Translate

sabato 9 febbraio 2013

BUROCRAZIA E POPOLAZIONE




L’insostenibile pesantezza della burocrazia
Quando, appena diciottenne, partii per un lungo viaggio verso l’allora Europa dell’Est, oltre la cosiddetta “cortina di ferro”, tra i tanti aspetti che mi colpirono ce ne fu uno che mi è rimasto impresso indelebilmente. Questo aspetto è difficile da definire, non c’è un termine adeguato a descriverlo. Si tratta infatti del modo di essere delle persone, del loro modo di comportarsi, di muoversi, di interloquire tra loro e con lo straniero, fino all’aspetto fisico vero e proprio. Non si trattava tanto dei sorrisi delle persone, dopo una certa età tutti caratterizzati da uno o più denti d’acciaio (l’oro era proibito), dallo sguardo spento, rassegnato, dalla gestualità ripetitiva e limitata, dagli abiti tutti tendenti al grigio, privi di colori vivaci, di scarsa qualità e sdruciti. Il senso complessivo di una vita ripetitiva, sempre uguale, priva di futuro. O meglio, non era solo questo. Era l’impressione d’insieme sul carattere stesso di queste persone, un carattere afflitto, depresso, senza immaginazione. Per sintetizzare  si potrebbe dire che erano persone che davano l’impressione di meschinità e grettezza. Allora attribuii la cosa alla situazione economica, alla povertà, alla mancanza di competizione per arricchirsi che è spesso presente in occidente. Ma posso oggi affermare con sicurezza che questo aspetto delle società dell’est comunista erano soprattutto effetto del dominio assoluto della burocrazia e dell’ideologia burocratica che dominava ogni aspetto della cultura. Questi pensieri ha ridestato in me l’articolo di Pietro Ostellino apparso lunedì 4 febbraio sul Corriere della Sera di cui riporto un brano:
Quando, a Mosca, portavo la mia automobile a far riparare, una volta che la mia segretaria aveva espletato le pratiche dovevo, per raggiungere l'officina, oltrepassare una sbarra manovrata da un'anziana donnina. Che si rifiutava sistematicamente di alzarla se la mia segretaria (russa) non scendeva e raggiungeva la destinazione a piedi, mentre io ci arrivavo in auto. La ragione del comportamento di questo «Stalin minore e in versione burocratica» era duplice. Innanzitutto, strutturale: ogni burocrate tende a esercitare il potere di cui dispone, grande, piccolo, infinitesimo che sia, in modo arbitrario e dispotico perché l'autoreferenzialità è la sola «sostanziale» fonte di legittimazione che conosca e sia disposto ad accettare; derivandogli quella «formale» dalla politica che gliel'ha conferito. In secondo luogo, moralistica: il burocrate crede di avere una «missione etica» da compiere. Per autolegittimarsi non si limita ad applicare la legge; pretende di dilatarla in vista del «miglioramento morale» dei suoi simili.
Si farebbe, però, torto al burocrate se lo si definisse un fanatico, simile agli interpreti di certe dottrine rivoluzionarie del passato. La sua natura non è ideologica ma teologica, cioè ancor più illiberale. Ma non è un rivoluzionario: è un conservatore, se non un reazionario. Crede a quello che fa ed è, a suo modo, un «chierico» della politica, frustrato dalla sensazione di esserne «usato». La politica dovrebbe limitarne e regolarne i poteri. Ma non ne ha l'interesse perché è, se mai, sua convenienza lasciargli il compito di fare «i lavori sporchi», di sollevarla dalla responsabilità di rispondere di ciò che fa e dal fastidio di «sporcarsi le mani».
Più è esteso il potere burocratico, minori sono le possibilità del cittadino di risalire alla responsabilità ultima, cioè politica, di ciò che gli accade. Il rapporto fra cittadino e burocrazia, in uno Stato caratterizzato da tale forma di arbitrio e di dispotismo amministrativo, è un processo kafkiano senza fine. Così funzionano i regimi autoritari e totalitari dei quali il burocrate è la lunga mano, non di rado senza manco rendersene conto, convinto com'è di assolvere una funzione moralizzatrice. Gli si farebbe, perciò, ancora torto se si ignorasse che, a fondamento di tale convinzione, c'è una filosofia morale. Il guaio è che essa coincide perfettamente con l'ideologia totalitaria. Se all'origine dell'ostracismo della donnina della sbarra verso la mia segretaria c'era il pregiudizio, tipicamente sovietico, che, per il solo fatto di essere al mio fianco in auto, essa appartenesse a quella specie (limitata) di donne russe che si prostituivano allo straniero per un paio di calze di nylon, è presto detto quale fosse la sua filosofia morale. Lo Stato aveva il diritto di verificare dove «tutte» le segretarie - metafora del cittadino comune - passassero serate e pomeriggi e la società, costituita nella totalità da «cittadini onesti», era così «collettivamente unita» da non consentire a nessuno di avere uno stile di vita sottratto al giudizio comune. Se, poi, non era lo Stato a provvedere, ci pensava lei, la piccola «burocrate della sbarra». Tale filosofia morale era l'essenza del totalitarismo sovietico ed è oggi, piaccia o no, il terreno sul quale si sviluppa, da noi, pubblicamente, il vessatorio Stato di polizia fiscale e si concreta l'arbitrio, personale, del burocrate. Il caso sovietico merita, perciò, una riflessione sulla prassi fiscale di certe democrazie liberali dell'Occidente tanto apprezzata dai cultori della nostra fiscalità…
(Piero Ostellino, dal Corriere della Sera del 4 febbraio 2013).
Fu, il mio viaggio nell’est Europa,  molto importante per la mia formazione  e contribuì a creare in me quella fiammella della cultura liberale e dell’amore per la libertà che sarebbe poi cresciuta con gli anni. Una cultura che in Italia non ha mai attecchito in profondità, essendo il popolo italiano spesso vittima volontaria di facili ideologie dietro cui si nasconde in genere il potere della burocrazia. Non faccio distinzioni di destra o di sinistra, alla lunga infatti il potere burocratico perde il colore rosso o nero per divenire uniformemente grigio. Al potere burocratico si addicono le uniformi, sia militari che politiche. Ma lo tradiscono i volti, quelli non si possono nascondere nell'uniformità. I volti delle persone nei paesi totalitari esprimono squallore e tristezza.   Il volto di un uomo libero è riconoscibilissimo per chi sa guardare oltre le parole e le frasi fatte.  Anche la mia battaglia contro la sovrappopolazione ha a che vedere con questa aspirazione alla libertà.  Credo infatti che un mondo sovrappopolato sia inevitabilmente un mondo in cui la burocrazia esercita un potere eccessivo e antidemocratico. In un pianeta limitato con risorse limitate, un numero spropositatamente alto di abitanti non può che portare al potere dei “regolatori”, di coloro che si arrogano il diritto di decidere il come, il dove e il quanto nella vita dei cittadini.  Che si arrogano il diritto di decidere chi può e chi non può usufruire di queste o quelle risorse. Un potere che per affermarsi si richiama a parole-totem  come giustizia ed uguaglianza, oppure nazione e moralità, ma che è invece basato sul dominio diseguale di chi controlla lo Stato e instaura un controllo assoluto sulla vita dei cittadini. Un potere che per automantenersi non può che rendere i miliardi di individui, potenzialmente liberi, una massa grigia e informe di conformismo e meschinità.


