La sovrappopolazione esprime l'essenza del mondo moderno attraverso una rottura. Ciò che la sovrappopolazione viene a rompere nel suo manifestarsi negli ultimi secoli, è il rapporto tra genere umano e natura. Non si tratta semplicemente della interruzione di un equilibrio, ma di un vero e proprio stravolgimento di senso, una alterazione profonda e costitutiva di un significato originario. L'uso della ragione oggettivante è l'aspetto essenziale della tecnica, quel tipo di pensiero che ha trasformato il mondo. Attraverso la razionalità scientifica l'uomo si è allontanato dal mondo animale, dal concetto che egli stesso come ente biologico appartiene al mondo animale. Il cristianesimo, ponendo al centro del cosmo un dio umano, antropomorfo, aveva posto le premesse per questa lontananza tra intelletto e biologia. L'uomo ha così conquistato il centro del mondo, perdendo il senso del limite, perdendo il pensiero risonante con la natura circostante che è, già da sempre, il contesto e l'orizzonte cui l'animale uomo coappartiene con gli altri enti biologici. Questa rottura originaria, simboleggiata magnificamente dal mito di Adamo ed Eva e la loro cacciata dal Paradiso Terrestre, viene rappresentata peculiarmente dal fenomeno della sovrappopolazione come si è venuto verificando nell'ultimo secolo. Nella sovrappopolazione non si manifesta infatti soltanto un superare un certo limite, non si esprime solo un concetto di sovrappiù, di eccesso numerico puro. Nel fenomeno sovrappopolazione va visto e compreso un concetto di rottura, rottura di un fondamento, di un rapporto originario ed essenziale. Con la sovrappopolazione umana si verifica una fuoriuscita dell'ente-uomo dalla natura, uno stravolgimento della sua natura animale, della sua appartenenza alla physis. Questa rottura coinvolge tutto l'essere dell'uomo: il suo pensiero , i suoi sentimenti, la sua visione del mondo, la sua organizzazione sociale, il suo agire, il suo produrre, il suo corpo e la concezione del suo corpo, il suo patrimonio genetico, la sua cultura, il suo futuro nel mondo. La sovrappopolazione determina in primo luogo la perdita del rapporto umano diretto tra uomo e uomo. L'accentramento della vita sociale nelle grandi città costituisce una alienazione profonda del significato della vita umana. E' attraverso la vita della grande città che la modernità trasforma l'essenza dell'uomo da animale fornito di intelletto (compartecipe della divinità) in un consumatore fruitore di diritti, la cui esistenza è un interagire artificiale mediato da un impianto tecnologico: la struttura della città contemporanea. Il primitivo rapporto diretto tra la persona e le cose trova una intermediazione artificiale che ne altera il significato. Cambia così il rapporto con il cibo, sempre più inscatolato e preconfezionato; con l'acqua, che non viene più trovata e raccolta ma acquistata già incapsulata in contenitori di plastica; con l'ambiente circostante che perde ogni spontaneità naturale per trasformarsi in strutture di cemento e in spazi artificiali; con l'aria sempre più inquinata; con l'uomo stesso che vede il meraviglioso dell'incontro con l'altro mutarsi nella competizione stressante verso un potere e un produrre privo di senso. Questa alienazione raggiunge il culmine nel campo dei sentimenti. La perdita da parte dell'uomo cittadino di alcuni comportamenti tipici del campo animale quali il corteggiamento, il sacrificio, la capacità di sopportare il dolore, il senso della morte (sostituito dal nascondimento e dalla rimozione di essa nelle nostre città), sono tutti indizi di una indifferenza che costituisce ormai un modo fondamentale di porsi verso i fatti della vita che la sovrappopolazione e il conseguente accentrarsi nelle città dell'esistenza umana hanno prodotto. E' quel nichilismo che sottende tutti gli aspetti della vita contemporanea, determinando l'angoscia che è lo sfondo comune -insieme alla competizione stressante- delle persone che vivono nei paesi sviluppati dell'occidente.
Paradossalmente nelle nostre megalopoli sovrappopolate viviamo come in un deserto, perché le persone e le cose della natura hanno perso ogni valore. La profondità dello sguardo dell'uomo. quel che una volte si definiva il "sacro", è andata perduta nell'indifferenza di un guardare disincantato e calcolante.Gli unici sentimenti rimasti, il pensiero non oggettivante, il dare un senso all'esistere, sono ormai confinati in isole di vegetazione, vere oasi di terra selvaggia (come le definisce Junger) in mezzo ad un deserto: la morte, l'eros, l'amicizia, l'arte. Leggo con orrore che alcuni stupidi affermano che il problema non è la sovrappopolazione umana, in quanto la terra avrebbe la possibilità di nutrire -ove le risorse fossero equamente distribuite- il doppio e il triplo della popolazione attuale. Per costoro il mondo sarebbe un puro vuoto da riempire. Ma riempire di cosa? Sarebbero ancora persone quella mostruosa massa disumana che abiterebbe un territorio stravolto e devastato da un apparato tecnico-industriale che avrebbe il solo scopo di assicurare la sopravvivenza di una insensatezza biologica e fisica? Che cosa sarebbe l'uomo? Avrebbe ancora un senso la sua vita in un mondo sovrappopolato e invivibile?
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