L’uomo non l’ha combinata bella e ha ridotto il pianeta
terra – cioè l’ambiente in cui vive e da cui dipende la sua sopravvivenza- a
gigantesca discarica piena di fumi tossici. Da cosa dipende il disastro di Homo
che vede così ridimensionarsi il suo epiteto di "sapiens"? Molti filosofi, specie
in area anglosassone, si stanno interrogando sulle cause dell’errore di Homo.
Tom Regan , uno dei teorici più rappresentativi di quest’area di pensiero,
analizza il tema riconducendolo alla deriva antropocentrica , o antropomorfica
come lui la definisce, del pensiero occidentale. Regan attacca soprattutto
l’utilitarismo di Bentham e seguaci e l’etica normativa di Kant, basata solo
sugli interessi di un malinteso “progresso” umano. Fondamentale in questo
percorso che deve portarci ad una nuova considerazione della natura e della
stretta co-appartenenza tra uomo e altre specie viventi, è il tema dei diritti
degli animali. I diritti non sono riservati solo all’uomo nell’interesse dell’utilità
generale (degli umani) come sosteneva Bentham, al contrario i diritti
riguardano tutti gli esseri senzienti, specialmente quelli forniti di una soggettività come gli animali superiori. La novità è che i diritti vanno individualmente considerati per ciascun soggetto animale, in virtù di
un valore intrinseco che deve essere riconosciuto a ciascun esemplare, considerato quindi
come fine in sé e non come mezzo per ottenere scopi che sono solo nostri. Regan
nega che i diritti riguardino solo i soggetti forniti di intelletto –come noi
lo intendiamo- e cioè individui razionali che accampano pretese valide. In questo caso avrebbero diritti
nel pianeta solo gli esseri umani: è quello che avviene adesso e abbiamo tutti
sotto gli occhi dove porta questa morale antropocentrica. Del resto se questo presupposto fosse
vero si avrebbe che un bambino piccolo non ancora in grado di dare giudizi o un minorato incapace di intendere e
volere non sarebbero depositari di diritti. Al contrario anche un bambino e un
minorato hanno diritti in quanto, come gli animali e tutti gli esseri viventi,
hanno un valore intrinseco e come tali hanno diritto ad un trattamento
rispettoso. Persino le piante hanno un valore che le rapporta all’ambiente in
cui sono inserite e costituiscono un mondo dove si esperisce il senso di tutti
gli animali umani e non
umani che lo abitano.
In questa ottica che vede negli animali dei
soggetti a cui competono diritti
individuali (nel senso che ogni soggetto ha i suoi - sia esso un uccello, un
cane o uno scimpanzè ) è possibile
comprendere come questa sorta di liberalismo in cui si contrappongono diritti di soggetti di specie viventi diverse sia l'unico sistema che possa portare ad un equilibrio ecologico tra specie diverse, e non ad un totalitarismo della specie Homo.
Regan contesta la visione non liberale che hanno molti
ecologisti di fronte ai problemi
posti dal degrado ambientale.
“La difficoltà è quella di riconciliare la natura
individualistica dei diritti morali con la visione eminentemente olistica della
natura, sottolineata da molti dei più illustri ambientalisti. Quest’ultima
tendenza è ben rappresentata da Aldo Leopold. “Una cosa è moralmente giusta –
egli afferma- quando favorisce la conservazione dell’integrità, della stabilità
e della bellezza della comunità biotica. E’ moralmente sbagliata quando non la
favorisce”. Tra le implicazioni di questa prospettiva rientra chiaramente la
possibilità che, in nome “dell’ integrità, della stabilità e della bellezza
della comunità biotica”, l’individuo sia sacrificato in vista di un maggior
beneficio biotico. Riesce difficile vedere come la nozione di diritto
individuale possa trovar posto in una prospettiva che, connotazioni emotive a
parte, potrebbe essere chiamata “fascismo ambientalistico”.
