Non ho mai creduto alle rinnovabili. Il pannello solare
esiste da sessant’anni, è stato più volte migliorato, con soluzioni
tecnologiche sempre più efficaci, eppure rimane un semplice ausilio energetico.
Va bene per riscaldare l’acqua della fattoria o del condominio, per dare un
poco di elettricità da usare sul posto. Ma nessun paese al mondo può basare la
sua economia sul pannello solare, e infatti in sessant’anni nessuno lo ha
fatto. Lo stesso vale per le torri eoliche, che vanno col vento: ora c’è ora non
c’è e comunque la resa è poca. Non vi sono sistemi di stoccaggio di energia
affidabili, e la rete di distribuzione andrebbe ridisegnata e rinnovata abolendo le reti centralizzate a favore di una rete diffusa e informatizzata che costa
tantissimo (rispetto alla resa). Inoltre i sistemi delle rinnovabili si basano
su centraline e su elettrodotti reticolari su tutto il territorio, a stretto contatto con gli abitanti, che inquinano
l’ambiente con alti tassi di onde elettromagnetiche.
Questo, dicevo, è stata
sempre la mia convinzione. Ma quello che ho imparato ieri al Convegno del
Comitato Nazionale contro le rinnovabili nelle Aree Verdi, tenutosi a Torre Alfina (Viterbo) è stato
scioccante: non solo ha confermato tutto quello che credevo, ma ha aperto uno
spaccato sugli interessi che girano intorno alla cosidetta Green
Economy, alla devastazione ambientale e del paesaggio che comportano, agli
effetti gravissimi sulla salute e sulla serenità della popolazione. In
particolare per quel che riguarda gli impianti industriali, quelli molto estesi
a cui è richiesta una produzione di energia elevata, veri eco-mostri
distruttori di ogni rapporto tra uomo e natura e dell’agricoltura. Molti
agricoltori hanno dovuto abbandonare la lavorazione nelle campagne vicine agli
impianti di “Green Economy”, e molto toccante è stato il racconto fatto da
alcuni di loro al Convegno. Gli effetti sulla fauna sia diretti, come per gli
uccelli, sia indiretti per la devastazione degli ecosistemi è impressionante.
Non si può chiaramente neanche immaginare che si possa sostituire la quota
di energia ora prodotta da petrolio, gas e carbone con queste cose qui. Sia
perché il Bel Paese diverrebbe un’enorme distesa di quegli eco-mostri (che
occuperebbero tutte le campagne, le coste e pure le montagne), sia perché
non si avrebbe l’ energia nella quantità, nella intensità e nei tempi che è
necessario avere per la sua utilizzabilità effettiva. E’ una verità che,
finalmente, è certificata anche da riviste quotate in ambito scientifico, come
dimostra l’ultimo numero di “Le Scienze” ancora in edicola questo mese.
Ma veniamo ad una breve
cronaca del Convegno.
Il convegno comincia con un
po’ di ritardo. Nadia Bartoli , Presidente
e Fondatrice del Comitato Nazionale contro Fotovoltaico ed Eolico nelle Aree
Verdi, introduce richiamando
brevemente le finalità del Comitato Nazionale che conta ormai 8500 iscritti; lei personalmente non
si dice contraria in assoluto: le rinnovabili andrebbero bene sui tetti di
edifici, su aree industriali, e per autoconsumo locale. Ma trasformare le aree
verdi residue del nostro paese per farle divenire “parchi” eolici o
fotovoltaici significa destinare alla distruzione l’ambiente naturale e il
paesaggio italiano. Ricorda quello che le è successo personalmente, che è il
motivo che l’ha spinta a fondare il Comitato. Acquistato un casale nei luoghi
amati fin dall’infanzia, dove il paesaggio di verdi colline intorno erano per
lei punto di riferimento, di identificazione e di amore per la natura, si è
vista costruire praticamente a pochi metri dal proprio giardino, un enorme campo
fotovoltaico con pannelli di silicio e metallo che hanno devastato il
paesaggio, le hanno tolto la vista che tanto aveva amato, e hanno deprezzato la
casa fino a renderla invendibile. Il riverbero dei pannelli disturba i vicini,
e di frequente –come documentato in un video- i pannelli prendono fuoco
incendiando tutto l’impianto e la vegetazione residua. Accenna alla
devastazione che ha riguardato il lago di Bolsena dove, nei pressi di Piansano,
è stato costruito un grande impianto eolico con le torri visibili da tutte le
coste intorno al lago.
