Overpopulation – Technology Solution
Posted on January 18, 2010
Filed Under 1 |
By
Fred Westmark
Many futurists and modernists believe that technology can solve all of mankind’s problems. The panacea for humans, they believe, is in the hands of technology, the savior of mankind. But can technology overcome every human problem?
Technology has helped humans overcome many of its problems. Technology has improved human society in many ways: faster transportation, better food, greater access to information, and so on. These tools and machines made technology have vastly improved people’s lives. Today, a messenger doesn’t have to run twenty six miles to bring the news of the Greeks victory over the Persians (Marathon); he could send a message by cell phone in an instant.
Mankind can travel to the moon. Mankind can wash and dry clothes in an hour. Technology has been beneficial for us. Scientists try to push technology to its feasible limits. But what are the limits?
Has technology provided food for everyone? Has technology made humans smarted? Has technology prevented war? Has technology stopped hatred and bigotry? Has technology shown us how to love each other? Will technology control our breeding habits?
Humans act and feel the same as they did thousands of years ago. Machines have improved and changed, but we haven’t. We still hate getting up on Monday morning. We still need to eat every day. And we still breed and produce more human beings. Will technology be used in the future to stop people from breeding?
We are humans, not machines. We can’t improve by adding another widget. No one can simply push a lever and turn us off. Humanists would warn us that some technology is dangerous and could destroy us. Will human beings allow technology to tell us when and how to have children? The answer is an empathic ‘NO’!
We need to use technology wisely, but we need to control technology. It is only as means to an end, it is not the end. Humans need information and knowledge to answer overpopulation questions. Technology can help us. A machine won’t solve overpopulation on the earth, machines can only control and manipulate.
We, humans, have the capacity to respond to dangerous situations and we will respond to the overpopulation threat. We have no choice. We need commitment and determination from the entire planet.
Translate
lunedì 18 gennaio 2010
sabato 16 gennaio 2010
SOVVRAPPOPOLAZIONE E SVILUPPO ECONOMICO
Una popolazione del pianeta che era di meno di un miliardo nel 1900 (impiegando qualche milione di anni per arrivare a tanto) e che oggi va per i sette miliardi, in soli cento anni. Chi non riconosce un questo la tragedia del pianeta terra è cieco o fa finta di non vedere. La redistribuzione delle ricchezze è una chimera per allocchi: non farebbe che aumentare la produzione di rifiuti e di CO2, la deforestazione, la fine del pianeta.Né si può costringere gli uomini all'indigenza come predicano gli utopisti della Decrescita Felice: che senso ha ridurre i consumi se non creare disoccupazione, degrado sociale, dittature autoritarie per impedire lo sviluppo. Marxisti e verdi degli specchietti solari spacciano castronerie. La verità è che l'unica soluzione è la politica del contenimento demografico mediante contraccettivi, incentivi fiscali per le famiglie con un solo figlio, sterilizzazioni, aiuti condizionati alla riduzione della natalità.
Chi afferma che lo sviluppo demografico aiuta lo sviluppo economico?
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.
Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.
Chi afferma che lo sviluppo demografico aiuta lo sviluppo economico?
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.
Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.
martedì 12 gennaio 2010
ALLARME DEL WWF
In Italia si "consumano" 200
metri quadri di suolo al minuto
Il Wwf ha scritto a Napolitano, al premier e ai ministri: «Serve uno scatto d'orgoglio per salvare la natura»
MILANO - L'11 gennaio, a Berlino, l'Onu ha ufficializzato il lancio mondiale del «2010: Anno internazionale della biodiversità». Dopo l'anno del clima tocca dunque alla salvaguardia delle specie che abitano il pianeta. Il nostro paese è, ancora, un vero e proprio paradiso mondiale di biodiversità. Ma se non ci sarà un'inversione di rotta nella salvaguardia del territorio la situazione è destinata a cambiare radicalmente. Il suolo vergine, in Italia, si perde al ritmo di 110 chilometri quadrati all'anno, pari a 30 ettari al giorno, 200 metri quadrati al minuto. Sono dati contenuti in un resoconto fornito dal Wwf.
I dati offrono un quadro allarmante: attualmente nel nostro paese sono a rischio estinzione il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi, il 76% degli anfibi, il 69% dei rettili e addirittura l’88% dei pesci d’acqua dolce. La situazione non va meglio per la flora (15%) e le piante inferiori (40%) ovvero alghe, funghi,licheni, muschi e felci. Dalla metà del secolo scorso la biodiversità in Italia ha subito una fortissima riduzione, in particolare a causa del consumo del suolo. Negli ultimi 50 anni sono stati intensamente colpiti alcuni importanti ambienti quali zone umide e boschi di pianura, ma anche altri sono stati compromessi da fenomeni di frammentazione che ne hanno deteriorato la qualità.
