Nuova
Beffa Ecosostenibile alla Conferenza di Varsavia (COP 19) . Si sono riuniti i
governi di vari paesi di tutto il globo per stabilire che non si può fare
niente o poco meno contro il riscaldamento climatico dovuto alle emissioni di
gas serra. Il più chiaro è stato il Giappone: ha candidamente annunciato di non essere in grado di
sostenere l'impegno di un taglio delle emissioni di gas serra del 25 per cento
rispetto ai livelli del 1990. La percentuale alla sua portata è del 3 per
cento. Da scoppiare dal ridere. A seguire la dichiarazione di Christiana
Figueres, segretario dell’UNCCC, che ha detto ai rappresentanti del World Coal
Association, che il carbone non va tanto bene perché è una materia prima tra le
peggiori quanto ad impatto ambientale e ad emissioni di anidride, però si deve
continuare ad usarlo, magari con accorgimenti che ne riducano l’impatto per il
bene di tutti. Cosa significa? Nulla. Specifica la Figueres che l’uso del
carbone può continuare se è compatibile con l’obiettivo di contenere entro i
due gradi Celsius l’incremento della temperatura media globale. Cosa significa? Nulla di nuovo, quindi bene così. L’invito ai produttori di carbone sembrerebbe
quello di diversificare il portafoglio, investendo sulle energie cosiddette
rinnovabili, così come hanno già fatto diverse compagnie petrolifere e del gas.
Poiché le rinnovabili non incidono sulle emissioni per un bel niente, in quanto
inutili per la domanda energetica industriale e le altre esigenze principali,
traduco la cosa così: continuate a produrre veleno, l’importante è che ci
appiccichiate sopra l’etichetta verde “contribuisce alle rinnovabili” e così
salvano l’anima e il portafoglio. In fondo trovare la parola "Rinnovabile" scritta ogni tanto e da qualche parte, acquieta gli animi e rende tutti sereni: si tratta di roba equasolidale e sostenibile. Si può continuare -ergo- a bruciare miliardi di tonnellate di idrocarburi e che si fottano le calotte polari e i polmoni della gente! Tutti hanno fatto marcia indietro, dagli
Stati Uniti alla Cina, dall’India al Sud america. Dell’effetto serra non frega
niente a nessuno. Forse non ci credono, forse non esiste. Norvegia, Regno Unito
e Stati Uniti, seguendo il consiglio di fare qualcosa di buono onde nasconderci
sotto il malloppo puzzolente, si sono impegnate a ridurre il processo di
deforestazione, allocando a questo progetto 280 milioni che verranno gestiti dal
BioCarbon Fund della Banca Mondiale. Polonia, Russia e Ucraina si oppongono a
tutto e sono ultrafavorevoli al gas e petrolio di scisto, sparando nel
sottosuolo i peggiori solventi e liquami e facendo sgusciare fuori miasmi di
metano, gas, petroli, zolfo, solfuri e altre diavolerie che andranno ad
inquinare le terre e le acque per chilometri quadrati, mentre l’Unione Europea si tappa gli
occhi e predica bene, senza tuttavia fare nulla. Chi può continua beatamente a farsi le sue centrali nucleari, e forse sono i più lucidi, come Cameron ed Erdogan. Per finire il solito: nessuno
ha parlato dell’esplosione demografica alla base dell’aumento delle emissioni di
gas serra ed altri inquinanti nell’ultimo secolo. La sovrappopolazione per
COP19 non esiste. Non è un problema. Conseguenti sono le previsioni che si
possono fare: questa conferenza di Varsavia è l’ennesima Beffa e non servirà a
nulla, come a nulla è servita quella di Kyoto. La prossima di Parigi nel 2015
sarà ugualmente inutile. Ci guadagneranno solo i partecipanti, gli esperti con
le provvigioni per le consulenze, le residue imprese che producono rinnovabili
solo grazie agli incentivi, ed altre amenerie del genere. Se abolissimo del tutto queste Prese in
giro, non se ne accorgerebbe nessuno, e la Terra forse respirerebbe perfino
meglio.
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mercoledì 27 novembre 2013
domenica 24 novembre 2013
Sviluppo economico e caos demografico
Quali sono i fattori determinanti che intervengono nella
scelta del numero di figli nelle femmine di Homo? Molto importanti sono
certamente i condizionamenti religiosi
e delle culture tradizionali, come avviene ad esempio in certe società
islamiche o tra gli appartenenti a sette religiose tradizionaliste. Secondo gli
studi dell’antropologo Marvin Harris (1927-2001) sembra che abbiano maggiore
importanza i fattori materiali ed in particolare gli interessi economici. “Nelle
famiglie contadine delle società preindustriali, i bambini cominciavano ad
occuparsi delle faccende domestiche non appena muovevano i primi incerti passi.
Verso i sei anni aiutavano a raccogliere la legna per il fuoco e a portare
l’acqua per cucinare, si prendevano cura dei fratellini più piccoli; seminavano
i campi, li ripulivano dalle erbacce e mietevano i raccolti…più grandi badavano
a portare il cibo agli adulti, pascolavano il bestiame…”. In definitiva i figli
erano economicamente convenienti in quanto i bambini producevano più di quanto
consumassero. Proprio per questo ogni abbassamento del valore attribuito al
lavoro infantile nell’agricoltura può determinare una riduzione del tasso di
natalità. Se i profitti economici che i genitori si attendono dai figli possono
essere aumentati mandandoli a scuola e facendo loro imparare un mestiere
impiegatizio, il tasso di natalità può decrescere molto rapidamente. Negli anni
sessanta, i ricercatori dell’Università di Harvard scelsero un villaggio dello
stato del Punjab, Manupur, nell’India settentrionale, come sede di un progetto
che puntava all’abbassamento del tasso riproduttivo attraverso l’uso di
tecniche contraccettive e vasectomie. I ricercatori scoprirono che, se in linea
teorica gli abitanti del villaggio non avevano problemi ad accettare l’idea di
una pianificazione familiare, in pratica rifiutavano di farsi sterilizzare o di
usare contraccettivi fino a quando non avevano raggiunto il numero di due figli
maschi. Questo implicava spesso, tenendo conto delle femmine, la nascita di tre, quattro o più figli. Quindici anni dopo, alcuni ricercatori americani tornati nel villaggio
scoprirono sorprendentemente che le donne facevano uso di metodi contraccettivi
per ridurre in modo sostanziale il tasso di natalità e che il numero di figli
maschi a cui aspiravano era notevolmente diminuito. La vera ragione di questa
inversione di tendenza era la seguente: dopo la conclusione del progetto di
ricerca americano, gli abitanti di Manupur erano stati coinvolti in una serie
di progressi economici e tecnologici che avevano fatto del Punjab uno degli
stati più avanzati dell’India. Lo sviluppo della rete dei canali di irrigazione
e il sempre maggior utilizzo di trattori, diserbanti chimici e stufe da cucina
a cherosene avevano drasticamente ridotto il valore economico dell’aiuto
prestato dai bambini nelle fattorie. Nello stesso tempo, gli abitanti di
Manupur cominciavano a rendersi conto dei vantaggi offerti dalla possibilità di
impiego nelle fabbriche e negli uffici commerciali e statali. Avvertivano la
necessità di essere maggiormente istruiti per poter gestire le loro fattorie
meccanizzate e finanziate dalle banche. Oggi molti genitori vogliono che i loro
figli proseguano gli studi e non hanno interesse a utilizzarli come contributo
al lavoro manuale. Di conseguenza, le iscrizioni alla scuola superiore sono
salite dal 63 all’81 % per i ragazzi, e dal 29 al 63 % per le ragazze. E i
genitori di Manupur aspirano a che almeno un figlio si impieghi nel terziario,
in modo che la famiglia non dipenda esclusivamente dai guadagni
dell’agricoltura; molti progettano addirittura di mandare sia i figli sia le
figlie all’università.