Modera il Convegno Oreste
Rutigliano, consigliere Nazionale di Italia Nostra: riferisce brevemente sulle iniziative di Italia
nostra contro gli impianti industriali eolici e fotovoltaici. Anche lui dice
che le rinnovabili sono utili per l’autoconsumo di famiglie e comunità locali,
non su scala industriale. Definisce Italia nostra l’unica associazione
ambientalista che si oppone all’industria dell’eolico e fotovoltaico. Dopo la
presidente e il moderatore interviene il biologo Sandro Andreucci che parla sull’impatto delle onde elettromagnetiche,
prodotte dagli impianti delle rinnovabili, sui sistemi biologici. Nel nostro
paese il livello elettromagnetico medio misurato nel 2006 era 700 volte
superiore a quello misurato nel 1976. La centrale fotovoltaica produce un campo
elettromagnetico ben superiore ai 20 volts/metro soglia oltre la quale sono
dimostrati effetti biologici. Gli effetti negativi si concentrano in
particolare sul sistema immunitario, i cui squilibri si ritiene siano alla base
dell’aumento di incidenza di malattie invalidanti come la sclerosi multipla, le
malattie autoimmuni, la maggiore suscettibilità alle infezioni. Inoltre sono
sempre più evidenti gli effetti cancerogeni delle radiazioni elettromegnetiche
ed esistono studi ormai avanzati sull’aumento di incidenza di leucemie e altre
neoplasie in abitanti nelle vicinanze di sorgenti elettromagnetiche. Sono stati
dimostrati anche effetti sulla psiche in particolare l’ansia e l’insonnia.
L’impianto fotovoltaico è all’origine di alterazioni biologiche anche negli
animali dove si riscontra diminuzione di fertilità, aumento di mortalità e
alterazioni biologiche e comportamentali.
Terzo relatore il dottor
Iacoviello, presidente del Comitato Ambiente, Paesaggio, Salute e Sicurezza, il quale in un ampio intervento descrive
l’impatto veramente impressionante del fotovoltaico e dell’eolico dul
territorio. Descrive le implicazioni legali e amministrative legate agli
impianti che configurano vere e proprie truffe ai danni dei cittadini.
Riferisce in proposito a quel che avviene riguardo alla classificazione
acustica della zona (“zonizzazione acustica”) con l’arrivo delle costruzioni
della “green economy”: appena impiantato l’eolico la zona viene immediatamente
riclassificata da zona verde di campagna a zona industriale e automaticamente
si alzano le tolleranze (da 30 decibel a centinaia di db). Ma il rumore
acustico, peraltro un ronzio estremamente fastidioso e disturbante, non è il
solo. Viene riportato anche l’effetto dei cosidetti “infrasuoni” che consistono
in vibrazioni con frequenza inferiore a quella del suono, le quali sono
particolarmente in grado di alterare la percezione, la sensibilità, procurando
alla lunga un senso di stordimento, incapacità a concentrarsi, cefalea, vertigini,
ansietà e insonnia. Molto disturbo reca anche l’ombreggiamento dovuto alle
torri (spesso alte anche un centinaio di metri) e alle pale rotanti che
provocano alternanza di luce e ombra con alterazioni visive. Accenna soltanto
all’effetto distruttivo sull’aviofauna e su altre specie su cui verrà riferito in
seguito da un altro relatore. Non meno devastanti delle torri sono le opere per
l’accesso ai “parchi” eolici che richiedono chilometri e chilometri di strade
di accesso , scavi, sbancamenti, sopraelevazioni, terrapieni. Nel sito della
torre si deve fare una buca di decine di metri di lato e di profondità che deve
poi essere riempita di calcestruzzo. Una volta fatti gli impianti, smantellarli
è impossibile e comunque molto costoso. Si giunge al ridicolo quando le ditte
costruttrici e le amministrazioni compiacenti parlano delle strade di accesso
agli impianti come di “piste ciclabili”. Domina il politically correct. Vi è il
problema poi delle centraline di raccolta dell’energia e degli elettrodotti che
si trovano in vicinanza di centri abitati con alto inquinamento
elettromagnetico. Il dottor Iacoviello riferisce poi delle vere e proprie
truffe amministrative con certificazioni non veritiere che spesso sono dietro
alle license di costruzione di questi impianti. Si approvano infatti progetti
eolici su cartografie false: il territorio interessato viene spesso
rappresentato con carte vecchie, prive di costruzioni recenti, con
classificazioni alterate, non figuranti come ZPS (zone di protezione speciale).