mercoledì 6 febbraio 2013

LE CORBUSIER A ROMA



 Nella mostra organizzata al Maxxi di Roma su  Le Corbusier, c’è un settore che si occupa del rapporto tra il grande architetto e Roma. In uno dei pannelli illustrativi è riportato come Le Corbusier vedeva, in uno studio commissionatogli alla fine degli anni ’30 dall’amministrazione fascista, il futuro sviluppo della città con le sue periferie. L’architetto era ben cosciente di quel fenomeno  che già allora era in atto e che negli anni successivi alla guerra sarebbe esploso in maniera incontrollata: l’urbanizzazione massiccia. Grande anticipatore e visionario, personalità in grado di creare un’idea di futuro, Le Corbusier proponeva uno sviluppo  della periferia romana in grado di armonizzare l’enorme espansione demografica prevista,  con il verde della campagna romana, attraverso la costruzione di grattacieli ben distanziati tra loro da ampi spazi verdi, non trascurando ovviamente ampie vie di comunicazione in parte di superficie e in parte interrate e servizi collegati. L’edificazione di strutture abitative di qualità estetica e tecnica  in altezza, come già avvenuto in altre importanti città,  avrebbero consentito di risparmiare suolo verde pregiatissimo per il paesaggio e la storia dei luoghi.  Purtroppo dopo la guerra si abbandonò ogni progettualità delle periferie e si lasciò alla spontaneità e alla illegalità dell’abusivismo carta libera. Si badò solo a favorire alcuni grandi costruttori, i famigerati “squali”, e a mantenere un sistema di mazzette e di corruzione attraverso cui si crearono illeciti arricchimenti, carriere politiche, ladrocinio di denari pubblici e un disastro ambientale e architettonico che ha pochi precedenti nella storia mondiale. Era in quegli anni che Rosi raccontò nel suo bel film “Le mani sulla città” la rapina di paesaggio e lo scempio di territorio fatto dalla malavita e dalla corruzione politica a Napoli, ma la storia era pressoché la stessa anche a Roma. La magnifica campagna romana, fatta di verde, paesaggi ameni, pascoli,  boschi di enorme bellezza che risalivano su fino alle colline dei castelli romani e al preappennino, dove la mano dell’uomo si era armonizzata fino ad allora con la natura e il paesaggio creando orti, coltivazioni e vigneti; la campagna  cantata nei secoli passati da illustri e colti personaggi che venivano da tutt’europa come Byron, Shelley, Goethe, sparì in pochi decenni, sostituita da un’orrenda accozzaglia di case e casupole squallide, mal costruite, mal coibentate, piene di amianto, edificate senza alcun piano regolatore nella completa illegalità. Interi quartieri sorsero dal nulla privi di viabilità, con strade strette e caotiche, senza fognature e servizi. La proposta di Le Corbusier finì nel nulla e non fu mai più ripresa. La timida proposta di creare un Centro Direzionale fatta al tempo del governo Craxi, finì come tutte le altre per l’opposizione di alcune parti politiche ( c’era chi vedeva nel caos delle periferie abusive la bellezza della spontaneità proletaria!), e per la cronica carenza di fondi, deviati verso corruttele più remunerative.Un vero piano regolatore non fu mai approvato, a parte una finzione di piano che permetteva qualunque abuso mediante il meccanismo delle varianti in deroga.  La corruzione a tutti i livelli e la tolleranza colpevole delle autorità permise e avallò comunque l’edificazione massiccia. Edificazione  che trovava un centro di aggregazione intorno ai cosidetti Nuovi Centri Commerciali, dietro la cui spinta si realizzava (e si realizza)  l’illegalità e il riciclaggio. In modo caotico  si dava avvio alla cementificazione di migliaia di ettari di suolo, in cui il paesaggio era il vero bottino intorno a cui si adunavano famelici decine e decine di lupi sbranatori di suolo verde. Una delle vittime più illustri di questo scempio è la ex-meravigliosa Villa Adriana, nei pressi della via tiburtina,  una volta di metafisica bellezza, immersa in un paesaggio verde lussureggiante con le sue immense rovine, le antiche statue e le vasche d’acqua. Oggi tutto il territorio circostante la Villa è divenuto un’immensa distesa di squallide case, strade, capannoni e centri commerciali. Discariche a cielo aperto circondano la Villa patrimonio dell'Unesco. Discariche ove tutti riversano rifiuti: copertoni, vecchi elettrodomestici, materiali tossici, calcinacci, frammenti di eternit, cartacce e liquami, rendendo il luogo spettrale e incredibile per ogni visitatore dotato di un minimo di senso civile. Molti stranieri visitatori sono stupiti: come è stato possibile tutto questo? Tra Tivoli e Roma non c’è più soluzione di continuità e il degrado cementizio è uniforme.  Proprio in tutta vicinanza alla Villa è in atto l’ultima mostruosa cementificazione con l’edificazione, approvata da comune e regione, della lottizzazione Nathan di 500 mila metri cubi di palazzi, oltre al tentativo per adesso rinviato di posizionare accanto alla Villa, patrimonio dell’Unesco, la grande discarica di Corcolle per i rifiuti di Roma. La follia non ha limiti e la vicenda assume aspetti comici con l’ultima giunta della Regione. Si è infatti messo a capo della commissione regionale per l’Ambiente nientemeno che un costruttore e mercante di palazzi, un certo Carlino (quello della frase: “non sogni ma solide realtà”), sponsorizzato dal capo dell’Udc nonché genero di Caltagirone, uno dei maggiori costruttori attivi a Roma. Povero Le Corbusier, se vedesse com’è ridotta oggi la periferia romana…




