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martedì 17 dicembre 2024
Tre quarti delle terre emerse sono più aride
"Tre quarti delle terre emerse sono diventate piu aride negli ultimi decenni". E ciò in modo permanente. A denunciarlo è un nuovo rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), secondo il quale il fenomeno riguarda il 77,6% della superficie terrestre.
La dichiarazione rientra nelle sparate degli organismi sedicenti ambientalisti che fanno capo all'Onu e alla ideologia sposata dall'organizzazione che riferisce ogni evento, naturale o meno, al cambiamento climatico, al chiaro scopo di portare avanti la battaglia terzomondista pro nascite e per l'immigrazione libera in occidente.
In realta' l'aridita' e la desertificazione non hanno nulla a che vedere con il cosiddetto cambiamento climatico.
La desertificazione deriva dall'abbattimento delle foreste, dallo sfruttamento intensivo delle terre, dall'utilizzo massivo dell'acqua per scopi agricoli, per allevamenti, per essere incanalata e usata dai centri abitati in forte espansione, per nuovi insediamenti produttivi, tutti fenomeni collegati all'esplosione demografica senza limiti, i cui maggiori esempi possiamo vedere in Africa o nel continente indiano. a cio si aggiunge lo sfruttamento delle terre, l'inquinamento con tossici delle acque, l'escavazione di milioni di tonnellate di terra da miniere, abbattimento e l'annientamento di savane e foreste allo scopo di estrarre terre rare, rame, e altri metalli utili alla fabbricazione dei nuovi motori elettrici (assolutamente green!) e delle batterie , dei componenti elettromagnetici dei rotori dell'eolico ecc.della cosiddetta economia green ecosostenibile. La Cina e un esempio di questa attivita devastante attività mineraria giustificata da motivi economici e di sfruttamento dei territori (la maggior parte dei quali non si trovano in Cina ma nelle "nuove colonie" cinesi dell'Africa o in sud america) a scopo - ironia delle motivazioni ideologiche- della sostenibilità ambientale!. L'Onu porta avanti la visione che accusa il cambiamento climatico al fine di riferire il tutto ad un unico colpevole: lo sfruttamento occidentale. Si tratta in realta di una colossale montatura che nega le vere cause dell'inaridimento delle terre, la sovrappopolazione umana, e porta avanti una ideologia terzomondista, pro-natalista e anti-occidentale.Dai Soloni dell'Onu si reclama il rispetto dei diritti umani universali (sic) ma a senso unico: la pretesa vale solo per Europa e Stati Uniti. Tutti gli altri sono esentati. La manipolazione della realtà ha assunto l'aspetto di una versa ossessione comunicativa, e il cosiddetto "cambiamento climatico" viene inserito a forza in ogni espressione dei media, dagli articoli sul turismo, a quelli sulla nutrizione, nei film, negli spot pubblicitari, nei social del web, con una propaganda martellante da far impallidire quella che usavano Goebbels o Stalin. Al contrario spesso sono proprio le energie rinnovabili la causa della desertificazione: basti pensare alla impermeabilizzazione delle terre e allo stop dell'agricoltura per le vaste aree destinate ai pannelli solari, la cui produzione e smaltimento sono ulteriore enorme contributo all'inquinamento ambientale. O le enormi strutture di cemento, acciaio e asfato necessarie alle torri eoliche con devastazione irreversaibile dei paesaggi naturali.
Aspettarsi dagli organismi dell'Onu la denuncia della vera causa della desertificazione, cioe l'enorme spaventoso e inarrestabile aumento della popolazione mondiale e delle connesse richieste di nuovi consumi e nuove produzioni, è impresa vana; le classi governative corrotte e criminali che governano tante autocrazie sfruttano l'ideologia green: più che le armi o il vecchio arnese del comunismo, la distruzione dell'economia occidentale passa oggi per la rivoluzione verde pseudo-ambientalista. Nel frattempo, nel silenzio generale, ogni anno circa cento milioni di nuovi consumatori e produttori si aggiungono alla popolazione mondiale.
sabato 2 dicembre 2023
La società concentrazionaria (e delle enclaves)
Come agisce sul pianeta la sovrappopolazione umana, l'enorme crescita dell'antropizzazione per l'eccesso senza precedenti delle nascite umane e per le trasformazioni e le attività connesse alla presenza umana? Come la sovrappopolazione sta cambiando la organizzazione stessa della società umana?
Da un lato si assiste allo spostamento di grandi masse umane nelle citta dando origine alle megalopoli odierne che in futuro caratterizzereranno ancora di più la presenza umana. Dall'altro la disomogeneita della crescita nelle diverse aree e popolazioni planetarie genera la creazione di spostamenti di massa, migrazioni, formazione di enclaves all'interno delle stesse megalopoli, enclaves che tendono a preservare le specificità etniche e culturali e che vanno tanto piu strutturandosi, quanto piu si assiste alla scomparsa delle nazioni intese come territorio di pertinenza di certe etnie e culture delimitato da confini tradizional. L'economia stessa si ristruttura: alle imprese mononazionali si sostituiscono quelle multinazionali, al commercio locale il commercio globale delocalizzato. Le enclave determinano convivenze di culture ed etnie diverse sullo stesso territorio, aumentando i rischi di conflitti all'interno delle megalopoli. Le diversita culturali persistono e a volte si rafforzano per la convivenza stretta ed esplodono in determinate contingenze storiche, come si puo vedere ad esempio nella societa nord americana dove etnie che convivono da qualche secolo conservano la conflittualita sotterranea, la quale esplode nei momenti critici.
i fenomeni di accentramento della popolazione hanno origine sia dall'aumento dei numeri della popolazione sia dalle facilitazione tecnologiche che assicura la citta moderna, che danno luogo alla velocizzazione e aumento dei consumi e della produzione. L'accentramento concentrazionario facilita l'organizzazione complessiva della società di massa, la quale prevede cambiamenti strutturali (l'architettura delle megalopoli) e culturali come i processi neo-identitari, la formazione delle enclaves.
