In questo secolo il mondo si troverà faccia a faccia con gli effetti della più grande esplosione demografica nella storia dell’umanità.
Se non si agisce ora, miliardi di esseri umani nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti
Immaginate fra 40 anni altri due miliardi di persone sul pianeta, tutti bisognosi di cibo, acqua e di un tetto, mentre i cambiamenti climatici accentuano questi fondamentali bisogni umani.
Se non si agisce ora, miliardi di persone nel mondo si troveranno ad affrontare sete, fame, condizioni di emarginazione e conflitti quale conseguenza di siccità, scarsità di cibo, degrado urbano, migrazioni e sempre più scarse risorse naturali, mentre la produzione cerca di fronteggiare la domanda.
E la crescita prevista della domanda è sconcertante. Più bocche da sfamare e cambiamenti nelle preferenze alimentari implicheranno:
un raddoppio della produzione agricola in quattro decenni,
un aumento dei consumi idrici del 30% entro il 2030, e
entro la metà del secolo, sistemazioni urbane per tre altri miliardi di persone.
Si aggiunga a ciò il bisogno di energia per sostenere la crescita economica tanto nei paesi post-industriali, in quelli industriali e in quelli di recente industrializzazione, tenendo conto di una domanda che raddoppierà entro il 2050, e si potrà valutare la portata della sfida per i governi e le società.
La buona notizia è che un recente rapporto, intitolato "Population: One Planet, Too many People?" dell’inglese Institution of Mechanical Engineers assicura che le previste sfide potrebbero essere affrontate con tecniche già note e con soluzioni sostenibili. Ciò vuol dire che non c'è nessun bisogno di rinviare l’azione globale aspettando la prossima importante scoperta in campo tecnico o una rivoluzione nel modo di pensare riguardo al controllo demografico.
Si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale crescerà nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiungerà una punta di 9,5 miliardi nel 2075
Il rapporto inoltre conclude che ci troviamo nel bel mezzo di un'opportunità unica, con un'abbondanza di tecnologie pulite e know-how disponibili per consentire alle nazioni appena divenute in via di sviluppo di “scavalcare” le alte quantità di emissioni, la fase di fame di risorse dell'industrializzazione iniziale. Ciò è particolarmente importante, dato che è nell’ambito di queste economie emergenti che ci si attende si verifichi la maggiore crescita demografica.
Soprattutto, si prevede che (dai 6,9 miliardi di oggi) la popolazione mondiale cresca nei prossimi decenni fino a raggiungere 9 miliardi in 40 anni e che raggiunga una punta di 9,5 miliardi nel 2075. Queste clamorose cifre globali non mettono in evidenza comunque quelle importanti tendenze demografiche regionali che invece indicano l’emergere nei prossimi decenni di tre tipologie in cui ricadranno le caratteristiche della maggior parte delle nazioni.
1) Le economie post-industriali mature saranno ampiamente caratterizzate da popolazioni stabili o in flessione. Per esempio, il numero di abitanti dell'Unione Europea è previsto che si riduca del 20% per il 2100. Il conseguente ridursi delle giovani generazioni avrà diverse implicazioni su aspetti come l’assistenza sociale, quella sanitaria e sulla composizione della forza lavoro. I conflitti con effetti sulle popolazioni e le tensioni in lontane regioni indotte dai cambiamenti climatici avranno un impatto su queste economie attraverso l’interruzione della catena di rifornimento di prodotti alimentari e di manufatti.
2) Le economie in via di sviluppo all’ultimo stadio, attualmente caratterizzate da alti livelli di industrializzazione, sperimenteranno un rallentamento della crescita demografica di pari passo alla crescita della ricchezza nazionale. Per esempio, in Asia, dove vive già metà della popolazione mondiale, la crescita demografica crescerà solamente del 25%, per raggiungere il suo massimo nel 2065 e prima di ridiscendere allo stesso modo di alcune economie post-industriali. Sebbene modesta, la continua crescita della popolazione di questa regione nel corso dei prossimi cinque decenni, sommata agli alti livelli di crescita del reddito personale e della ricchezza, porterà probabilmente a tensioni geopolitiche tra alcune nazioni per le risorse naturali, come fonti idriche comuni e materie prime per l’industria.
3) Il terzo gruppo è formato dai paesi da poco divenuti in via di sviluppo e così pure dalle economie sottosviluppate che stanno per entrare nella fase di industrializzazione. Una crescita demografica più rapida, responsabile della maggior parte dell'aumento globale fino al 2075, costituirà la caratteristica fondamentale di queste nazioni. L’Africa è l’area principale a tale riguardo, con molti paesi del continente proiettati a raddoppiare o triplicare le loro popolazioni entro il 2050. Ciò determinerà una considerevole pressione perché vi sia un’accresciuta produzione alimentare interna, altrettanto dicasi per l'acqua e per le fonti energetiche. Dove ciò si combinasse con tensioni sociali e politiche derivanti da un’urbanizzazione incontrollata e da una drammatica espansione delle baraccopoli suburbane, potrebbe dar luogo a conflitti interni e lungo i confini, destabilizzando le vie del commercio internazionale e determinando delle migrazioni di massa dalle aree di conflitto verso regioni più stabili, come l’Europa.
Le tensioni geopolitiche tra nazioni in tutti e tre questi gruppi è probabile che si determinino sia a causa dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) che a causa di fonti di energia a basso-tasso di emissioni. L’accesso a disponibili e abbondanti fonti energetiche consente l’industrializzazione, il superamento della povertà, la crescita economica e una società post-industriale.
Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza
La storia ci insegna ripetutamente che, senza questa energia, le società alla fine crollano di fronte al ridursi degli introiti su investimenti in un contesto sempre più complesso. Un nuovo ordine mondiale prenderà forma allorché delle nazioni diverranno ricche di nuove risorse utilizzabili, come l’energia solare nell’Africa settentrionale, mentre quelle altre che hanno dominato lo scontro per l’approvvigionamento energetico nel XX secolo combatteranno per mantenere ricchezza ed influenza.
È per questo che le economie da poco divenute in via di sviluppo sono essenziali per conseguire un buon risultato. Se queste nazioni hanno in mente le stesse alte emissioni di gas serra (GHG), lo stesso processo insostenibile di sviluppo seguito in passato dalle mature nazioni industrializzate del mondo, non vi saranno dei buoni risultati per tutti noi.
Per esempio, se la combinazione di industrializzazione e di crescita economica nel corso del XXI secolo facesse sì che la quantità media di emissioni GHG degli africani raggiunga l’attuale modesto livello degli asiatici, il recente aumento di popolazione di questo continente introdurrebbe circa 9Giga tonnellate all’anno di gas serra nell'atmosfera. Questa quantità rappresenta un quarto delle attuali emissioni mondiali. In un mondo in cui si cerca di ridurre le emissioni ereditate dalle insostenibili infrastrutture industriali, un tale risultato sarebbe tragico ed imperdonabile, particolarmente dato che già oggi possediamo il know-how e le tecnologie pulite disponibili per evitarlo.
Attraverso l’applicazione di soluzioni ingegneristiche come la biotecnologia, l’accresciuta meccanizzazione e automazione, la riduzione degli sprechi, un migliorato sistema di stoccaggio e di distribuzione e una migliore gestione delle risorse idriche, si possono fornire più che sufficienti risorse alimentari per fronteggiare la prevista domanda.
Allo stesso modo, attraverso miglioramenti nella gestione delle falde acquifere, della raccolta e della conservazione dell'acqua piovana, del riutilizzo dell'acqua e della desalinizzazione si possono coprire i futuri consumi.
Nel contesto urbano, modelli di pianificazione integrata e nuovi modelli di proprietà comune offrono una via per interventi di successo nelle infrastrutture delle baraccopoli. Un terzo della popolazione urbana mondiale già vive in insalubri baraccopoli con scarso o nessun accesso alla distribuzione idrica o energetica e alla sanità.
Le soluzioni ingegneristiche potrebbero svolgere anche un ruolo fondamentale nel fronteggiare la minaccia rappresentata dall’aumento del livello del mare per le aree urbane. Tre quarti delle grandi città del mondo sono sulla costa, con alcune delle maggiori ubicate nelle pianure deltaiche in paesi in via di sviluppo (come Bangkok e Sciangai), dove lo sprofondare del suolo esacerberà la sfida. Dati i tempi lunghi necessari per attuare strategie come infrastrutture ingegneristiche a difesa dalle inondazioni, la valutazione degli aumenti di livello previsti e le possibili soluzioni richiedono un’attenzione urgente per gli agglomerati urbani litoranei nel mondo.
Delle soluzioni innovative di finanziamento avranno un importante ruolo non solo negli approcci ingegneristici per l’urbanizzazione, ma anche nel dispiegamento di tecnologie ad energia pulita su base comune, come quella solare, eolica e microidroelettrica, come pure centrali locali combinate, termiche ed elettriche, che utilizzano biomasse o energia prodotta dai rifiuti. Se significativi livelli d'accesso all’energia e all’acqua devono essere realizzati e va incoraggiata l’adozione di tecnologie sostenibili localizzate, meccanismi come innovativi prestiti con tassi di interesse al di sotto di quelli del mercato e micro-finanziamenti, pacchetti per l’adeguamento a “costo zero” e nuove formule di proprietà individuale e comune, tipo trust, possono essere adottati per ridurre l'investimento di capitali.
È difficile prevedere esattamente che cambiamenti climatici si determineranno in ogni singola regione per effetto di un possibile aumento del riscaldamento globale da 3°C a 6°C entro la fine del secolo. Ci possono essere alcune aree, particolarmente nell'emisfero settentrionale, dove gli effetti dei cambiamenti climatici aumenteranno la capacità di una nazione a fronteggiare la crescita demografica, per esempio attraverso accresciute produzioni agricole o un più facile accesso all’energia. Comunque, gli effetti di eventi atmosferici estremi, più alte temperature e una diversa distribuzione della pioggia, avverranno in altre aree che avranno ancor più difficoltà a fronteggiare l’aumento demografico.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici
Delle proiezioni suggeriscono che i cambiamenti climatici potrebbero determinare lo spostamento anche di un miliardo di persone nei prossimi 40 anni, per un'intensificarsi di disastri naturali, a causa della siccità, dell’aumento del livello del mare e dei conflitti per delle risorse sempre più scarse. Delle migrazioni su vasta scala da tali aree, determinando ancor più pressione sulle regioni del mondo che risulteranno temperate per effetto dei cambiamenti climatici, potrebbero causare delle notevoli preoccupazioni di sicurezza nelle nazioni più fortunate.
L'evidenza mostra che vi sono diffuse soluzioni ingegneristiche sostenibili per affrontare molte delle sfide previste, determinate dalla crescita demografica, e per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Per esempio, il dispiegamento di tecnologie per la gestione dell'energia, come elettrodomestici e termostati intelligenti, insieme alla riduzioni degli sprechi, grazie ad edifici edificati con materiali ancor più isolanti e ad un efficiente utilizzo del calore, sono esempi d'iniziative ingegneristiche che potrebbero ridurre alcuni degli effetti determinati dalla necessità di fonti energetiche più sostenibili.