LA LETTERA DEL WWF ALLE ISTITUZIONI - Il Wwf ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio e ai ministri competenti in cui chiede uno scatto d'orgoglio al nostro Paese, per confermare un primato internazionale che ha fatto dell'Italia il primo Stato membro dell'Unione Europea che ha sottoscritto il «Countdown 2010», deciso a Malahide (Irlanda) nel 2004, e promosso la Carta di Siracusa nell'aprile 2009, nell'ambito del G8 Ambiente. In Italia, rileva il Wwf, non è stato fatto «nessun passo concreto per difendere la ricchezza di specie e habitat». L'associazione dice il presidente onorario Fulco Pratesi, chiede l'impegno del ministro dell'Ambiente per salvare animali simbolo come l'orso, lo stambecco, il lupo, che rendono unico il nostro Paese. Ci dovrebbe essere da parte di tutti i Paesi, l'impegno per il Countdown 2010 (un'alleanza di governi, Ong e settore privato) con l'obiettivo di intraprendere le azioni per fermare la perdita di biodiversità entro il 2010, l'anno della svolta e del target per tutti i governi del mondo.
I RECORD DELL'ITALIA - Con 57.468 specie animali di cui l'8,6% endemiche, e 12.000 specie di flora, delle quali il 13,5% specie endemiche, l'Italia è il paese Europeo più ricco di biodiversità ma molta della ricchezza si sta perdendo: attualmente sono a rischio di estinzione il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi, il 76% degli anfibi e addirittura l'88% dei pesci d'acqua dolce. Tra le minacce principali la modifica degli habitat e il consumo del suolo. Non ultime ancora oggi il bracconaggio ai danni si specie sempre più rare e la caccia eccessiva. Rischiamo di perdere, nei prossimi anni, specie come l'orso bruno, la lontra, il capovaccaio, l'aquila del Bonelli, la pernice bianca, la gallina prataiola.È dunque il richiamo alle istituzioni il primo passo che il WWF compie in ambito nazionale per l'Anno della Biodiversità, un 2010 nel quale l'associazione sarà impegnata con iniziative speciali, progetti sul campo e ulteriori interventi istituzionali.
IN ITALIA MANCA ANCORA UN PIANO DI SALVAGUARDIA - Nelle lettera il Wwf indica
come obiettivo prioritario per il 2010 la definizione in un'apposita Conferenza nazionale, aperta al contributo scientifico delle associazioni ambientaliste e dei maggiori esperti italiani, per definire la Strategia nazionale della Biodiversità e un conseguente Piano d'azione, sostenuto da adeguate risorse economiche, ricordando che ad oggi l'Italia non è tra quei 167 Paesi del mondo (l'87% delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione internazionale sulla Biodiversità, CBD) che hanno già adottato proprie Strategie e Piani d'azione a tutela della biodiversità. L'emergenza globale del fatto che drammatici sono i dati relativi alla perdita di biodiversità agli habitat e alle specie più minacciate sul nostro Pianeta: insostenibili processi di deforestazione fanno sì che ogni 3-4 anni sparisca per sempre una superficie di foresta pluviale equivalente a tutta la Francia, mentre le specie si estinguono ad una velocità 100 volte superiore a quella dell'era preistorica.
metri quadri di suolo al minuto
Il Wwf ha scritto a Napolitano, al premier e ai ministri: «Serve uno scatto d'orgoglio per salvare la natura»
MILANO - L'11 gennaio, a Berlino, l'Onu ha ufficializzato il lancio mondiale del «2010: Anno internazionale della biodiversità». Dopo l'anno del clima tocca dunque alla salvaguardia delle specie che abitano il pianeta. Il nostro paese è, ancora, un vero e proprio paradiso mondiale di biodiversità. Ma se non ci sarà un'inversione di rotta nella salvaguardia del territorio la situazione è destinata a cambiare radicalmente. Il suolo vergine, in Italia, si perde al ritmo di 110 chilometri quadrati all'anno, pari a 30 ettari al giorno, 200 metri quadrati al minuto. Sono dati contenuti in un resoconto fornito dal Wwf.
I dati offrono un quadro allarmante: attualmente nel nostro paese sono a rischio estinzione il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi, il 76% degli anfibi, il 69% dei rettili e addirittura l’88% dei pesci d’acqua dolce. La situazione non va meglio per la flora (15%) e le piante inferiori (40%) ovvero alghe, funghi,licheni, muschi e felci. Dalla metà del secolo scorso la biodiversità in Italia ha subito una fortissima riduzione, in particolare a causa del consumo del suolo. Negli ultimi 50 anni sono stati intensamente colpiti alcuni importanti ambienti quali zone umide e boschi di pianura, ma anche altri sono stati compromessi da fenomeni di frammentazione che ne hanno deteriorato la qualità.
LA LETTERA DEL WWF ALLE ISTITUZIONI - Il Wwf ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio e ai ministri competenti in cui chiede uno scatto d'orgoglio al nostro Paese, per confermare un primato internazionale che ha fatto dell'Italia il primo Stato membro dell'Unione Europea che ha sottoscritto il «Countdown 2010», deciso a Malahide (Irlanda) nel 2004, e promosso la Carta di Siracusa nell'aprile 2009, nell'ambito del G8 Ambiente. In Italia, rileva il Wwf, non è stato fatto «nessun passo concreto per difendere la ricchezza di specie e habitat». L'associazione dice il presidente onorario Fulco Pratesi, chiede l'impegno del ministro dell'Ambiente per salvare animali simbolo come l'orso, lo stambecco, il lupo, che rendono unico il nostro Paese. Ci dovrebbe essere da parte di tutti i Paesi, l'impegno per il Countdown 2010 (un'alleanza di governi, Ong e settore privato) con l'obiettivo di intraprendere le azioni per fermare la perdita di biodiversità entro il 2010, l'anno della svolta e del target per tutti i governi del mondo.