Chi infatti dovrebbe stabilire cosa maggiormente
contribuirà “all’integrità, alla stabilità e alla bellezza della comunità
biotica” ? Si prospetta di nuovo nella storia, che condizioni aggregative e di
tipo collettivistico vadano a sopravanzare i diritti individuali e a preparare
così nuove aristocrazie burocratiche e nuovi totalitarismi (che finirebbero per
essere umano-centrici come tutti gli altri).
“…poiché non è mai lecito calpestare i diritti degli
individui semplicemente sulla scorta dell’aggregazione dei valori per tutti
coloro che risentono dell’esito, un’etica dell’ambiente basata sui diritti
sbarrerebbe la strada a chiunque volesse sconvolgere la flora e la fauna
naturali in nome del progresso umano…se dessimo prova di maggiore rispetto per
i diritti degli individui che costituiscono la comunità biotica, non è vero che
la comunità stessa sarebbe preservata? E non è a questo che mirano, con la loro
visione più olistica e sistemica, gli ambientalisti?”
La visione olistica inoltre prevede delle misure di
contrasto al degrado ambientale di tipo “prescrittivo” il che presuppone una
burocrazia e un potere di stato che applichino norme in base a visioni generali;
la teoria dei diritti invece è più liberale in quanto il contrasto ai
comportamenti anti-ecologici deriva in primo luogo dal contrasto tra diritti
individuali incoercibili. La conservazione di una foresta che mantiene un ambiente naturale di soggetti senzienti
come mammiferi, uccelli e altri animali costituisce un diritto per i singoli
animali i quali devono essere rispettati nella loro autonomia di vita
all’interno di un mondo che gli appartiene. Tale diritto non può essere stravolto da interessi
commerciali o di mera espansione ambientale della sola specie Homo.
Per validare la sua teoria che vede negli animali dei
soggetti depositari di diritti Regan contesta quanto afferma John Rawls nel suo
libro “Una teoria della giustizia” e cioè che gli animali non sono agenti
morali come gli umani e che quindi non siamo obbligati a rendere giustizia in
modo rigoroso alle creature che mancano di capacità morali, ad eccezione del
fatto che dobbiamo evitare per essi sofferenze inutili. Ma Rawls stesso
riconosce che “la capacità per i sentimenti di piacere e sofferenza e per le
forme di vita di cui sono capaci gli animali chiaramente ci impone dei doveri “
(tra cui quello di non essere crudeli verso di loro). Gli animali, dice Regan,
pur non essendo agenti morali, sono certamente pazienti morali, subiscono cioè
come esseri senzienti le scelte degli agenti morali. Così come abbiamo dei
doveri verso i diritti insiti nei pazienti morali umani (ad esempio verso
neonati, persone con gravi deficit intellettivi, malati ecc.) così li abbiamo
verso animali senzienti che hanno una loro soggettività emotiva, al di là del
fatto che non posseggano una razionalità "superiore" di tipo umano. Non dobbiamo dimenticare che anche Homo è un animale. La nostra natura animale è documentata
dal fatto oggettivo che a livello embrionale non vi sono distinzioni rilevanti
tra un embrione animale ed uno umano, le differenze intervengono solo a
sviluppo avanzato, in particolare a livello del sistema nervoso centrale. Se
immaginiamo uno stato ontologico dei singoli soggetti che precede il loro
incarnarsi nel singolo animale o uomo, uno stadio ancora indifferenziato che
ancora non prevede il tipo di essere vivente cui darà luogo, possiamo considerare una “posizione originaria” indistinta a
cui tutti gli animali appartengono che precede l’entrata nella vita reale. Su questa originaria appartenenza
comune ad un mondo naturale si basa il valore intrinseco di ciascuna
soggettività vivente, e non ci possono essere distinzioni tra i doveri naturali
che abbiamo verso gli umani e quelli verso gli animali.
Liberare gli animali, conclude Regan, è un modo anche per
liberare gli uomini dalla violenza che stiamo attuando verso la biosfera.