Ciò che è necessario è la volontà politica e sociale per correggere i danni del mercato, per stabilire innovativi meccanismi per il finanziamento e per nuovi modelli di proprietà individuale e comune, e per trasferire, attraverso la localizzazione, conoscenze tecnologiche ed esperienze non inquinanti per conseguire risultati più sicuri.
Il rapporto dell'Istituto propone cinque obiettivi di sviluppo ingegneristico (EDG) quale primo passo sulla strada per raggiungere tale obiettivo. Questi coprono le questioni fondamentali che vanno risolte in campo energetico, idrico, alimentare, urbanistico e finanziario.
Inoltre il rapporto suggerisce al governo inglese di diventare capofila a livello mondiale collaborando con la professione per definire obiettivi di trasferimento e misure per la realizzazione di questi EDG con lo scopo di sostenerli all'ONU, quale base di un quadro internazionale per sostituire gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) alla loro scadenza nel 2015.
A sostegno degli obiettivi, l'Istituto raccomanda anche che venga adottato un meccanismo per l'addestramento e il trasferimento di ingegneri nelle nazioni divenute di recente in via di sviluppo per fornire pareri sulla localizzazione di tecnologie non inquinanti e di pratiche sostenibili. Praticamente, ha richiesto che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale (DFID) del governo inglese prenda l’iniziativa di sperimentare un modello di trasferimento nel contesto del suo mandato per lo sviluppo estero.
In conclusione, dato che gran parte di noi vive più a lungo in reciproca dipendenza con un pianeta sempre più affollato ma con risorse limitate, gli effetti dell’aumento della popolazione globale si ripercuoteranno in qualche misura sulla vita di ognuno di noi - ovunque ci si trovi. L'impatto non rispetterà i confini. Questo non è altruismo. Si tratta di creare una struttura politica e di perfezionare un percorso di autodifesa.
Tim Fox è Capo dell’Energy and Environment, UK Institution of Mechanical Engineers, e principale autore del rapporto “Population: One Planet, Too many People?
(Tratto da "Nato review").
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sabato 10 settembre 2011
venerdì 9 settembre 2011
INTO THE WILD
Into The Wild
"Ti sbagli se credi che felicita' si trovi solo nel rapporto con le persone, Dio ha messo la felicita' dappertutto. Dobbiamo solo cambiare il modo di guardare le cose".
(dal dialogo di Chris e Ron sulla collina davanti al Salt lake).
Questo film mi coinvolge sempre, ogni volta che lo vedo (e l'ho rivisto molte volte). Dare un nome alle cose significa portarle alla luce, smettere di considerarle un mero sfondo, un contorno insignificante alla attività dell'uomo e riconoscere in esse qualcosa di sacro. La natura viene così valutata per quello che e', qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, con la stessa dignità e lo stesso significato, in un legame che non lascia scampo. Per salvarci dobbiamo salvare la natura, e noi dobbiamo imparare a trovare in essa quella felicita che spesso cerchiamo dove non possiamo trovarla. Guardare al di la del nostro egoismo di uomini, riconoscersi invece in una appartenenza originaria il cui oblio ci sta portando alla rovina.
La follia di Chris, che fugge gli uomini per cercare la risposta in un mondo selvaggio e disabitato e' la risposta ad un'altra follia, quella che ci porta a vivere in un mondo artificiale sovrappopolato e pero' vuoto, in città artificiali, secondo rapporti innaturali che hanno perso ogni traccia di umano. Il bisogno che sorge nel profondo della coscienza di alcuni di noi, quel bisogno irrazionale di allontanarsi dalla cosiddetta civiltà, di viaggiare verso un mondo, forse del tutto irreale e fantastico, fatto di verde, di foreste, di acque incontaminate, di luminose cime di monti innevati, e' un richiamo. Qualcosa ci chiama dal nostro oblio, una voce che ci vuol riportare al senso, ad un senso. Che la vita abbia ancora un senso. Into The Wild.
"Ti sbagli se credi che felicita' si trovi solo nel rapporto con le persone, Dio ha messo la felicita' dappertutto. Dobbiamo solo cambiare il modo di guardare le cose".
(dal dialogo di Chris e Ron sulla collina davanti al Salt lake).
Questo film mi coinvolge sempre, ogni volta che lo vedo (e l'ho rivisto molte volte). Dare un nome alle cose significa portarle alla luce, smettere di considerarle un mero sfondo, un contorno insignificante alla attività dell'uomo e riconoscere in esse qualcosa di sacro. La natura viene così valutata per quello che e', qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, con la stessa dignità e lo stesso significato, in un legame che non lascia scampo. Per salvarci dobbiamo salvare la natura, e noi dobbiamo imparare a trovare in essa quella felicita che spesso cerchiamo dove non possiamo trovarla. Guardare al di la del nostro egoismo di uomini, riconoscersi invece in una appartenenza originaria il cui oblio ci sta portando alla rovina.