Questi motivi ricordano quelli alla base dei profondi
mutamenti del tasso di riproduzione che hanno accompagnato il passaggio, nel
diciannovesimo e nel ventesimo secolo, dalle società agricole a quelle
industriali. L’industrializzazione ha aumentato il costo dei figli e ha tolto
ogni convenienza ad averne molti. I benefici che si possono ottenere dai figli
consistono nella loro disponibilità ad aiutare i genitori nelle difficoltà
economiche e nei problemi di salute della terza età. Tuttavia l’allungamento
della vita e l’aumento del costo delle cure mediche rendono sempre più irreale
la possibilità che i genitori ricevano questo aiuto dai figli. Le nazioni
industrializzate non hanno altra soluzione che quella di costruire case di
riposo e predisporre assicurazioni mediche per la terza età, in sostituzione al
sistema in uso nelle società preindustriali, nelle quali i figli si prendono
cura dei genitori anziani.
Purtroppo le società industriali sono enormemente più
impattanti sull’ambiente rispetto a quelle preindustriali. La riduzione dei
tassi di natalità nelle nazioni progredite non ha perciò portato a benefici
sull’ambiente, anche perché gli effetti della diminuita natalità sono stati
surclassati negli ultimi decenni dall’arrivo di milioni di immigrati dai paesi che hanno ancora
tassi di natalità molto elevati. C’è inoltre un grave ritardo culturale nelle
nazioni occidentali dove le tradizioni religiose e le visioni solidaristiche
antropocentriche hanno determinato un supporto a politiche di stimolo delle
nascite che –purtroppo- hanno
spesso avuto successo come ad esempio negli Stati Uniti o in certi paesi
europei (ad esempio Gran Bretagna e Francia). Una popolazione complessivamente in crescita in presenza di economie
industriali fortemente inquinanti è un coktail esplosivo per il residuo
ambiente verde delle nazioni sviluppate. Ciò è ancora più vero per le economie
emergenti dove esigenze di risorse non consentono l’utilizzo di tecnologie
avanzate e meno inquinanti. Questi aiuti dati dallo stato (a carico della
fiscalità generale) a politiche pro-nataliste è un vero dramma per le
prospettive di successo di ogni tentativo di rientro ambientale sostenibile. La
caparbia ostinazione con cui le
associazioni ambientaliste ignorano il fattore della riduzione della
natalità quale elemento
determinante ed alla base di tutti gli aspetti del disastro ambientale che sta
sotto i nostri occhi, aggiunge un aspetto paradossale al problema ecologico e alle possibilità residue
del pianeta.
Le prospettive per il futuro non sono rosee.
Nonostante tutte le mitologie su riduzioni sostanziali
dei consumi energetici e su
fantomatici futuri sviluppi delle tecnologie riguardanti le fonti rinnovabili,
la realtà è che negli ultimi decenni non vi sono state importanti innovazioni
tecnologiche in grado di dare una svolta al problema del crescente inquinamento
ambientale da fonti energetiche tradizionali e a quello del riscaldamento del
clima. Solo per fare un esempio: il paese europeo con l'economia più forte, la Germania, ha ancora alla base del suo sistema energetico il carbone che rimane una fonte in assoluto tra le più inquinanti. La mancanza di un disegno strategico complessivo e basato su dati certi,
l’assenza di una autorità politica in grado di condurre progetti a livello
planetario, l’inconsistenza delle proposte dei vari convegni e consessi
internazionali, il deficit di risorse da destinare alla ricerca aggravano i
problemi. Ogni paese, ogni associazione, ogni istituzione segue politiche
diverse e per lo più lasciate al gioco spontaneo degli interessi in campo.
L’evoluzione delle economie e delle politiche sociali nelle varie aree
geopolitiche è priva di un disegno
lungimirante di salvaguardia ambientale e lasciata allo spontaneismo caotico. Il
fatto più grave è che tutti ancora
ignorano –o fingono di ignorare- il problema sovrappopolazione, ed il tempo sta
per scadere.
lunedì 18 novembre 2013
Dallas 1963
Il prossimo 22 novembre sarà il 50° anniversario
dell’assassinio a Dallas del Presidente John F. Kennedy.
A Dallas (Texas) quel 22 novembre del 1963 , alle ore
12,30 tre colpi risuonarono lungo la Main street, sparati dal Depositery
(magazzino dei libri scolastici) da un dipendente a contratto del magazzino, un
uomo folle dall’aspetto stranulato, metafora di una follia collettiva, Lee
Oswald. Ex tiratore scelto del marines, ne era stato poi cacciato per aver
aderito al comunismo. Prima dell'omicidio era stato esule in Unione Sovietica e poi filo-castrista.
Secondo alcuni aveva collegamenti con ambienti della mafia americana. Fu ucciso due giorni dopo l'assassinio di JFK da un gestore di Night-club intrufolatosi tra i giornalisti, mentre veniva trasferito dalla sede della polizia al carcere. Dopo gli spari contro il Presidente, la macchina nera
scoperta su cui era anche la moglie Jacquelin e il governatore Connally, si avviò di corsa verso il sottopasso, diretta al
Parkland Hospital. John F. Kennedy era ormai morente con il cranio trapassato
da uno dei colpi di Oswald (sparati da un fucile Mannlicher Carcano di
fabbricazione italiana). Alle 13,30 l’annuncio ufficiale della morte di Kennedy. Il giovane Presidente
aveva assunto la carica il 20 gennaio del 1961, era visto con simpatia non solo
dagli americani, ma dal mondo intero, per la sua età, per le parole di fiducia
su un futuro di progresso non solo degli Usa ma dell’intera umanità. Con la
presidenza Kennedy, dopo la
vittoria del mondo libero sui totalitarismi, era nata una nuova speranza, una
fiducia nell’avvenire supportata dal rapido sviluppo della tecnologia che proprio in quegli anni con le scoperte
sull’atomo, nel campo della chimica
e della medicina, tornava a
brillare come mito dell’occidente e non solo. Si accendeva in quegli anni la
competizione tra America e Unione Sovietica per la conquista del cosmo e per il
predominio tecnologico ( e degli armamenti). Sembrava che la vita fosse facilitata dalle grandi
scoperte, gli antibiotici, il DNA, la vittoria possibile sulle malattie,
l’energia dalla fissione dell’atomo, e che fosse alle porte un nuovo
rinascimento sull’onda del sogno
americano: la felicità sulla Terra era possibile. Kennedy aveva saputo incarnare questa
voglia di vivere dopo la fine
della guerra che aveva devastato l’Europa, che aveva visto la deportazione e la
gasificazione di milioni di ebrei, e reso l’America colpevole del primo
bombardamento nucleare della storia su due città abitate da popolazioni civili.