Viene portato l’esempio di ciò che è avvenuto a Piansano o in Basilicata.
Iacoviello conclude ricordando che è in atto una speculazione industriale
dietro la copertura tranquillizzante del termine “Green Economy”,
speculazione che distrugge il territorio, i campi agricoli, la salute degli
abitanti, e arricchisce spesso le mafie. A questo proposito viene portato
l’esempio di un grande parco eolico, richiedente milioni di euro di
investimenti, la cui impresa costruttrice risultava intestata ad un
pregiudicato di Caserta ufficialmente nullatenente. Accenna poi ai progetti in
cui viene minimizzato l’impatto ambientale con “foto a testa bassa” fatte con
lo scopo di far risultare bassissimo l’impatto ambientale in realtà devastante.
Ma oltre l’impatto estetico vi sono casi di pericolosità degli impianti (foto
di pale rotte, scagliate a distanza, rotori incendiati, blocchi di ghiaccio
scagliati a decine di metri dall’impianto,ecc.).
Prende la parola Vincenzo
Ferri, naturalista, che dice per
prima cosa che bisogna smetterla con il chiamare “parchi” eolici o fotovoltaici
questi ecomostri, si tratta di un nome-truffa. Si fa una domanda: l’agricoltore
che lavora in un campo eolico o nei pressi di uno fotovoltaico quante
radiazioni elettromagnetiche riceve? Sempre più questi impianti riguardano aree
protette come le ZPS e le SIC ( siti di importanza comunitaria). Nel 2000 sono
apparse le prime torri tripala. Oggi si stimano in 7500 gli impianti esistenti,
di cui solo 2000 funzionano realmente. Mancano i collegamenti con la rete
elettrica e gli elettrodotti. Nasce il sospetto che la maggior parte degli
impianti sia servita a riciclare denaro e non per entrare in funzione. Si
assiste già ad alcuni impianti abbandonati che stanno come opere metafisiche in
un paesaggio surreale, e a nessuno importa di togliere l’impianto inutile, sia
per le spese richieste che per la difficoltà dell’impresa (in particolare per
le torri, le grandi basi in cemento, gli elettrodotti ecc.). Il dottor Ferri
riferisce poi dell’azione devastante delle pale sulla fauna aviaria. Mostra una
serie di foto con uccelli spiaccicati dalle pale, ma la maggior parte sono
pipistrelli che in ragione di 10 a 1 prevalgono sugli uccelli (cornacchie,
tordi, ma anche aquile, falchi ecc.). All’inizio gli impianti a pale erano
montati su tralicci ma oggi sono vietati: gli uccelli vi si installavano e le
loro deiezioni richiamavano animali e insetti alla base e ulteriore fauna
aviaria con alterazione di tutto l’equilibrio faunistico della zona. Per finire
riassume così lo stato dell’eolico: inconsistenza energetica: poco vento e
basse energie prodotte. Disastro paesaggistico e faunistico.