Le città si trasformano e si assiste alla crescita della densita abitativa in enormi grattacieli, o palazzi di grande estensione con numerosi piani. La concentrazione delle masse nelle megalopoli avviene sia per migrazioni planetarie, dalle zone arretrate e in cescita demografica, sia all'interno dei singoli paesi con lo spostamento dalle campagne verso le citta. Il cosiddetto spopolamento delle campagne e tutt'altro che uno spopolamento: l'antropizzazione trasforma la campagna in servizio aceessorio alle megalopoli in crescita. La campagna diviene un aiuto al processo di concentrazione cittadino , un mezzo per fornire cibo, per offrire vacanze e tempo libero, un parco giochi per cittadini stressati.La campagna perde la sua autonomia, l'autosufficiena come mondo di tradizioni, si trasforma come il resto del paesaggio. Le montagne perdono di significato: divengono piste da sci e fruizione di divertimento o di sport (un consumo di massa). Il mare non è più il mito umano come nell'Odissea, ma fruizione di svago, le coste, aree da edificare per le esigenze di famiglia, per avere uno status. Le concentrazioni non si limitano all'economia, con le multinazionali, le imprese di consumo, le catene di supermercati, secondo quello che pensava Marx, ma si estendono all'uso del territorio cittadino sovrappopolato e tecnologicamente organizzato, in cui cultura, stili di vita, emotività e obiettivi sociali sono finalizzati alla ottimizzazione dei consumi. Il consumo di massa è consustanziale alle megalopoli le quali ne costituiscono l'aspetto strutturale, organismico.
L'economia di scala che caratterizza l'organizzazione delle citta' si estende a tutte le altre manifestazioni della societa come la sanità o l'organizzazione industriale. La prima guerra mondiale e'stata la prova generale della nuova società industriale e globale, in cui tecnologia e mobilizzazione di massa hanno trasformato i conflitti e la politica. L'intreccio tra tecnologia e natalità umana, tra risorse sanitarie e diminuzione della mortalità, sono aspetti che nell'ultimo secolo hanno guidato e determinato la trasformazione planetaria.
La trasformazione industriale e sociale è fotografata nel libro "l'uomo ad una dimensione" del filosofo Marcuse, scritto negli anni 70. L'uniformizzazione dei processi produttivi di massa, i consumi standardizzati globali, il venir meno delle culture nazionali (almeno in occidente), l'organizzazione della vita degli individui all'interno della grande macchina produttiva, Questi processi trasformativi si accompagnano alla crescita delle megalopoli, alla antropizzazione artificiale della superficie del pianeta, alla mobilità meccanica dei trasporti umani, alla rivoluzione del web come mezzo di espansione globale delle informazioni, alla uniformizzazzione del mondo.
L'effetto perverso della concentrazione sociale delle masse umane, della organizzazione delle megalopoli, consiste in una perdita di senso dell'individuo, tanto più paradossale in quanto il racconto dominante è di una liberta individuale senza precedenti. Ma questa liberta e soltanto nominale, virtuale. In realta l'individuo e libero di muoversi ma dentro una rete, all'interno di narrazioni e di vissuti predeterminati. Gli impegni di lavoro, i rapporti sociali, le dipendenze dai servizi, gli obblighi, le convenzioni, i doveri e gli stessi diritti contemperati con quelli di tutti gli altri, costringono a comportamenti uniformi, in cui lo spazio di libertà è tra bivi in cui le strade sono già predeterminate. Gli obblighi finanziari ci accompagnano dalla nascita alla tomba. L'illusione della libertà sfocia nella frustrazione,a volte nella depressione, nelle droghe. Lo stress e la perdita di senso crea un uomo senza qualità (descritto nel preveggente libro di Musil) , la cui felicita - evocata dai modelli pubblicitari che bombardano costantemente i singoli- è indicata nel consumo di merci fine a se stesso. Tanto più forte è questo modello, quanto maggiore è la concentrazione e la rigidità dell'organizzazione in cui milioni di individui sono costretti. Quando il mondo era diviso dai confini tra nazioni e culture, vi erano dei limiti che impedivano le grandi concentrazioni umane. L'artificio di consentire la crescita illimitata della città concentrazionaria, attraverso la creazione delle enclaves, è funzionale ai poteri economici e produttivi, ma prepara una società del conflitto "interno" di cui si possono appena cogliere le avvisaglie. La società del mondo sovrappopolato non sarà la società della giustizia climatica, ma quella del conflitto culturale e del disastro ecologico.
sabato 7 ottobre 2023
La strategia verde: dall'ambiente all'uomo
I verdi tedeschi sono uno dei partiti piu importanti in europa, anche per numero di voti, ed ha come programma politico quello ecologista, in teoria contro la distruzione ambientale e il riscaldamento climatico. Oggi il partito verde tedesco (in buona compagnia con i verdi italiani) ha fatto una svolta epocale assumendo come primo scopo politico l'accoglienza per gli immigrati, e il finanziamento delle ong dedicate alla migrazione. Il cambiamento puo essere definito ideologico: le battaglie sull'ambiente e sull'inquinamenro passano in secondo piano. Passano in secondo piano i diritti degli animali e dei loro habitat.
Sebbene il riscaldamento climatico rimanga al centro delle politiche verdi, diviene essenzialmente un argomento strumentale per favorire le migrazioni: è il riscaldamento globale che determina la fuga dai paesi di origine e il diritto e la necessità dell'accoglienza.
Al primo posto ora per i verdi mondiali si colloca l'uomo con i suoi diritti assoluti, il primo dei quali e' la libera migrazione da ogni luogo per ogni luogo (antropizzazione globale). La bomba demografica che travolgerà nei prossimi anni l'europa , oltre che la civilta e la cultura occidentali ( ma su questi ultimi si puo gia da ora mettere un amen) permetterà al mercato globale di prosperare a vantaggio di chi le frontiere le chiude e difende le proprie produzioni, la Cina in primis.I verdi tedeschi ed europei sono continuamente dediti all'azione politica per assicurare risorse finanziarie, assistenza, alloggi, facilitazioni al vasto movimento migratorio. Entro la fine di questo secolo la popolazione dell'Africa sarà piu che quadruplicata rispetto ad oggi: da un miliardo a quattro miliardi e mezzo. Solo la Nigeria a fine secolo ( poche decine di anni) avrà da sola piu popolazione di tutta l'europa. Questo significa che portare avanti la lotta per l'accoglienza e i diritti delle masse sempre piu numerose di migranti si prefigge lo scopo di assicurare la casa , le strade, il lavoro, le infrastrutture, l'energia, la mobilita, l'assistenza sanitaria,la produzione delle sostanze chimiche artificiali come liquidi industriali, pesticidi o farmaci, la produzione materiale, i consumi, lo smaltimento dei rifiuti, le stazioni, gli aeroporti, i traffici commerciali, la fabbriche, i supermercati, gli spazi abitativi, le espansioni di citta e megalopoli per decine e decine di milioni di nuovi abitanti delle gia devastate terre europe. Nuove aree verdi risparmiate finora dalla crescita antropica, saranno destinate alla cementificazione , alle strade, alle infrastrutture. Cosa c'entra tutto questo con la difesa dell'ambiente ? Il programma originario viene sacrificato alla nuova versione antropocentrica del credo ambientalista.
