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domenica 7 giugno 2015

Hans Jonas: I limiti dell'uomo




Il rapporto di uomo e natura è entrato in una nuova fase. Qual è la novità e come si è arrivati ad essa? Un fattore è quello biologico della nostra vertiginosa moltiplicazione, il cui solo fabbisogno organico minaccia di esaurire le fonti alimentari planetarie.Ma alla base di esso vi è già un fattore del tutto inorganico; il salto qualitativo nella nostra potenza tecnologica, che fu causato non più di duecento anni fa dal patto fra tecnica e scienze esatte. Attraverso questa epocale e unicamente occidentale messa in pratica della pura teoria, la superiorità dell’uomo è divenuta così unilaterale, i suoi interventi, per ordine di grandezza, tipo e profondità, così minacciosi per il tutto dell’attuale e della futura natura terrestre, che la libertà anche in ciò è dovuta diventare finalmente veggente. Essa vede: la vittoria troppo grande minaccia il vincitore stesso…Mai in precedenza l’artificio si è tanto avvicinato nei suoi elementi alla natura.Ora dal punto più basso domina su quello più alto, da quello più piccolo su quello più grande.Questa creatività intorno al “nucleo” comporta insieme a un nuovo potere anche nuovi pericoli. Uno è l’inquinamento dell’ambiente con sostanze a cui il suo metabolismo non è in grado di far fronte.Alla devastazione meccanica si aggiunge l’avvelenamento chimico e radioattivo. E nella biologia molecolare compare la tentazione prometeica di manipolare partendo dal seme, a scopo di miglioramento, la nostra propria immagine. L’aumentato potere deriva quindi dall’aumentata conoscenza. La medesima conoscenza ora, che domina nella tecnica,ci mette anche in grado di calcolare i suoi effetti globali e futuri. Resa per questo veggente, la libertà deve conoscere: attraverso se medesima è in gioco il tutto ed essa soltanto ne è responsabile. Con ciò giungo dalla radice e dal potere al dovere della nostra libertà.
Primo compito di ogni libertà, anzi condizione del suo sussistere, è di porsi dei limiti. Infatti solo così la società è possibile, senza la quale l’uomo non può esistere e neppure il suo dominio sulla natura. Quanto più libera è la società stessa, quanto meno dunque la naturale libertà della specie è lesa dal dominio dell’uomo su altri uomini, tanto più evidente e inevitabile diviene nel rapporto interumano il dovere della limitazione volontaria.Una cosa paragonabile accade ora nel rapporto dell’umanità con la natura. Andando di pari passo con le azioni del nostro potere, il nostro dovere si estende ora a tutta la terra e al lontano futuro. Qui e ora il dovere ci impone di frenare il nostro potere, quindi di diminuire i nostri consumi per un’umanità futura che i nostri occhi non vedranno. Giustizia, rispetto, compassione, amore –impulsi di questo tipo che sono sopiti in noi e vengono risvegliati nel concreto convivere- ci aiutano ad uscire dall’angustia dell’egoismo. Niente di simile suscita in noi l’idea astratta di ipotetici esseri umani futuri; e la paura di una ritorsione viene qui del tutto a mancare. Ma noi abbiamo l’idea della responsabilità, siamo fieri di esserne capaci; e il sentimento di ciò, profondamente radicato in noi, che si manifesta in modo così originario nel rapporto tra genitori e figli, questo sentimento steso a idea può gettare il ponte fra l’etica del prossimo e quella di colui che è lontano…
Dalla nostra opulenza si può quindi ben pretendere una limitazione. Sarebbe osceno predicare agli affamati dei paesi poveri della terra il rispetto dell’ambiente per il bene futuro e addirittura di quello globale. Il crudo bisogno quotidiano li costringe proprio a quel distruggere che condurrà ad un bisogno ancora maggiore negli anni successivi. Il fine di ogni aiuto allo sviluppo deve essere quello di liberarli anzitutto da questa costrizione, a cui dovrebbero però contribuire da parte loro almeno limitando le nascite.
Il potere tecnologico è collettivo, non individuale. Quindi solo il potere collettivo, e ciò significa alla fine quello politico, può frenarlo. Per questo attraverso la libertà politica anche ogni singolo è soggetto del nuovo dovere. Ma sono le maggioranze a decidere e queste non sono in genere dalla parte dell’altruistica lungimiranza, con la rinuncia all’interesse del momento che questa richiede. Quel che ho detto una volta a proposito dello “spettro della tirannia” è stato inteso non come monito ma come raccomandazione,; come se avessi parlato in favore della dittatura per la soluzione dei nostri problemi.Ciò che intendevo era che in situazioni estreme non resta spazio per i complicati processi decisionali della democrazia e che non dobbiamo nemmeno far sì che vi si giunga. La libertà di specie dell’uomo, la sua dote biologica, può perire solo con lui; ma la libertà politica, una forma particolare e storicamente rara di questa, può anche perdersi di nuovo.Prevenire la sciagura richiede cambiamenti nelle nostre abitudini di consumatori, quindi nello stile di vita di noi tutti, e con ciò nella intera struttura economica. Come questo possa accadere senza causare da parte sua sciagure come la disoccupazione di massa, che spaventerebbe ancor più del male da prevenire nel tempo, io non sono in grado di dirlo. Trovare qui un cammino percorribile sulla cresta di due abissi è un compito per gli economisti politici. Sicuramente ciò imporrebbe dei sacrifici rispetto alla libertà di mercato, ma la libertà politica può sopravvivere…
Una cosa deve esserci chiara in conclusione: una soluzione sicura per il nostro problema, una panacea per la nostra malattia non esiste. La sindrome tecnologica è troppo complessa ed è fuori discussione che si possa uscirne. Persino con una grande conversione e riforma dei nostri costumi il problema fondamentale non sparirebbe. Infatti, l’avventura tecnologica stessa deve continuare; già le correzioni rivolte alla salvezza esigono un impiego sempre nuovo d’ingegno tecnico e scientifico, che provoca i suoi propri nuovi rischi. Ciò significa che dobbiamo vivere in futuro all’ombra della minaccia di una calamità. Essere tuttavia coscienti dell’ombra, come appunto stiamo ora divenendo, diventa il paradossale spiraglio di speranza: esso non lascia ammutolire la voce della responsabilità. Questa luce non brilla come quella dell’utopia, ma il suo monito rischiara il nostro cammino, insieme alla fede nella libertà e nella ragione. Così alla fine, il principio-responsabilità e il principio-speranza si incontrano: non più l’esagerata speranza in un paradiso terrestre, bensì quella più modesta della vivibilità anche futura del mondo e in una sopravvivenza umanamente degna della nostra specie.