(Sopra: la periferia romana nella realtà)

domenica 3 febbraio 2013

FUSIONE FREDDA: PROSSIMA LA VERITA' SULL'E-CAT DI ROSSI




 Siamo tutti con il fiato sospeso. Siamo in attesa della prossima pubblicazione dei test indipendenti svolti sui vari tipi di E-cat di Rossi. L’ultimo, quello sull’ Hot-Cat che lavora a più di 600 gradi Celsius, sarebbe stato terminato nella mattinata  del 21 dicembre 2012  in Usa. A più di un mese dalla conclusione dei test ancora non è uscito niente, neanche indiscrezioni. E’ ovvio che si diffondano voci di risultati negativi, mentre Rossi  afferma che pubblicherà i risultati in ogni caso. 
Rossi ha spiegato le ragioni di questo ritardo: “I professionisti terzi sono totalmente indipendenti da noi, non sono pagati da noi e quindi non possiamo mettere loro fretta o ordinare loro alcunché. In buona sostanza “sono liberi di pubblicare dove vogliono, quando vogliono, qualsiasi risultato”. In conclusione, “ciò che dipende da me, dipende da me, ciò che è indipendente, è indipendente”. 

Nel frattempo dalla Prometeon, che commercializza i reattori, si apprende che la produzione degli e-cat va avanti (la fabbricazione avviene negli Stati Uniti) e al momento sarebbero in produzione, secondo quanto ha affermato lo scienziato bolognese,  3 E-Cats da 1 MW: uno a bassa temperatura , un E - Cat Hot ed un E-Cat alimentato a gas. Per quanto riguarda l’e-cat domestico ad uso familiare si debbono attendere tempi più lunghi in quanto vi sono problemi con le certificazioni di sicurezza.
L’E-Cat industriale, invece,  è dotato della certificazione CE che garantisce la conformità del prodotto alle disposizioni comunitarie che lo riguardano: dalla progettazione alla fabbricazione, all’immissione sul mercato, alla messa in servizio del prodotto fino allo smaltimento.  
Rossi tuttavia non può prendersela con troppa calma in quanto i concorrenti stanno lavorando velocemente. La Defkalion Europe è pronta per la commercializzazione del suo reattore R5, su cui specificano che   “attualmente siamo in grado di ottenere temperature di oltre 600°C nel circuito secondario utilizzando fluidi termici opportuni. Il reattore può essere acceso e spento in breve tempo e la reazione è completamente sotto controllo. La carica del reattore dura sei mesi di funzionamento continuo e il prodotto finale della reazione è principalmente rame e qualche altro metallo non nocivo alla salute e all’ambiente”. 
La Brillouin Corp. ha brevettato in settembre il suo reattore in Cina e si dice pronta per entrare in produzione.  Piantelli ha ottenuto a gennaio 2013 il brevetto europeo del suo reattore LENR, riuscendo così ad essere il primo brevetto ufficiale di un reattore italiano.  A luglio dello scorso anno il Professor Miley (Università dell'Illinois) ha ottenuto il primo brevetto americano. La Toyota in Giappone, anche per le difficoltà dell’approvvigionamento energetico del paese dopo Fukushima, sta spingendo con le ricerche e i test presso l’università di Osaka, e secondo alcuni siti web, anche negli Stati Uniti , con lo scopo di accedere in tempi brevi a nuove fonti di energia meno costosa degli idrocarburi, senza emissioni nocive per l'ambiente. Presto si potrebbero avere grosse novità sul reattore che Toyota e Mitsubishi stanno preparando insieme ai ricercatori giapponesi e americani.  Il 2013 potrebbe essere l’anno cruciale per una risposta definitiva sulla esistenza e sulla efficienza delle LENR-Fusione Fredda come nuova fonte di energia affidabile, pulita e senza emissioni di gas serra.

mercoledì 30 gennaio 2013

MEDICINA EVOLUZIONISTICA: SOVRAPPOPOLAZIONE E MALATTIE




Darwin con la sua teoria della evoluzione mediante la selezione naturale ha dato inizio ad una rivoluzione nel campo della biologia, della scienza e della filosofia. Tuttavia  la teoria della selezione naturale non ha ancora portato a quel cambiamento di fondo del comportamento umano che essa comporta. La scimmia intelligente denominata Homo mal sopporta che la sua presenza su questo pianeta sia il portato di una serie casuale di circostanze. Il primate palmipede si comporta ancora come se tutto il cosmo fosse stato messo in piedi per permettergli di vivere a proprio comodo e nel suo esclusivo interesse egoistico.
Purtroppo, o per fortuna, nonostante la grande considerazione che abbiamo di noi stessi,  siamo figli del caso e di una casuale combinazione di circostanze e i geni che si sono selezionati durante gli ultimi tre milioni di anni nell’ambito della biosfera sono in precario equilibrio con l’ambiente e con le altre specie viventi  residue. Il predatore umano ha infatti il primato delle estinzioni delle altre specie viventi, e sta talmente avvelenando l’ambiente circostante che rischia di portare nel baratro se stesso oltre a tutto il resto.