Respingere l’alimentazione carnea, diventare vegetariani è un obbligo:
soprattutto eliminare quei campi di concentramento e macellazione che sono gli
allevamenti intensivi. La Terra non è una proprietà dell’uomo, ma un ambiente
di vita che deve essere condiviso tra tutti gli esseri senzienti. La più grande
rivoluzione che possiamo compiere, necessaria per la salvezza della nostra
specie e del pianeta, è rinunciare al nostro antropocentrismo e ritrovare
l’animale che è in noi rispettando gli altri animali. Questo ritrovarsi come
esseri senzienti deve andare oltre i singoli linguaggi e i diversi significati che diamo alle cose, per
ritrovarci tutti nel gioco della vita. E’ solo così che possiamo cambiare in
maniera radicale il nostro approccio morale alla vita sulla Terra, affinché la
vita umana si radichi di nuovo nella natura con un ritrovato equilibrio tra noi
e gli altri esseri viventi.
La lettura di questo lungo articolo mi lascia perplesso e insoddisfatto. Quanti credete che riescano a leggerlo tutto e a capirlo e a trarne le conseguenze? La sola cosa veramente concreta che apprendo è la necessità dell'abbandono della dieta carnea (e posso essere d'accordo. anche se cedo ancora talvolta alle "cattive abitudini"). Nel regno animale non umano mangiare ed essere mangiati è la regola, a parte per gli erbivori che sono però preda dei carnivori. Mi sembra anche di aver letto che il salto di qualità del sapiens sapiens - lo sviluppo del suo fantastico cervello ancora in parte sconosciuto - sia da ascrivere alla dieta carnea dei nostri progenitori (il midollo avrebbe favorito lo sviluppo del cervello, mi pare).
RispondiEliminaPenso però che oggi l'uomo potrebbe senza troppe frustrazioni rinunciare alla carne che forse nemmeno gli si addice - i carnivori hanno un intestino breve per eliminare rapidamente le scorie nocive della digestione, mentre il nostro è lunghissimo). Credo anche che la quasi totalità degli uomini sia incapace di macellare o uccidere un animale: la ripulsa è istintiva, persino in chi detesta i vegetariani e li considera fanatici (il fenomeno della caccia, "sport" ancora in auge, merita qualche considerazione a parte ma è ormai considerato dai più uno sport barbaro). Penso anche che quasi tutti sarebbero negativamente colpiti dal vedere i grandi allevamenti intensivi. Le condizioni di vita di quelle povere bestie non possono non suscitare compassione e sdegno.
Come la mettiamo poi con gli animali e insetti molesti e nocivi (topi, ratti, zanzare, pulci, cimici ecc.) ? La loro eliminazione è una necessità per evidenti motivi.
Purtroppo l'uomo ha invaso ogni nicchia e non c'è praticamente più posto nemmeno per splendidi mammiferi come il lupo, la lince, l'orso la tigre ecc. (in India le tigri fanno molte vittime). La comparsa di un lupo o di un orso fa sensazione (in Europa e dove vivo, in Svizzera), tutti sono interessati e commossi, vogliono vederli, filmarli ecc. ma poi si è costretti ad abbatterli perché la convivenza è ormai impossibile (un lupo è stato ucciso giorni fa in Svizzera e c'è stata persino una denuncia perché è una specie protetta - ma cosa vuoi proteggere in un tessuto umano così stretto?).
Sembra che Leonardo fosse vegetariano e dicesse: "Verrà un giorno in cui l'uccisione di un animale sarà considerata alla stregua di un omicidio".