Sono lontani i tempi di "Primavera Silenziosa" della Carson o quelli di "The Population Bomb" di Paul Ehrlich, gli iniziatori della visione ecologista che denunciavano nella eccessiva crescita umana la vera causa del disastro planetario. Come se la distruzione delle specie e degli habitat non bastasse gli attuali verdi pretendono di destinare la superficie risparmiata dal cemento. le terre agricole, le campagne e le valli alpine, anche di aree ad elevato valore paesaggistico (un esempio sono le aree intorno ai grandi laghi come a Bolsena nel Lazio) ai pannelli solari e alle torri eoliche, gigantesche strutture di cemento e plastica con i loro rotori portatori di inquinamento acustico ed estetico. La letteratura scientifica ha descritto con abbondanza di dati i danni alle specie animali e vegetali di tali apparati artificiali. Le immense distese blu di pannelli, le torri, le strutture di servizio, come strade, accumulatori ed elettrodotti sono gli abbellimenti paesaggistici che gli attuali ambientalisti propongono per un futuro più "sostenibile". Allo stesso tempo i verdi sono oggi coloro che, non facendo nulla contro l'eccessiva natalità umana, stanno lavorando per la fine delle specie animali come l'elefante africano o i pochi gorilla rimasti, i rinoceronti, gli uccelli Diomedea e tante altre specie in pericolo. Non c'è traccia nelle loro incoerenti posizioni e proposte politiche, per la lotta contro la sovrappopolazione e per cercare di arginare la diffusione del cancro umano che attanaglia il pianeta.
domenica 23 luglio 2023
Dal blog dei climatologi
Pubblico questo post ripreso dal blog dei climatologi dell'Areonautica Militare. Come si puo vedere, non segue il pensiero unico imposto dalla narrazione dominante. Tra poco, seguendo quanto vorrebbero imporre gli ecologisti alla Bonelli, fare queste affermazioni potrebbe costare la galera. Stalin era solo una premonizione del nuovo giacobinismo verde-rosso. Ma finche' si puo'.....
Quando ero piccolo
Pubblicato da Massimo Lupicino il 19 Luglio 2023
Ricordo bene le vacanze di tanti anni fa, di quando ero piccolo. Già da piccolo guardavo più il cielo di qualsiasi altra cosa. E d’estate più che il cielo (regolarmente sereno, da queste parti) guardavo i termometri appesi sulle pareti del terrazzo di casa, o sullo stipite della finestra del salotto. E ricordo bene l’eccitazione di quando si segnavano nuovi record di temperatura.
Andavo e venivo dal terrazzo per prendere nota sul mio quaderno delle temperature ora per ora. E chi si dimentica quei 44 gradi del 1987, tutt’ora imbattuti? Era il 20 luglio o giù di lì, proprio come in questi giorni. Non era tempo di “global warming” quello, né tantomeno di “crisi climatica”, giacché i media ci raccontavano che era imminente l’arrivo di una glaciazione.
Quando ero piccolo aspettavo con trepidazione quelle giornate estive in cui si superavano i fatidici 40 gradi. Succedeva quando c’era vento di “faugno”, il vento che soffiando da sud-ovest e valicando l’Appennino, scendeva caldo e secco lungo i litorali adriatici pugliesi e quelli ionici lucani. Faugno era la versione dialettale dell’italiano favonio, non a caso. Ché già i nonni ci insegnavano che da queste parti quando soffiava il faugno i 40 gradi si raggiungevano e si superavano sempre, a luglio e ad agosto.
Strategie di adattamento
Nessuno si sorprendeva di quei 40 gradi, al contrario ci si adattava: tapparelle abbassate dove batteva il sole, ma con “i buchi aperti”, per far passare l’aria che in casa circolava grazie alle tapparelle tenute alzate sul lato dove il sole non batteva. Dopo mezzogiorno si invertiva la modalità di apertura delle tapparelle stesse, al ruotare del sole. Qualche ventilatore nelle stanze dove passavamo più tempo. E la sera finestre tutte spalancate, e pazienza se entrava qualche zanzara: si risolveva il problema con qualche tavoletta di VAPE nelle camere da letto.
La mattina si andava al mare, perché al mare un po’ di brezza si trovava sempre, e potevano esserci fino a dieci gradi in meno rispetto alle temperature registrate in città. Bastava un tuffo in acqua per rinfrescarsi. E poi c’erano gli amici con cui giocare, e le ragazze con cui fare gli scemi, o da guardare furtivamente perché in città giravano ancora con le gonne lunghe e ben coperte, anche d’estate.
Quando ero piccolo non si andava in giro per la città nelle ore più calde quando soffiava il faugno. La città alle due del pomeriggio era deserta. Del resto non c’era motivo per uscire: i negozi restavano chiusi fino alle 5 del pomeriggio, e non c’erano turisti sciamanti e tavolini buttati in ogni angolo della città a giustificare un “orario continuato”.
Oggi lo devono spiegare in TV, che è meglio non uscire se fuori ci sono 42 gradi, con contorno di virologo che esorta soprattutto “i fragili” a rimanere a casa. Quando ero piccolo questo termine orrendo non lo utilizzava nessuno: al più si sarebbe detto che chi usciva di casa alle 2 del pomeriggio con il faugno era fragile di mente. Ma si sarebbe usata sicuramente una espressione più colorita.
Questione di preposizioni
Oggi guardavo quello stesso termometro di quando ero piccolo. Di gradi ne segnava 10 di meno rispetto a quel fatidico 1987. Eppure in giro la gente si lamentava come se di gradi ce ne fossero 50. Sul tavolino del bar campeggia un giornale con un bollettino di guerra “climatica”: morti, feriti e temperature infernali. Il mio amico d’infanzia mi chiede: “ma davvero ci sono stati 49 gradi?” “No Carlo, ma quali 49 gradi”. “Ma qua c’è scritto”.