Con JFK l’America aveva cambiato registro rispetto agli uomini che avevano
partecipato al conflitto dai posti di comando, come Truman ed Eisenhower. Kennedy era stato un soldato
coraggioso, un ufficiale che non
aveva visto la guerra da lontano ma
da eroe sul campo, come
quando aveva salvato in mezzo alla battaglia i suoi marinai dall’affondamento del suo mezzo da sbarco. Il
Presidente era un forte comunicatore e sapeva parlare alla gente risvegliando
la speranza nel futuro: i suoi
discorsi erano tutti animati da una grande energia interiore, da una carica e uno spirito che da allora
si definirà “kennediano”. I suoi
progetti di viaggi nello spazio con la promessa di raggiungere la luna e poi gli altri pianeti ( i viaggi sulla
luna sarebbero venuti negli anni seguenti secondo le volontà del presidente ma
presto abbandonati), la sua contrapposizione al comunismo e il primo forte
incitamento ad abbattere il muro di Berlino( Ich bin ein berliner…) sono
ricordati con ammirazione da tutti . Così come i lati oscuri della tentata
invasione di Cuba, la cosiddetta “Baia dei Porci”, e l’origine del conflitto in
Vietnam. Col suo richiamo alla nuova frontiera, con il suo celebre invito ai
cittadini di darsi da fare senza aspettare lo stato, e la sua politica di
riduzione delle tasse, JFK è anche
all’origine dell’idea liberista poi ripresa da Reagan, pur essendo Kennedy un
democratico. Fu uno di primi a parlare di sovrappopolazione e della necessità
di destinare più risorse allo sviluppo e meno alla natalità.
Erano gli anni della vita che tornava dopo le stragi di
tanti giovani nel conflitto mondiale, della voglia di divertirsi; c’era la
volontà di migliorare, era l’ora dei balli scatenati, del Rock, la nuova musica
con i ritmi mai visti, del nuovo
credo nei mezzi dell’uomo per affrontare i problemi, dei motori sempre più
potenti, delle auto che si allungano e sfrecciano veloci, della corsa al
benessere, alla ricchezza che sembrava a portata di mano. L’uomo va nello spazio carico di
fiducia nel futuro. I nuovi media accelerano la sensazione di una nuova vita
che rinasce, la radio, la televisione, il cinema in casa con il mondo che entra
dentro l’intimità, il quotidiano delle persone. I dischi, le canzoni, le gonne
di mille colori, la pubblicità a farci sognare una vita diversa dal
passato…Quella figura di giovane Presidente con la sua bella moglie sorridente,
il linguaggio diretto, una sensazione di novità, di nuovi possibili sviluppi…
Tutto destinato a finire quel 22 novembre a Dallas. Alla notizia del suo
assassinio i più avveduti ebbero la sensazione netta che finiva l’epoca di ottimismo
succeduta alla guerra e che iniziava un’altra storia. Dopo pochi anni, nel
1968, sarebbe stato pubblicato da Paul R. Ehrlich il libro “The population bomb” sulla denuncia
della eccessiva pressione demografica incombente da parte della specie Homo, e successivamente il
mondo si sarebbe avviato alla globalizzazione e poi al disastro ambientale che si sta avverando sotto i
nostri occhi.
.
Ma prima che il giovane Presidente fosse ucciso, c’era
stata la morte di Marilyn. Un altro segno fatale di un cambio d’epoca. Forse,
come dice Hobsbawm, il 900 è stato veramente un secolo breve, ed è finito
precocemente in quei primi anni sessanta. Anche Marilyn aveva incarnato un
sogno: il sogno che fosse possibile la felicità in un mondo fatto di luci, di
macchine, di cinema, di brillanti, di frigoriferi, di consumi a gogò, di auto
lussuose. La morte di Marilyn fu il segnale che la strada era sbagliata, che
quel sogno poteva tramutarsi in un incubo. Pochi anni prima c’era stato il
fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki. La precarietà della vita era ormai sentita
da tutti. La natura non era più l’infinito scenario a cui potevamo attingere
secondo i nostri bisogni. La possibilità di distruzione immediata del mondo era
alla portata dell’uomo. L’essere e il nulla erano vicinissimi. Marilyn era uno
schermo di luccicanti meraviglie posto davanti a tutto questo, una maschera
gioiosa e innocente su un senso di tragedia incombente. Una bambola bellissima
ma di estrema fragilità. La sua
sensualità debordante era la forza con cui riusciva a far dimenticare
l’angoscia esistenziale di quegli anni, a creare una realtà piacevole sovrapposta all’altra inquietante. Ma nella vita e nella morte di Marilyn c’era
un lato oscuro che aveva a che fare con John Kennedy e con suo fratello Robert,
ambedue molto disinvolti nel loro rapporto con le donne. Riporto il
magnifico ritratto che da di lei Ceronetti in una descrizione che attraverso
Marilyn apre una chiave di interpretazione su tutto il periodo. La sua incredibile,
sorprendente e
inaspettata morte nella pienezza
degli anni rimane un mistero e
alimenta la leggenda sui due Kennedy che, forse indirettamente, furono una
delle cause del suo strano suicidio.
“Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle
22,30 quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito
erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il
1° giugno 1926; aveva 36 anni.
Tra i film…ricordo bellissimo di grande cinema “Giungla
d’Asfalto”, del 1950, di John Huston, e “La magnifica Preda”, di Otto
Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di
predatori maschi, riempì le sale. L’originale era modesto: The River of No
Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo,
triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime
sul mondo incantato: No Return…No Return…
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la
trascinò insieme ai fratelli Kennedy;
la loro Ragione di Stato l’uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per
un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca – finché non
fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Incontrava a
turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non
mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa.
Ce n’erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Melena Drive, dove nel
pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un
milione di dollari in cambio di un quaderno rosso,dove Marilyn, credendosi
furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi
convegni con quelle due altre leggende della giungla americana.Pretendeva, la
tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina,
lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con
verginità di fenice, di First Lady…Suicidio si disse, quando il titolo “Marilyn
Dead” traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in
attesa dell’ordine del Coroner per essere portato alla Morgue. Non ingerì
Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell’intestino. Accanto a
lei non c’era bicchiere è bottiglia d’acqua per ingoiare pastiglie nere. C’erano invece dosi del barbiturico e
di cloralio nel sangue e nel fegato, da provocare più di una morte. Nessuno udì
grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia…
Un anno e quattro mesi dopo Qualcuno vendicò a Dallas
quella triste carne che si aggrappava a un’anima disperata. E il 6 giugno 1968,
sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato,
mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca.
D’indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il
mio secolo crudele prescrisse a Norma Jean, figlia di una madre pazza e di un
padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per
aver segnato l’epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver
conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato dentro un soffrire.
“C’è una speciale Provvidenza nella caduta di un
passero”.
Il Fiume
Senza Ritorno risalirà alla sorgente.
(G. Ceronetti: “Ti saluto mio secolo crudele” Einaudi
pagg. 17-19).
