 novembre a Dallas. Alla notizia del suo assassinio i più avveduti ebbero la sensazione netta che finiva l’epoca di ottimismo succeduta alla guerra e che iniziava un’altra storia. Dopo pochi anni, nel 1968, sarebbe stato pubblicato da Paul R. Ehrlich il libro “The population bomb” sulla denuncia della eccessiva pressione demografica incombente da parte della specie Homo, e successivamente il mondo si sarebbe avviato alla globalizzazione e  poi al disastro ambientale che si sta avverando sotto i nostri occhi.
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Ma prima che il giovane Presidente fosse ucciso, c’era stata la morte di Marilyn. Un altro segno fatale di un cambio d’epoca. Forse, come dice Hobsbawm, il 900 è stato veramente un secolo breve, ed è finito precocemente in quei primi anni sessanta. Anche Marilyn aveva incarnato un sogno: il sogno che fosse possibile la felicità in un mondo fatto di luci, di macchine, di cinema, di brillanti, di frigoriferi, di consumi a gogò, di auto lussuose. La morte di Marilyn fu il segnale che la strada era sbagliata, che quel sogno poteva tramutarsi in un incubo. Pochi anni prima c’era stato il fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki. La precarietà della vita era ormai sentita da tutti. La natura non era più l’infinito scenario a cui potevamo attingere secondo i nostri bisogni. La possibilità di distruzione immediata del mondo era alla portata dell’uomo. L’essere e il nulla erano vicinissimi. Marilyn era uno schermo di luccicanti meraviglie posto davanti a tutto questo, una maschera gioiosa e innocente su un senso di tragedia incombente. Una bambola bellissima ma di estrema fragilità.  La sua sensualità debordante era la forza con cui riusciva a far dimenticare l’angoscia esistenziale di quegli anni, a creare una  realtà piacevole sovrapposta all’altra inquietante. Ma  nella vita e nella morte di Marilyn c’era un lato oscuro che aveva a che fare con John Kennedy e con suo fratello Robert, ambedue molto disinvolti nel  loro rapporto con le donne. Riporto il magnifico ritratto che da di lei Ceronetti in una descrizione che attraverso Marilyn apre una chiave di interpretazione su tutto il periodo. La   sua incredibile, sorprendente   e inaspettata  morte nella pienezza degli anni rimane un  mistero e alimenta la leggenda sui due Kennedy che, forse indirettamente, furono una delle cause del suo strano suicidio.

“Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle 22,30 quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il 1° giugno 1926; aveva 36 anni.
Tra i film…ricordo bellissimo di grande cinema “Giungla d’Asfalto”, del 1950, di John Huston, e “La magnifica Preda”, di Otto Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di predatori maschi, riempì le sale. L’originale era modesto: The River of No Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo, triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime sul mondo incantato: No Return…No Return…
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la trascinò insieme ai fratelli Kennedy;  la loro Ragione di Stato l’uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca – finché non fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Incontrava a turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa. Ce n’erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Melena Drive, dove nel pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un milione di dollari in cambio di un quaderno rosso,dove Marilyn, credendosi furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi convegni con quelle due altre leggende della giungla americana.Pretendeva, la tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina, lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con verginità di fenice, di First Lady…Suicidio si disse, quando il titolo “Marilyn Dead” traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in attesa dell’ordine del Coroner per essere portato alla Morgue. Non ingerì Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell’intestino. Accanto a lei non c’era bicchiere è bottiglia d’acqua per ingoiare pastiglie nere.  C’erano invece dosi del barbiturico e di cloralio nel sangue e nel fegato, da provocare più di una morte. Nessuno udì grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia…
Un anno e quattro mesi dopo Qualcuno vendicò a Dallas quella triste carne che si aggrappava a un’anima disperata. E il 6 giugno 1968, sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato, mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca.
D’indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il mio secolo crudele prescrisse a Norma Jean, figlia di una madre pazza e di un padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per aver segnato l’epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato  dentro un soffrire.
“C’è una speciale Provvidenza nella caduta di un passero”.
 Il Fiume Senza Ritorno risalirà alla sorgente.

(G. Ceronetti: “Ti saluto mio secolo crudele” Einaudi pagg. 17-19).


La morte di John Kennedy, quella di Marilyn e poi, nel 1968, quella di Robert Kennedy avviato anche lui alla Presidenza, tutte e tre morti violente,  furono un segno del secolo crudele, quello senza ritorno, come il fiume della Monroe. Le illusioni sul progresso illimitato stavano finendo. Ma non sarebbe stato il comunismo, né la guerra, né la bomba atomica a invertire la rotta. Da allora apparve evidente che il cielo stava per non essere più azzurro, il mare stava diventando acido e con gigantesche isole di plastica, la Terra una discarica. Una cortina di esalazioni stava lentamente ma inesorabilmente iniziando a circondare il pianeta. Ritornava alla mente  l’avvertimento di Nietzsche: “Umano, troppo umano…”

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