Gli spiego che quei 49 gradi di cui si scriveva nel giornalone erano “temperatura del suolo”, non la “temperatura al suolo” delle misurazioni ufficiali. Una preposizione che cambia tutto, che simboleggia la trasformazione della meteorologia di quando ero piccolo nella pagliacciata indegna della “crisi climatica” che domina ogni narrativa su qualsiasi mezzo di “informazione” di oggi.
Grande informazione
Maledetto il Guardian e il giorno in cui i giornalisti inglesi ci hanno informati che siccome la parola “Climate Change” non spaventava più nessuno, da quel momento si sarebbe usato il termine “Crisi Climatica”, che secondo gli psicologi avrebbe avuto un effetto più efficace sulla psiche dei lettori. O sulla psiche dei “fragili”, direbbe il virologo. E siccome di fragili di mente l’editoria nazionale abbonda, quel diktat del Guardian è stato recepito da tutti. Ma proprio tutti: non c’è nessuna trasmissione di “approfondimento” (meglio sarebbe sprofondamento) che in questi giorni non si premuri di spiegarci che ci sono 35 gradi a causa della “crisi climatica”.
Per esempio, oggi pomeriggio su Rai 1 c’era una trasmissione con un “inviato sul campo”. Si trattava di un giornalista (suppongo) che con tono tra l’afflitto e il concitato raccontava che in Sicilia era stata registrata la temperatura più alta d’Europa. Notiziona, perché le temperature più alte d’Europa notoriamente non si registrano a pochi chilometri di distanza dall’Africa: in Sicilia o in Andalusia, ma piuttosto sulle Highlands scozzesi, in Islanda e a Capo Nord.
Siccome i poco più di 40 gradi registrati non erano abbastanza, l’inviato aggiunge: “alcuni passanti mi hanno detto che i loro termometri sul balcone hanno segnato anche 48 gradi!”. I due conduttori in studio, entrambi coreograficamente armati di ventaglio, annuiscono scioccati. Quando la grande scienza si fa grande informazione sulla TV di Stato, ci si sente ancora più orgogliosi di essere italiani.
Mentre commentavo con epiteti irriferibili le trasmissioni in questione, mia madre si godeva l’aria condizionata: “senza condizionatori sarei già morta!”. L’affermazione non è casuale, perché su tutti i media si attribuiscono al caldo di questi giorni le morti di poveri cristi colti da infarto o ictus mentre si trovavano in spiaggia, o a passeggiare in città. Resta il fatto che mia mamma i condizionatori li paga cari, letteralmente. Perché l’elettricità costa più o meno il 500% in più del 1987. Le hanno spiegato che questo accade perché “ora siamo più green”, ma non mi sembra convinta che ne sia valsa la pena.
Chissà se anche in Ucraina si sta morendo di caldo, in questi giorni…Magari ce lo spiegherà il Guardian con uno scoop. Intanto il cugino del Guardian, il Times, informa il mondo intero che Roma è diventata una città africana. Estasiati, i media italiani rimbalzano la notizia, evidentemente orgogliosi del fatto che la castroneria del Times ha fatto crollare le presenze dei turisti stranieri, atterriti dalla prospettiva che la Crisi Climatica li colga di sorpresa sui sanpietrini della Capitale, accoppandoli senza pietà.
Non gli par vero, alla “grande editoria italiana” di aver trovato un nuovo argomento, dopo la “transizione energetica” e la “fedeltà atlantica”, per distruggere quel poco che resta dell’economia nazionale.
Ed è subito sera
Ho concluso la mia giornata con una visita serale al sito meteo (bellissimo, e aggiornato di fresco) dell’Aeronautica Militare. Siccome da quelle parti sono ancora seri come lo erano 40 anni fa, vengono riportati solo i dati “osservati” delle stazioni meteorologiche ufficiali. E in uno slancio vintage che ci fa tornare tutti bambini, vengono riportate quelle osservazioni soltanto per i capoluoghi di regione. Proprio come sulle cartine commentate da Bernacca o Baroni la sera in TV una quarantina d’anni fa.
Ebbene, le massime di oggi erano state di 40 gradi a Roma Ciampino, ma “solo” 33 gradi a pochi chilometri di distanza, sul mare di Fiumicino. 37 gradi a Firenze e a Bologna. 33 gradi a Milano, 32 a Torino. Appena 28 a Genova. 33 gradi a Napoli e 34 a Bari.
Mi immagino da piccolo, a vedere queste temperature sulla cartina di “Che Tempo Fa”, su Rai 1, illustrate dalla bacchetta di Baroni. Avrei pensato che si trattasse solo di una normale, calda giornata nel cuore dell’estate italiana. E avrei aspettato che il faugno arrivasse anche qua, per aggiornare i miei taccuini di osservazioni meteo. E per scappare al mare a giocare con gli amici, dopo essermi accertato che le tapparelle esposte a sud fossero tutte abbassate, ma “con i buchi aperti”, come volevano la mamma e papà.
Vorrei tanto tornare ad essere piccolo.
sabato 17 giugno 2023
La distruzione green degli Oceani
Nella foto un automezzo robottizzato sta per essere calato nei fondali oceanici per effettuare trivellazioni di prova alla ricerca dei metalli nobili della nuova economia green.
Il grande businness della produzione e vendita nei prossimi anni di un miliardo di vetture elettriche, di miliardi di batterie, di accumulatori, di motori magnetici per pale eoliche e di milioni di pannelli solari, e di tutto ciò che è connesso alla economia green ( ma non solo, anche di microchip e di armi di precisione) sta portando all'inizio della grande corsa verso i fondali oceanici, dove gli elementi nobili titanio, cobalto, manganese, litio ecc. e le terre rare necessarie alla nuova produzione, abbondano in modo superiore agli attuali giacimenti terrestri in Congo o in Cile. Come sempre ai primi posti nella corsa all'accaparramento c'è la Cina con le sue industrie di Stato, ma non solo : le multinazionali con sede a Bruxelles, l'americana Lokheed per le armi, la Tesla ecc.