La follia di Chris, che fugge gli uomini per cercare la risposta in un mondo selvaggio e disabitato e' la risposta ad un'altra follia, quella che ci porta a vivere in un mondo artificiale sovrappopolato e pero' vuoto, in città artificiali, secondo rapporti innaturali che hanno perso ogni traccia di umano. Il bisogno che sorge nel profondo della coscienza di alcuni di noi, quel bisogno irrazionale di allontanarsi dalla cosiddetta civiltà, di viaggiare verso un mondo, forse del tutto irreale e fantastico, fatto di verde, di foreste, di acque incontaminate, di luminose cime di monti innevati, e' un richiamo. Qualcosa ci chiama dal nostro oblio, una voce che ci vuol riportare al senso, ad un senso. Che la vita abbia ancora un senso. Into The Wild.
mercoledì 7 settembre 2011
FERMIAMO L'INDUSTRIA DEL CEMENTO
Su forza compagni, svegliatevi, scongelate il cervello. Il Marxismo e' stato fallimentare nella gestione dell'economia moderna, e' vero. Pero' non tutto e' da gettare. L'idea delle nazionalizzazioni ad esempio, cioè sottrarre alcune imprese strategiche all'economia di mercato, può avere un ruolo nell'economia ambientalista che caratterizzerà il futuro del pianeta.L'industria del cemento e' strategica per una serie di motivi: e' altamente inquinante, ha un forte impatto sull'ambiente alterando profondamente e irreversibilmente il paesaggio, e' in mano ai capitali speculativi e a volte addirittura, per quanto riguarda il nostro paese ma non solo, diretta proprietà di imprese in odore di mafia e camorra e della delinquenza organizzata. Le capacita' distruttive di suolo pubblico da parte dei costruttori sono amplificate alla ennesima potenza dall'uso del cemento nelle sue varietà di calcestruzzo, cemento armato ecc. Con il cemento e' possibile edificare manufatti di enormi dimensioni in tempi limitati, con impatti ambientali devastanti rispetto ai sistemi tradizionali e secolari della pietra e del legno. Basta pensare alle moderne periferie delle città o alle autostrade e a come queste opere abbiano in pochi anni stravolto il volto del pianeta per rendersi conto delle capacita' devastanti del cemento. Uno degli effetti peggiori di questo ritrovato della tecnica e' l'uniformizzazione planetaria dell'architettura per cui, nel mondo contemporaneo, le città di ogni parte del globo sono indistinguibili tra loro, essendo divenute simili le tecniche costruttive e la conformazione estetica degli edifici in cemento. L'esplosione planetaria, dagli anni 50-60 del secolo scorso in poi, delle megalopoli con i grattacieli, i centri commerciali, strade e superstrade, tutti edificati in cemento, sono il portato della mercificazione edilizia nel tempo della sovrappopolazione e del conseguente fenomeno dell'inurbamento massiccio. Bloccare la speculazione del cemento e' dunque una priorità. E' necessario creare un'Autority per la salvaguardia del territorio e contro l'utilizzo del cemento, che gestisca per conto dello Stato la produzione e la vendita del prodotto, pericoloso ormai come l'eternit in quanto tossico per la salute del pianeta. Le nuove costruzioni dovrebbero essere per legge edificate utilizzando materiali ecocompatibili come pietra, mattoni e legno. L'uso del cemento dovrebbe essere disincentivato da alti prezzi e tassazioni per impatto ambientale, e riservato a restauri di vecchi edifici in cemento o per strutture non altrimenti edificabili e comunque solo quando strettamente indispensabile, sottraendo il settore agli speculatori. Dovrebbe essere vietato in particolare l'edificazione con il cemento di strutture secolari, destinate a durare, onde evitare di alterare per sempre il pianeta e il paesaggio anche per le generazioni future. Nazionalizzare i cementifici e creazione di un'Autority per la salvaguardia del territorio sono un'assoluta priorità in tempo di sovrappopolazione e speculazione edilizia libera.
sabato 3 settembre 2011
1950. UN MONDO DIVERSO
Era il 1950. Un mondo profondamente diverso da quello di oggi. Non ce ne rendiamo conto e sembra impossibile che sia cambiato tutto in pochi decenni, ma è così. La guerra era finita da poco. L'Italia era un paese agricolo in cui la maggioranza della popolazione era dedita all'agricoltura. Nelle campagne del centro e nord Italia imperversava la mezzadria.
Le città erano piccole, alcune come Milano e Napoli ancora in piena ricostruzione dopo i bombardamenti. Roma aveva poco più di un milione di abitanti, di cui molti immigrati dal sud dopo la guerra. Le campagne erano curate e popolate da gente operosa, le fattorie in attività, con la stalla degli animali, con il grano da raccogliere, i primi trattori e le trebbiatrici a motore. I negozi erano poveri, arredati in modo spartano, con poche merci esposte. Le vetrine erano spoglie, buie, non ancora illuminate. La televisione non c'era, se non come un sogno, vaghe notizie che venivano dall'America. In casa c'era una grossa radio che tutti ascoltavano a certe ore.La sera, nei paesi, la gente sedeva sulle sedie fuori dei portoni per conversare al fresco, sotto le stelle.Si beveva già la Coca Cola, appena arrivata dall'America, si mangiavano i gelati Motta (buonissimi quelli al fior di latte o alla banana). L'industrializzazione era in atto, si preparava il boom. Molti migravano al nord dal meridione povero e arretrato, ma fu un fenomeno limitato che allora ci parve epocale. C'era molta carica, molta voglia di migliorarsi, si percepiva un futuro luminoso. Ancora non si viaggiava nello spazio, ma si fantasticava sui dischi volanti.Nessuno dubitava del progresso, il mondo non poteva che progredire, svilupparsi.
Il pianeta aveva, in quel 1950, due miliardi di abitanti: era un altro pianeta da quello di oggi. Questo spiega tutto: l'energia, la forza, la volontà di quella gente che sentiva suo il mondo. Una rinascita dopo la guerra era possibile.
