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sabato 24 giugno 2017

Il ritorno delle tribù

E' dal gennaio del 2017 che al Viminale si vedono strani personaggi di carnagione olivastra o francamente scura con abiti variopinti. Sembrano arrivare dal deserto, ed in effetti è così. Si incontrano con funzionari del ministero o a volte con lo stesso ministro Minniti. Si tratta di capi clan del deserto del Fezzan nel sud della Libia. Cosa vengono a discutere gli sheik libici con il ministero degli interni italiano? Di varie cose, ma essenzialmente di terrorismo jihadista, di traffici illeciti di esseri umani e di investimenti per lo sviluppo delle aree più remote del Fezzan. Il governo italiano confida sugli sheik per arrestare il flusso interminabile di popolazioni subsahariane che cercano di raggiungere l'Italia via mare. Anche se di poco, finalmente qualcosa si muove, dopo anni di immobilismo (gli anni di Alfano per intenderci). Cosa indicano questi strani incontri? Che per risolvere crisi epocali ormai le grandi potenze contano poco, e che bisogna tornare a trattare con i capi tribù.
Non è solo un fenomeno che ha a che fare con l'Italia. Anche Petreus, l'ex capo delle operazioni militari americane in Medio Oriente, per risolvere almeno in parte la guerriglia in Iraq dovette discutere e arrivare a compromessi con gli sheik delle tribù irachene. Del resto, come spiega Maurizio Molinari nel suo ultimo libro: il ritorno delle Tribù, nel mondo arabo-musulmano Stati come Libia, Siria, Yemen, Iraq e Somalia si sono polverizzati in realtà locali, claniche, tribali e militari in conflitto tra loro e altre nazioni come l'Egitto, il Libano e l'Algeria temono di subire analoga sorte non riuscendo a esercitare la piena sovranità su parte dei propri territori. Il ritorno delle tribù non è solo un fenomeno mediorientale. Anche in Occidente si assiste alla fine dello Stato nazione, senza che si intraveda una soluzione alternativa. Da noi il processo che ha portato alla fine delle stato-nazione viene da lontano, con i grandi conflitti europei del 900.Dopo l'esito catastrofico di quei conflitti, si è cercato di costruire una sovrastruttura Statale come la UE che potesse creare nuove aspettative al posto degli interessi nazionali, ma anche l'Unione Europea sembra cedere sotto la tendenza alla frammentazione tra singole entità loco-regionali e, addirittura, ad una regressione a disuguaglianze e plurime etnie che minano alla base ogni ideale di unità. Si tratta di un effetto di due fattori tra loro collegati: la grande crisi economica che dall'inizio del terzo millennio ha accompagnato la globalizzazione dell'economia, e l'esplodere degli effetti della sovrappopolazione planetaria con il collasso ambientale e gli epocali spostamenti di popolazioni in cerca di risorse e benessere. Le società dei paesi occidentali hanno subito così anche esse una sorta di tribalizzazione: l'impoverimento ha portato a maggiori conflitti interni, a posizioni di estremismo, a populismi ma anche a imposizioni del politicamente corretto da parte delle classi dominanti che perseguono i loro interessi. Lo Stato si è trasformato così da campo di conciliazione tra interessi diversi, in campo di conflitto aperto tra gruppi contrapposti. Il popolo ha perso la sua unità frammentandosi su posizioni poco conciliabili tra loro. Il sentimento di appartenere ad una nazione e ad una patria si è annullato. E' emblematico, nel marasma generale dei valori in Occidente, un piccolo episodio avvenuto durante i colloqui al Viminale. Mentre da noi si discute di togliere ogni valore di appartenenza con lo ius soli, i capi tribù libici - come racconta Molinari nel suo libro- così hanno risposto a Minniti che chiedeva quali valori e quali punti di vista volessero portare avanti gli sheik: "noi ci riconosciamo nel valore del sangue e dell'onore". Minniti, rappresentante di uno stato che non ha ormai più nessuna appartenenza e considera ogni richiamo alla propria etnia come razzismo, se l'è cavata rispondendo che da calabrese poteva capirli bene.
Il fenomeno dei migranti crea un collegamento diretto tra l'indebolimento degli stati da cui provengono, in Africa e Asia, e il malessere sociale di quelli dove arrivano, in Occidente. Il processo di frammentazione delle democrazie industriali è in pieno svolgimento su entrambe le sponde dell'Atlantico e investe anche l'Italia. Il prevalere su scala globale degli interessi delle potenze russa e cinese, poco attente ai valori democratici, riflette il crearsi di nuovi autoritarismi anche su scala globale oltre a quella locale. Le tribù si espandono, lo stato di diritto arretra.
La crisi dello stato nazione si vede chiaramente nelle periferie delle grandi città europee: si assiste infatti alla creazione di nuove enclave "tribali" dove a zone abitate in prevalenza dalle classi medie impoverite autoctone (dire italiane ormai suona strano), si alternano zone abitate quasi esclusivamente da popolazioni immigrate che portano con sé le proprie abitudini e la propria religione. E' facile che tra queste comunità parcellizzate, in presenza di uno stato che non ha più autorità e valori da far rispettare, si generino conflitti e contrasti anche violenti, come già avvenuto in molte città del nord europa. Ed anche la percezione della sicurezza collettiva vien meno, generando paure ed estremismi più o meno populistici. Quello che colpisce è la sensazione di fallimento della democrazia nella capacità di guidare e controllare gli impetuosi processi di cambiamento delle nostre società e della geopolitica mondiale. La democrazia perde il significato che aveva prima : di partecipazione di un popolo alle decisioni politiche principali attraverso istituzioni rappresentative, per trasformarsi in società conflittuali dove si contrappongono i diritti di gruppi opposti costituiti o da gruppi economici (classi impoverite, lavoratori, disoccupati ecc.) o da gruppi etnico-culturali (islamici, orientali, africani ecc.). Le vecchie istituzioni, fatte per lo stato nazione, non reggono alla crisi e si aprono prospettive che possono evolvere o in nuovi equilibri o in esplosioni di violenza. In presenza di regole non condivise, il declino economico diviene stabile e porta alla insicurezza sociale diffusa. Alla trasformazione cui stiamo assistendo sotto i nostri occhi contribuisce in maniera decisiva l'esplosione demografica incontrollata che aggrava sia la crisi economica e la fine dello stato nazione, che il collasso ambientale. Ma di questo purtroppo nessuno parla, e neanche nel libro , pur interessante e condivisibile di Molinari, si trova alcun cenno al problema.