Nel silenzio generale dei media, con le bocche tappate dei movimenti verdi che al riguardo tacciono in modo assoluto, si sta per realizzare la piu grande devastazione ambientale a livello planetario con operazioni di scavo, di estrazione, di sommovimento (anche con esplosivi), di abbattimento, di trascinemento, di frantumazione e di immissione di sostanze chimiche nei fondali oceanici, con la distruzione senza precedenti della biodiversita' e la rovina dell'ecosistema oceanico di assorbimento del carbonio e della liberazione di ossigeno (circa il 50 % dell'ossigeno in atmosfera viene dai fondali oceanici). E' una opèerazione che fa impallidire tutti gli altri tipi di inquinamento e devastazione industriale della terra e dei mari degli ultimi decenni. Le grandi multinazionali che hanno deciso la svolta green nell'economia, tra cui i colossi produttori delle rinnovabili, hanno avviato le procedure per iniziare l'esplorazione e i primi sbancamenti delle profondita oceaniche : una regione di pianure abissali ampia quanto gli Stati Uniti continentali, situata in acque internazionali e che si estende dalla costa occidentale del Messico al centro del l'Oceano Pacifico, appena a sud delle Isole Hawaii.
Allo scopo hanno ottenuto dall'ISA (agenzia Onu composta da circa 50 persone che ha autorita' su tutti i fondali in acque internazionali) i permessi per iniziare lo scavo dei fondali e l'inizio della estrazione del prezioso fondo oceanico che, oltre a contenere nelle proprie viscere i metalli rari preziosi per la produzione delle batterie, dei microchip, dellle armi e dei motori elettrici, costituiscono l'ambiente che supporta migliaia di nuove specie ancora sconosciute avviate alla distruzione senza neanche essere catalogate e studiate ( con importanti perdite non solo per la biodiversita, ma anche per la medicina e la biochimica, derivando molti farmaci e prodotti utili dalle componenti fisiologiche che sono il prodotto sintetizzato da innumerevoli specie naturali).
In nome della nuova religione green con i suoi idoli (Riscaldamento Climatico, Rinnovabili, Sostenibilità ecc.) si prepara così l'ennesima distruzione ambientale politicamente corretta. Il massacro degli oceani è ovviamente accompagnato dal solito silenzio: quello sulla responsbilità della crescita della popolazione umana senza limiti, cioè la vera causa di tutte le devastazioni ambientali del pianeta. E' proprio di questi giorni la notizia che le grandi multinazionali che guidano l'economia verde, sotto la guida di una holding controllata da Singapore, stanno preparando il piano per co-finaanziare con 150 miliardi di dollari la costruzione di 123 megalopoli in Africa, tutte alimentate -secondo i progettisti- con "energia sostenibile" (sic!), servizi idrici, trasporti e infrastrutture comprese, con buona pace (eterna) delle foreste e delle selve africane e della loro biodiversità. ( Le notizie su progetto Africa 123 le potete trovare sul Sole 24 ore del 9 giugno 2023 pag.11. )
Riporto di seguito l'articolo: " Salvare la Terra. Oceani Esclusi?", scritto da Giovanni Brussato per la rivista L'Astrolabio. Cercare l'argomento sulle riviste edite dai verdi e dai movimenti contro il cambiamento climatico e' inutile. Non troverete nulla. L'argomento non e' politicamente corretto...
Si apre l’era dell’attività mineraria negli oceani, necessaria a reperire i minerali per un passaggio accelerato alla mobilità elettrica e alle fonti rinnovabili elettriche intermittenti. Con incognite e rischi ambientali gravissimi per habitat che non conosciamo o di cui non abbiamo nemmeno cominciato a comprendere le caratteristiche.
Foto copertina: Un robot per l'estrazione mineraria dai fondali oceanici della Global Sea Mineral Resources sta entrando nelle acque del Pacifico il 20 aprile. Fonte Global Sea Mineral Resources- Gruppo Deme
L'Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) si sta preparando ad approvare il codice minerario che da luglio potrebbe innescare una corsa per estrarre i metalli necessari per alimentare la rivoluzione dei veicoli elettrici. Le associazioni ambientaliste internazionali, affiancate da molti enti di ricerca, affermano che metterebbe in pericolo i fragili ecosistemi marini e temono che l'ISA non stia valutando se estrarre questi minerali dai fondali marini, ma solo, come estrarli.
I timori per i rischi ambientali sono talmente gravi che hanno spinto persino BMW AG, Volvo, Google di Alphabet Inc. e Samsung SDI Co., preoccupati per la propria immagine, ad affermare, il mese scorso, di non essere disposti ad acquistare i metalli estratti dall'oceano fino a quando la ricerca non dimostrerà che questa attività non danneggia gli ecosistemi marini.
Cos’è che ci inquieta? Ci inquieta che un problema di questa gravità, l’assalto delle compagnie minerarie ai fondali oceanici, che mette a serio rischio il più grande ecosistema del Pianeta, giustamente sollevato da importanti organizzazioni ambientaliste internazionali e riconosciuto dalla scienza e dall’industria, non sia posto con adeguata efficacia all’attenzione dell’opinione pubblica e, tantomeno, del dibattito politico sulla transizione ecologica nei diversi paesi avanzati.
Ad esempio, la recente pubblicazione di “In too deep what we know, and don’t know, about deep seabed mining” da parte del WWF ci offre uno spunto di riflessione sull’evidente contraddizione tra le preoccupazioni espresse dagli esperti delegati a seguire questo specifico settore a livello internazionale e quelle che sono le indicazioni univoche delle stesse associazioni ambientaliste e dei loro apparati – fatte proprie dai Governi - per il contrasto al cambiamento climatico, ovvero auto elettriche e fonti rinnovabili elettriche intermittenti che richiedono grandi sistemi per lo stoccaggio dell’elettricità prodotta e, di conseguenza, enormi quantità di metalli necessari alla loro produzione.
Non è il primo caso, in effetti, perché analoghi dubbi ci erano venuti con “Deep Trouble. The murky world of the deep sea mining industry” di Greenpeace e, per dirla tutta, ci avevamo già pensato quando uscì “In deep water. The emerging threat of deep sea mining”. L’impegno minimo che ci saremmo attesi è quello di vedere tradotti e pubblicati questi contributi, posti all’attenzione mediatica di quanti nel nostro paese seguono con attenzione le vicende della transizione energetica ed hanno a cuore il bene del Pianeta.
Invece? Invece si tiene un profilo basso. Sembra di essere tra le associazioni di pescatori dove ci sono quelli d’acqua dolce e quelli d’acqua salata e gli uni non sanno niente dei problemi degli altri.
È come se gli ambientalisti – e i Governi –, pur riconoscendo il problema delle nuove miniere e delle loro incognite, non volessero vederne la connessione ai programmi di decarbonizzazione che vengono promossi e sostenuti in modo acritico.