La morte di John Kennedy, quella di Marilyn e poi, nel
1968, quella di Robert Kennedy avviato anche lui alla Presidenza, tutte e tre
morti violente, furono un segno
del secolo crudele, quello senza ritorno, come il fiume della Monroe. Le
illusioni sul progresso illimitato stavano finendo. Ma non sarebbe stato il
comunismo, né la guerra, né la bomba atomica a invertire la rotta. Da allora
apparve evidente che il cielo stava per non essere più azzurro, il mare stava
diventando acido e con gigantesche isole di plastica, la Terra una discarica. Una
cortina di esalazioni stava lentamente ma inesorabilmente iniziando a
circondare il pianeta. Ritornava alla mente l’avvertimento di Nietzsche: “Umano, troppo umano…”
giovedì 14 novembre 2013
Fusione Fredda: il prossimo reattore Lenr sarà americano o giapponese
Su invito di Vincenzo Valenzi ho partecipato
alla recente conferenza sulla Fusione Fredda tenutasi a Roma nell’ambito di Coherence 2013. Il
tema verteva sugli ultimi sviluppi delle ricerche. La corsa al nuovo reattore
Lenr-ahe riguarda attualmente in particolare i ricercatori americani e i giapponesi. Soltanto in
Usa e in Giappone ci sono infatti finanziamenti adeguati a portare avanti la
ricerca con buone prospettive di successo. In America accanto ai classici
centri di ricerca (il gruppo
del Mit, coordinato dal professor Hagelstein, quello di Miley dell’Illinois,
quello che fa capo alla Nasa, la Boeing corp. e tanti altri) c’è soprattutto quello del professor
David Nagel (Washington University) che ha ricevuto dal governo l’incarico di
centralizzare la miriade di
ricercatori americani e di coordinare le ricerche a livello internazionale. In
Giappone sono attivi i ricercatori dell’Universita di Osaka e di Koba e della Technova. Ma
sono in particolare i
ricercatori della Toyota che
stanno accelerando in vista dei futuri auspicabili sviluppi commerciali.
Su questi temi e sulle ricerche che si
svolgono in Italia riporto una breve sintesi dell’intervento di Celani (Infn )e
di Mastromatteo (ST Microdinamics) nella conferenza di Coherence 2013 tenutasi
il 30 ottobre ottobre a Roma nei locali della Casa dell’Aviatore. Un buon
segnale è stata la partecipazione: la sala era piena e il pubblico molto
interessato.
Nel suo intervento Celani , dell’istituto nazionale di fisica di Frascati, e
principale esponente della ricerca sulle Lenr in Italia, ha passato in rivista lo stato attuale degli studi e degli esperimenti
e le prospettive a breve-medio termine.
Celani ha riferito in particolare sulle
novità emerse dall’ultima conferenza ICCF 18 tenutasi dal 21 al 27 luglio 2013
in Missouri.
La prima (ed importante) novità è che gli
Usa hanno deciso, anche per
diretta spinta del governo americano, di centralizzare tutti gli studi,
in particolare quelli collegati alle istituzioni pubbliche (Navy Lab della
Marina), quelli della Nasa, dei principali istituti universitari, all’interno
del progetto di ricerca del professor David Nagel (G. Washington University), e
di affidare a lui il coordinamento internazionale di questo settore (LERN). Vedi a questo proposito il lavoro riepilogativo di Nagel: http://www.infinite-energy.com/images/pdfs/NagelIE103.pdf
E’ molto probabile che, in base al crescente
interesse nel settore e a nuovi cospicui finanziamenti, gli sviluppi futuri di un reattore LENR
– AHE avverranno negli Usa e che
presto ci saranno novità preliminari ad una eventuale commercializzazione
di sistemi di riscaldamento e di
produzione di energia per usi inizialmente domestici e di piccole imprese,
destinati poi a crescere in altri campi con il progredire delle
sperimentazioni. Ricordiamo che negli Usa è anche in attività di ricerca la
Leonardo Corp. di Rossi, su cui però non si dispongono dati certi per la
politica del segreto industriale perseguita da Rossi e collaboratori.
Oggi i lavori internazionali che riguardano
le LERN- AHE (Anomalous Healt Effect) si svolgono in numerosi paesi, ma i
centri principali sono gli Usa e il Giappone, dove si stanno interessando al
problema i ricercatori dell’Università di Osaka, dell’Università di Kobe, e quelli della Toyota.
Celani ha fatto un cenno alle varie tappe
che hanno portato allo stato attuale della ricerca. Dopo le celle elettrolitiche
iniziali che producevano una temperatura operativa di 50-60 C° si è passati
alla combinazione di metalli con struttura molecolare a reticolo e di gas di
deuterio o di idrogeno che hanno permesso temperature assai superiori (300-500
C°) . Nella costruzione dei
reattori sperimentali oggi non si utilizza più il palladio , raro e costoso,
oltre che facilmente deperibile nelle reazioni, ma nuove leghe a base di
nichel-rame in forma parcellizzata micrometrica, al cui uso hanno contribuito
molto i ricercatori italiani, tra cui Piantelli, Focardi e Rossi, e per ultimo
Celani stesso con la sua costantana. I reattori con cui sperimentano gli
americani sono derivati in gran parte dagli esperimenti del Prof. Arata e dal reattore di Celani , e gli esperimenti si avvalgono di un nuovo
sistema di condivisione (Live Open Science), si svolgono sotto l’occhio di
numerose telecamere e vengono messi in
onda in tempo reale . Chiunque dall’esterno può osservare gli esperimenti,
portare il suo contributo e fare commenti (Open Science). Si è stabilito che il
termine Fusione fredda non è idoneo a indicare le reazioni che avvengono in
questi sistemi sperimentali: si tratta di fenomeni termici e nucleari a bassa
intensità che, probabilmente non
riguardano una reale fusione nucleare. Oggi si preferisce definirli AHE
(anomalous healt effect). Qual’ è l’utilità di usare il rame-nichel?
a) Abbassare il costo
rispetto al palladio. Riuscire a fare a meno del deuterio che è costoso e
considerato di interesse strategico.
b) Aumentare la
temperatura operativa esterna degli esperimenti (300-500 C°) per facilitare la
produzione di energia elettrica.
Nel 2010 due gruppi indipendenti, uno italiano e l'altro giapponese, che
lavoravano in segreto e ciascuno senza conoscere il lavoro dell’altro, hanno
usato leghe di Nichel-Rame per costruire reattori in cui veniva immesso idrogeno
gassoso per innescare la reazione. I giapponesi hanno utilizzato polveri
nanometriche di nichel-rame stabilizzate in una matrice di silicio, mentre
quelli italiani (Celani, IFNF) pseudopolveri aderenti a fili sottili (0,2 mm)
di costantana. Ricordiamo che il primo ad aver scoperto che i materiali
metallici per favorire le reazioni debbono avere dimensioni nanometriche fu il
prof. Arata, antesignano delle ricerche sulla fusione fredda in Giappone. I risultati sono stati
comparabili tra i due gruppi, e ciò dimostra che le reazioni esistono, sono
produttive di un effetto termico non spiegabile dalla fisica fin qui
conosciuta, sono replicabili.
Oggi il materiale è stato ulteriormente
sviluppato e migliorato dai ricercatori del MFMP ( Martin Fleischmann Memorial
Project) e il funzionamento dei reattori sperimentali in America è migliore
rispetto a quelli che usiamo noi in Italia. Con l’appoggio di numerose
università e istituzioni oggi gli americani sono molto più avanti di noi (il
governo italiano e la grande industria in Italia si è completamente
disinteressata a questa ricerca).
