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sabato 22 gennaio 2011

Sovrappopolazione e cultura

I valori dell'uomo crescono al crescere del numero degli uomini? Oppure, più è alto il numero di umani, più la vita si appiattisce e gli individui perdono quella libertà che rende la vita del singolo unica e ineguagliabile? Le leggende cavalleresche, il senso religioso, l'arte delle cattedrali, la pittura dorata di santi e madonne, il magico mondo medievale fatto di individualità preziose nacquero in un'Europa spopolata, fatta di distese verdi e boschi con pochi centri abitati e un numero piccolo di uomini. La nobiltà, prima di essere una disuguaglianza, consisteva in una valorizzazione sociale di singole persone degne di riguardo per le gesta compiute o per il riconoscimento di un'autorità. L'avvento della borghesia e il miglioramento economico portarono alla crescita demografica, al commercio, ad un'agricoltura intensiva, ad una maggior ricchezza. La crescita, anche numerica, era però ancora all'interno di un mondo in rapporto armonico con l'ambiente, in cui lo spirito imprenditoriale era anche lotta per i valori. Ma il declino della borghesia e l'era della tecnica sfrenata hanno avviato il mondo ad un appiattimento sociale e ad una uniformizzazione della vita e dei valori. La contemporaneità ha distrutto la diversità delle culture, ha imposto modelli omogenei, uniformato costumi e modi di vivere. Basta guardare all'architettura urbana: confrontare il centro cittadino, creato dalle elites nobili e borghesi dei secoli a cavallo tra trecento e settecento, e le squallide periferie delle nostre città del 2000. La democrazia intesa non come libera competizione per il merito ma come appiattimento egualitario, ha distrutto la bellezza e creato città brutte e invivibili. Sovraffollate. In cui la vita è routine, sempre uguale, come uguale è il paesaggio. Non c'è più una elite dominante con la sua creatività e sensibilità artistica. Non c'è più una cultura del bello. Un tempo i palazzi dovevano piacere al nobile, al borghese committente. Oggi non debbono piacere a nessuno, perché non esiste più un committente. Impera una ideologia dell'eguaglianza che ha appiattito lo stile dei palazzi, disintegrato le piazze, asfaltato le strade, cementificato i campi, abolito il bello dalle nostre case; come se il bello fosse una colpa: un segno di distinzione, un indizio di elitarismo. Non è il capitalismo ad aver distrutto l'architettura, basta vedere New York: un inno all'imprenditoria umana nella competizione per la ricchezza.

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