Il problema, infatti, è più complesso di quanto sembri e mette in dubbio seriamente il supposto “basso impatto ambientale” delle transizioni energetiche fondate su pale eoliche, pannelli fotovoltaici e auto elettriche. Qualora l’attenzione mediatica si concentrasse su quanto avviene nei remoti uffici della ISA, la International Seabed Authority, potremmo scoprire che il nuovo codice minerario che si sta redigendo, in un opportuno silenzio, dovrà regolamentare la più grande estrazione mineraria della storia, i cui effetti per gli oceani sono ancora sconosciuti e non meno preoccupanti per il Pianeta rispetto alle estrazioni di combustibili fossili.
Gli attori di questa vicenda sono molteplici: dalle compagnie minerarie comeDeepGreen Metals ad aziende specializzate nelle attività offshore come Global Sea Mineral Resources (GSR) sussidiaria della società belga DEME o la UK Seabed Resources, una consociata interamente controllata da Lockheed Martin, uno dei più grandi produttori di armi al mondo oltre naturalmente ad altre società cinesi e di altre nazioni come la francese Ifremer.
Per tutte la motivazione è la stessa: il mondo non sopravvivrà se continueremo a bruciare combustibili fossili ed il passaggio ad altre forme di energia richiederà un massiccio aumento della produzione di tecnologie green. Su un pianeta con un miliardo di automobili, la conversione in veicoli elettrici richiederebbe molto più metallo di tutte le riserve terrestri esistenti e l'estrazione comporterebbe un pesante tributo ambientale e sociale. Pertanto, queste industrie non si definiscono più industrie minerarie ma piuttosto aziende nel business della transizione energetica: vogliono aiutare il mondo a uscire dai combustibili fossili con il minor impatto ambientale possibile. Quindi è la necessità di fornire veicoli a emissioni zero ad attirare l'attenzione a tre chilometri di profondità nell'Oceano Pacifico, dove le riserve di cobalto e nichel fanno impallidire quelle che si trovano nella Repubblica Democratica del Congo e in Indonesia, i maggiori produttori terrestri dei due metalli.
Quello che, del tutto incidentalmente, omettono è quello che invece l’intera comunità scientifica evidenzia: conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali oceanici, l'oceano profondo costituisce oltre il 95% dello spazio dove c'è vita sul pianeta, ma solo circa lo 0,0001% dei fondali marini profondi è stato studiato. I biologi scoprono nuove specie in quasi ogni spedizione di esplorazione scientifica, ci sono temi di assoluta rilevanza, come il ruolo degli oceani nel ciclo del carbonio planetario e le potenziali risorse per la medicina umana presenti nella vita biologica da comprendere compiutamente. L'attività mineraria rischia di modificare irreparabilmente, o distruggere, habitat che non conosciamo o di cui non abbiamo nemmeno cominciato a comprendere le caratteristiche.
Come dicono all’Ocean and Marine Wildlife Conservation Initiatives (worldwildlife.org):“È importante. Perché rischiamo di perdere per sempre qualcosa di cui non abbiamo ancora nemmeno conosciuto l’esistenza”.
Eppure, su questi rischi, nel nostro paese – e negli altri paesi avanzati protagonisti della transizione – non si dice neppure una parola, quasi non ci riguardassero o forse perché toccano nervi scoperti, aspetti contraddittori di una decarbonizzazione spinta di cui non sono ancora chiari né gli esiti né i costi. Le stesse dichiarazioni delle compagnie minerarie inconsapevolmente squarciano il velo di riservatezza sui reali costi sociali ed ambientali. Dovremo estrarre enormi quantità di metalli devastando innumerevoli ecosistemi. Li useremo soprattutto nei nostri paesi ricchi ma non li estrarremo noi: li estrarranno compagnie minerarie multinazionali che li venderanno al miglior offerente. Oppure, come frequentemente avviene, li acquisteremo dalla Cina che detiene il controllo della produzione delle tecnologie verdi. La stessa Commissione Europea afferma sommessamente che potrebbe prefigurarsi per l’Europa una dipendenza da queste materie prime superiore a quella dei combustibili fossili. Ma questa è ancora un’altra storia.
*Giovanni Brussato è l’autore di “Energia Verde? Prepariamoci a scavare” edizioni Montaonda,
Una decarbonizzazione rapida e profonda in tutto il mondo è lo scenario elaborato dalla IEA (International Energy Agency) per riuscire a contenere l’aumento delle temperature medie nel modo più rapido possibile, e prevede l’impiego massiccio delle tecnologie conosciute come green: pannelli fotovoltaici, impianti eolici, sistemi di accumulo e mobilità elettrica.
La costruzione di questi dispositivi richiederà enormi quantità di risorse non rinnovabili.
Per sostenere la richiesta la World Bank stima che nei prossimi 25 anni sarà necessario estrarre 3,5 miliardi di tonnellate di metalli, una quantità colossale: estrarremo più rame nel prossimo quarto di secolo che in 5000 anni di storia dell’umanità.
La carenza di efficaci tecnologie per il riciclo dei materiali provenienti dall’obsolescenza dei dispositivi comporterà inoltre la produzione di enormi quantità di rifiuti.
L’autore analizza gli impatti di simili obbiettivi su più livelli.
Dal punto di vista estrattivo realizza un percorso attraverso il Pianeta per descrivere gli impatti ambientali e sociali dell’industria mineraria, dai boschi dell’Alaska alla foresta andina ecuadoregna, dal deserto di Atacama all’isola di Sulawesi, fino a prendere in considerazione l’intenzione, già avanzata da più parti, di sfruttamento minerario dei fondali oceanici.
Descrive quindi le principali conseguenze legate all’attività estrattiva: dal drenaggio acido, che contamina le risorse idriche, ai potenziali disastri legati alle dighe di sterili, come quelli avvenuti di recente in Brasile, alle diverse conseguenze dell’estrattivismo sulle popolazioni locali.
Ma in particolare la verità scomoda è che la maggior parte dei metalli viene e verrà consumata dai cittadini di una manciata di nazioni ricche, mentre le conseguenze ambientali, sociali e culturali, ricadono e sempre più ricadranno sulle popolazioni delle nazioni povere da cui vengono estratti.