I RECORD DELL'ITALIA - Con 57.468 specie animali di cui l'8,6% endemiche, e 12.000 specie di flora, delle quali il 13,5% specie endemiche, l'Italia è il paese Europeo più ricco di biodiversità ma molta della ricchezza si sta perdendo: attualmente sono a rischio di estinzione il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi, il 76% degli anfibi e addirittura l'88% dei pesci d'acqua dolce. Tra le minacce principali la modifica degli habitat e il consumo del suolo. Non ultime ancora oggi il bracconaggio ai danni si specie sempre più rare e la caccia eccessiva. Rischiamo di perdere, nei prossimi anni, specie come l'orso bruno, la lontra, il capovaccaio, l'aquila del Bonelli, la pernice bianca, la gallina prataiola.È dunque il richiamo alle istituzioni il primo passo che il WWF compie in ambito nazionale per l'Anno della Biodiversità, un 2010 nel quale l'associazione sarà impegnata con iniziative speciali, progetti sul campo e ulteriori interventi istituzionali.
IN ITALIA MANCA ANCORA UN PIANO DI SALVAGUARDIA - Nelle lettera il Wwf indica
come obiettivo prioritario per il 2010 la definizione in un'apposita Conferenza nazionale, aperta al contributo scientifico delle associazioni ambientaliste e dei maggiori esperti italiani, per definire la Strategia nazionale della Biodiversità e un conseguente Piano d'azione, sostenuto da adeguate risorse economiche, ricordando che ad oggi l'Italia non è tra quei 167 Paesi del mondo (l'87% delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione internazionale sulla Biodiversità, CBD) che hanno già adottato proprie Strategie e Piani d'azione a tutela della biodiversità. L'emergenza globale del fatto che drammatici sono i dati relativi alla perdita di biodiversità agli habitat e alle specie più minacciate sul nostro Pianeta: insostenibili processi di deforestazione fanno sì che ogni 3-4 anni sparisca per sempre una superficie di foresta pluviale equivalente a tutta la Francia, mentre le specie si estinguono ad una velocità 100 volte superiore a quella dell'era preistorica.
domenica 27 dicembre 2009
DUE CONCEZIONI DEL MONDO


Nove miliardi di umani nel 2050: ecco il grande disastro ambientale che ci attende, che è prossimo, molto più vicino e concreto di tanti allarmi sul clima e sugli inquinanti. Nove miliardi di consumatori, una massa umana la cui attività trasformerà in maniera cataclismatica il pianeta terra in un groviglio di strade e casermoni di cemento, fabbriche e città; il mondo come contenitore di umani. Il futuro non vedrà più ideologie e bipolarismi destra-sinistra ma un'unica polarità: il mondo antropizzato. L'ambiente della fauna e della flora azzerato da un mondo di prodotti dell'attività antropica.DUE sono le VISIONI DEL MONDO che oggi si affrontano: una, quella attualmente dominante che vede il mondo come CONTENITORE DI UMANI che non fanno altro che consumare e crescere, l'altra che vede il mondo come un sistema di equilibri in cui gli umani sono solo una e NON ESCLUSIVA delle componenti. S'impone oggi una lotta alla SUPERSTIZIONE ANTROPOCENTRICA della natalità e della crescita demografica. Una lotta alla SUPERSTIZIONE RELIGIOSA dell'uomo come padrone del mondo, di un mondo fatto solo per l'uomo da un crudele Dio antropomorfo. Politiche di salvezza per il mondo saranno la democrazia laica, il rispetto e la liberazione della donna con il conseguente calo di fertilità, le politiche anticoncezionali e di sostegno alla denatalità, la pianificazione familiare per dedicare le risorse allo sviluppo economico e tecnologico invece che alla sussistenza a livelli proletari di famiglie in sovrannumero di figli con troppe bocche da sfamare. NO alla visione antropocentrica del mondo, SI all'armonioso rapporto tra umani, animali e vegetali in un ambiente naturale.NON c'è una terza via: o faremo del mondo un contenitore della crescente massa umana e la pattumiera dei suoi scarti, o lo salveremo come il pianeta in cui è ancora bello e dignitoso vivere. A noi la scelta, adesso.
venerdì 11 dicembre 2009
Ipocrisia a Copenaghen
Uno spettro s'aggira a Copenaghen, lo spettro della Sovrappopolazione. Un pianeta soffocato da sette miliardi e mezzo di umani che presto saranno dieci miliardi. Ma per i grandi e piccoli della terra il problema non esiste. Miliardi di esseri umani che, solo per l'alimentazione e la sussistenza (abitazione, riscaldamento) stanno portando alla distruzione di milioni di ettari di foresta e alla cementificazione intensa di immense aree ex verdi. Ci si chiude gli occhi per non vedere, ci si tappa le orecchie per non udire. Si parla di ridurre le emissioni di CO2 come se il problema fosse di porre filtri alle ciminiere o costruire mulini a vento. Si spera negli specchietti solari, ma nessuno guarda in faccia il pianeta ridotto ad un contenitore di immense masse umane, le vaste megalopoli inquinate e sovraffollate e per questo cariche di aggressività e violenza. Alcuni imbecilli sperano nella nuova ideologia della decrescita (ovviamente della economia, non della popolazione, tutt'altro!): la chiamano DECRESCITA FELICE!
