“Volete sapere come la penso? Penso che siamo fottuti “. A parlare
così non è uno qualunque. E’ Stephen Emmott uno scienziato titolare della
cattedra di Scienze Computazionali a Cambridge, esperto di scienze naturali e
modelli di sistemi biologici complessi. Nel 2013 è uscito il suo libro: “10
miliardi “ in cui denuncia la minaccia che sta distruggendo la Terra ma di cui
nessuno parla: l’esplosione demografica della specie Homo. Emmott è pessimista,
anche perché nessuno si preoccupa seriamente del problema, le poche iniziative
delle organizzazioni internazionali sono fallite, e ormai la situazione è
troppo degradata per sperare che si riesca a salvare il pianeta. Ma non si può
bollare semplicemente come catastrofista, Emmott infatti parla con i dati scientifici
che possediamo, con i numeri che la situazione attuale ci pone di fronte. Anzi,
proprio per evitare l’accusa di catastrofismo, si attiene alla visione in parte ottimistica dei dati dell’Onu sui tassi di fertilità: la previsione dei dieci
miliardi per questo secolo si basa su tassi di fertilità che gli esperti Onu sperano si possano ottenere nei prossimi decenni. Essi sono inferiori agli attuali che
se rimanessero tali vedrebbero la popolazione mondiale schizzare a 28 miliardi,
un dato che equivarrebbe alla fine della vita sul pianeta Terra. Il suo è un grido di angoscia che vuole
svegliare questa umanità cieca e sorda che sta divorando la Terra senza
mostrare un minimo barlume di comprensione del problema. Davanti ai nostri
occhi si consuma la fine della biosfera senza che nessuno intervenga per fare le cose necessarie. Al contrario
in tutti i media e in tutte le parti politiche (compresi i falsi ecologisti!) prevale la retorica del “fare figli è bello” e che “oddio ci
stiamo spopolando”. Una suprema stupidità per una fine, a questo punto, giusta
e meritata. Riporto di seguito un
breve sunto del libro.
“ Noi umani siamo emersi come specie
circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente
recente.
Solo 10.000 anni fa, c'erano un milione di
noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50
anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri
figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi
di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno
10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo
ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli
eventi, tra le più importanti: la rivoluzione agricola, la rivoluzione
scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione
dell'assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c'erano 4 miliardi di noi sul
pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono
cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima quella sull'acqua. Il nostro fabbisogno
d'acqua – non solo l'acqua che beviamo, ma l'acqua di cui abbiamo bisogno per
la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stiamo consumando – sta
andando alle stelle. Ma all'acqua sta cominciando ad accadere qualcosa. Nel
1984, i giornalisti hanno scritto dall'Etiopia di una carestia di proporzioni
bibliche causata da siccità diffuse. Molte aree del medio oriente e dell’Africa
stanno sperimentando crisi di siccità. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali,
stanno aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L'acqua, una risorsa vitale
che pensavamo fosse abbondante, ora è improvvisamente divenuta potenzialmente
scarsa.
Prendiamo un aspetto importante, per quanto
poco conosciuto, dell'aumento dell'uso di acqua: “l'acqua nascosta”. L'acqua
nascosta è l'acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non
pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone,
automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa
3000 litri d'acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati
circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri
di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di
hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42
trilioni di litri d'acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un
anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d'acqua. Nel solo Regno
Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un
chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d'acqua.
Un’altra conseguenza della sovrappopolazione
umana e della attività antropica sono i cambiamenti climatici.
I dieci anni più caldi mai registrati sono
stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la
pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non
equivale a tempo meteorologico, Il clima è uno dei sistemi di supporto vitali
della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo
pianeta. E' generato da quattro componenti: l'atmosfera (l'aria che
respiriamo), l'idrosfera (l'acqua del pianeta), la criosfera (le calotte
glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta).
Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste
componenti.
La richiesta di terreno per il cibo raddoppierà – come minimo – nel 2050 e
triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per
radere al suolo (per l'uso umano) molte delle foreste pluviali che rimangono si
intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l'unico terreno
disponibile rimasto per espandere l'agricoltura su scala mondiale, specialmente
in certe aree. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di
deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno
deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una
popolazione in aumento. E' un'area più grande degli Stati Uniti. E ad
accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all'anno di ulteriori emissioni
di CO2.
La Siberia, liberandosi dai ghiacci,
trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo
secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena
scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi
di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra
– vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.
Nel frattempo, altri 3 miliardi di
persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi
vivrà nelle città. Sotto i nostri occhi sta avvenendo una crescita esponenziale
della popolazione di molte città che si trasformano in megalopoli, spesso
invivibili con una qualità della vita bassa. Questo secolo vedrà la rapida
espansione territoriale delle città, così come la nascita di città
completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il
fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione
nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più
territorio.
Attualmente non abbiamo nessun mezzo
conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo
attuale e con l'attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi
stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la
produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la
produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto,
durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento
climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali
stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per
la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile.