Completano l’analisi considerazioni di carattere geopolitico, che evidenziano come queste materie prime critiche, fondamentali per centrare gli obbiettivi degli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, comportino una dipendenza nelle forniture da Paesi in diretta competizione per i medesimi obiettivi, come la Cina, evidenziando come la dipendenza attuale dai combustibili fossili verrà sostituita da una dipendenza dalle materie prime.
sabato 20 maggio 2023
Peppone e Don Camillo svelano la bufala sul clima
Corre su tutti i media e sui social la narrazione che le alluvioni, sempre esistite in Italia, siano dovute al "Riscaldamento climatico" che tradotto significa: alla nostra economia, all'alta concentrazione della Co 2 in atmosfera conseguente all'uso di idrocarburi come fonte di energia. Posto che il consumo di idrocarburi dell'intera Europa influisce sull'8 % delle emissioni di carbonio, e quello della sola italia per meno dell'1 %, bisogna constatare che le alluvioni, meraviglia, esistono da molti secoli e che ,stando solo agli ultimi decenni, ne sono accadute tante in Italia, anche negli anni 40-50-60-70 in cui la concentrazione di carbonio in atmosfera era inferiore ad oggi. Una bella foto che riporto sotto il titolo,con Gino Cervi in barca nel piccolo comune del reggiano allagato, tratta dal film di Peppone e Don Camill0 (1953) -scena girata durante l'alluvione della bassa reggiana del '51- , ci fa vedere come le alluvioni in Emilia e Romagna fossero frequenti anche in anni lontani. Che questa narrazione del riscaldamento climatico sia tutta una bufala? Riporto un paio di articoli: il primo sull'alluvione del polesine (1951) in zone che hanno interessato in parte gli stessi luoghi della odierna alluvione, e il secondo, un articolo del foglio che fa la cronistoria delle alluvioni recenti in Emilia Romagna. Una foto a fine articolo ci ricorda la violenta alluvione in Toscana del 1966.
14 NOVEMBRE 1951: L’ALLUVIONE DEL POLESINE
Il 1951 fu un anno particolare. Da gennaio a ottobre su tutto il territorio nazionale si susseguirono piogge, inondazioni e frane che complessivamente causarono oltre 150 morti, 90 dei quali nel solo mese di ottobre in Calabria (72), Sicilia (12) e Sardegna (6). Nei primi giorni di novembre il nord Italia venne colpito da piogge intense e persistenti che in val Padana raggiunsero l’apice tra il 6 e il 12. In questi sei giorni sul bacino del Po vennero misurati mediamente circa 30 millimetri di pioggia al giorno, con picchi che superarono anche di quattordici volte la media mensile dei cinque anni precedenti. Una tale quantità di acqua, caduta su terreni già saturati dalle piogge del mese di ottobre, determinò la piena di tutti i corsi d’acqua del bacino. I primi fenomeni di dissesto geo-idrogeologico si verificarono in Piemonte e in Lombardia, dove si registrarono anche alcune vittime. Il Po crebbe velocemente, ingrossato dalle acque di tutti i suoi affluenti di destra e sinistra e col deflusso verso il mare ostacolato da venti di Scirocco. Tra l’11 e il 12 novembre il fiume ruppe nella zona del parmense, sommergendo migliaia di ettari di terreno. Due giorni dopo la piena raggiunse il Polesine. Con questo nome si identifica l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia. Questo territorio pianeggiante è caratterizzato da ampie depressioni, con molti ettari a quote inferiori al livello del mare. Per fronteggiare i ripetuti allagamenti nel tempo erano stati costruiti canali e argini che, danneggiati durante il periodo bellico e malridotti per la scarsa manutenzione, si trovavano in precarie condizioni. Particolarmente critica era la situazione nel tratto fra Santa Maria Maddalena e Occhiobello, e fu proprio in questa zona che il giorno 14 novembre l’argine cedette, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia. Le rotte furono tre, in rapida successione: la prima, che raggiunse i 220 metri di lunghezza, si verificò nel tardo pomeriggio nel territorio di Canaro, a Paviole; le altre due, lunghe rispettivamente 312 e 204 metri, si aprirono nel comune di Occhiobello, a Bosco e a Malcantone. In poche ore le acque dilagarono e raggiunsero, rimanendovi bloccate, l’argine della Fossa Polesella, un canale navigabile di comunicazione tra il fiume Po e il Canalbianco che produsse una sorta di effetto diga. Per favorire il deflusso verso il mare, sarebbe stato opportuno aprire dei varchi nell’argine, ma le autorità tergiversarono e così le acque iniziarono a risalire anche verso monte. L’enorme quantità di acqua proveniente dalle rotte ben presto superò la quota dell’argine della Fossa e si riversò anche nel Canalbianco, dove si aprirono alcune rotte in sinistra mettendo a rischio i due maggiori centri del Polesine, Adria e il capoluogo Rovigo. Adria venne completamente inondata. Oltre 20 mila persone rimasero bloccate in città e isolate per diverse ore, prima di essere tutte evacuate. A Rovigo, dove era stato organizzato il quartier generale dei soccorsi ed erano stati ospitati molti sfollati, le acque furono in parte trattenute dall’argine del canale Adigetto che, fungendo da diga, salvò il centro storico.
Area inondata (Mappa modificata da E. Migliorini, UTET, vol IV, 1962) area inondata
Difficile quantificare il volume delle acque che per undici giorni sommersero almeno 1.170 chilometri quadrati di terreno, raggiungendo in alcuni punti la profondità di sei metri, le stime oscillano fra i tre e gli otto miliardi di metri cubi. Dopo circa una settimana dalle rotte del Po le acque raggiunsero finalmente l’Adriatico e il livello dell’esondazione iniziò a scendere. Tuttavia gli argini della Fossa Polesella costituivano ancora un ostacolo al deflusso e si decise di farli saltare. L’operazione venne portata a termine tra il 24 e il 26 novembre, dopo alcuni tentativi e con oltre 70 quintali di tritolo. I tre varchi di Canaro e Occhiobello furono chiusi poco più di un mese dopo le rotte, mentre le strutture arginali vennero ricostruite nel corso del 1952.
Il numero totale delle persone coinvolte fu molto alto: 101 morti, sette dispersi e circa 180.000 tra sfollati e senzatetto. La maggior parte delle vittime si registrò a Frassinelle, nella notte fra il 14 e il 15 novembre. La dinamica dell’accaduto è ancora oggi non del tutto chiara. Di sicuro si sa che un camion adibito al trasporto degli sfollati, inadeguato ad accogliere il gran numero di persone che vi erano salite, finì per impantanarsi e venne completamente sommerso dalle acque. Alla fine persero la vita 84 persone, molti annegati, altri per sfinimento e per il freddo.