14 commenti:

  1. << Le vecchie istituzioni, fatte per lo stato nazione, non reggono alla crisi e si aprono prospettive che possono evolvere o in nuovi equilibri o in esplosioni di violenza. >>

    In effetti è possibile che lo Stato-Nazione sia in declino e che il futuro sia un ritorno alla tribalità.
    D'altra parte questo è l'unico tipo di aggregazione umana in accordo con le nostra natura biologica, essendo fondata sull'altruismo genetico.
    Lo stato nazione, invece, è esclusivamente una sovrastruttura culturale; è abbastanza logico quindi che, in un momento di grave crisi, possa andare in frantumi.

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    1. Lo stato-nazione ha struttura prettamente tribale, il nazionalismo e' una forma pressocche' pura di tribalismo, sviluppatosi nella contrapposizione tribale.

      Guardiamo al tribalismo che si manifesta nel tifo sportivo: e' il piu' potente e istintivo, eppure non ha nulla ne' di genetico, ne' di economico, e neppure culturale. E' contrapposizione tribale pura, essenziale, lotta fra gruppi, altruisti al loro interno ed egoisti verso gli altri gruppi.

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  2. Se vi interessa qui c'e' l'intervista a Molinari, di Minoli:

    http://audio.radio24.ilsole24ore.com/radio24_audio/2017/170608-mix24-s.mp3

    A me sinceramente sembra un compitino da scuola media, dove c'e' il tema da svolgere e bisogna inventarsi un po di fregnacce per riempire le 4 facciate, ci sono montagne di controesempi da contrapporre a cio' che sostiene. Vaben, chi si accontenta gode.