Il rettore da noi usato attualmente (Celani-
Infn) consiste di fili di 200 micron che hanno una “corteccia” di materiali
nanometrici di nichel-rame. Questi sono all’interno di una camera le cui pareti possono essere metalliche o in vetro, in cui viene immesso idrogeno gassoso. Cambiando i parametri: tipo
di gas, pressione, temperatura, si può capire come migliorare la reazione. Il dott. James Truchard , fondatore della
National Instruments, ha fornito gli strumenti di misura nei laboratori
americani in cui vengono studiate le LENR. Il dott. Kidwel che dirige i laboratori di ricerca della
Marina americana è stato all’inizio un forte oppositore alle LENR di cui negava
l’esistenza. Oggi Kidwel da nemico è divenuto amico ed è uno dei principali
ricercatori nel campo in Usa. E’ stato uno degli artefici del passaggio
dall’elettrolisi ai nanomateriali ed ha contribuito a migliorare i reattori. Il
professor Nagel infine è intervenuto, anche per incarico del governo, a coordinare
una miriade di ricercatori e attualmente dirige gran parte della ricerca in
America e coordina numerosi studi internazionali.
In Giappone ricordiamo le ricerche della
Mitsubishi dove gli sperimentatori, attraverso le reazioni LENR hanno realizzato
trasmutazioni di elementi. Tra le principali quella del Cesio in Praseodimio (documentata nel 2002), dello
Stronzio in Molibdeno (2004). Che ci sia trasmutazione e non contaminazione è
dimostrato dallo spettro isotopico corrispondente tra i due elementi prima e
dopo la trasmutazione. Questi studi sono interessanti per poter tramutare il Cesio
radioattivo (prodotto dalle centrali nucleari ad esempio) in elementi a breve
decadimento, e quindi per lo smaltimento delle scorie radioattive.
Successivamente sono state le Università di Osaka e poi di Kobe a portare
avanti la ricerca sui nanomateriali. La Technova conduce attualmente le
ricerche con leghe di nichel-rame in matrice nanoporosa di silicio. Oggi la Toyota guida un settore di ricerca sulle Lenr
in Giappone volto alla creazione di utility tecnologiche che possano
portare a prodotti commerciali, e gli studi sperimentali riguardano sia le
trasmutazioni che la produzione di energia.
La realtà della produzione di energia da
parte dei fenomeni precedentemente chiamati FF è sempre più riconosciuta a
livello internazionale. Si tratta di reazioni difficili (non facili!) da
produrre che richiedono preparazioni complesse degli elementi costituenti i
reattori e particolari stati dinamici. Le reazioni in situazioni di stabilità
sono difficili da riprodurre e la reazione è facilitata da stati di squilibrio
del sistema. La standardizzazione di queste “perturbazioni” dinamiche che
creino temporanei disequilibri utili alla reazione è uno dei campi principali
di ricerca. Inoltre non tutta
l’energia prodotta è inspiegabile. Parte della temperatura del reattore di
Celani, ad esempio, è un prodotto riconducibile all’effetto Longmire in cui
l’idrogeno in forma molecolare (H2) viene scisso dall’aumento della temperatura
nel gas (H + H), e poi si ricombina
sulla superficie del vetro della cella restituendo calore.
Ma nonostante queste spiegazioni, gran parte
dell’effetto rimane non spiegato
ed attualmente, con l’uso di catalizzatori che permettono di abbassare
la temperatura della reazione è possibile vedere meglio la produzione netta di
energia. Oggi, nelle migliori condizioni di lavoro, con un grammo di materiale
reagente si producono 104 megajoule cioè l’equivalente di tre litri di benzina.
Il reattore di Celani usa questi catalizzatori contenuti in una cella di vetro:
un filo di costantana è quello reagente e un altro filo è di riferimento per
confronto sperimentale (stiamo parlando di sistemi sperimentali e non ancora
ingegnerizzati per la produzione). Quando l’idrogeno permea la costantana si ha
la produzione di 10 watt di calore
(100 watt/grammo – si tenga presente che una centrale convenzionale da
una produzione di 30 watt/grammo). I Giapponesi hanno usato per i loro reattori
una nanopolvere composta da 80 % di Nichel e 20% di Rame
dispersa in una matrice di zirconio o silicio. Noi usiamo una percentuale
diversa (più rame) e leghiamo il nanomateriale alla superficie del filo di costantana.
Per la reazione è importante che l’idrogeno passi da H2 ad uno stato
atomico H ed entri così nei
nanomateriali: a questo scopo la costantana si è rivelata materiale migliore
rispetto al palladio.
Nella relazione del dott. Mastromatteo (ST
Microdinamics) si accenna alle fonti energetiche principali del prossimo futuro
e alle recenti ricerche sulla cosiddetta Fusione Fredda. In presenza di un
ambiente terrestre che si surriscalda e del possibile futuro esaurimento dei
combustibili fossili, bisogna agire ora nel campo della ricerca e della
sperimentazione. Siamo pronti a rinunciare al nostro benessere? Avremo bisogno
di sempre più energia e di
considerare la disponibilità dei combustibili e del loro costo. Inoltre una
energia non più legata ai giacimenti di gas,carbone e petrolio, consentirà una
maggiore condivisione su scala planetaria del benessere e dello sviluppo, e di un minor impatto
ambientale che potrà avvantaggiarsi dell’assenza di emissioni
di CO2 o di scorie radioattive.
Per un confronto delle varie fonti del
futuro si può considerare che
oggi l’energia nucleare è
l’unica disponibile, sperimentata, è caratterizzata da alta densità dei
reagenti, da una buona portabilità (si fanno reattori sempre più piccoli),ma
da probabile futura scarsità dei
combustibili, e da una dannosità potenzialmente elevata sia per le scorie sia
per il possibile uso militare. L’energia da fusione calda è invece ancora in
fase sperimentale, è caratterizzata da alta densità, da complessità tecnica del
reattore, scarsa portabilità, ma senza problemi di scorie e i combustibili sono abbondanti in
natura. La FF è l’unica che
soddisfa tutti i criteri ed è caratterizzata da alta densità, abbondanza di materiali, assenza di
radioattività, alta portabilità, una tecnologia relativamente semplice. Oggi
gli Usa e il Giappone sono all’avanguardia nella ricerca sulle LENR e si stanno
sperimentando nuovi materiali e nuove tecniche, tra cui l’uso di laser per
l’innesco della reazione.
lunedì 11 novembre 2013
Complessità e utopia
“L’Utopia è semplice. La Realtà è complessa”.
Lo
sviluppo della tecnologia e il boom demografico stanno aumentando la
complessità della organizzazione materiale e tecnica del sistema uomo, e ciò determina una pressione sempre maggiore sul sistema natura. La
gestione di questa complessità sta divenendo un problema centrale per la
scienza e non solo: anche la politica deve cominciare a pensare in termini di
complessità. Pensiamo un attimo alle megalopoli, un aspetto di fondo
della società sovrappopolata contemporanea, una società –soprattutto in futuro-
sempre più urbana. Le megalopoli sono strutture organizzate adattative con
aspetti di enorme complessità come, ad esempio, le reti di elaborazione
e trasmissione delle informazioni e i media perennemente connessi, i sistemi di
produzione e distribuzione dell’energia necessari ad assicurare il
funzionamento giornaliero delle strutture di supporto per milioni di persone, i
sistemi sanitari con la gestione di macchinari e reti ospedaliere su vari
livelli, i trasporti metropolitani e tra metropoli diverse, ecc.