R Sergio perplesso ed insoddisfatto : probabilmente perchè non hai altre basi su cui appoggiare questo ulteriore tassello nella direzione dello smembramento della morale non solo antropocentrica, ma anzitutto individuale prima che individualista della civiltà cristiano- petrolitica : non si tratta di non uccidere alcun animale o di eliminare gli animali molesti e pericolosi per le colture e l'igiene pubblica, ma di farlo con equilbrio, magari con forme di lotta biologica ; la questione non è diventare tutti vegani, ma iniziare il prima possibile una transizione verso la permacoltura dove l'agricoltura è possibile, cioè i climi temperati non troppo aridi, e farsì che nelle zone poco adatte all'agricoltura per la fragilità dei suoli, vedi l' Africa o le regioni tropicali, la presenza dell'uomo risulti sporadica, con tutte le conseguenze del caso...SIamo, in troppi, troppo anziani, troppo "malati", ed in zone del pianeta dove dovremmo essere centinaia di volte meno concentrati, quando in Italia siamo circa 3 volte più di quello che la nostra terra consentirebbe..Poi tu se vuoi manda gli aiuti per la lotta all' AIDS in Africa o per le vaccinazioni in Africa...Notizia di oggi: solo 400 i leoni rimasti nell' Africa Occidentale.
RispondiEliminaDifendere le specie animali, non i singoli animali ovviamente, significa difendere l'ecosistema, che significa preservarci un futuro decente...Meglio sfoltire oggi che perire in un finale alla soylent green.
RispondiEliminaLa necessità di sintetizzare un testo di 600 pagine nello spazio di un post può aver compresso concetti che nel testo Regan argomenta in modo dettagliato e articolato. La perplessità di Sergio deve essere ricondotta alla mia sintesi, non al testo originario, credo. Ad esempio, sul problema degli insetti, forse non è chiaro dal post, ma nel libro è espressamente detto che i diritti riguardano gli animali provvisti di soggettività affettiva che ne fanno "pazienti morali" e quindi degni di rispetto; sono esclusi chiaramente le forme animali "inferiori" provviste di un sistema nervoso rudimentale e come tali "non senzienti". Con Francesco concordo che la notizia tragica di oggi è proprio quella cui accenna: il rischio di estinzione per il leone africano. Quanti altri segnali vogliamo per capire che l'umanità sta esagerando?
RispondiEliminaRingrazio per questa necessaria precisazione che mi piace. Considero l'incontro con l'entomologo Jean-Henri Fabre una delle fortune della mia vita e i suoi "Souvenirs entomologiques" sono tra i miei libri più cari: mi ha rivelato il mondo straordinario degli insetti che ho poi ammirato in una favolosa esposizione a Lucerna. Tuttavia non credo che si possano davvero amare gli insetti, soprattutto certi insetti estremamente molesti e anche pericolosi (per es. la zanzara tigre che si sta esapandendo anche a nord). Certuni pensano di passare dalla dieta carnea a quella a base d'insetti (cavallette ecc. che sembrano gustose, immagino come gli scampi). Non ho niente in contrario, trovo eccessivi i riguardi anche per queste specie, come pure per i vegetali che secondo alcuni "soffrono" (non credo, perché non hanno un sistema nervoso). Se dovessimo rinunciare anche all'insalata, ai legumi e alla frutta come dovremmo alimentarci? Con prodotti sintetici?
RispondiEliminaNaturalmente mi dispiace moltissimo per l'estinzione del leone africano come pure di altri splendidi animali. Ma ne ho le scatole piene di sentire da decenni - alla fine di ogni documentario sulla natura - che la tal specie è in pericolo perché il suo habitat è minacciato. E minacciato da chi? Provate a indovinare. Ma questo non lo si dice espressamente anche se si capisce bene che è il sapiens sapiens che "avanza" ("T'avanza, t'avanza, divino straniero, conosci la stanza che i fati ti diero", cantava Giacomo Zanella). Stiamo sterilizzando il pianeta eliminando gli spazi vuoti (ma pieni di vita non umana) e la bellezza. Ma vuoi mettere una volgare tigre con uno di quei fantastici pupazzi detti robot che ci allieteranno la nostra vita? Scopano anche la casa, ti ricordano di prendere la pillola e ti fanno anche la lettura per farti addormentare, hanno persino dei sentimenti! Il filosofo E. Severino chiama "paradiso della tecnica" l'universo che sta nascendo, ma non lo dice in senso ironico o critico. La tecnica secondo lui sta creando il paradiso in terra (solo che secondo lui non basta: senza la sua filosofia anche il paradiso della tecnica è minacciato …).