ALLUVIONI IN EMILIA ROMAGNA DAL 1949:
La solidarietà con i romagnoli è rafforzata dal lavoro sulla memoria. Il lavoro sulla memoria non si esercita nel fluire continuo del presente sulle piattaforme social; il suo strumento si sofferma invece sulla carta indelebile su cui gli studiosi del passato posavano i fatti. Ecco che cos’è accaduto dal 1945 al 1990 in Romagna durante le due classiche stagioni delle piogge, cioè primavera e autunno, secondo le “Memorie descrittive della carta geologica d’Italia”, di Vincenzo Catenacci, Servizio geologico nazionale, stampato dall’Istituto poligrafico e zecca dello stato 31 anni fa. Tutti i verbi sono al tempo presente, modo indicativo: come se fosse oggi.
Il 27 novembre 1949 in provincia di Ravenna il Senio rompe l’argine e allaga 2.200 ettari.
Il 5 dicembre 1959 a Sant’Agata in provincia di Ravenna il Santerno sommerge 3.300 ettari.
Il 27 dicembre 1961 il Marecchia in piena sbriciola il ponte di Santarcangelo di Romagna mentre vi passava un’auto; annegano le tre persone che vi erano dentro.
Autunno 1963. Frane e allagamenti in Romagna e in Emilia per le piogge torrenziali. In provincia di Forlì crolli a Bagno di Romagna, a Civitella Romagna (2 frane), a Predappio (5), a Premilcuore, Santa Sofia, Sarsina, Torriana, Verghereto. In provincia di Ravenna crollano terreni a Brisighella, con 11 frane tra le quali quella di Monticello che travolge anche la chiesa e la canonica di Monticino e lambisce il centro di Brisighella; ma anche a Casola (7 frane) e a Riolo Terme (4 frane). In Romagna le frane di quei giorni coprono in tutto circa 1.700 ettari.
Il 4 novembre 1966, mentre vanno sott’acqua Firenze e Venezia, il Senio tracima a Passo Donegallia e inonda 2.200 ettari.
L’anno 1973 è devastante. Dal 1° gennaio al 1° ottobre ci sono decine e decine di alluvioni in tutta la regione. Il 7 e l’8 marzo 1973 a Ravenna la rete di fossi non riesce più a smaltire l’acqua e sono allagati 20 chilometri quadri fra città e campagna. Il 27 settembre 1973 a Cesena il torrente Pisciarello allaga le campagne fra Ponte Pietra e Casone e interrompe la statale 304.
Il 19 agosto 1977 un nubifragio (non è ancora stata inventata la locuzione corriva “bomba d’acqua”) allaga Cattolica e San Giovanni in Marignano.
Nel 1978 crolla ancora la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno (Forlì). Il paese si affaccia su uno sperone alto su un’ansa del torrente Borello; la parete verticale di roccia continua a cedere da secoli. Una parte dell’abitato fu sbriciolata nel 1819, poi attorno al 1955. Accadrà ancora.
Nella primavera del 1978 a Brisighella (Ravenna) in località Zattaglia la frana sul torrente Sintra si rimette in movimento e sprofonda nel letto del fiume; danneggia due case abitate e distrugge un capannone.
Nel marzo 1985 le piogge primaverili rimettono in movimento la frana di Case Gamberini a Bagno di Romagna, vicino al corso del Savio. I geologi classificano il fenomeno come “franamento di tipo rotazionale con colamento al piede”. Danni alle abitazioni, a un’osteria e alla provinciale 26.
Nel 1986 si risveglia la frana di Linaro, frazione di Mercato Saraceno. La pioggia battente sbriciola altre parti della parete di roccia; si sgretola e precipita la porzione di un cortile; parti di edifici restano sospese nel vuoto. A Pescaglia, in comune di Sarsina, il terreno smotta e danneggia diverse costruzioni; a rischio la statale 71 umbro-casentinese e la provinciale fra Sarsina e Ranchio. La rupe che sovrasta Torriana minaccia di cadere sulle case lungo la provinciale per Montebello.
Nel dicembre 1988 viene rinnovato secondo i nuovi criteri il censimento regionale del rischio idrogeologico. Sono 152 in 80 comuni i centri abitati da consolidare o addirittura da trasferire subito senza-se-e-senza-ma. In provincia di Forlì sono 22 gli abitati a rischio all’interno dei comuni di Bagno di Romagna, Cesena, Civitella, Coriano, Meldola, Mercato Saraceno, Montefiore Conca, Montegridolfo, Portico San Benedetto, Predappio, Santarcangelo, Santa Sofia, Sogliano al Rubicone, Torriana, Verghereto e Verucchio. In provincia di Ravenna sono a rischio 4 paesi nei comuni di Brisighella e Casola Valsenio.
Il 2 settembre 1989 un nubifragio allaga diverse zone del Ravennate e inonda la riviera fra Porto Corsini e Cervia.
PS: Fino agli anni 90-2000 quelle che oggi si chiamano bombe d'acqua (perché il termine si adatta alla narrazione del cambiamento climatico), venivano chiamate nubifragi, temporale, forte pioggia e altre locuzioni simili. Erano la stessa cosa, con o senza riscaldamento climatico. (Da "Il Foglio" 19 maggio 2023).
Firenze alluvionata, 1966
martedì 9 maggio 2023
Professore Battaglia: "I Cambiamenti climatici non dipendono dall'uomo"
Il Professor Franco Battaglia, docente di Chimica fisica all'Università di Modena , tra i massimi esperti in Italia di questioni climatiche, asfalta i catastrofisti climatici. L'uomo non è responsabile di alcun cambiamento climatico, e il carbonio fa bene alla biosfera (è il principale alimento e costituente delle piante). L'uomo è un cancro per l'ambiente terrestre ma per la crescita spropositata della popolazione e l'inquinammento ad essa collegato, allo sviluppo delle megalopoli, alle strutture artificiali, alla cementificazione, allo sfruttamento delle risorse idriche, all'estrazione di metalli e minerali e in genere all'attività propriamente umana di trasformazione dell'ambiente naturale e di distruzione delle specie e della biodiversità.
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