Quando
vediamo i grandi concentrati di grattacieli che costituiscono i centri
strategici (economici, politici, amministrativi, energetici) dei sistemi
megapolitani, siamo portati a sottovalutare la complessità insita in tali
megastrutture umane, complessità che deve essere continuamente mantenuta ed
implementata. Il Club di Roma studiò questo aspetto della modernità e diede
incarico nel 1970 a Jay Forrester , esperto in Dinamica dei Sistemi e
professore al MIT, di redigere uno studio sulla complessità e relativa fragilità
delle società umane caratterizzate da sovrappopolazione, alti consumi e alte
richieste energetiche. Forrester valutò la “difficile situazione del genere
umano” e la futuribile crisi globale a causa delle richieste di consumo sulla
capacità di carico della terra (delle relative fonti di risorse rinnovabili e
non rinnovabili e dei relativi dispersori per l'eliminazione delle sostanze
inquinanti) da parte della popolazione mondiale in crescita esponenziale. I
suoi studi portarono alla elaborazione di modelli di sviluppo, in particolare
il World3
sulla cui simulazione al computer fu basato il famoso Rapporto sui
limiti dello sviluppo (traduzione errata di "Rapporto sui
limiti della crescita"), commissionato al MIT dal Club di Roma e
pubblicato nel 1972.
Uno
dei problemi centrali nelle strategie di “rientro “ dall’eccesso demografico
dela specie umana è quello di assicurare una continuità di gestione e sviluppo
della complessità tecnologica in presenza di un calo demografico. Un problema
ancora più grave è la sostenibilità in termini di sistema di una riduzione dei
consumi, in particolare di quelli energetici. Una decrescita economica non è
solo un problema politico e culturale, si tratta di analizzare le dinamiche e
le retroazioni che possono portare a squilibri di sistema fino a collassi veri
e propri. La gestione di un calo demografico mondiale o dei consumi
e dei relativi prodotti interni delle principali nazioni sarà gravata da problemi di tenuta dei
sistemi economici e sociali con forti ricadute materiali sull'ambiente. Non si tratta banalmente di chi pagherà le
pensioni. Le società complesse composte da megalopoli, con scambi di grandi quantità di merci e di energia, con alti consumi
energetici e strutture stratificate in vari livelli funzionali, sono anche caratterizzate, come rilevò
Forrester nei suoi modelli, da elevata fragilità e tendenza al collasso in
situazioni critiche. Per assicurare il funzionamento di queste megacomplessità
si richiede la presenza di servizi finora assicurati dalla moderna società
tecnologica: sistemi intelligenti di computazione, sistemi a feed-back
semiautomatici, condivisione sincronica delle informazioni, apparati
industriali ed energetici flessibili ed efficienti in grado di far fronte ai cicli produttivi ed economici. Fino ad oggi abbiamo
assistito a delle fasi di crescita economica intervallate da periodi di crisi.
Questi aspetti erano però interni al sistema economico mondiale. Oggi per la
prima volta assistiamo ad una crisi in cui fattori extra-economici ed in
particolare fattori ambientali
planetari giocano un ruolo preminente.
Nella
nostra civiltà contemporanea molte intelligenze debbono essere al lavoro
contemporaneamente ed ininterrottamente e deve essere in atto una costante
elaborazione nei vari livelli organizzativi. Un rientro demografico o un
generale rimodellamento dei consumi, più o meno rapido, deve prevedere sistemi
di adattamento e gestione che assicurino continuità e mantenimento dei sistemi
con implementazione di funzioni, in
situazioni in cui i grandi numeri e le variabili in campo influenzano
l’evoluzione in maniera imprevedibile. Non disponiamo di sistemi informatici in grado di fare previsioni di sistema valide sui tempi lunghi. L'unica possibilità di mantenere in equilibrio la complessità è quella di un continuo progresso tecnologico. Paradossalmente la stessa
strategia di decrescita dei consumi e di riduzione e riqualificazione
energetica (comunque ottenuta) richiede reti di complessità e di elaborazione
tecnologica non minori, ma superiori rispetto alla situazione attuale, se non
si vuol precipitare l’umanità in uno stadio pre-industriale o addirittura di
medioevo tecnologico. Tutti coloro che propongono uno stop alla crescita della
tecnologia nel quadro di una decrescita delle società umane espongono
l’umanità ad alto rischio di collasso strutturale e disastro materiale,
politico, economico e culturale. Una società delle megalopoli
non può essere supportata da una economia fondata, ad esempio,
sull’agricoltura. Un sistema industriale sviluppato e una disponibilità energetica a prezzi sostenibili per i
principali attori internazionali sono condizioni irrinunciabili per una società delle megalopoli in cui è strategica la formazione e lo sviluppo tecnologico. Le questioni riguardanti le fonti energetiche del pianeta
per i prossimi 50 anni e le relative tecnologie sono il campo in cui si gioca la partita tra le utopie e
le strategie vincenti e costituiscono la base di fattibilità di ogni tentativo di rientro nei limiti della biosfera.
mercoledì 6 novembre 2013
Sovrappopolazione e collasso della civiltà
Sul sito dell' MAHB (Alleanza del Millennio per l'Umanità e la Biosfera) è apparso un importante articolo del padre del concetto di sovrappopolazione Paul R. Ehrlich. I temi trattati riguardano l'Antropocene cioè la drammatica epoca planetaria che stiamo vivendo in cui una sola specie, quella di Homo sapiens, sta mettendo a rischio la sopravvivenza della biosfera. Illuminanti sono le descrizioni di Ehrlich sul confronto - decisamente distruttivo allo stato attuale - tra due megasistemi adattativi: quello della biosfera e quello socio-economico umano. Dallo stato di convivenza simbiotica si è passati ad un aperto conflitto. Ehrlich pone poi l'accento su un problema sottovalutato ma che invece ha un posto rilevante sulla futura evoluzione-involuzione della presenza umana sulla terra: quello dell'alimentazione, a cui sono collegati le crisi riguardanti il global warming, l'esaurimento dei suoli, l'inquinamento della terra, l'esaurimento e l'intossicazione delle acque, il problema dell'energia.
Ehrlich pone il tema centrale del ritardo della politica, dei media e della cultura sui temi dell'esplosione demografica e fa esempi incredibili, ma a cui siamo abituati noi che viviamo in un paese di tradizione cattolica. L'ignoranza ed i ritardi riguardano tutti, senza distinzioni politiche. L'associazione MAHB ha lo scopo di contribuire a diffondere la coscienza del problema. Ci sono segni positivi in tante parti del mondo, dobbiamo cercare di unificarli e di creare un vasto movimento di opinione prima, più operativo in seguito, per cambiare la coscienza del problema da parte della nostra specie prima che sia troppo tardi.
Riporto l'articolo di Paul R. Ehrlich, per la cui segnalazione ringrazio il gruppo Fb "Assisi Nature Council" (traduzione personale).