Il successivo relatore è l’agricoltore
Piero Romanelli (testimonianza della
1° vittima) che lavora i campi al confine tra la Toscana e l’ Emilia Romagna.
E’ un intervento forte, passionale, che colpisce tutti. Si definisce vittima
dell’eolico. Cacciato da Legambiente perché non in linea con il “partito”
(risate nella sala). Nella zona interessata in cui si trovavano i suoi campi
era stata cambiata prima la determinazione acustica da parte del comune e per
invogliare i residenti avevano promesso anche la riduzione della bolletta della
luce (cosa mai avvenuta). L’impianto fu costruito. Il rumore è
pazzesco e si sente anche a 1 chilometro e duecento metri di distanza. "Devo
lavorare con le cuffie, ma il rumore penetra lo stesso, ti entra nel cervello.
Sentivo la testa pesante, avevo spesso mal di testa e malessere. Un giorno sono
svenuto e, portato al Pronto Soccorso, è stata diagnosticata “Wind Turbin
Sindrome. E’ una patologia caratterizzata da tremori, tachicardia, vertigini,
senso di pressione alle orecchie, ansia, insonnia, malesseri. Vado a cercare
un’altra casa a 5 chilometri di distanza. Ho iniziato una causa legale che è
ancora in corso. Mi sono stati offerti soldi che ho rifiutato. Quello che è
peggio non è il rumore, ma le vibrazioni, gli infrasuoni. Sapete quanto è la
resa dell’impianto? Il 2,5 % di energia, bassissima. Intorno nella stessa zona
stanno consumando terreno agricolo per costruire impianti di fotovoltaico a
terra. Un altro disastro".
Poi è la volta della 2°
vittima, Carmine Mastropaolo di Campobasso. "Dopo anni di sacrifici mi ero comprato una casa in campagna, la mia
unica casa. Hanno fatto una specie di blitz e in men che non si dica hanno
impiantato intorno alla mia proprietà un “parco” -ma meglio dire
campo- fotovoltaico che era progettato all’inizio da 3 MW poi scesi a 1
MW. Alle mie rimostranze sono stato minacciato di adire alle vie legali.
Siccome si va contro il Totem della “Green Economy” si ha torto per
definizione. I primi inpianti di pannelli stanno a 20 metri dalla porta di casa
e hanno posto una cabina a 60 metri. Mi hanno offerto denaro per stare buono.
Il paesaggio intorno alla mia casa era meraviglioso, colline verdi, alberi
rigogliosi: hanno distrutto tutto, il paesaggio non è più riconoscibile. Quelli
del paese non ci tengono, non gliene frega niente, non c’è stata reazione
alcuna. Gli esperti del paesaggio e per l’impatto ambientale hanno dato parere
positivo! Vieni accusato di non volere i posti di lavoro, di intralciare
l’interesse pubblico (ma si tratta di interesse pubblico o privato?).
Dormire vicino all’ “Inverter” non fa bene, abbiamo cominciato a
presentare danni da elettromagnetismo, mal di testa, stanchezza. Mia figlia si
è ammalata ed è stata fatta diagnosi di cardiopatia da streptococco".
E’ la volta di Michele
Petraroia, consigliere regionale del Molise.