La teoria di Darwin, sebbene accettata in ambito scientifico, trova resistenze nelle varie diramazioni della scienza e nel pensiero filosofico, in quanto cozza con la visione antropocentrica prevalente. Negli anni 90 del secolo scorso si è finalmente iniziato ad applicare le teorie della selezione naturale anche alla medicina.  Nel 1994 è uscito un libro che introduce il nuovo concetto di Medicina Evoluzionistica: “Perché ci ammaliamo? La nuova Medicina Darwiniana” di Randolph M. Nesse e Gorge C. Williams.  Si tratta della nuova teoria che spiega le malattie in base alle condizioni in cui si sono formati i genomi dei vari organismi viventi mediante la selezione naturale. Riporto un breve sunto di alcuni capitoli del libro.

“ Cambiamenti comportamentali ed ambientali, specie se rapidi e innaturali, possono determinare l’insorgere di malattie in quanto gli organismi non hanno sviluppato sufficientemente meccanismi adattativi.
Il caso agisce sul genoma producendo cambiamenti neutrali, ovvero né utili né dannosi; è poi il gioco competitivo e l’influenza ambientale che stabilisce i geni adatti che si riproducono. Ma vi sono dei vincoli che impediscono di raggiungere l’adattamento ottimale, perché spesso accade che la vicenda evolutiva ha imboccato un’altra strada da cui è impossibile tornare indietro. I cambiamenti nel genoma agiscono sui tempi lunghi mentre in genere  l’ambiente si modifica più rapidamente, portando ad incongruenze tra patrimonio genetico, espressione fenotipica e ambiente esterno(...)
Il nostro corpo si è formato durante milioni di anni trascorsi nelle savane in piccoli gruppi dediti alla caccia e alla raccolta. La selezione naturale non ha avuto il tempo per adattarlo ai rapidi cambiamenti intervenuti negli ultimi 40.000 anni con l’invenzione dell’agricoltura, dell’allevamento e della vita cittadina. La tecnologia esplosa negli ultimi secoli ha poi rapidamente e ulteriormente modificato l’ambiente e  il nostro corpo non è stato in grado di adattarsi altrettanto rapidamente e di affrontare, ad esempio,  alimentazioni ricche di grassi, di glicidi, le automobili, droghe, luci artificiali e riscaldamento centralizzato. La maggior parte delle malattie moderne  derivano da questa imperfetta combinazione  tra l’ambiente sviluppatosi  recentemente e la nostra struttura conformatasi in milioni di anni(…) L’attuale diffusione di malattie cardiache e di tumori della mammella ne è un tragico esempio. Ci sono geni che rimangono nel genoma nonostante siano causa di malattie. Alcuni dei loro effetti sono “capricci” che risultavano innocui quando vivevamo in un ambiente più naturale. Per esempio, la maggior parte dei geni che predispongono a malattie cardiache è rimasta inoffensiva per migliaia di anni finché non abbiamo cominciato a mangiare troppi grassi e a vivere in maniera stressante. I geni che causano la miopia danno problemi solo all’interno di società in cui i bambini, nei primi anni di vita, utilizzano troppo gli occhi per guardare da vicino, come nella lettura. Alcuni dei geni che causano l’invecchiamento erano soggetti a ben poca selezione quando la vita era molto più breve. Inoltre, molti geni che causano malattie sono presenti nel nostro corpo perché danno benefici in altre situazioni o altre combinazioni. Il gene della falcemia (una forma di anemia), per esempio, protegge dalla malaria e per questo la malattia è molto diffusa in Africa. Alcuni dei geni sessualmente antagonisti favoriscono il padre a spese della madre o viceversa. Il nostro codice genetico è costantemente rimescolato dalle mutazioni. In pochissime occasioni i cambiamenti nel Dna sono favorevoli; nella maggior parte dei casi provocano malattie. Questi geni danneggiati vengono continuamente eliminati o tenuti sotto controllo dalla selezione naturale. Ma esistono geni “fuorilegge” che agevolano la propria trasmissione a spese del portatore, dimostrando brutalmente come la selezione agisca a favore dei geni e non dell’individuo o della specie. Tuttavia poiché la selezione tra gli individui è una potente forza evolutiva, anche questi geni fuorilegge sono difficilmente origine di malattie(…)
Le modifiche ambientali dovute alla tecnica moderna sono state rapidissime negli ultimi due, tre secoli. Ciò ha causato forti anomalie tra le strutture fisiche del corpo evolutesi durante milioni di anni in ambiente del tutto diverso e i comportamenti richiesti dalla tecnologia. I comportamenti anormali dei bambini che potrebbero causare uno sviluppo fisico irregolare sono molti.  Stare ore ed ore seduti sui banchi di scuola non è naturale;ai bambini del Paleolitico non era richiesto niente del genere. Quando stavano fermi erano accoccolati, non seduti. Gli uomini potevano camminare, sedersi, inginocchiarsi e correre quando volevano. Molti  di quelli che oggi soffrono di mal di schiena debbono il fastidio alle tante ore passate in una posizione anormale imposta loro nell’infanzia. Due medici dell’Università del Michigan, Alan Weder e Nicholas Schork, hanno tentato di collocare la pressione alta tra le malattie della civiltà. Esiste un meccanismo capace di aumentare la pressione durante la veloce crescita dell’adolescenza (più un corpo è grosso più la pressione deve essere alta). Secondo Weder e Schork nell’ambiente atavico il meccanismo doveva regolarsi su una gamma più ristretta di dimensioni corporee. Oggi la nutrizione molto ricca determina crescite veloci  e taglie grandi, assai rare nel passato. Il meccanismo che regola la pressione è stato costretto ad adattarsi a variazioni più ampie di quelle per cui si era selezionato, così spesso esagera e alza troppo la pressione sanguigna. Il freddo può essere considerato un fattore ambientale relativamente nuovo. La diffusione della popolazione umana in ecosistemi con stagioni fredde fu facilitata da progressi tecnologici quali i vestiti e il fuoco, scoperti poche migliaia di anni fa. Per sopravvivere all’inverno, nella maggior parte della superficie abitata del pianeta abbiamo ancora bisogno di questi elementi artificiali. La bassa temperatura non è però il solo stress che dobbiamo combattere alle alte latitudini. I vestiti e le case che ci permettono di vivere in luoghi come Montreal e Mosca ci causano altri problemi di salute. La sintesi della vitamina D dipende dalla superficie della pelle esposta al sole. Stando in casa tutto il giorno e coprendoci con i vestiti quando siamo all’aperto  sintetizziamo una quantità di vitamina D molto più bassa di quella prodotta da un abitante della savana africana che gira nudo, e probabilmente molto inferiore ai nostri bisogni metabolici. La sua carenza porta a problemi di salute connessi con il metabolismo del calcio.In Inghilterra qualche decennio fa il rachitismo colpì un numero così elevato di bambini da guadagnarsi il nome di morbo inglese. L’osteoporosi è un’altra conseguenza di questi cambiamenti. L’invenzione dell’agricoltura fece aumentare la densità della popolazione in un modo che sarebbe stato impensabile in un’economia di caccia-raccolta, e consentì inoltre la nascita delle città. Queste modifiche nello stile di vita aumentarono il numero di contatti interpersonali che ogni individuo poteva avere, oltre ad accrescerne la vicinanza e la durata. Emersero allora nuove malattie  infettive che potevano diffondersi solo tramite contatto. L’efficacia dell’evoluzione di nuove difese fu tragicamente dimostrata quando coloni che erano portatori sani di vaiolo invasero territori le cui popolazioni non erano mai state esposte alle malattie occidentali. Gli europei uccisero molti più nativi americani con il vaiolo e l’influenza che con le armi. Molti problemi psicologici sono causati dalla vita moderna. Nonostante la retorica politica sui valori della famiglia, i bambini allevati in periferie da famiglie nucleari che vivono in villette o in palazzi sono immersi in un ambiente sociale nuovo almeno quanto quelli vigilati da un insegnante precario in un asilo. Da adulti, ma anche da adolescenti e da bambini, spesso abbiamo a che fare più con burocrazie impersonali che con persone note. Le persone che incontriamo durante il giorno sono perlopiù sconosciuti. Non è questo il mondo in cui sono evoluti i nostri antenati(…)
Gli adattamenti del patrimonio genetico funzionano meglio nelle circostanze in cui si sono evoluti. I nostri adattamenti anticancro e altre funzioni vitali non si sono sviluppati per mantenere in vita un ottantenne. I geni umani e i loro prodotti trovano anomalo  il corpo del vecchio, perché raramente nel Paleolitico si arrivava ad un’età avanzata. Pare inoltre che le caratteristiche degli ambienti moderni aumentino l’incidenza del cancro: raggi x e altre radiazioni ionizzanti, nuove tossine, pesticidi in agricoltura, livelli eccessivi di esposizione alle tossine naturali (come la nicotina e l’alcol), alimentazione e stili di vita stressante. I batteri possono aumentare la percentuale di tumori nei tessuti infettati, ma i virus sono ancora più pericolosi. Questo perché il virus non è molto diverso da un gene singolo in una cellula umana, e talvolta può piazzarsi all’interno di un cromosoma come se fosse la sua posizione  naturale. I virus, in particolare l’Hiv, attaccano il sistema immunitario e, di conseguenza, diminuiscono la capacità di quest’ultimo di difenderci da alcune forme di cancro. Un alimento con una concentrazione elevata di sale o alcol, oppure ricco di carcinogeni come quelli della carne affumicata o alla griglia, aumenta il rischio di cancro dello stomaco o all’intestino. I composti chimici del fumo di tabacco o dello smog delle città influenzano alla stessa maniera le cellule dei polmoni. Il modo in cui una alimentazione ad alto contenuto di grassi incide sui tumori della mammella e alla prostata è noto. Manipolazioni ormonali dovute a sostanze usate in agricoltura o come additivi nei cibi influiscono artificialmente sui tessuti. La conoscenza sempre più particolareggiata delle azioni fisiologiche degli ormoni naturali e artificiali dovrebbe permetterci di trovare soluzioni per imitare gli effetti benefici dello stile di vita dei paleolitici. Eaton e altri ricercatori hanno presentato prove chiarissime di come alcuni contraccettivi orali riducano l’incidenza di tumori all’ovaio e all’utero, anche se non alla mammela. “
(Brani tratti da: Randolph M. Nesse, Gorge C. Williams: “Perché ci ammaliamo”. Einaudi 1999).