Si illudono che la gente volontariamente abbandoni automobili e aerei per tornare alla carrozza trainata da cavalli e alla mongolfiera. Sognano cinesi e americani intenti a coltivare carote e fagiolini in colcoz collettivisti. Ma i Cinesi non costruiscono più biciclette, oggi fabbricano SUV! Le politiche demografiche, che pure in passato avevano avuto qualche successo, consentendo lo sviluppo di alcuni paesi arretrati specie in Asia, oggi non vengono più supportate e quasi nessuno ne parla. I Soloni dell'ecologia politically correct se la prendono con il capitale, che è invece l'unico sistema in grado di sfamare le masse. NESSUNO al consesso di Copenhagen ha detto che al ritmo di ottanta milioni di inquinatori- consumatori al giorno in più (tale è la crescita demografica attuale) non ci sarà nessuna inversione di tendenza, e la politica ipocrita della riduzione marginale dei gas di scarico non servirà all'ambiente e porterà solo ad un aumento delle tasse sui cittadini. In questo modo il vero scarico è quello della coscienza e il mondo è avviato alla distruzione ambientale. Senza una politica di riduzione del tasso demografico vivremo presto in una immensa Honkong sotto un cielo scuro di fuliggine.
Si illudono che la gente volontariamente abbandoni automobili e aerei per tornare alla carrozza trainata da cavalli e alla mongolfiera. Sognano cinesi e americani intenti a coltivare carote e fagiolini in colcoz collettivisti. Ma i Cinesi non costruiscono più biciclette, oggi fabbricano SUV! Le politiche demografiche, che pure in passato avevano avuto qualche successo, consentendo lo sviluppo di alcuni paesi arretrati specie in Asia, oggi non vengono più supportate e quasi nessuno ne parla. I Soloni dell'ecologia politically correct se la prendono con il capitale, che è invece l'unico sistema in grado di sfamare le masse. NESSUNO al consesso di Copenhagen ha detto che al ritmo di ottanta milioni di inquinatori- consumatori al giorno in più (tale è la crescita demografica attuale) non ci sarà nessuna inversione di tendenza, e la politica ipocrita della riduzione marginale dei gas di scarico non servirà all'ambiente e porterà solo ad un aumento delle tasse sui cittadini. In questo modo il vero scarico è quello della coscienza e il mondo è avviato alla distruzione ambientale. Senza una politica di riduzione del tasso demografico vivremo presto in una immensa Honkong sotto un cielo scuro di fuliggine.
mercoledì 25 novembre 2009
Allungamento della vita e sovrappopolazione
di Ramez Naam
L'articolo originale sul sito dell'Institute for Ethics and Emerging Technologies
Quando si parla di interventi tesi all'allungamento radicale della vita, si sentono sempre le stesse domande: "Dove la metteremmo tutta questa gente?" "E la 'bomba demografica?'" "Non siamo già troppi?" Ramez Naam ha dedicato un capitolo del suo More Than Human proprio a tali domande.
Che impatto avra' l'estensione della vita sulla popolazione globale? Certamente, qualunque fattore mantenga più gente in vita più a lungo, farà anche crescere la popolazione, ma la crescita demografica procede in modo controintuitivo. Si consideri, per esempio, il fatto che le nazioni con le aspettative di vita più lunghe sono anche quelle la cui popolazione è stabile o in declino. Secondo le Nazioni Unite, nei prossimi 50 anni le popolazioni di Giappone, Italia, Germania e Spagna diminuiranno, nonostante il fatto che il Giappone abbia le più lunghe aspettative di vita al mondo e che quelle delle nazioni europee siano su livelli molto vicini. In fondo alla classifica troviamo invece popolazioni in rapida crescita in quei paesi dove le aspettative di vita sono relativamente brevi: nazioni come India, Cina, Pakistan e Nigeria.
Storicamente, i tassi di natalità e di mortalità sono sempre stati molto alti. Nell'anno 1000, il tasso di natalità annuo era di circa 70 nascite per 1000 persone, mentre il tasso di mortalità era di circa 69,5 per 1000. Ogni anno, quindi, un paese di mille abitanti avrebbe, in media, aumentato la propria popolazione di mezza persona, con un tasso di crescita dello 0,05%.