Inoltre l’uso massiccio dei fertilizzanti chimici, necessari per aumentare il
rendimento della terra, sta inaridendo il terreno, inquinando le acque,
asfissiando la vita di fiumi, laghi, acque costiere con un generale
impoverimento di ossigeno.
Allo stesso tempo, il settore delle
spedizioni e quello aereo sono proiettate verso una espansione rapida ogni anno, anno dopo anno, intorno al
pianeta, trasportando più persone
e più cose che vogliamo
consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2,
più utilizzo di idrocarburi, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di
tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre
cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente
per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C'è stata una
pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso
fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni
più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione
di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri
milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame o di
animali selvaggi che finora erano vissuti in aree spopolate come avviene in
Africa e in Asia – rendendo
più probabile il salto di specie dei virus ( come avvenuto per l’HIV, per il
virus Lebola, e per fortuna parzialmente con la SARS)– significa che stiamo
aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale.
Quindi non c'è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d'accordo sul
fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.
Per il problema dell’energia la situazione è
già ora delle più difficili. Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno
triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per
soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come:
1.800 delle dighe più grandi al mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni
di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente
con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali a
idrocarburi di cui avremo
bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni
di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune
delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di
lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta?
Ne dubito.
Nel frattempo, il problema climatico
emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che
potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema
climatico globale. C'è l'obbiettivo globale politicamente condiviso - guidato
dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l'aumento
della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo
obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di
cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti
di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma
di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato
dalla tundra artica, o il degrado dell'Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno
già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.
Nei decenni lungo il tragitto che stiamo
seguendo , saremo testimoni di estremi eventi atmosferici senza precedenti,
incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress
idrico e aumento del livello del mare con inondazione di aree costiere.
I paesi più “fortunati”, come il
Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa, potrebbero divenire
simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini al
fine di evitare l'ingresso di milioni di persone, persone che si stanno
muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o vi sono riserve di acqua insufficienti per il cibo o che
sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone
saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al
quale ci dovremo abituare sempre di più, insieme a quello di migranti per
eccesso di nascite in aree con poche risorse. Infatti, chiunque pensi che
l'emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per un
futuro conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una
coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul
cambiamento climatico, ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In
ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo.
Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di
cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve,
abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di
meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale
cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un'azione
governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento,
attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione,
perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo
cambiamento di comportamento dei cittadini rendono inevitabilmente i politici
molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.
Quindi, ciò per cui hanno invece optato i
politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework
Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni di ottenere la
stabilizzazione dei gas serra nell'atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention
to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare
il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on
Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il
ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di
iniziative globali fallite da parte del principale organismo politico
internazionale. L'elenco è tristemente lungo.
E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo
di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora un economista
anziano della Deutsche Bank, ha condotto un'autorevole analisi economica del
valore della biodiversità.
Sukhdev ha poi dichiarato: “Le regole del
commercio devono essere urgentemente cambiate, in maniera che le multinazionali competano sulla base
dell'innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle
richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che, come ora avviene, sulla
base di chi è più efficace nell'influenzare le regole governative, evitando
tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per
gli azionisti”. Penso che ciò potrà accadere? No.
E per quanto riguarda noi?
I cambiamenti nel comportamento che ci
vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica.
Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia,
meno cose. Questo è sicuro. Ma non abbiamo ancora trovato una chiave politica
che possa portarci a questo risultato. Inoltre i paesi che stanno ottenendo
sviluppo attualmente non ne vogliono sapere di cambiare parametri. E quelli già
sviluppati stanno cercando di aumentare il Pil anche per soddisfare le
popolazioni affluenti con le migrazioni, e non ne vogliono sapere di ridurre i
loro consumi.
Ma anche se fossimo in grado di
ridurre di molto i consumi, tutto questo non può bastare a salvare il pianeta
se continueremo con l’attuale esplosione demografica. La specie Homo con la
propria crescita incontrollata sta cambiando irreversibilmente e in maniera
autodistruttiva il proprio ambiente e l’ecosistema complessivo del pianeta. La
peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere
figli al ritmo attuale. Se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua,
per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani ma molti di
più. Secondo le stime delle
Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per
la fine del secolo.
La popolazione della Nigeria in
crescita del 349%, fono a 730 milioni di persone.
L'Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo
del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L'Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L'Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.
Persino la popolazione degli Stati Uniti è
prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478
milioni. Voglio solo sottolineare che se l'attuale ritmo globale di
riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di
persone, ce ne saranno 28 miliardi.
Solo un idiota negherebbe che c'è un
limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7
miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che
abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.
La scienza è essenzialmente scetticismo
organizzato. Io passo la mia vita cercare di provare che il mio lavoro sia
sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E' chiamata
condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza
va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione
chiamare la situazione un'emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente
bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare
la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho
chiesto ad alcuni dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno
scienziato che lavora in questo campo, uno giovane e uno del mio laboratorio –
se ci fosse stata una sola cosa che doveva fare per la situazione che abbiamo
di fronte, quale sarebbe stata? Uno di loro sapete come ha replicato?
“Insegnare a mio figlio come usare una pistola”
(Stephen Emmott: Dieci Miliardi. Feltrinelli serie bianca)