La sovrappopolazione nei termini che conosciamo oggi –soprattutto nell’ultimo secolo- è forse stato il più rapido e drammatico cambiamento ambientale e comportamentale  che la specie Homo abbia sperimentato. Gli effetti che questo cambiamento stanno determinando sul pianeta sono sconvolgenti. Si prevede che nel 2050 ben sette miliardi di umani sui dieci che abiteranno il pianeta, vivranno all’interno di megalopoli con tutti i problemi di stress e di inquinamento chimico e ambientale che ciò comporta. L’aggressività intraspecifica determinata dalla competizione di una massa umana così enorme  aumenta il rischio di guerre e conflitti sociali per le risorse con forti ricadute a livello della qualità di vita. Lo stesso valore della persona umana in presenza di 7 miliardi di individui, viene messo a rischio. I rifiuti solidi, l’inquinamento delle acque e le polluzioni atmosferiche stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza di numerose specie viventi e addirittura dell’intero pianeta. L’aumento del carbonio atmosferico sta alterando la temperatura e il clima con lo scioglimento delle calotte polari e l'innalzamento dei mari. Come reagirà  il nostro corpo che è ancora, essenzialmente, quello che si è formato nelle savane del Pleistocene, a questo profondo cambiamento comportamentale e ambientale determinato dall’esplosione così rapida e incontrollata della popolazione umana? La necessità di assicurare il cibo a 7 miliardi di persone ha determinato uno sfruttamento dei suoli senza precedenti con uso massiccio di fertilizzanti e tossici chimici. Malattie infettive nuove e riacutizzazioni di quelle ritenute in passato debellate sono il frutto della convivenza e della mobilità di miliardi di individui.  L’ansia la depressione e le psicosi di molte persone nelle società moderne sono strettamente connesse allo stile di vita caratterizzato dalla velocità e dalla ripetitività che un mondo sovraffollato e tecnologico come quello attuale comporta. Ma la sovrappopolazione stessa è ormai la malattia del pianeta, la esplosione demografica di una specie sola che soffoca ed elimina tutte le altre. La stessa selezione naturale è profondamente alterata e il processo naturale di speciazione si è fermato per essere sostituito da una artificiale mutazione quantitativa e qualitativa  di specie dovuta alla pressione antropica in tutta la biosfera (pseudo-speciazione antropocentrica). Il pianeta sta modificando profondamente le sue caratteristiche   di ambiente naturale sotto l’hypris produttiva e riproduttiva della scimmia “intelligente”. La Terra  sta perdendo di senso per divenire un semplice contenitore; ogni rapporto tra uomo e natura si riduce a rapporto quantitativo tra massa umana e capacità dell’ambiente di contenerla. Questa distruzione di tutti i significati che non siano di mera utilizzazione della Terra da parte dell’uomo è simbolizzata in maniera paradigmatica dalla perdita del paesaggio naturale e dal processo di sostituzione di esso da parte del cemento. La cementificazione della superficie terrestre è l’essenza del nichilismo antropocentrico verso la natura ridotta a sfondo neutro della folle distruttività umana.