Il Molise è la regione con
il più alto numero di pale eoliche rispetto al territorio. Imprese e autorità
locali non si fermano di fronte al paesaggio, alle aree di alto valore
archeologico e di interesse culturale. Riferisce a questo proposito il caso del
sito archeologico di Sepino (Molise), l’antica Altilia-Saepinum –prima
roccaforte dei Sanniti e poi cittadina romana- classificata SCUDO BLU
INTERNAZIONALE dal 2010 - (ICBS International
Commitee of the Blue Shield), fondato nel 1996, prende il nome dal simbolo
specificato nella Convenzione de L’Aja (1954) a protezione dei Beni Culturali,
per la difesa dei quali vengono promosse azioni di protezione, prevenzione e
sicurezza in tutte le situazioni rischiose, come i conflitti armati e le
calamità naturali-. Sono 9 anni che si combatte contro un’impresa che vuol
mettere su pale eoliche alte 130 metri, le più alte mai costruite in Italia sul
sito di Sepino. Poiché in origine del progetto un sovrintendente ai beni
culturali ha dato parere positivo, l’impresa in questione ha vinto tutti i
ricorsi e ha avuto ragione ben 4 volte al Consiglio di Stato. Sono 136 le
associazioni locali che si
oppongono al progetto. Ma la legge normativa 94 sull’interesse pubblico
consente l’esproprio forzoso. Poiché ad un certo punto è intervenuto un
funzionario del Ministero dei Beni Culturali che voleva bloccare la costruzione
dell’impianto, l’impresa gli ha richiesto un risarcimento danni di 20 milioni
di euro. Purtroppo spesso in Italia si danno, da parte dei poteri locali,
autorizzazioni senza il parere della sovrintendenza. Con sentenza del 17 maggio
2012, per un progetto di costruzione di impianti rinnovabili in un’area
protetta per la presenza di tratturi, sono nulle le autorizzazioni delle
regioni se non c’è il parere positivo della sovrintendenza (sentenza n. 033009
del Consiglio di Stato). L’impresa costruttrice è di proprietà di un dipendente
della provincia di Caserta che risulta senza altri redditi. I terreni vengono
brutalmente espropriati agli agricoltori, che spesso vivono della terra su cui
lavorano, anche solo per la viabilità di accesso e di collegamento degli
impianti. In seguito al massiccio deturpamento del paesaggio perfino la regione
Molise ha deciso linee guida restrittive per l’edificazione di nuovi impianti
(ad esempio norme per le distanze minime da abitazioni, aree protette ecc.) ma
la Corte Costituzionale le ha bocciate. Le istituzioni sono pre-orientate a
favore della cosidetta Green Economy. Anche per le ZPS e le SIC ora si può fare
riferimento solo a leggi nazionali ed europee, che sono tutte a favore della
Green Economy. Purtroppo i punti per contrastare questa violenza impositiva
delle istituzioni sono pochi, come la distanza minima o il concetto di aree non
idonee. La rete di interesse a favore delle rinnovabili è potente e consistente
per una elevata quantità di denari in gioco ed è difficile per i singoli o le
comunità di cittadini reggere alle pressioni. Per fortuna un funzionario
dello Stato, Gino Famiglietti, della sovrintendenza ai beni culturali, con i
suoi veti e pareri ha salvato il Molise da una devastazione generale: se i
programmi di Green Economy fossero andati avanti senza contrasti tutte le aree
verdi del Molise sarebbero state distrutte o rovinate; in alcuni casi hanno
buttato giù alberi secolari, devastato aree agricole produttive, paesaggi
incontaminati da secoli. Per impiantarvi campi fotovoltaici, pale eoliche
giganti, elettrodotti, colate di cemento, svasamenti di terra, strade di
accesso e collegamento, centraline, ecc. E’ necessario, necessario,
terminare incentivi sballati, erronei, e selezionare i finanziamenti evitando
una terminologia superata e distruggendo modelli economici compatibili. Non si
può più parlare di pubblica utilità per interessi ben determinati e tutt’altro
che pubblici. Per l’esproprio forzoso si ricorre ancora alla legge n.1773 del
1933 sugli espropri. La legislazione deve essere ricondotta dall’interesse
pubblico a quella che effettivamente si tratta: Impresa Privata. Un consiglio ai
cittadini che, riuniti in comitati, cercano di opporsi ricorrendo alle
commissioni per l’impatto ambientale e alle sovraintendenze: indicare sempre
alternative come microimpianti, bioedilizia, risparmio energetico, geotermia
ecc. "Purtroppo devo anche denunciare un fatto: le imprese costruttrici degli
impianti della cosidetta green economy hanno i loro tecnici che lavorano DENTRO
i comuni, le regioni, perfino a palazzo Chigi presso i funzionari della
Presidenza del Consiglio". Influenzano così direttamente le decisioni prese,
facendosi schermo del politically correct, dell’energia rinnovabile equa e
sostenibile…
Dopo
il pranzo nel pomeriggio sono intervenuti altri relatori tra cui Daniele
Cavilli: come
le cosidette energie “alternative” trasformano (e cancellano) le identità
culturali.