Rivogliamo i lupi e gli orsi e meno cialtroni che si ritengono intelligentissimi (sapiens sapiens, capirai…).
Mah, io non riesco a dare al nostro antropocentrismo tutti questi connotati negativi che sembrano emergere.
RispondiEliminaNoi apparteniamo alla specie degli homo sapiens e pertanto mi pare inevitabile che la nostra specie, per noi (e sottolineo PER NOI) sia la più importante.
Non è nè un merito nè una colpa: è un dato di fatto.
E se ci pensiamo bene, quando difendiamo (giustamente per carità) l'equilibrio della natura, della terra e degli ecosistemi, lo facciamo solo perchè - alla fin fine - queste cose sono necessarie per la continuazione NEL BENESSERE della nostra specie.
Se per la conservazione dell'ecosistema fosse necessaria la scomparsa della nostra specie, come ci porremmo ?
Davvero dovremmo continuare a perseguirla ?
Non ne sono molto convinto.
Caro Lumen, quanto dici è in teoria giusto ma va contestualizzato storicamente. L'antropocentrismo aveva un senso quando l'umanità aveva un rapporto equilibrato con la natura. Quando la competizione era per la sopravvivenza in un mondo ostile e selvaggio, l'egoismo di specie era giustificato. Tutti ricordiamo le descrizioni nell'Odissea dei festeggiamenti che si rivolgevano all'ospite inatteso giunto da lontano, anche naufrago come Ulisse (quello che oggi definiremmo un immigrato clandestino). Ma quello del 1200 a.c. era un mondo abitato da duecento milioni di umani (forse meno...). Oggi, in un mondo sovrappopolato da sette miliardi di persone e avviato al disastro ambientale per l'eccesso demografico della specie umana, che senso ha l'antropocentrismo? Da proteggere non è la nostra specie, ma i quattrocento leoni rimasti in Africa, o le poche decine di tigri dell'India. O le specie animali e vegetali che ogni giorno scompaiono in tutto il pianeta per l'attivismo egoistico di una sola specie: Homo. Paradossalmente il potere dell'uomo, la sua tecnologia, gli si sta rivolgendo contro, proprio per il suo egoismo che a tanto potere non ha saputo porre un limite. I libri di Hans Jonas sulla responsabilità dell'uomo nel gestire il potere tecnologico sono illuminanti. Oggi l'antropocentrismo non solo non ci aiuta a sopravvivere, ma è il pericolo principale per noi e il pianeta.
RispondiEliminaCaro Agobit, prendo atto delle tue argomentazioni, che hanno sicuramente la loro validità, ma su questo punto continuo a ad essere perplesso.
RispondiEliminaSecondo me, il problema non è che stiamo segando un ramo: è che stiamo segando il ramo su cui siamo seduti.
Ma ovviamente siamo sempre nel campo delle opinioni personali.
E comunque resta vero, come dici tu, che l'antropocentrismo << va contestualizzato storicamente >>.
Questo "lungo articolo" mi ha insegnato comunque qualcosa, e di questo è lecito essere piuttosto grati. Semmai i commenti, anche se in linea di massima condivisibili, a tratti lasciano un vago senso di apprensione. Non per le posizioni morali quanto per la logica che deriva molto poco da empirismo diretto, sembra.
RispondiEliminaIntanto gli strafalcioni più stridenti, a ritroso. Noi non siamo l'Homo Sapiens il quale era notoriamente cannibale, antropofago inveterato, ma il Sapiens-Sapiens, che avrebbe superato il vizietto di divorare gli amici Neanderthaliani solo annientando in conpenso tutto quanto che si muove. Comunque il lapsus la dice lunga per quello che riguarda la violenza distruttiva di specie
La parola antropocentrismo poi, ha un suono assai lugubre in qualsiasi contestualizzazione, si tratta pur sempre di sopraffare e distruggere il più debole, isolato, o ingenuo di turno. Un suono a dir poco cacofonico.