sabato 26 gennaio 2013

AMERICA: SE L’OCCIDENTE PERDE SE STESSO



Andare in America suscita sempre  un’emozione. Si tratta dell’emozione che dovevano provare gli antichi abitanti dell’impero romano quando si recavano a Roma. Lì c’è l’essenza della nostra civiltà: l’occidente siamo stati noi europei, ma oggi l’occidente si chiama America. Lì ci sono luoghi, paesaggi, città che danno sensazioni uniche, che non è possibile provare da nessun’altra parte. La visita al cimitero di Arlington, ad esempio, è un’esperienza emozionante. Si sente che la Storia è passata di qua e anzi ci si è fermata. Sono rimasto a guardare in silenzio, come in un'atmosfera sospesa,  la tomba di JFK, la tenue fiammella sempre accesa,  mentre lontano, nell’azzurro  del tardo mattino primaverile, scintillava la punta dell’obelisco del Mall. Questa è l’america, pensavo, qui sta il nostro destino.
Questo è il posto in cui tutti i nodi vengono al pettine. Qui la scienza ha permesso all’uomo di arrivare sulla Luna, qui la gente sente una forza che la spinge al meglio, all’affermazione personale, al successo. E’ il segreto della potenza americana. Quella stessa energia che, se malata,  può degenerare in follia e può portare alle stragi di studenti.  Se l’occidente trova se stesso è qui che succede. Oppure se l’occidente si perde, è qui che accade. Perché gli Us stanno cambiando. Qui il paesaggio è talmente grande che gli uomini, per quanto si diano da fare, possono solo fare ritocchi. Il cielo rimane il cielo, il deserto il deserto, le montagne azzurrine lontane restano a guardare le città crescere in altezza, estendersi: ma le distanze sono talmente grandi che nulla cambia nel paesaggio. Eppure anche qui i tempi stanno cambiando. Paradossalmente la cementificazione procede veloce anche qui. La pressione antropica sta facendo disastri. Lo sfruttamento delle risorse naturali è altissimo, ed è ancora recente  la tragedia ecologica del golfo del Messico. Qui, come nella Sicilia del Gattopardo, cambiamento e immobilità si intrecciano fortemente. Nonostante tutta la ricchezza e lo sviluppo possibile la distanza tra ricchi e poveri rimane inalterata. E la sonnolenza della vita della provincia americana rimane immutata come cinquant’anni fa. Passare dalla modernità frenetica di NY alla tranquilla e noiosa vita dei piccoli centri della middle america è un’esperienza che da l’idea di come passato e presente, storia e progresso siano qui tutt’uno.
Bill Bryson in un bel libro del 1989 ci racconta di un suo lungo giro negli Stati Uniti alla ricerca di atmosfere perdute, di quando lui bambino viveva a Des Moines nei fantastici anni ’50. Nel 1977 era emigrato in Inghilterra come giornalista corrispondente con giornali americani, e a Londra, in quel clima piovigginoso e grigio, si era sviluppata in lui il mito dell’america felix, l’america del periodo che va dal dopoguerra e prosegue per tutti gli anni 50 fino all’assassinio di JFK, la tragedia  che ha posto fine ad un’età memorabile di speranza e di “perfetta” vita americana. Con l’assassinio del  “presidente giovane” finiva una storia e ne cominciava un’altra, nel modo peggiore: il Vietnam. Bryson ci riporta alla nostalgia di quei tempi e alla coscienza di una perdita irrecuperabile per tutti noi.
La mitologia della frontiera è stato un mito fondante della mentalità e della cultura americana. Il confronto tra l’uomo intraprendente e la natura, le grandi praterie, la conquista di territori selvaggi e inesplorati ha plasmato il nuovo uomo occidentale, proprio mentre la vecchia Europa entrava in un declino irreversibile e poi nel corso del novecento distruggeva se stessa. L’ “uomo nuovo” americano è nato da un incontro tra gli emigranti e gli avventurieri europei, in gran parte protestanti, e la selvaggia natura americana. Dalla conquista del West si è generata quella sete di miglioramento e di progresso che è divenuto, nel bene e nel male, lo spirito stesso del nuovo Occidente.
Il West selvaggio ha sempre avuto un doppio aspetto, come del resto tutta la realtà americana. Da un lato c’è l’amore per la natura, la libertà, le cavalcate, le praterie, gli immensi cieli azzurri. Dall’altra c’è la conquista, la colonizzazione, la trasformazione, lo sfruttamento illimitato delle risorse, le miniere, la ricchezza conquistata. Le nuove città sorte dal nulla. L’America è terra doppia: qui tutte le contraddizioni si mostrano apertamente, ma sanno anche -inaspettatamente- armonizzarsi e dar vita a nuove realtà.