Vittorio
Fagioli, Presidente della CISA (Comitato Interregionale Salvaguardia Alfina).
Giorgio Barassi: illustrazione dei paesaggi prima e dopo l’installazione di
impianti eolici.
Avv.
Fausto Ceruli:
aspetti di legislazione, sentenze, giustizia su rinnovabili e ambiente.
A
conclusione si può dire che è ormai coscienza sempre più diffusa che la
cosidetta Green Economy esprime spesso interessi economici di imprese a volte
legate a poteri finanziari e a volte a poteri locali o infine a poteri di
cosca, che si fanno schermo dell’interesse pubblico e del movimento culturale e
politico a favore delle energie alternative. Nella realtà si tratta di una
appropriazione per lo più ingiustificata di denaro pubblico e della messa in
opera di impianti devastanti per l’ambiente e il paesaggio del nostro paese,
sempre più povero di aree verdi. La presenza di torri eoliche, di elettrodotti,
di sterminate coperture di pannelli di silicio, e dei rumori e degli effetti
connessi, lungi dall’inserirsi armonicamente, toglie l’anima alla terra e al
paesaggio. Nel corso del dibattito si è riferita la vicenda di una signora veneta che,
trasferitasi dalla città rumorosa e inquinata, in campagna per vivere una vita
più serena e a contatto della natura, aveva visto le terre intorno alla sua
casa devastate da torri eoliche: non solo il danno economico, visto che
recatasi ad una agenzia per rivendere la fattoria si è vista rispondere che il
valore si era quasi azzerato. Ma soprattutto il danno morale di una perdita di identità e senso: “non
sono venuta in campagna per trovarvi inquinamento acustico, elettromagnetico, e
devastazione ambientale. Cercavo la pace ho trovato l’inferno”.
Il rapporto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali “ Costruire il futuro difendere l’agricoltura dalla cementificazione” presentato il 24 luglio pone con forza una riflessione su quanto sta accadendo in Italia da decenni.
Dati impressionanti rilevano ancora una volta, le cattive politiche di pianificazione e di programmazione che hanno prodotto una forte perdita di superficie agricola e i cui effetti stanno provocando danni all’ ambiente, al paesaggio e alla produzione agricola, mettendo in serio pericolo la sicurezza alimentare della popolazione italiana.
Tra il 1971 e il 2010 si è avuta una diminuzione di superficie agricola utilizzata (S.A.U.) di 5 milioni di ettari, pari al territorio occupato dalla Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna.
Le cause che maggiormente incidono sulla perdita di superficie agricola sono da attribuirsi essenzialmente a due fenomeni: il continuo abbandono dei terreni, e l’impermeabilizzazione del suolo. Quest’ultimo fenomeno ogni giorno interessa 100 ettari di suolo, provocando danni irreversibili in genere ai terreni migliori ( aree pianeggianti ).