(Hans Jonas: Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità. Einaudi 1997).

4 commenti:

  1. La notevole lungimiranza/ragionevolezza di questo pensatore ebreo-tedesco emerge chiaramente non appena si consideri che 'Tecnica, medicina ed etica' è stato pubblicato originariamente nel 1985 (quindi ben 30 anni fa) ma pagine come quelle sopra riportate risultano ancora drammaticamente attuali...

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  2. Quote "contribuire da parte loro almeno limitando le nascite". O vale a dire i concepimenti. Il ministro della salute indiano si preoccupò al punto da progettare, probabilmente a spese del governo, l'installazione di una tv per ogni casa perché gli risultava che la popolazione trascorresse gran parte del tempo facendo sesso e da lì il susseguente natalismo sfrenato. peccato che mentre lui si preoccupava e con lui pochissimi altri, nel frattempo si dovesse ascoltare la solita trita e ritrita cantilena che non fu mai di alcun aiuto: "non hanno il cinema, non hanno il teatro, non hanno le uscite con gli amici nelle pizzerie alla moda, mica gli possiamo togliere anche quello che è l'unico divertimento che hanno?" peccato che non si capisca che alla fine della fiera non possiamo vivere di istinto come gli animali. vero è che senza istruzione non tutti ci arrivano, dunque bisogna puntare sull'alfabetizzazione del sud del pianeta. ma anche da parte dei paesi sviluppati finirla con questa musica. se cominciamo noi a ragionare con il piede sbagliato sopravvalutando l'istinto (non è credibile la storia del non riuscire a contenersi per più di una sola mezza giornata, andiamo! ma si può?) non arriveremo da nessuna parte, anzi, arriveremo si, ma alla rovina. peccato che mentre quattro gatti come noi stiamo qui a ragionare i più continuano a cantilenare....

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    1. Non per niente quell'altra aveva invece tentato la via delle soluzioni chirurgiche (volontarie e premiate). Funzionavano, pare, ma eh.... sono "disumane"! Dunque, basta, torniamo alla disumanità di quell'altro tipo e lasciamo che i poveracci patiscano per le situazioni legate al loro ammassamento. Non si capisce perché un tipo di disumanità debba essere considerata lecita e l'altra no, ma lasciamo perdere.

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  3. quello che funziona e con un minimo di buona volontà sarebbe pure umanissimo è alfabetizzazione e cultura. ma mantenere i popoli nell'ignoranza sembra proprio fare gran comodo. non è a caso se, e neppure serve allontanarci troppo per vedere, l'istruzione anziché essere un diritto, come in Brasile e in Argentina, già solo in Italia è un lusso: tasse scolastiche, ancora più alte tasse universitarie già nelle istituzioni pubbliche (in Brasile solo le private sono a pagamento), prezzi osceni dei libri, scuole dell'obbligo a volte pietose e ancor più pietosi licei ove le materie sono tutte obbligatorie (mica come negli Stati Uniti, dove gli studenti possono scegliere e quindi studiare con obiettivi mirati all'università che frequenteranno senza le nostre inutilissime perdite di tempo e anche di denaro, dato che i libri costano) e parecchie non saranno servite a nulla perché impediscono di utilizzare quel tempo per preparare approfonditamente quelle che saranno poi le universitarie. e qui meglio se mi fermo se no l'elenco sarebbe lungo. a malapena ce la caviamo noi, figuriamoci loro. niente comunque che con un briciolo di buona volontà non sia risolvibile ma appunto quella manca. in buona sostanza se i finlandesi e i danesi si trovano in situazioni socio-politiche mille volte migliori delle nostre e di quelle asiatiche e africane poi non ne parliamo, qualcosa vorrà pur dire. non sarà il Paradiso, neppure terrestre, ma sono comunque luoghi vivibilissimi e il rispetto per l'ambiente c'è eccome. loro non hanno neppur lontanamente bisogno di auspicare una qualunque dittatura (che poi, in un paese che soffre di gravi crisi di ordine pubblico non funzionerebbe mai come non ha mai funzionato, basti guardare anche solo oggi la deplorevole condizione della Corea del Nord per farsi un'idea) o lamentarsi della democrazia. se tutti gli altri non siamo come loro è colpa della cattiva volontà generalizzata, tra l'altro

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