Raggiungendo La Vegas dalla California in auto si traversa un deserto nel Nevada di estrema bellezza, se poi si viaggia al tramonto il rosso del cielo si armonizza con i colori sfumati tra il verde e l’arancio scuro delle scarsa vegetazione e delle rocce. Ad un certo punto, raggiunta la sommità di un altopiano la vista rimane incantata di fronte allo sfavillio di un mare di luci che si apre improvvisamente e inaspettatamente. E’ Las Vegas con le mille luci delle insegne e della frenetica modernità che  appare come una visione miracolosa e metafisica sul far della notte. Ripensando a quello spettacolo si è portati a riflettere sul fatto che l’America è il luogo in cui la modernità tecnologica riesce, con un’alchimia ardita, ad armonizzarsi con una natura che rimane in gran parte selvaggia e bella, nonostante tutto. Nel paesaggio americano, anche i grattacieli, che qui sono nati, riescono ad farsi accettare come parte del paesaggio.
 Qui sono nate le prime megalopoli  con  la nuova architettura per consentire una vita confortevole a milioni di abitanti in spazi ristretti, le nuove tecnologie informatiche, i maggiori progressi nella fisica e nella medicina. L’economia e il mercato, sebbene nati in Europa e specialmente in Inghilterra, hanno avuto qui il loro massimo sviluppo.  Qui in America è nata, allo stesso tempo, la nuova mentalità ambientalista, a partire dai botanici americani che all’inizio del secolo scorso s’impegnarono per la creazione dei primi parchi nazionali. Qui , con la beat generation, sono  nate le prime ribellioni ad uno stile di vita di una borghesia ingessata, dalla mentalità ristretta  in valori non più in grado di reggere la modernità.  Nel romanzo “On the Road” di Keruac, due giovani della beat generation,  esprimono il rifiuto della vita tradizionale  e iniziano un viaggio in macchina alla scoperta dell’immensità del continente americano, scoprendo un’america diversa e più vicina alla natura. Il romanzo è metafora di una nuova sensibilità che avrebbe in seguito dato luogo ai movimenti giovanili di protesta e di ritorno alla natura, come i figli dei fiori.

Oggi la partita si gioca ancora qui, in America. E’ qui che all’inizio degli anni 70 fu scritto The Limits to Growth da parte di un gruppo di ricercatori del MIT.  E’ qui che ancora prima –nel 1968- lo scienziato ed ecologo americano Paul Ehrlic scrisse il testo chiave per comprendere lo scenario tragico cui si stava avviando il mondo con l’esplosione demografica: The Population Bomb. Oggi l’ America ha di nuovo, come sempre, in mano il destino dell’Occidente e dell’intero pianeta, anche se grandi comprimari sono apparsi nel mondo contemporaneo, come la Cina e l’India. Se la Terra ha una chance è da qui che probabilmente arriveranno le proposte e le strategie. Non certo dall’Europa, dal “vecchio mondo” come sprezzantemente ci definiscono. La vecchia Europa ha una visione ristretta, schiava di mentalità incancrenite e di meschinità ideologiche. Non ha l’apertura della mente americana, che forse viene dai vasti paesaggi di quella terra. Ma l’America, anche lei, corre i suoi rischi. Oggi è uno dei principali “inquinatori”, ai primi posti per l’immissione di carbonio in atmosfera e nella produzione di rifiuti. E’ inoltre alle prese con cambiamenti demografici come l’eccessiva immigrazione e i tassi di natalità in crescita. Tuttavia la coscienza ambientalista è sempre più forte e sempre maggiori sono le prese di posizione contro la devastazione del pianeta. L’ex vice presidente Al Gore e il suo movimento hanno vinto il Nobel per la pace nel 2007 per le lotte contro i cambiamenti climatici. Nonostante le resistenze, la coscienza del problema sull’eccessiva pressione demografica si va ampliando.  Se l’ambientalismo ha un futuro è qui che dobbiamo cercarlo. E’ su questi temi che l’America deve ritrovare se stessa. 

mercoledì 23 gennaio 2013

COMUNICATO DELL' EPA: STOP CRESCITA DEMOGRAFICA


Comunicato Stampa della  associazione che promuove l'Alleanza Europea per la Popolazione (EPA) in collaborazione con l'associazione Rientrodolce e altre 9 associazioni europee.

Diffondiamolo

22 Gennaio 2013

Assisi Nature Council Onlus

COMUNICATO STAMPA

L’ EPA (Europeans Unite to Promote Population Stability o Alleanza per la Popolazione Europea) lancia il suo Sito Web .

HYPERLINK "http:www.europeanpopulationalliance.org/"www.europeanpopulationalliance.org

L’Alleanza unisce 12 organizzazioni rappresentanti la società civile di 9 paesi europei , che hanno lo scopo di attivare la presa di coscienza dell’impatto nocivo della crescita della popolazione sia in Europa che nel resto del mondo, soggetto che viene regolarmente ignorato o negato.
Per ovviare a tale mancanza, tutte hanno sottoscritto una dichiarazione comune di orientamento, che è stata presentata sul nuovo Sito Web.
L’Alleanza ha già fatto pressione presso l’ONU e la presso Commissione Europea sui negoziati del Clima, la Conferenza dell’ONU Rio+20 sullo Sviluppo Sostenibile e gli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile post-2015.
Roger Martin, Direttore di Population Matters (UK) ha espresso soddisfazione riguardo ai risultati dei sondaggi condotti in Europa , che dimostrano quanto le persone siano preoccupate circa l’impatto economico e sociale della crescita demografica odierna, anche se non hanno le cognizioni scientifiche né una preparazione per impedire democraticamente che il nostro capitale unico, cioè le risorse della terra , vengano quotidianamente esaurite dalla crescita della popolazione e dalla domanda di risorse dell'umanità sulla natura che supera ormai da anni la capacità della biosfera di rigenerarle.

Bisogna pianificare il futuro, perchè un’indefinita crescita demografica è fisicamente impossibile e deve fermarsi attraverso una previdente e umana politica di supporto alla costituzione di famiglie meno numerose.

Lista dei membri dell’EPA:

Assisi Nature Council (Italy)
BOCS (Hungary)
Chartered Institute of Water and Environmental Management (United Kingdom)
Club of 10 Million (Netherlands)
Demographie Responsable (France)
Ecopop (Switzerland)
Herbert-Gruhl-Gesellschaft (Germany)
One Baby (Belgium)
Population 2.0 (Facebook) (Belgium)
Population Matters Sweden (E-mail) (Sweden)
Population Matters (United Kingdom)
Rientrodolce (Italy)

WWW.assisinaturecouncil.org

martedì 22 gennaio 2013

CRESCITA O DECRESCITA?