Oggi invece il pianeta ha sette miliardi di umani. Oggi non c'è futuro. Oggi c'è una sensazione sempre più forte del disastro imminente, della perdita di tutto. Un pianeta sovrappopolato è un pianeta che non ha futuro. Al posto della luce si vedono i tetri bagliori di un incendio. Una persona nata nel 1950 ha visto, nell'arco della sua sola vita un cambiamento epocale: da un mondo pieno di fiducia e vivibile, a quello senza speranza e soffocato di oggi. Dovunque megalopoli, cementificazione, distruzione di campagne e foreste, acque inquinate e maleodoranti, l'aria irrespirabile, masse umane che migrano disperate alla ricerca della sussistenza. E' il mondo da sette miliardi di umani, la bomba demografica che è esplosa in pochi anni, perché dal 1950 sono passati pochi anni.
Il cielo allora era ancora azzurro, e chi ha lì i ricordi dell'infanzia non può dimenticarlo. Oggi il cielo è grigio e giallastro. In sessant'anni un'armonia si è rotta per sempre.
venerdì 2 settembre 2011
Rapporto sul pianeta Terra di un equipaggio di extraterrestri
Un primate, del genere di mammiferi Ominidi, discendente da una scimmia chiamata Australopitecus, ha invaso il pianeta ricoprendolo di suoi prodotti, inquinando aria, acque e suoli con le deiezioni chimiche e rifiuti, rendendone l'aria irrespirabile con la combustione in pochi decenni dei depositi di idrocarburi accumulati in milioni di anni. L’ominide usa ricoprire di bitume le vie di transito che utilizza con i suoi carri motorizzati, inoltre edifica tane stratificate in vari piani utilizzando una particolare malta mescolata a sabbie, ghiaie, e tondini di metallo, fino a creare giganteschi alveari fitti di ominidi e altamente inquinanti. Dove si instaura devasta rapidamente l’ambiente naturale scacciando via ed estinguendo tutte le altre specie animali e vegetali. E’ particolarmente bisognoso di acqua che restituisce come liquame saponoso e maleodorante, con numerosi composti chimici tossici. Costruisce e utilizza macchinari che bruciano idrocarburi riversando nell’aria miliardi di tonnellate di anidride carbonica e fumi altamente tossici per tutte le specie, lui compreso. Usa cibarsi di altri animali, pur essendo costitutivamente vegetariano, per il piacere che da al palato la carne cotta. A questo scopo alleva altri mammiferi o uccelli e, recentemente anche pesci, perché ha rinunciato all’attività di cacciatore di cui era specialista, trovando più comodo uccidere serialmente e sezionare gli animali in enormi stabilimenti. Costruisce armi molto potenti che utilizza per lo più contro individui della stessa specie. Scambia le merci con biglietti stampati, di cui è più avido delle merci stesse. L’attività più specifica è la replicazione, ed infatti è giunto a ricoprire il pianeta con sette miliardi di ominidi e non si da tregua, tanto che arriverà a dieci miliardi in qualche decennio. Figlia pensando solo a sé e alla propria tribù senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze. Non si rende facilmente conto del danno che arreca al pianeta, essendo tra l’altro un animale particolarmente aggressivo, distruttivo, e fortemente interessato ai propri comodi, senza alcun riguardo alle altre specie ( ed anche agli altri individui della propria specie). Si rende conto dell’esistenza di un problema solo quando ci sbatte il muso e incappa in qualche catastrofe, o disastro ambientale. Continua tuttavia nel comportamento aberrante di distruzione dell’ambiente in cui vive, di polluzione di inquinanti e di replicazione senza limiti, pur avendone compreso i rischi, in quanto è portato a sottovalutare i fatti e a sopravvalutare i propri desideri. Non ragiona per argomenti ma per convinzioni, posto alle strette non prende atto ma si infuria emanando grida. Riteniamo si autodistruggerà nel giro di qualche secolo, o anche prima.
mercoledì 31 agosto 2011
PARLA UN MAESTRO: KONRAD LORENZ
LA SOVRAPPOPOLAZIONE
Tutti i vantaggi che l'uomo ha ricavato da una conoscenza sempre più approfondita della natura che lo circonda, i progressi della tecnologia, delle scienze chimiche e mediche, tutto ciò che sembrerebbe destinato a lenire le sofferenze umane, tende invece, per terribile paradosso, a favorire la rovina dell'umanità. Questa, infatti, minaccia di soccombere a un destino altrimenti quasi sconosciuto ai sistemi viventi: l'autosoffocazione. Ma la cosa più terribile di questo processo apocalittico è che, con tutta probabilità, le prime a essere travolte saranno proprio le più elevate e le più nobili qualità e attitudini dell'individuo, proprio quelle che giustamente consideriamo e apprezziamo come specificamente umane.
Nessuno di noi, che viviamo in paesi civilizzati densamente popolati, o addirittura nelle grandi città, è ormai più consapevole della nostra carenza generale di affetto e di calore umano. Bisogna avere fatto una volta l'esperienza di arrivare all'improvviso, ospite inatteso, in una casa situata in una regione poco popolata, dove i vicini siano separati da molti chilometri di strade disagiate, per riuscire a valutare quanto ospitale e generoso possa essere l'uomo quando la sua disponibilità ai contatti sociali non viene sottoposta di continuo a eccessive sollecitazioni. Me ne sono reso conto tempo fa, grazie ad un episodio che non ho più potuto dimenticare: avevo ospiti presso di me due coniugi americani del Wisconsin, che si occupavano di protezione della natura e abitavano in una casa completamente isolata nel bosco. Mentre stavamo andando a tavola per cena, suonò il campanello della porta di casa e io esclamai infastidito: "Chi è che viene a disturbarci a quest'ora?". Se avessi pronunciato la peggiore sequela di insulti i miei ospiti non ne sarebbero rimasti meno sbalorditi. Che il suono del campanello potesse suscitare una reazione che non fosse di gioia, era per loro scandaloso.