" Un
importante obiettivo dell’Alleanza del Millennio per l’Umanità e la Biosfera (MAHB) e per la Sostenibilità è ridurre la probabilità di avveramento delle previsioni che
la tempesta di problemi ambientali che minacciano l’umanità porti ad un
collasso della civiltà. Tali minacce comprendono lo sconvolgimento climatico,
la perdita di biodiversità ( e quindi dei connessi ecosistemi), cambiamento di
uso del suolo come la cementificazione o l’immissione di rifiuti tossici con il
degrado conseguente, l’intossicazione chimica globale, l’acidificazione degli
oceani, il degrado e la alterazione dei contesti epidemiologici con la
diffusione di nuove malattie, il crescente impoverimento di risorse importanti,
e le guerre per l’accaparramento di queste risorse sempre più scarse (guerre
che potrebbero essere facilmente caratterizzate dall’uso di armi nucleari).
Questo non è solo un elenco di problemi, si tratta di un quadro di numerose
criticità collegate tra loro che può essere descritto come risultante da una interazione tra due
complessi sistemi adattativi: il sistema della biosfera e il sistema
socio-economico umano. Le manifestazioni di questa interazione sono spesso
indicate come la “condizione umana”. Questa condizione è sempre in continuo e
rapido peggioramento determinato in particolare da fenomeni come la
sovrappopolazione, gli eccessivi consumi da parte dei popoli più sviluppati,
l’uso di tecnologie arretrate e dannose all’ambiente. Un ulteriore fattore è il
supporto del sistema sociale, economico e politico a consumi inquinanti.
Tutti i problemi sono tuttavia riconducibili in gran
parte alla sovrappopolazione e agli eccessivi consumi, specie di quelli non finalizzati al
miglioramento della tecnologia. Si può sperare che sia sempre più chiaro almeno
alle persone più istruite che maggiore è la dimensione della popolazione umana
e, ceteribus paribus, più è distruttivo l’impatto ambientale. Ma purtroppo non
sempre è così e molti ancora negano la rilevanza del problema. L’influenza della sovrappopolazione sull’ambiente è
indicato abbastanza esattamente dall’analisi dell’impronta ecologica, che
dimostra come per sostenere la popolazione di oggi con gli attuali modelli di
consumo si richiederebbe circa un altro mezzo pianeta vergine disponibile, e che
se si considerano i livelli consumistici degli Stati Uniti sarebbero necessarie
ulteriori 4 o 5 nuove Terre.
La gravità della situazione può essere meglio compresa se
consideriamo l’attività più importante di Homo Sapiens: produrre e procurare
cibi. Oggi, almeno due miliardi di persone soffrono la fame e hanno disperato
bisogno di più cibo e di migliore qualità, e la maggior parte degli analisti
ritengono che sarebbe necessario raddoppiare la produzione di cibo per sfamare
una popolazione umana del 35 % più grande e in ulteriore crescita prevista
entro il 2050. Per avere una qualche probabilità di successo, l’umanità avrà
bisogno di fermare l’espansione delle superfici dedicate all’agricoltura (per
salvaguardare i residui ecosistemi); aumentare le rese della terra coltivata,
aumentare l’efficienza dei fertilizzanti, l’uso di acqua e di molta più
energia. Sarà anche necessario modificare la produzione agricola in senso
vegetariano, ridurre lo spreco alimentare, fermare la distruzione degli oceani per
inquinamento e acidificazione, aumentare considerevolmente gli
investimenti nella ricerca agricola sostenibile, ed infine spostare al primo
posto dell’agenda politica il problema dell’alimentazione. Tutti questi compiti
richiedono modifiche sostanziali ai comportamenti umani che sono state già
raccomandate ma per ora si sono rivelate irraggiungibili. Forse uno dei
problemi più critici sono le insormontabili barriere biofisiche all’aumento
della resa dei suoli, ed anzi il tema è quello di evitare una riduzione della
resa a fronte di perturbazioni climatiche.
La maggior parte delle persone non riescono a capire
l’urgenza della situazione alimentare, perché non capiscono il sistema
dell’agricoltura e dei suoi complessi componenti, le connessioni non lineari ai
fattori di degrado ambientale. Il sistema stesso, per esempio, è uno dei maggiori
emettitori di gas serra, e quindi è un importante motore dello sconvolgimento
climatico che minaccia seriamente la produzione alimentare. Viene portato
avanti un cambiamento epocale nei modelli più che millenari di temperatura e di
precipitazioni , con la prospettiva di tempeste climatiche che mettono in
pericolo coltivazioni, situazioni di siccità in zone finora temperate, ondate
di calore e alluvioni, tutti elementi che sono già sotto i nostri occhi. In
queste condizioni, ed anzi in condizioni in continuo aggravamento, la
produzione alimentare sarà sempre più difficile nei decenni a venire.
Inoltre, l’agricoltura è una delle principali cause di
perdita di biodiversità e degli ecosistemi che sono fondamentali per la
sopravvivenza dell’agricoltura stessa e di altre attività umane; e fonte anche
di inquinamento chimico e gassoso globale, i quali entrambi pongono ad
ulteriore rischio la produzione alimentare. La sola perturbazione climatica è
una tale minaccia alla produzione alimentare e alla stessa civiltà umana, che è
necessaria urgentemente una mobilitazione di tutta l’umanità per contenere il
riscaldamento atmosferico ben al di sotto di un aumento – che sarebbe letale-
di 5 gradi centigradi della temperatura media globale. Ciò significa ad esempio
che dobbiamo cambiare gran parte delle nostre infrastrutture per il
reperimento, il trasporto e la distribuzione dell’acqua per fornire la
flessibilità necessaria per il rifornimento idrico alle colture in un contesto
di continua evoluzione delle precipitazioni.
Il cibo è solo l’area di interesse più ovvia in cui la
sovrappopolazione tende ad oscurare il futuro umano – praticamente ogni problema
umano, dall’inquinamento atmosferico, al brutale sovraffollamento delle
megalopoli, alla carenza delle risorse, alla perdita di contesti naturalistici,
alla democrazia in declino: tutti questi problemi sono aggravati dalla
ulteriore crescita della popolazione. E, naturalmente, uno dei problemi più
gravi è il fallimento della leadership politica sulla questione della demografia,
sia negli Stati Uniti che in Australia (ma in tanti altri paesi, ad esempio
l’India). La situazione è peggiore negli Stati Uniti, dove il governo non
menziona mai il problema della popolazione, a causa del timore delle reazioni
della gerarchia cattolica in particolare (ed anche di altre organizzazioni
religiose) e la destra religiosa in generale, oltre che della quasi totalità
dei media, da quelli repubblicani a quelli liberal e di sinistra, i quali
mantengono l’ignoranza pubblicando articoli in favore della natalità. In
Australia addirittura si è arrivati a pubblicizzare in TV in prima serata
programmi per avere altri bambini e famiglie numerose.
Un primo esempio è stato un ridicolo articolo di David
Brooks pubblicato sul New York Times nel 2010, in cui si invitano gli americani
a rallegrarsi perché “…nei prossimi 40 anni la popolazione degli Stati Uniti
aumenterà di ulteriori 100 milioni di persone”, a più di 400 milioni di
abitanti complessivamente.