Ormai gli intellettuali alla moda non fanno che parlare di decrescita. La soluzione dei problemi del mondo è nella decrescita si sente dire un po’ dovunque negli ambienti della cultura ambientalista. All’opposto gli economisti e i politici non fanno che ripetere che la soluzione di tutti i nostri problemi è nella crescita. La povertà e la disoccupazione  si sconfiggono con la crescita, dice Monti. Berlusconi, Bersani, e persino la Merkel ripetono come un mantra la necessità della crescita.  Si resta un poco frastornati da questa divaricazioni degli opposti come soluzione di tutti i problemi: crescita o decrescita?
Latouche è uscito con il suo ultimo libro: “L’Abbondanza Frugale” che forse, già nel titolo, esprime l’imbarazzo un poco confusionario in cui si dibatte il mondo intellettuale contemporaneo. Riporto una breve recensione del libro tratta dal sito tuttogreen.it:

L’abbondanza frugale ha un significato che va ben oltre la ridefinizione della “decrescita” – parola che spaventa molti, evocando spettri di sottosviluppo e povertà. Perché l’idea dell’abbondanza frugale si ricollega a una teoria elaborata dall’antropologo americano Marshall Sahlins, il quale ha ribaltato la concezione diffusa di una società primitiva caratterizzata da fame e miseria, a cui sarebbero seguite forme economiche e sociali via via più ricche, fino alla nostra società di consumo, società dell’abbondanza per antonomasia.

Nel saggio intitolato “L’economia dell’età della pietra”, Sahlins ha proposto una visione del tutto diversa: le società di cacciatori-raccoglitori del paleolitico erano società dell’abbondanza, dove poche ore di lavoro al giorno bastavano alla sussistenza mentre il resto del tempo era dedicato al gioco e alla vita sociale.
Latouche chiude il cerchio comparando le società preistoriche con la nostra società, che al confronto appare una società di costante penuria, dove gli individui lavorano molte ore al giorno e continuano a non avere tutto ciò che valutano “necessario” per vivere. Il segreto di questo paradosso è nei bisogni: noi ne abbiamo in quantità enormemente superiore rispetto ai nostri antenati paleolitici, che si accontentavano di pochi beni materiali.
Allora, suggerisce Latouche, per avere l’abbondanza occorre riscoprire la frugalità, da cui il titolo del libro. Ovvero: se adottassimo un modo di vivere che dia meno importanza al consumo di merci, dedicando tempo ed energie alla convivialità, alla cultura, a forme economiche diverse quali l’economia solidale e la circolazione di beni sottoforma di doni o di scambi, ci accorgeremmo di essere ricchi.
Questo discorso acquista particolare rilevanza in relazione alla crisi economica in atto: l’unica uscita dalla crisi, sostiene l’economista francese, è ridurre i nostri bisogni, consumare meno. Non ci sono altri stratagemmi, il pianeta non può più sostenere il tipo di esistenza che si conduce nella società occidentale. Dobbiamo abituarci a una nuova frugalità.
La parola “abbondanza” associata alla frugalità non è solo un modo per addolcire la pillola. È anche una risposta alle molte critiche sollevate in passato dalla teoria della decrescita. È un modo per puntualizzare: decrescita o frugalità non significa povertà, non significa regressione, sottosviluppo, tecnofobia. È invece una modalità nuova di vivere e di gestire le nostre relazioni con le persone e con le cose, nel tentativo di scoprire una diversa idea di abbondanza. Questo ultimo libro è appunto dedicato a dimostrare come la decrescita non coincida con la rinuncia al benessere, bensì con la ricerca di un benessere diverso."
Scopriamo così che Latouche, per giustificare, in un mondo afflitto dalla scarsità della crescita, la sua visione positiva della decrescita, ricorre ad una rielaborazione del mito rousseauiano del “buon selvaggio”. Seguendo le fantasie di Sahlins si immagina un mondo come quello dell’ "età della pietra" in cui poche ore di caccia e raccolta di bacche al giorno assicuravano una esistenza dedita al gioco e alla sussidiarietà sociale. Modestamente, pur non avendo l’autorità scientifica di Latouche,  credo che nell’età della pietra la vita fosse assai meno giocosa e solidaristica. Credo anzi che a quei tempi  la maggior parte delle ore del giorno dovesse essere spesa a mettere in salvo la pellaccia. Certo oggi la complessità e le esigenze della vita sono molto superiori.  Ma se al posto di una caverna abbiamo una confortevole abitazione riscaldata e fornita di acqua e servizi, forse ciò richiede una società come la nostra basata sull’industria, sulla produzione, sul mercato.  Se abbiamo problemi di salute, il fatto di poter correre al più vicino ospedale ed essere curati in maniera efficace, richiede una società tecnologica e economicamente sviluppata come la nostra. Se vogliamo essere costantemente aggiornati e collegati con il mondo con i moderni mezzi di comunicazione, forse ciò necessita di  una economia basata su produzione capitalistica, i mercati, la finanza, la ricerca scientifica come la nostra.E così via dicendo. Ritornare ai bisogni dell’età della pietra va bene per le fantasie di qualche intellettuale, non credo per la maggioranza dei sette miliardi di umani che popolano la Terra. A proposito: ha idea il professor Latouche di quanti abitanti aveva il pianeta nell’età della pietra? Qualche centinaio di migliaia… e non 7 miliardi! Vorrei suggerire al Professore: non è che questo è alla base dell’esaurimento delle risorse del pianeta e che forse per questo l’età della pietra ci restituisce l’idea, molto idealistica ma non priva di fondamento, di un rapporto più intenso e vissuto tra uomo e natura? Come mai anche in questo suo ultimo libro il professor Latouche dimentica di parlare dell’unica decrescita che forse ci può salvare: quella della eccessiva popolazione umana sulla Terra?