E' in larga misura colpa dell'affollarsi di grandi masse nelle metropoli moderne se, nel caleidoscopio di immagini umane che mutano e si sovrappongono e si cancellano a vicenda, non riusciamo più a riconoscere il volto del nostro prossimo. L'amore per il prossimo, per un prossimo troppo numeroso e troppo vicino, si diluisce sino a svanire senza lasciare più traccia. Chi desideri ancora coltivare sentimenti di calore e cordialità per gli altri deve concentrarli su di un esiguo numero di amici; noi non siamo, infatti, capaci di amare tutti gli uomini, per quanto ciò possa corrispondere a una norma giusta e morale. Siamo quindi costretti ad operare delle scelte, dobbiamo cioè 'tenere a distanza' in senso affettivo, molte altre persone che sarebbero altrettanto degne della nostra amicizia. L'atteggiamento del not to get emotionally involved (non lasciarsi coinvolgere emotivamente) costituisce una delle preoccupazioni primarie per molti abitanti dei grandi centri urbani. Questa posizione, entro certi limiti inevitabile per ciascuno di noi, è però viziata da una componente di disumanità; essa ci richiama infatti alla mente il comportamento degli antichi proprietari di piantagione americani che trattavano molto umanamente i loro negri 'di casa' mentre gli schiavi delle loro piantagioni venivano considerati, nella migliore delle ipotesi poco più che animali domestici di un certo valore. Questo schermo deliberatamente interposto per impedire i contatti umani, sommandosi con il generale appiattimento dei sentimenti di cui tratteremo in seguito, finisce per condurre a quelle spaventose manifestazioni di indifferenza di cui parlano ogni giorno i nostri giornali*. Man mano che aumenta la massificazione delle persone, l'esigenza del not to get involved diviene per il singolo sempre più pressante, al punto che proprio nei grandi centri urbani possono oggi verificarsi episodi di rapine, assassini, violenze in pieno giorno e nelle strade più frequentate senza che alcun 'passante' intervenga.
L'accalcarsi di molti individui in uno spazio ristretto non solo provoca indirettamente, attraverso il progressivo dissolversi e insabbiarsi dei rapporti fra gli uomini, vere e proprie manifestazioni di disumanità, ma scatena anche direttamente il comportamento aggressivo. Molti esperimenti hanno dimostrato che l'aggressività intraspecifica viene incrementata se gli animali sono alloggiati in gran numero nella stessa gabbia. Chi non abbia conosciuto di persona la prigionia in tempo di guerra o analoghe aggregazioni forzate di molti individui, non può valutare a quale livello di meschina irritabilità si possa giungere in tali circostanze. E proprio se uno cerca di controllarsi impegnandosi a dimostrare quotidianamente e in ogni momento un comportamento cortese, cioè amichevole, verso altri uomini che tuttavia non sono amici, la situazione diventa un vero supplizio. La generale scortesia che si osserva in tutti i grandi centri urbani è chiaramente proporzionale alla densità delle masse umane ammucchiate in un dato luogo. Punte massime spaventose vengono raggiunte, ad esempio, nelle grandi stazioni ferroviarie o nel Bus-Terminal di New York.
La sovrappopolazione provoca indirettamente tutti quegli inconvenienti e quei fenomeni di decadenza che saranno l'argomento dei prossimi sette capitoli: la credenza che attraverso un adeguato 'condizionamento' si possa formare un nuovo tipo di individuo immunizzato contro le conseguenze nefaste del sovraffollamento mi sembra rappresentare un'illusione pericolosa.
(Tratto da: KONRAD LORENZ: GLI OTTO PECCATI CAPITALI DELLA NOSTRA CIVILTA', Adelphi, 1974, capitolo II).
* E' appena il caso di ricordare l'indifferenza dei nostri midia e dei cittadini alle stragi di migranti per i naufragi delle carrette del mare che avvengono quasi quotidianamente al giorno d'oggi. Anche queste aberrazioni sono, come dice Lorenz, il portato della sovrappopolazione del pianeta.(Nota del curatore del Blog).
domenica 28 agosto 2011
QUELLO CHE NON SI PUO' DIRE SULLA TBC A ROMA
Dal sito del Corriere.it: "ROMA - Altri dieci neonati , tre femmine e sette maschi, sono risultati positivi al test per la tbc: tre dei bambini positivi sono nati nel mese di marzo, tre nel mese di maggio, tre nel mese di giugno e uno nel mese di luglio, tutti al policlinico Gemelli di Roma dove lavora l'infermiera che si è ammalata di tubercolosi. La notizia è stata comunicata dall'Unità di coordinamento della Regione Lazio, chiamata a gestire l'attività di controllo sui nati al Policlinico Gemelli inseriti nel programma di sorveglianza sulla Tubercolosi. Il totale dei bimbi positivi al test sale dunque a quota 34. C'è poi il caso della bimba di cinque mesi ricoverata al Bambino Gesù, le cui condizioni non destano preoccupazioni e la cui malattia però non è ancora collegabile con certezza all'infermiera del Gemelli, ora ricoverata allo Spallanzani".
