Nel suo ultimo libro Contro (la) natura Chicco Testa conferma, sotto certi
aspetti, di appartenere alla cultura dell’ambientalismo classico (è stato
presidente di Legambiente). Lo fa esplicitamente quando afferma che la
popolazione eccessiva umana sulla Terra non costituisce un problema per l’ambiente del pianeta.
Afferma Testa riferendosi all’esplosione demografica: il
suo incredibile incremento non ha determinato nessuna catastrofe alimentare né
carenze drammatiche di alcuna materia prima. Esistono, è vero, circa un
miliardo di persone denutrite e morti per carestie e fenomeni climatici
estremi. Ma nonostante ciò il nostro pianeta si è dimostrato in grado di
sfamare in modo sufficiente più di sei miliardi di persone. Testa critica le logiche
neo-malthusiane in quanto sostiene che non è la consistenza complessiva della
popolazione a determinare il suo impatto ambientale, ma la ricchezza e cioè la
produzione e i consumi di quella data popolazione. Un miliardo di persone con
centomila euro di Pil pro-capite consuma più o meno le stesse risorse di dieci
miliardi di persone con diecimila euro di Pil pro capite. L’impatto complessivo
non dipende quindi dalla popolazione, ma dall’nsieme mondiale delle attività
economiche e dal loro grado di efficienza, inteso come input di materia prima
più energia e output economico. Non sono quindi, secondo Testa e i verdi
mainstream, le sterminate popolazioni asiatiche o africane (e i loro tassi di
natalità elevatissimi) le responsabili dell’impatto maggiore sulle risorse del
pianeta. Bensì il livello di consumo pro capite dei cittadini occidentali molte
volte superiore a quello del terzo mondo.
E’ il Pil di un determinato territorio e non i numeri
della sua popolazione che misurano l’impatto ambientale. Testa fa l’esempio
degli Stati Uniti che è al primo posto per i consumi individuali e il consumo
energetico e quindi hanno un impatto massimo sull’inquinamento e sulle
emissioni di CO2, rispetto ad esempio all’India che con una popolazione quattro
volte maggiore ed un prodotto interno assai più basso e consumi energetici
di circa tre volte minori dovrebbe in teoria inquinare molto meno. Testa e i verdi tuttavia non dicono che l'India ed altri paesi asiatici hanno rapidamente bruciato le tappe, e mentre gli Usa tendono a ridurre lievemente i livelli di emissioni, quelli di India e Asia stanno crescendo vertiginosamente (oggi l'India è il quarto inquinatore mondiale dopo Cina, Usa, ed Europa).
E' vero che i consumi individuali influiscono pesantemente sulle emissioni di CO2 ed altri inquinanti, ma ignorare completamente il fattore popolazione è un grave mistificazione che porta completamente fuori rotta le posizioni degli ambientalisti. In questi calcoli i verdi fanno due errori logici che
rende sbagliato il loro ragionamento. Il primo errore è quello di considerare i
dati sulla situazione statica del momento e di appiattire tutte le dinamiche
economiche e demografiche al momento attuale. Se guardiamo ai consumi del
miliardo di cinesi di trenta anni fa notiamo che sia il Prodotto interno lordo
che il consumo energetico erano infinitamente al di sotto di quello degli Stati
Uniti. Se guardiamo alla Cina trent’anni dopo e vediamo quello che accade oggi notiamo che il miliardo e mezzo
di cinesi ha moltiplicato per decine di volte i consumi individuali tanto che
sia il Pil che il consumo di energia supera quello americano. Oggi la Cina inquina
di più degli Stati Uniti ed è il primo paese al mondo per emissioni nocive. Così sarà in futuro dell’India, e per l'Africa. Anche perché in
questo processo di spostamento verso l’alto dei consumi e del Pil viene a
mancare il know-how tecnologico che contraddistingue i paesi con tecnologia
avanzata ed economicamente stabili come Stati Uniti ed Europa.