Man mano che una società progredisce, migliore alimentazione, servizi igienici e medicinali contribuiscono ad abbassare il tasso di mortalità. E quando le nascite superano di molto le morti, le popolazioni si espandono velocemente, come è accaduto nel XX secolo. Nelle ultime decadi, però, anche il tasso di natalità si è abbassato drasticamente, soprattutto nei paesi sviluppati. Quando una nazione raggiunge un certo livello di benessere, di educazione e soprattutto quando la popolazione femminile conquista più diritti, le risorse vengono dirette verso l'educazione e la carriere piuttosto che verso famiglie numerose. Questa tendenza demografica si sta ora diffondendo da Europa, Giappone e Nord America al resto del mondo. Globalmente, il tasso di natalità è di 21 nascite per 1000 persone e quello di mortalità è di 10 per 1000. Quindi, la popolazione mondiale sta crescendo approssimativamente dell'1%, cioè più lentamente che ad ogni altro momento degli ultimi secoli.
Essendo il tasso di natalità il doppio di quello di mortalità, i fenomeni che hanno un impatto sulla fertilità sono ben più significativi di quelli che impattano la mortalità. Per esempio, fra il 2000 e il 2050 l'ONU prevede, globalmente, 3,7 miliardi di decessi e 6,6 miliardi di nascite. Dimezzando il tasso di mortalità avremmo una crescita demografica di 1,9 miliardi, mentre raddoppiando il tasso di natalità avremmo altri 6,6 miliardi di persone. E' quindi evidente come il tasso di natalità sia il fattore più significativo per quanto riguarda la crescita demografica.
Stimare la crescita demografica futura è sempre difficile. Essa dipende, infatti, da quanto rapidamente la crescita economica migliorerà l'assistenza medica, la nutrizione e le fognature, nonchè, naturalmente, da quanto rapidamente calerà il tasso di natalità. Le Nazioni Unite producono ogni anno tre stime, uno scenario "alto", uno "medio" e uno "basso". La differenza fra tassi di natalità e tassi di mortalità è spesso di pochi punti percentuali fra i vari scenari, ma, su varie decadi, tali piccole differenze si fanno sentire. Nel 2000, la popolazione mondiale era di 6 miliardi e l'ONU predice che nel 2050 raggiungerà un livello fra gli 8 e gli 11 miliardi, con una predizione "media" di 8,9 miliardi.
8,9 miliardi di persone rappresenta una crescita del 50% sulla popolazione odierna. Eppure, tale crescita sarebbe ad un tasso corrispondente alla metà del tasso di crescita medio degli ultimi 25 anni. Si stima che il successivo balzo del 50% necessiterà circa il doppio del tempo ed è quindi previsto non prima del 2050. Nel 2100, lo scenario "medio" dell'ONU stima che la popolazione mondiale si stabilizzerà intorno ai 10 miliardi. Naturalmente, una previsione di quasi cent'anni nel futuro è particolarmente rischiosa, in quanto dipende dalla progressione indisturbata delle tendenze odierne e non tiene conto della possibilità di pandemie, di guerre mondiali, o di tecnologie che modifichino radicalmente l'umanità.
Le tecnologie per l'estensione della vita sono solo un'esempio di tali tecnologie, ma il loro impatto demografico sarebbe sorprendentemente limitato. Il demografo Jay Olshansky, nonostante un certo pessimismo nei confronti della fattibilità degli interventi mirati a rallentare l'invecchiamento, ha dimostrato come l'allungamento della vita avrebbe un impatto incrementale, piuttosto che esponenziale, sulla crescita demografica: "In pratica, anche se ottenessimo oggi l'immortalità, il tasso di crescita globale rimarrebbe più lento di quello visto nel dopoguerra con la generazione del baby-boom." Se l'intera popolazione mondiale fosse resa immortale in questo preciso istante, nel 2100 essa raggiungerebbe i 13 miliardi invece dei 10 miliardi oggi previsti, dato che il tasso di natalità è in declino.
L'immortalità di cui parla Olshansky non è però possibile: anche se fermassimo l'invecchiamento, incidenti, omicidi, suicidi e malattie infettive continuerebbero ad uccidere. Inoltre, la cura per l'invecchiamento non è esattamente dietro l'angolo. E' più probabile, invece, che otterremo le tecnologie necessaria a rallentare, ma non a fermare, l'invecchiamento, entro i prossimi 10-20 anni. Saranno poi necessari altri anni ancora perchè tali tecnologie divengano disponibili globalmente. Anche allora, però, l'impatto demografico non sarà istantaneo: coloro già in età avanzata, ovviamente, non otterranno sostanziali benefici da tecniche che rallentano l'invecchiamento. Saranno invece coloro di mezza età, o più giovani, a trarne i massimi benefici. La combinazione di questi fattori risulterà in un impatto graduale sulla popolazione mondiale.
Ecco un semplice esempio matematico (dato che non possiamo predirre esattamente quando le tecnologie per l'estensione della vita saranno disponibili, o quanto rapidamente si diffonderanno, dovremo affidarci a stime ipotetiche): supponiamo, dunque, che delle terapie efficaci per l'estensione della vita divengano disponibili nel 2015 e che l'anno successivo il tasso di mortalità globale cali dell'1% come diretta conseguenza del loro utilizzo. Supponiamo anche che il tasso di mortalità globale diminuisca di un'altro punto percentuale ogni anno successivo, così da ridurre la mortalità globale del 3% nel 2017 e quindi del 35% nel 2050. In questo ottimistico scenario, le aspettative di vita raggiungono i 120 anni nei paesi avanzati e i 113 nei paesi in via di sviluppo (e questo sarebbe un miglioramento senza precedenti, anche se paragonato a quanto ottenuto negli ultimi due secoli).