Anche se i vegetali soffrissero - ed è provato che lo fanno... - si può stare certi che un frutto maturo, al momento giusto non soffrirà per niente, infatti l'Umano è strutturato proprio - guarda caso - per essere fruttariano crudista. Bisogna solo applicare anche un po' di pensiero elementarmente logico quando le si spara a raffica, non basta essere mentali.
Seppure vegan e antispecista, riconosco che sarebbe assai meglio per coloro che preferiscono ancora cibarsi di carne, di farlo al più presto tramite gli insetti che immagino alquanto succulenti, saporiti e proteici. Ancorché poco individualizzati. Una strana acquolina...
L'estinzione degli Animali, poi... Quanti sanno che noi siamo il paese che a causa dell'industria dolciaria importa i quantitativi più massicci al mondo di "olio di palma" - da non confondere con l'olio di cocco - il che significa devastazione illimitata del Sudest Asiatico, il Borneo Malese per esempio, eccidio sistematico seppure indiretto - nella deforestazione - di varie specie, compresi orag-outang, tigri, elefanti, scimmie, e forse perfino minoranze etniche sconosciute per sempre. Mostruoso e vomitevole, altro che dolci,
La questione non è diventare tutti vegani, dice. Ma se il Veganesimo, non veganismo, sarebbe la sola soluzione a tutti i problemi, non scherzetti, al punto in cui siamo! Se solo ci si pensasse sarebbe inconfutabile, ma è un pensiero troppo semplice e ingenuo... Il discorso cambia vedendo però implicazioni, nessi, passaggi, collegamentii. Si chiama visione d'insieme. Deve comunque stare tranquillo e comodo, non avverrà. E' più sicura l'Apocalisse, e certo più interessante e più veloce e quindi meno faticosa
Sì, anche l'intestino non andrebbe dimenticato, il quale non è breve, e che è collegato molto più "intimamente" di quanto si creda al funzionamento del cervello...
Perché un'altra carenza notevole in merito al fare chiarezza sulle causi più nascoste della pulsione superautodistruttiva della "nostra specie", è la mancanza totale di conoscenze più metafisiche, vedi occulte. Finché si sta in superfici si afferra e si coglie ancora ben poco. E non continuiamo tanto a preoccuparci se nel mondo animale chi mangia chi, siamo noi che dovremmo un tantino evolvere, oppure, per dire, i maiali?
Ah, dimenticavo... Non solo il Da Vinci, che vegetariano dalla nascita, non mangiava midollo ma aveva 185-190 (!) di QI, ha asserito che "Verrà il giorno, etc...". ma ha anche suggerito: "Chi non rispetta la vita non la merita."
R Veganisimo Sylvia Poli : un veganesimo duro e puro non è la soluzione ad ogni problema di sostenibilità, e cmq oggi le soluzioni individuali autoimposte non bastano più ...Quando dico che i suoli equatoriali andrebbero proibiti non solo e non tanto alla coltivazione delle palma da olio, ma da ogni forma di agricoltura, ne capisci le conseguenze ?..A meno che non esista un veganesimo che preveda una dieta a base di sola aria l'esistenza di gran parte del biota umano, inteso come mera massa biologica, è la vera minaccia alle future generazioni di quasi tutte le specie.
RispondiElimina...Dopo 4-5 anni di agricoltura di sussistenza per le nuove famiglie affamate di cavallette homo, quella che una volta era foresta equatoriale si riduce ad una steppa arida,vedi Amazzonia o Madagascar, quindi un po meno peggio sono proprio le coltivazioni
RispondiEliminadi palma da olio che almeno non erodono del tutto il suolo rispetto alla mera agricoltura brucia, coltiva e spostati delle cavallette homo in Amazzonia ed aArica equatoriale.