Il secondo errore,che deriva dal primo, è che secondo i verdi i tassi di
natalità non influenzano il degrado ambientale in quanto si riflettono semplicemente sui
numeri della popolazione e
non sui numeri della produzione e del consumo. I tassi di natalità, a
differenza di quello che pensano i verdi, influiscono invece pesantemente sul
degrado ambientale in quanto sono in prospettiva in grado di aumentare fortemente i consumi senza peraltro migliorarne la qualità con la stessa velocità. Da un lato maggiore natalità significa
incremento di futuri consumatori-produttori nel senso che la situazione va
interpretata non staticamente ma dinamicamente. Venti anni sono un ciclo breve
per l’ambiente, ed in venti anni un esercito di neonati diviene un esercito di
consumatori-inquinatori. Nel giro di trenta anni la Cina è passata da un
miliardo a un miliardo e mezzo di abitanti. Un miliardo e mezzo di consumatori
consuma un terzo in
più di una popolazione di un miliardo di individui. Ma come abbiamo visto il
Pil e i consumi sono anche essi dati dinamici che tendono ad aumentare più o
meno rapidamente nel tempo, pertanto il tasso di inquinamento ambientale di una
data nazione sarà aumentato in maniera esponenziale dopo dieci o venti anni
anni, sia per l’incremento del numero di individui, sia per l’incremento dei
consumi per ciascun individuo. In un mondo globalizzato non è possibile tenere separati i prodotti e i consumi dai potenziali consumatori con confini politici. La conoscenza via web, la pubblicità, la mobilità di persone e merci rende il mercato di produttori e consumatori molto più mobile e diffuso di decenni fa. Un tasso di natalità alto farà pertanto
aumentare esponenzialmente il prodotto tra numero di consumatori e livello in
crescita dei consumi, in funzione di un terzo moltiplicatore che è il fattore
tempo. Il Pil segue la crescita
della popolazione, e questo fenomeno avviene ormai stabilmente da molti
decenni, da quando le conoscenze e la tecnologia si sono rapidamente
globalizzate. Il secondo motivo che porta i tassi di natalità ad incidere
pesantemente sull’ambiente è anche questo dinamico: quando il numero della
popolazione cresce senza che crescano le risorse naturali, economiche e
agricole del territorio, si produce il fenomeno migratorio. I popoli oggi si
spostano verso i luoghi dove abbondano risorse e consumi. La globalizzazione
dei mercati e la perdita di significato politico delle frontiere ha portato le
persone a spostarsi di fatto liberamente seguendo le merci e le risorse e
superando gli impedimenti politici. La perdita di potere della politica a
favore delle dirigenze finanziarie ha guidato questo fenomeno fino a dare
l’impronta definitiva alla nostra epoca, che è quella delle migrazioni di
massa. Ciò porta i calcoli fatti dai verdi sul basso tasso di inquinamento
delle popolazioni dei paesi poveri ad essere del tutto falsi e basati su
presupposti inesistenti e sbagliati. I nuovi nati, una volta divenuti più o
meno adulti, ma a volte anche prima,
si spostano nelle aree del pianeta dove sono i consumi, le risorse e le
merci, portando i tassi di
inquinamento a pareggiarsi o comunque ad avvicinarsi a quelli delle popolazioni
dei paesi più ricchi. Allo stesso tempo gli spostamenti di risorse dai paesi
ricchi alle aree povere senza che vengano prese adeguate misure di controllo
della natalità ed educazione
sessuale (i cosiddetti aiuti a pioggia molto criticati dagli stessi popoli del terzo mondo) ,
porta a mantenere alti i tassi di natalità assicurando un falso benessere che riguarda esclusivamente il supporto vitale di primo livello.
Infatti le risorse paracadutate dall’alto in territori privi di risorse, di un
tessuto produttivo e di tecnologie
agricole, vengono spese , stanto così le cose, esclusivamente per incrementare
le aspettative a breve termine dei genitori per i figli, migliorarne l'alimentazione e le cure, mentre la situazione
ambientale, economica e sociale rimane di strema povertà ed arretratezza, ed incapace di supportare la crescita demografica in modo da
permettere una vita dignitosa e sostenibile per l’ambiente ad un numero sempre più grande di individui. “Ogni nascita nei
paesi poveri, con i tassi attuali di mobilità delle popolazioni e delle merci,
significa maggiore inquinamento globale secondo parametri di consumi che non
sono più locali ma globali”. L’equazione di Ehrlich è pertanto pienamente
valida e non esistono più distinzioni statiche tra tassi di natalità ed impatto
ambientale nelle diverse aree economiche del pianeta.