Ebbene, quanto significativo sarebbe l'impatto demografico di questo estremamente ottimistico allungamento della vita media? Togliendo dal numero di morti annue previsto dall'ONU le morti evitate dalle terapie anti-invecchiamento sopra citate (1% in meno nel 2016, fino al 35% in meno nel 2050), otteniamo una popolazione mondiale di 9,4 milliardi di individui invece degli 8,9 stimati dall'ONU.
Mezzo miliardo di persone in più non sono certo poche, ma come proporzione della popolazione mondiale stimata per il 2050, si tratta di meno del 6%, cioè meno dell'incremento demografico percentuale che si è avverato fra il 1970 e il 1973. Una crescita non trascurabile, ma altrettanto certamente non catastrofica.
Si noti, inoltre, che i demografi si aspettano, nei paesi in via di sviluppo, un calo della natalità più rapido di quello previsto dallo scenario "medio" dell'ONU. Una natalità anche solo del 5% più bassa, risulterebbe in una popolazione mondiale di circa 8 miliardi nel 2050 e nella possibilità di un ritorno ai livelli del 2000 (6 miliardi) nel 2100. Queste cifre sarebbero perfettamente raggiungibili con gli investimenti necessari. Una stabilizzazione demografica globale, seguita da un calo, dipende dalla diffusione di benessere, educazione e libertà nei paesi in via di sviluppo. Per esempio, le Nazioni Unite prevedono che la popolazione Europea subisca un calo dello 0.4% annuo da oggi al 2050 (al netto dell'immigrazione) e che la popolazione dei paesi in via di sviluppo rimanga più o meno stabile. Se i paesi in via di sviluppo riusciranno ad ottenere il livello di benessere dei paesi avanzati entro il 2050, osserveremo un rallentamento della crescita seguito dall'inizio di un declino della popolazione mondiale.
---
L'articolo originale sul sito dell'Institute for Ethics and Emerging Technologies
Quando si parla di interventi tesi all'allungamento radicale della vita, si sentono sempre le stesse domande: "Dove la metteremmo tutta questa gente?" "E la 'bomba demografica?'" "Non siamo già troppi?" Ramez Naam ha dedicato un capitolo del suo More Than Human proprio a tali domande.
Che impatto avra' l'estensione della vita sulla popolazione globale? Certamente, qualunque fattore mantenga più gente in vita più a lungo, farà anche crescere la popolazione, ma la crescita demografica procede in modo controintuitivo. Si consideri, per esempio, il fatto che le nazioni con le aspettative di vita più lunghe sono anche quelle la cui popolazione è stabile o in declino. Secondo le Nazioni Unite, nei prossimi 50 anni le popolazioni di Giappone, Italia, Germania e Spagna diminuiranno, nonostante il fatto che il Giappone abbia le più lunghe aspettative di vita al mondo e che quelle delle nazioni europee siano su livelli molto vicini. In fondo alla classifica troviamo invece popolazioni in rapida crescita in quei paesi dove le aspettative di vita sono relativamente brevi: nazioni come India, Cina, Pakistan e Nigeria.
Storicamente, i tassi di natalità e di mortalità sono sempre stati molto alti. Nell'anno 1000, il tasso di natalità annuo era di circa 70 nascite per 1000 persone, mentre il tasso di mortalità era di circa 69,5 per 1000. Ogni anno, quindi, un paese di mille abitanti avrebbe, in media, aumentato la propria popolazione di mezza persona, con un tasso di crescita dello 0,05%.
Man mano che una società progredisce, migliore alimentazione, servizi igienici e medicinali contribuiscono ad abbassare il tasso di mortalità. E quando le nascite superano di molto le morti, le popolazioni si espandono velocemente, come è accaduto nel XX secolo. Nelle ultime decadi, però, anche il tasso di natalità si è abbassato drasticamente, soprattutto nei paesi sviluppati. Quando una nazione raggiunge un certo livello di benessere, di educazione e soprattutto quando la popolazione femminile conquista più diritti, le risorse vengono dirette verso l'educazione e la carriere piuttosto che verso famiglie numerose. Questa tendenza demografica si sta ora diffondendo da Europa, Giappone e Nord America al resto del mondo. Globalmente, il tasso di natalità è di 21 nascite per 1000 persone e quello di mortalità è di 10 per 1000. Quindi, la popolazione mondiale sta crescendo approssimativamente dell'1%, cioè più lentamente che ad ogni altro momento degli ultimi secoli.