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  3. Forse e' una semplificazione ma Molinari dice, in modo appunto più' semplice, le cose che dicevo io in questo post del luglio 2016: http://sovrappopolazione.blogspot.it/2016/07/la-triste-fine-del-laicismo-illuminista.html
    Che l'illuminismo e la democrazia occidentale (sia nella forma dello stato nazionale che in quella dello stato di diritto) sia in crisi, e forse agonizzante, e' sotto i nostri occhi. Si tratta di leggere la realtà' andando un po' oltre la banalizzazione della politica nostrana e spesso anche della cultura del politically correct dominante.

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    1. Ok, ma che il mondo arabo sia diviso in tribu' e' la scoperta dell'acqua calda, il mondo arabo e' SEMPRE stato diviso in tribu', tranne quando gli e' stato imposto diversamente dall'occidente invasore, coi suoi modelli di stato nazione del tutto estranei a quella tradizione.

      In europa e in occidente pero', lo stato nazionale ha natura tribale anch'esso, solo che la tribu' e' estesa a tutta la nazione, e si e' sviluppato e ingrandito nella dialettica contrappositiva con altre realta' analoghe. Il suo acme l'ha raggiunto coi totalitarismi nazi-fascisti del secolo scorso.

      Se al momento sembra perdere colpi, e' solo perche', con la globalizzazione delle comunicazioni, dell'informazione, del commercio, del turismo, non ha piu' un chiaro nemico a cui contrapporsi, le contrapposizioni avvengono su altri fronti e fra altre entita'.

      Lo sfaldamento degli stati in realta' piu' piccole sta avvenendo da diversi decenni, se non erro nel frattempo il numero degli stati e' cresciuto di una cinquantina di unita', e cio' sembra dovuto al fatto che con il progredire delle relazioni basate sul diritto e il diminuire di quelle basate sulla forza, diminuisce anche l'importanza della dimensione per far valere le proprie ragioni, da cui il prevalere della forza centrifuga su quella centripeta. Gli stati piu' piccoli funzionano meglio.

      Quindi lo spezzarsi delle grandi unita' socioterritoriali e' dovuto al progredire della civilta', non al suo regresso, all'aumentare delle relazioni basate sul diritto e non sulla forza. In sostanza lo stato nazionale moderno, quello che giungendo al suo acme coi nazifascismi ha portato al collasso e quasi alla completa autodistruzione l'europa, deve il suo regredire al fatto che non ha piu' un nemico contro cui combattere. Cio' che lo teneva assieme era solo la necessita della violenza.

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    2. "Quindi lo spezzarsi delle grandi unita' socioterritoriali e' dovuto al progredire della civilta', non al suo regresso"
      Infatti anche Molinari non da un giudizio del fenomeno, ma lo descrive oggettivamente. Del resto il concetto di progresso è ormai defunto, sostituito giustamente da quello di sostenibilità e sopravvivenza planetaria. Quanto a definire tribale lo stato nazionale, mi sembra una semplificazione. Ogni civiltà ha la sua storia, anche se in tempi di relativismo tutte le storie vengono egualizzate. Ma lo stato occidentale ha le sue origini in Platone e Aristotele, nel diritto Romano, in Machiavelli ed Hobbes, in Rousseau ed Hegel. Ed anche quando si supera il concetto di nazione (concetto eminentemente romantico) è in Kant e nell'Illuminismo che si trovano le basi razionali per la persistenza del concetto di Stato. Tutto questo le tribù cenro-africane o del deserto arabo non ce l'hanno (ma con questo non si intende svalutare la loro cultura e il loro valore).

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    3. Si' pero' tutta questa grande cultura alla fine, appena il razzismo scientifico e post-illuministico gliene ha dato il pretesto, ha raggiunto il plateau con i nazional-socialismi del nazifascismo.
      "Lo stato siamo noi" del nostro famoso costituzionalista Calamandrei e' un proclama tribale.

      Secondo me la peculiarita' dello Stato, al contrario di quanto sottinteso, e' nel suo essere istituzione organizzata e gerarchica che permette l'estensione del dominio tribale ad assembramenti numerosissimi di persone altrimenti ingestibili. Questa e' la sua unica peculiarita': la dimensione, non la qualita'.

      L'atropologia primaria dell'uomo e' ricorsivamente tribale, balza all'occhio (perlomeno al mio) in ogni gruppo e sottogruppo umano di qualsiasi dimensione. Tribale e abbisognosa sempre di un nemico (capro espiatorio) reale o immaginario, per tenere in piedi la finzione sociale (oggi e' di moda la sostenibilita').