Dal 1970 la S.A.U. è diminuita del 28% interessando soprattutto quelle superfici coltivate a seminativi (-26%) e prati permanenti (-34) vale a dire i prodotti di base dell’alimentazione degli italiani quali: pane, pasta, riso, carne, verdure, latte e tutto questo è avvenuto mentre si registra un aumento della popolazione. La continua perdita di terreno agricolo condurrà il nostro Paese a dipendere sempre di più dall’estero per l’approvvigionamento alimentare. Il Trattato di Roma del 1957, art. 33, poneva l’obiettivo prioritario di “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari” ai propri cittadini, raggiunto dopo anni, oggi è messo in serio pericolo tanto che l’insufficienza della produzione agricola possa condurre l’Italia a dover dipendere per la sua alimentazione da paesi esteri! Il rapporto presentato, allarga la sua analisi non solo ai prodotti alimentari ma all’insieme dei prodotti colturali quali: alimentari, fibre tessili, biocarburanti, evidenziando come il nostro paese consumi più di quanto il proprio suolo agricolo è in grado di produrre. Ciò è dovuto al forte “ deficit di suolo agricolo” infatti, l’Italia, è il terzo Paese nell’Unione per deficit di suolo agricolo e il quinto nel mondo. Ciò vuol dire che abbiamo appena 12 milioni di ettari a fronte di 61 milioni di ettari necessari per coprire i consumi della popolazione in termini di cibo, fibre tessili e biocarburanti. Quali sono quindi le conseguenze di un deficit di 49 milioni di ettari di suolo?
La dipendenza alimentare dell’Italia potrebbe divenire una variabile delle dinamiche economiche, demografiche, sociali e geopolitiche dei paesi produttori di risorse alimentari che nel breve periodo avrà una forte influenza sui prezzi dei prodotti e nel medio lungo-periodo potrà accrescere il rischio di scarsità alimentare. Da una stima fatta dell’European Commission nel 2011, è stato calcolato che nel 2050, cioè tra trentasette anni, la domanda dei prodotti agricoli su scala mondiale crescerà del 70% mettendo sottopressione i sistemi ambientali agro-alimentare. Possiamo ancora permetterci di non difendere i nostri suoli, e in modo particolare quelli più produttivi, dai processi di cementificazione che da anni avvengono su tutto il territorio nazionale?
Infatti i fattori che maggiormente provocano la sottrazione di suolo agricolo in Italia, sono essenzialmente due: l’abbandono delle terre e la cementificazione. Quest’ultimo incide notevolmente sulla minore produzione agricola poichè interessa i terreni fertili e posti in pianura, nonché quelli limitrofi alle città ricche di infrastrutture e di facile accesso. La cementificazione o impermeabilizzazione dei suoli, non è altro che il risultato delle più scellerate politiche di pianificazione del territorio fatte da anni in Italia. Essa denota la mancanza culturale attribuendo all’ambiente e all’agricoltura uno scarso valore.
Dal 1950 a oggi la popolazione è cresciuta del 28% mentre la cementificazione del 166%, che in termini di superficie vuol dire aver coperto, un territorio grande quanto la Calabria. In Italia in 15 anni dal 1995 al 2009 i comuni hanno rilasciato complessivamente permessi per costruire 3,8 milioni di metri cubi, una urbanizzazione che in molte realtà italiane ha significato cementificare l’intera città.
Senza volere approfondire gli effetti che la continua sottrazione di suolo ha sull’ambiente, sia in termini di alterazione del paesaggio che di compromissione dell’ecosistema, occorre sottolineare quanto denunciato dal rapporto del Ministero dell’agricoltura ovvero la continua sottrazione di suolo la quale sta creando seri problemi alle produzioni agricole minacciando la sicurezza alimentare della nostra popolazione. E’ un tema per certi aspetti inedito nel panorama culturale del nostro bel Paese, che richiede la più totale attenzione da parte delle forze politiche, istituzionali e dei cittadini per evitare di trovarsi a dipendere per il proprio fabbisogno alimentazione da paesi di altri Continenti.
Il disegno di Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo presentato dal Ministro dell’agricoltura, rappresenta un atto di notevole importanza: esso pone fine ad un uso incontrollato del terreno da parte dei comuni, determinando “ l’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale ”. Si tratta di una legge di grande valore storico in quanto a ogni comune sarà posto un limite massimo di utilizzo di suolo per funzioni diverse da quelle agricole. Siamo ancora in tempo ?
Giuseppe Sarracino
Agronomo