Una simile totale ignoranza della situazione della popolazione
in rapporto alle risorse e all’ambiente è stato dimostrato da un altro articolo
apparso sul NYT nel 2012 a firma di Ross Douthat, in cui si invocavano “più
bambini, per favore”, ed uno di Rick Newman sul giornale US News in cui si
affermava che “un calo della natalità sarebbe un grosso problema”. Entrambi
sono segni ulteriori del totale fallimento del sistema educativo degli Stati
Uniti che non riesce ad rendere coscienti i cittadini e anche gli intellettuali –o presunti tali-
del problema demografico locale e generale.
E’ pertanto necessario un movimento popolare che conduca
campagne informative per correggere tale fallimento e intervenga direttamente
sui sistemi culturali fornendo una “intelligenza lungimirante” della situazione
e che chiarisca gli aspetti riguardanti i cambiamenti necessari in campo
agricolo, ambientale, energetico, e soprattutto di pianificazione demografica; tutti aspetti sui quali le
leggi del mercato non intervengono o sono dannose, e non forniscono sufficienti
informazioni. Gli analisti della società inoltre dovrebbero smetterla di
trattare la crescita della popolazione come un “dato” e prendere in
considerazione i benefici nutrizionali e sulla salute, sugli aspetti
complessivi della qualità della vita e del rapporto con la natura, e i benefici
a tutte le altre specie viventi oggi in pericolo, che deriverebbero dallo stop alla crescita
della popolazione umana ad un livello ben al di sotto dei nove miliardi e dall' iniziare un percorso di lento calo demografico. A mio parere, il modo migliore
per accelerare il passaggio verso tale calo della popolazione è di dare pieni
diritti, istruzione, e le opportunità di lavoro per le donne in tutto il mondo,
e di fornire a tutte le persone sessualmente attive informazioni sulla corretta
contraccezione, sull’aborto e sugli altri diritti fondamentali di pianificazione
familiare. Il grado di riduzione dei tassi di fertilità determinati da queste
misure è tuttora controverso, ma sarebbero comunque un programma vincente per
la società e il suo miglioramento. Non sarà mai abbastanza sottolineata l’importanza critica di aumentare l’azione attualmente insufficiente sul
fattore demografico da parte delle organizzazioni internazionali e dei singoli
stati, oltre che delle opinioni pubbliche, affinché nei prossimi decenni si
inverta sensibilmente il trend di
crescita per riportare la dimensione della popolazione umana ad un livello “umano” nel senso più proprio
del termine, essendo noi una parte della natura di questo pianeta e non i suoi
padroni assoluti. Mentre i modelli di consumo, come abbiamo appreso durante le
mobilitazioni della sconda guerra mondiale, possono essere modificati in
maniera sostanziale in meno di un anno, in presenza di certe situazioni e dati
adeguati incentivi, è molto più difficile alterare i comportamenti demografici.
Il movimento cui stiamo lavorando dovrebbe anche mettere in evidenza le
conseguenze di queste idee folli quali quella di far crescere l’economia al 3-5
% all’anno nel corso di decenni (o addirittura per sempre), come la maggior
parte degli economisti e dei politici pretendono e credono possibile. La
maggior parte delle persone “colte” non si rendono conto che nel mondo reale
una breve storia di una crescita esponenziale non implica un lungo futuro di
tale crescita.
Produrre una mobilitazione nella società civile per
sviluppare l’intelligenza e la lungimiranza sui temi della sostenibilità e
della crescita demografica eccessiva della specie umana sono obiettivi centrali
della Alleanza del Millennio per l’Umanità e la Biosfera (“rischi di incidenti
rilevanti” – mahb.stanford.edu) , obiettivi oggi condivisi da una importante
missione della University of Technology di Sidney.
I blog di MAHB – UTS sono una joint venture tra la University of Technology di
Sidney e l’Alleanza. Le domande devono essere indirizzate a
joan@mahbonline.org."
(Autore: Paul R. Ehrlich)
martedì 5 novembre 2013
Nucleare: la lettera degli scienziati
Quattro scienziati di fama mondiale hanno
sottoscritto e inviato una lettera alla Associated Press e a vari gruppi
internazionali di ambientalisti.
James Hansen della Nasa, Ken Caldera della
Carneige Institution, Kerry Emanuel del Mit, e Tom Wigley della Università di
Adelaide chiedono di portare
avanti la ricerca sul nucleare sicuro e di puntare su questa tecnologia se
vogliamo salvare la Terra: Non c’è
più tempo, dicono, per fermare il riscaldamento globale. Le emissioni di CO2
non solo non stanno diminuendo ma stanno aumentando vertiginosamente in tutto il mondo. Con il
prossimo affacciarsi allo sviluppo di regioni del globo finora relegate ad
economie arretrate come l’Africa e l’accelerazione di paesi come India e Cina,
la situazione diverrà presto insostenibile. Mentre gli ambientalisti ortodossi
si trastullano sperando nel sole e nel vento, gli studi sulle emissioni nocive
parlano chiaro: il mondo si sta suicidando. Le rinnovabili non partono e anche
se danno buoni risultati su scala locale, per piccoli impianti decentrati, non
sono competitive e falliscono sulle necessità energetiche in grado di influire
sul quadro macroeconomico. Le imprese produttrici di fotovoltaico ed eolico falliscono e chiudono a ripetizione. I quattro scienziati non si dichiarano contrari alle
rinnovabili e sono favorevoli a continuare la ricerca. Ma puntare su di esse per
arrestare il global warming è pura illusione.
“Fonti di energia come eolico e solare”- dicono nella
lettera- “non riusciranno a crescere abbastanza in fretta: con questi
livelli di riscaldamento del pianeta e con l’aumento vertiginoso delle
emissioni nocive, non possiamo permetterci di mettere da parte questa
tecnologia ad emissioni zero. Non è realistico pensare a un futuro senza
nucleare: chi dice di credere a questa favola, sta barando. Serve investire in
impianti e tecnologie più sicure e produttive”.
Purtroppo il quadro generale è preoccupante
anche perché continua la crescita demografica globale. Se già ora le emissioni
sono insostenibili con sette
miliardi di persone, cosa avverrà quando, secondo le proiezioni IPCC dell’Onu,
ci avvieremo ad essere 10-11 miliardi già nel 2050? Nessuna riduzione di
consumi, anche imposta con la forza, potrà arrestare la crescita della
richiesta di energia. I fallimenti dei protocolli internazionali tentati finora
per ridurre le emissioni sono un campanello di allarme.
Intanto il premier inglese Cameron ha proprio in questi giorni
autorizzato la costruzione di una nuova centrale nucleare a Hinkely Point nel
sud dell’ Inghilterra, di ultima generazione, ultrasicura, a prova di terremoti
e di inondazioni. Sono previsti due reattori con la produzione di energia
sufficiente a coprire il 10 % delle necessità energetiche inglesi con zero
emissioni nocive. La centrale costerà 18 milardi di euro e sarà pronta nel
2023. E’ un pazzo?
No: è uno che vuol abbattere le emissioni atmosferiche di
anidride carbonica del 34 % entro il 2020 secondo i protocolli firmati dal
governo inglese. Forse lui al riscaldamento globale ci crede veramente.
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