      Poi l'affermare che noi siamo civili e loro solo dei poveri selvaggi, questo vale poco o niente, dato che lo dicono tutti, anche "loro": dando prova ulteriore dell'insopprimibilita' del tribalismo antropologico a tutti i livelli della gerarchia.

      Che il concetto di progresso sia defunto ho i miei dubbi, e' intrinseco nella natura stessa, con o senza l'uomo, la quale invece nel suo complesso ignora del tutto cosa sia la sostenibilita', se non a piccola scala. La sostenibilita' e' solo un sottoprodotto involontario, un equilibrio dinamico e instabile della lotta di miriadi di insostenibilita', cosa che vale anche per l'uomo.

      La sostenibilita', nell'uomo, e' solo la vecchia aspirazione alla vita eterna, l'espressione dell'ego smisurato dell'uomo che tutto vuole dominare e controllare per il suo uso e consumo, anche quando fa finta di essere altruista, e anche questo balza all'occhio (perlomeno il mio) pure nei gruppi ambientalisti e sostenibilisti di moda oggi. Hanno solo paura che, se cambiano troppo le condizioni del mondo in cui vivono, dovranno cedere qualcosa del loro privilegio di oggi: vogliono solo congelare tutto per sempre. Lo proclamano esplicitamente, peraltro. Vaste programme!

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    4. "Questa e' la sua unica peculiarita': la dimensione, non la qualita'."
      Se milioni di africani cercano di venire in europa e non di emigrare verso il centro africa evidentemente ci deve essere qualche differenza tra so stato occidentale democratico, liberale e basato sui pesi e contrappesi istituzionali di Montesquie ...e le tribu' centroafricane. E da come arrivano si deduce che tale differenza ha probabilmente aspetti anche qualitativi oltre che dimensionali.
      Sul concetto di sostrenibilità siamo quasi d'accordo come puoi leggere nel mio post di qualche tempo fa a cui ti indirizzo:
      http://sovrappopolazione.blogspot.it/2015/10/stupidita-e-sviluppo-sostenibile.html

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    5. "Se milioni di africani cercano di venire in europa"

      Altrettanti milioni di europei, fino a pochissimo tempo addietro, hanno fatto lo stesso.

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    6. Stimati ca. 5.6M di eurafricani (https://en.wikipedia.org/wiki/White_Africans_of_European_ancestry)

      Sitmati ca. 11,01M di immigrati africani in Europa (https://en.wikipedia.org/wiki/African_immigration_to_Europe)

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  4. quote: "E' facile che tra queste comunità parcellizzate, in presenza di uno stato che non ha più autorità e valori da far rispettare, si generino conflitti e contrasti anche violenti, come già avvenuto in molte città del nord europa."
    e pensare che il nord europa era il posto dove non succedeva mai niente. ecco cosa succede a correre dietro alle novità, hanno cambiato gli stati sovrani con l'europa unica (che poi di unico non ha che benpoco) e la globalizzazione ed ecco i bei risultati. ogni volta che l'essere umano, per via della propria insaziabilità, cambia un sistema funzionante con una innovazione, i risultati sono sempre pessimi. gli esempi più banali ce li abbiamo quando un'industria ritira dal commercio un prodotto perfettamente funzionante con la scusa (per sempliciotti? mah?) che è obsoleto e deve essere innovato

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    1. "e pensare che il nord europa era il posto dove non succedeva mai niente"

      solo una guerra mondiale con 50 milioni di morti ogni tanto

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    2. La rivolta Taiping fece [20, 100]M vittime.
      La conquista mongola fece [30, 60]M vittime.
      Potremmo trovare ancora altri esempi di macelli di massa.
      Asd esempio il geocidio cambogiano perpetrato dai khmer rossi fece [3, 5]m morti (popolazione attuale della Cambogia, ca.14M).
      Sarebbe come se in Europa ci fosse una guerra con 209M morti.

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  5. non ricordo in questo momento se i paesi scandinavi abbiano partecipato ai conflitti mondiali, ma mi riferivo ai danni da problemi di ordine pubblico interno e criminalità locale

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