Essendo il tasso di natalità il doppio di quello di mortalità, i fenomeni che hanno un impatto sulla fertilità sono ben più significativi di quelli che impattano la mortalità. Per esempio, fra il 2000 e il 2050 l'ONU prevede, globalmente, 3,7 miliardi di decessi e 6,6 miliardi di nascite. Dimezzando il tasso di mortalità avremmo una crescita demografica di 1,9 miliardi, mentre raddoppiando il tasso di natalità avremmo altri 6,6 miliardi di persone. E' quindi evidente come il tasso di natalità sia il fattore più significativo per quanto riguarda la crescita demografica.
Stimare la crescita demografica futura è sempre difficile. Essa dipende, infatti, da quanto rapidamente la crescita economica migliorerà l'assistenza medica, la nutrizione e le fognature, nonchè, naturalmente, da quanto rapidamente calerà il tasso di natalità. Le Nazioni Unite producono ogni anno tre stime, uno scenario "alto", uno "medio" e uno "basso". La differenza fra tassi di natalità e tassi di mortalità è spesso di pochi punti percentuali fra i vari scenari, ma, su varie decadi, tali piccole differenze si fanno sentire. Nel 2000, la popolazione mondiale era di 6 miliardi e l'ONU predice che nel 2050 raggiungerà un livello fra gli 8 e gli 11 miliardi, con una predizione "media" di 8,9 miliardi.
8,9 miliardi di persone rappresenta una crescita del 50% sulla popolazione odierna. Eppure, tale crescita sarebbe ad un tasso corrispondente alla metà del tasso di crescita medio degli ultimi 25 anni. Si stima che il successivo balzo del 50% necessiterà circa il doppio del tempo ed è quindi previsto non prima del 2050. Nel 2100, lo scenario "medio" dell'ONU stima che la popolazione mondiale si stabilizzerà intorno ai 10 miliardi. Naturalmente, una previsione di quasi cent'anni nel futuro è particolarmente rischiosa, in quanto dipende dalla progressione indisturbata delle tendenze odierne e non tiene conto della possibilità di pandemie, di guerre mondiali, o di tecnologie che modifichino radicalmente l'umanità.
Le tecnologie per l'estensione della vita sono solo un'esempio di tali tecnologie, ma il loro impatto demografico sarebbe sorprendentemente limitato. Il demografo Jay Olshansky, nonostante un certo pessimismo nei confronti della fattibilità degli interventi mirati a rallentare l'invecchiamento, ha dimostrato come l'allungamento della vita avrebbe un impatto incrementale, piuttosto che esponenziale, sulla crescita demografica: "In pratica, anche se ottenessimo oggi l'immortalità, il tasso di crescita globale rimarrebbe più lento di quello visto nel dopoguerra con la generazione del baby-boom." Se l'intera popolazione mondiale fosse resa immortale in questo preciso istante, nel 2100 essa raggiungerebbe i 13 miliardi invece dei 10 miliardi oggi previsti, dato che il tasso di natalità è in declino.
L'immortalità di cui parla Olshansky non è però possibile: anche se fermassimo l'invecchiamento, incidenti, omicidi, suicidi e malattie infettive continuerebbero ad uccidere. Inoltre, la cura per l'invecchiamento non è esattamente dietro l'angolo. E' più probabile, invece, che otterremo le tecnologie necessaria a rallentare, ma non a fermare, l'invecchiamento, entro i prossimi 10-20 anni. Saranno poi necessari altri anni ancora perchè tali tecnologie divengano disponibili globalmente. Anche allora, però, l'impatto demografico non sarà istantaneo: coloro già in età avanzata, ovviamente, non otterranno sostanziali benefici da tecniche che rallentano l'invecchiamento. Saranno invece coloro di mezza età, o più giovani, a trarne i massimi benefici. La combinazione di questi fattori risulterà in un impatto graduale sulla popolazione mondiale.
Ecco un semplice esempio matematico (dato che non possiamo predirre esattamente quando le tecnologie per l'estensione della vita saranno disponibili, o quanto rapidamente si diffonderanno, dovremo affidarci a stime ipotetiche): supponiamo, dunque, che delle terapie efficaci per l'estensione della vita divengano disponibili nel 2015 e che l'anno successivo il tasso di mortalità globale cali dell'1% come diretta conseguenza del loro utilizzo. Supponiamo anche che il tasso di mortalità globale diminuisca di un'altro punto percentuale ogni anno successivo, così da ridurre la mortalità globale del 3% nel 2017 e quindi del 35% nel 2050. In questo ottimistico scenario, le aspettative di vita raggiungono i 120 anni nei paesi avanzati e i 113 nei paesi in via di sviluppo (e questo sarebbe un miglioramento senza precedenti, anche se paragonato a quanto ottenuto negli ultimi due secoli).
Ebbene, quanto significativo sarebbe l'impatto demografico di questo estremamente ottimistico allungamento della vita media? Togliendo dal numero di morti annue previsto dall'ONU le morti evitate dalle terapie anti-invecchiamento sopra citate (1% in meno nel 2016, fino al 35% in meno nel 2050), otteniamo una popolazione mondiale di 9,4 milliardi di individui invece degli 8,9 stimati dall'ONU.
Mezzo miliardo di persone in più non sono certo poche, ma come proporzione della popolazione mondiale stimata per il 2050, si tratta di meno del 6%, cioè meno dell'incremento demografico percentuale che si è avverato fra il 1970 e il 1973. Una crescita non trascurabile, ma altrettanto certamente non catastrofica.