Commento del curatore del Blog
La colpa della epidemia non è della povera e ignara infermiera, come all'inizio si è sostenuto. Né dei medici del Gemelli che, fino a prova contraria, non dispongono di apparecchi radiologici installati nel cervello, come a volte si pretende. Il problema nasce dal continuo massiccio afflusso nel nostro paese di immigrati provenienti da zone dove la TBC è endemica, fortemente diffusa tra la popolazione. Aree dove la povertà, la mancanza di risorse e la corruzione impediscono sia di sottoporre a screening le persone che di curarle con terapie adeguate. Aree caratterizzate tutte da un alto tasso di natalità e da sovrappopolazione che impedisce le politiche di investimento in sanità, strutture diagnostiche, farmaci, strategie di sviluppo. Questa verità è inutile cercarla sui giornali o nelle notizie di radio e tv, non la troverete, perché non è politicamente corretta. Secondo i midia nostrani (ma anche europei, un po' meno quelli americani più empirici e basati su dati reali) i casi di tubercolosi in aumento in tutto l'occidente sono fatalità, disattenzione, errori individuali o casi di malasanità. Nel nostro paese i casi di tbc erano circa un centinaio all'anno negli anni 70, mentre oggi sono 5000 casi all'anno (dati istat, sottostimati in quanto vengono riportati solo i casi regolarmente denunciati e diagnosticati, tralasciando tutti i casi non diagnosticati e di tbc latente- la maggioranza-). Questo vertiginoso aumento in pochi anni non è frutto di dinamiche individuali, errori di singoli o fatti episodici. Al contrario è frutto del massiccio incontrollato afflusso di clandestini e irregolari nel nostro paese, dove a differenza ad esempio degli Usa, non viene eseguito alcun controllo sanitario, nessuna radiografia, nessun esame di laboratorio prima di accordare un qualunque permesso o carta provvisoria. Eppure molti dei casi individuati provengono da paesi, come quelli del centro e del nord Africa, in cui percentuali rilevanti della popolazione sono affetti da tbc o ne sono portatori latenti-le percentuali sono consultabili nei siti di epidemiologia della malattia tubercolare-. La TBC presenta attualmente una forte recrudescenza in Africa anche per la concomitante endemia della Sindome di immunodeficienza acquisita da retrovirus (AIDS), anch'essa legata alla sovrappopolazione e agli alti tassi di natalità in territori sprovvisti di minime risorse sanitarie. La diffusione della malattia tubercolare da parte di immigrati vale anche per quelli provenienti dal sud-est dell' Asia e da alcuni paesi dell'est europeo, dove una rilevante quota di popolazione è affetta dall'infezione. Nei nostri ospedali circa il 50 % di nuovi casi di tubercolosi riscontrati ogni anno riguardano immigrati provenienti dal centro e nord Africa, ed un altro 20-30 % da paesi asiatici e dell'est europeo. Spesso i malati hanno forme polmonari, ma molti hanno tbc sotto forma di "scrofola" (tbc dei linfonodi), o di infezione intestinale, renale e ossea. Un'alta percentuale inoltre ha la forma latente di tbc, temporaneamente non infettante ma pronta a riattivarsi in qualsiasi momento. Non è dunque una sorpresa che sempre più cittadini italiani, come è il caso della infermiera del Gemelli, si possano ammalare e possano trasmettere il micobatterio alle persone con cui vengono a stare vicine (per la trasmissione basta la via aerea) come è avvenuto con i neonati del reparto di neonatologia. La trasmissione per fortuna non significa malattia, ma certamente porta in alto la probabilità di contagio. La necessità di strategie di contrasto alla malattia nei paesi di origine va collegata alla necessità di un adeguato controllo del tasso di natalità, perché solo con un rapporto più equilibrato tra popolazione locale e risorse ambientali è possibile attuare e finanziare campagne e mezzi di prevenzione e diagnosi, strategie terapeutiche, e ridurre i flussi incontrollati di immigrazione verso l'Europa.
La TBC non è l'unica malattia nel nostro paese (ed in Europa) legata agli alti flussi immigratori generati dalla sovrappopolazione. Basti ricordare la recente epidemia in centro Italia da virus del Nilo occidentale e altri Flavivirus come quello della Dengue, epidemia in Veneto e Lombardia (2009-2011) ma anche Lazio e altre regioni(2010-2011), entrambi trasmessi dalle zanzare nostrane mediante puntura di portatori per lo più immigrati provenienti da aree endemiche (Asia, Africa). Oppure le parassitosi intestinali come enterobius vermicolaris, entamoeba coli, strongyloides stercoralis, giardia intestinalis e tanti altri che ci vengono regalati dai flussi migratori non sottoposti ad alcun controllo per un mal inteso e mistificante senso del "politically correct". Queste parassitosi e virosi, come la tbc, trovano il proprio serbatoio e il mezzo idoneo di sviluppo e proliferazione in quelle aree densamente popolate e povere e sono intimamente connesse al problema sovrappopolazione e alle promiscuità determinata dalla arretratezza sociale ed economica.
PS Qui nessuno vuole ovviamente criminalizzare gli immigrati irregolari e clandestini, che sono vittime non colpevoli. Essi vanno curati, magari con aiuti che si rivolgano agli ambienti di provenienza, oltre che con la coscienza della malattia che la sovrappopolazione costituisce per l'intero pianeta. Criminali sono invece chi,sia esso amministratore, politico o operatore di midia, sapendo ma facendo finta di non sapere, mistifica sulla pelle di noi tutti per rigidità ideologica, interesse personale o pura stupidità.