Si noti, inoltre, che i demografi si aspettano, nei paesi in via di sviluppo, un calo della natalità più rapido di quello previsto dallo scenario "medio" dell'ONU. Una natalità anche solo del 5% più bassa, risulterebbe in una popolazione mondiale di circa 8 miliardi nel 2050 e nella possibilità di un ritorno ai livelli del 2000 (6 miliardi) nel 2100. Queste cifre sarebbero perfettamente raggiungibili con gli investimenti necessari. Una stabilizzazione demografica globale, seguita da un calo, dipende dalla diffusione di benessere, educazione e libertà nei paesi in via di sviluppo. Per esempio, le Nazioni Unite prevedono che la popolazione Europea subisca un calo dello 0.4% annuo da oggi al 2050 (al netto dell'immigrazione) e che la popolazione dei paesi in via di sviluppo rimanga più o meno stabile. Se i paesi in via di sviluppo riusciranno ad ottenere il livello di benessere dei paesi avanzati entro il 2050, osserveremo un rallentamento della crescita seguito dall'inizio di un declino della popolazione mondiale.
---
venerdì 20 novembre 2009
Siamo troppi Tiziana Ficacci per NoGod
Parlare di sovrappopolazione spesso è sgradevole. Come è possibile che noi occidentali che abbiamo difficoltà e mille remore a tagliare le nostre emissioni nocive parliamo di tagliare i bambini?
I luoghi del mondo dove la popolazione cresce più rapidamente non emettono ossido di carbonio e hanno tassi di consumo alimentare minime. Il divario con l’occidente è così alto che per essere responsabile di una quantità di emissioni di gas pari a quella di un qualunque cittadino italiano (il romano abitualmente emette gas mefitici anche in metropolitana) dovrebbe mettere al mondo 262 figli. [Anche se le cose stanno cambiando: ormai i paesi "poveri" nel loro complesso inquinano di più dei paesi ricchi- comprendendo tra i poveri Cina e India. Ndr].
Possiamo noi con la pancia piena e seduti nelle nostre case alla giusta temperatura in qualsiasi stagione, col frigorifero bello pieno e la macchina – magari un suv – sotto casa, dire di tagliare i bambini?
I miliardi di persone che oggi praticamente non emettono gas, prima o poi si uniranno alle nostre abboffate, o almeno è quello che dovremmo augurargli se crediamo nella equa distribuzione della ricchezza. E le donne, devono continuare a somigliare a coniglie senza memoria di sé? Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (cfr l’ultimo Rapporto Unfpa sullo Stato della Popolazione Mondiale) stima che 350 milioni di donne che vivono nei paesi più poveri non avrebbero voluto l’ultimo figlio, ma non avevano i mezzi per prevenire la gravidanza, né la possibilità di ricorrere ad un aborto sicuro.
Per aiutarle concretamente a scegliere si dovrebbe creare una rete mondiale anti-Vaticano. L’ultimo sconsiderato anatema papale, che condanna aborto e contraccezione chiamando l’embrione bambino, meriterebbe che prendessimo i forconi marciando su sanpietro. Per poter guardare senza vergognarci tutte le donne e gli uomini che vivono nei paesi poveri del mondo.
I luoghi del mondo dove la popolazione cresce più rapidamente non emettono ossido di carbonio e hanno tassi di consumo alimentare minime. Il divario con l’occidente è così alto che per essere responsabile di una quantità di emissioni di gas pari a quella di un qualunque cittadino italiano (il romano abitualmente emette gas mefitici anche in metropolitana) dovrebbe mettere al mondo 262 figli. [Anche se le cose stanno cambiando: ormai i paesi "poveri" nel loro complesso inquinano di più dei paesi ricchi- comprendendo tra i poveri Cina e India. Ndr].
Possiamo noi con la pancia piena e seduti nelle nostre case alla giusta temperatura in qualsiasi stagione, col frigorifero bello pieno e la macchina – magari un suv – sotto casa, dire di tagliare i bambini?
I miliardi di persone che oggi praticamente non emettono gas, prima o poi si uniranno alle nostre abboffate, o almeno è quello che dovremmo augurargli se crediamo nella equa distribuzione della ricchezza. E le donne, devono continuare a somigliare a coniglie senza memoria di sé? Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (cfr l’ultimo Rapporto Unfpa sullo Stato della Popolazione Mondiale) stima che 350 milioni di donne che vivono nei paesi più poveri non avrebbero voluto l’ultimo figlio, ma non avevano i mezzi per prevenire la gravidanza, né la possibilità di ricorrere ad un aborto sicuro.
Per aiutarle concretamente a scegliere si dovrebbe creare una rete mondiale anti-Vaticano. L’ultimo sconsiderato anatema papale, che condanna aborto e contraccezione chiamando l’embrione bambino, meriterebbe che prendessimo i forconi marciando su sanpietro. Per poter guardare senza vergognarci tutte le donne e gli uomini che vivono nei paesi poveri del mondo.
Iscriviti a:
Post (Atom)