Commento del curatore del Blog
La colpa della epidemia non è della povera e ignara infermiera, come all'inizio si è sostenuto. Né dei medici del Gemelli che, fino a prova contraria, non dispongono di apparecchi radiologici installati nel cervello, come a volte si pretende. Il problema nasce dal continuo massiccio afflusso nel nostro paese di immigrati provenienti da zone dove la TBC è endemica, fortemente diffusa tra la popolazione. Aree dove la povertà, la mancanza di risorse e la corruzione impediscono sia di sottoporre a screening le persone che di curarle con terapie adeguate. Aree caratterizzate tutte da un alto tasso di natalità e da sovrappopolazione che impedisce le politiche di investimento in sanità, strutture diagnostiche, farmaci, strategie di sviluppo. Questa verità è inutile cercarla sui giornali o nelle notizie di radio e tv, non la troverete, perché non è politicamente corretta. Secondo i midia nostrani (ma anche europei, un po' meno quelli americani più empirici e basati su dati reali) i casi di tubercolosi in aumento in tutto l'occidente sono fatalità, disattenzione, errori individuali o casi di malasanità. Nel nostro paese i casi di tbc erano circa un centinaio all'anno negli anni 70, mentre oggi sono 5000 casi all'anno (dati istat, sottostimati in quanto vengono riportati solo i casi regolarmente denunciati e diagnosticati, tralasciando tutti i casi non diagnosticati e di tbc latente- la maggioranza-). Questo vertiginoso aumento in pochi anni non è frutto di dinamiche individuali, errori di singoli o fatti episodici. Al contrario è frutto del massiccio incontrollato afflusso di clandestini e irregolari nel nostro paese, dove a differenza ad esempio degli Usa, non viene eseguito alcun controllo sanitario, nessuna radiografia, nessun esame di laboratorio prima di accordare un qualunque permesso o carta provvisoria. Eppure molti dei casi individuati provengono da paesi, come quelli del centro e del nord Africa, in cui percentuali rilevanti della popolazione sono affetti da tbc o ne sono portatori latenti-le percentuali sono consultabili nei siti di epidemiologia della malattia tubercolare-. La TBC presenta attualmente una forte recrudescenza in Africa anche per la concomitante endemia della Sindome di immunodeficienza acquisita da retrovirus (AIDS), anch'essa legata alla sovrappopolazione e agli alti tassi di natalità in territori sprovvisti di minime risorse sanitarie. La diffusione della malattia tubercolare da parte di immigrati vale anche per quelli provenienti dal sud-est dell' Asia e da alcuni paesi dell'est europeo, dove una rilevante quota di popolazione è affetta dall'infezione. Nei nostri ospedali circa il 50 % di nuovi casi di tubercolosi riscontrati ogni anno riguardano immigrati provenienti dal centro e nord Africa, ed un altro 20-30 % da paesi asiatici e dell'est europeo. Spesso i malati hanno forme polmonari, ma molti hanno tbc sotto forma di "scrofola" (tbc dei linfonodi), o di infezione intestinale, renale e ossea. Un'alta percentuale inoltre ha la forma latente di tbc, temporaneamente non infettante ma pronta a riattivarsi in qualsiasi momento. Non è dunque una sorpresa che sempre più cittadini italiani, come è il caso della infermiera del Gemelli, si possano ammalare e possano trasmettere il micobatterio alle persone con cui vengono a stare vicine (per la trasmissione basta la via aerea) come è avvenuto con i neonati del reparto di neonatologia. La trasmissione per fortuna non significa malattia, ma certamente porta in alto la probabilità di contagio. La necessità di strategie di contrasto alla malattia nei paesi di origine va collegata alla necessità di un adeguato controllo del tasso di natalità, perché solo con un rapporto più equilibrato tra popolazione locale e risorse ambientali è possibile attuare e finanziare campagne e mezzi di prevenzione e diagnosi, strategie terapeutiche, e ridurre i flussi incontrollati di immigrazione verso l'Europa.
La TBC non è l'unica malattia nel nostro paese (ed in Europa) legata agli alti flussi immigratori generati dalla sovrappopolazione. Basti ricordare la recente epidemia in centro Italia da virus del Nilo occidentale e altri Flavivirus come quello della Dengue, epidemia in Veneto e Lombardia (2009-2011) ma anche Lazio e altre regioni(2010-2011), entrambi trasmessi dalle zanzare nostrane mediante puntura di portatori per lo più immigrati provenienti da aree endemiche (Asia, Africa). Oppure le parassitosi intestinali come enterobius vermicolaris, entamoeba coli, strongyloides stercoralis, giardia intestinalis e tanti altri che ci vengono regalati dai flussi migratori non sottoposti ad alcun controllo per un mal inteso e mistificante senso del "politically correct". Queste parassitosi e virosi, come la tbc, trovano il proprio serbatoio e il mezzo idoneo di sviluppo e proliferazione in quelle aree densamente popolate e povere e sono intimamente connesse al problema sovrappopolazione e alle promiscuità determinata dalla arretratezza sociale ed economica.
PS Qui nessuno vuole ovviamente criminalizzare gli immigrati irregolari e clandestini, che sono vittime non colpevoli. Essi vanno curati, magari con aiuti che si rivolgano agli ambienti di provenienza, oltre che con la coscienza della malattia che la sovrappopolazione costituisce per l'intero pianeta. Criminali sono invece chi,sia esso amministratore, politico o operatore di midia, sapendo ma facendo finta di non sapere, mistifica sulla pelle di noi tutti per rigidità ideologica, interesse personale o pura stupidità.
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